Da Saint Denis a Madrid, poco più di un anno per ritrovarsi al punto di partenza; anzi, persino qualche metro più indietro, fino a scoprire di essere tornati... a Kiev. Il trionfo sulla Spagna a Euro 2016, quell'impresa meritata e indiscutibile firmata da Chiellini e da Pellè (ma soprattutto da Antonio Conte) ci aveva fatto credere che il calcio azzurro avesse recuperato classe, mentalità e personalità in dosi utili a ridurre o annullare, perlomeno in gara secca, il gap tecnico fra noi e la Roja. Ahimè, è stata una crudele illusione. Il Santiago Bernabeu ci ha restituito un Club Italia ridotto ai minimi termini come quello che era affondato nella finale continentale del 2012, a Kiev, per l'appunto.
INDIETRO DI CINQUE ANNI - Ricordate? Fu un 4-0 dipinto come umiliante, in realtà una punizione eccessiva per una squadra stanca, con troppi elementi in condizioni precarie, e che comunque qualche cosa era riuscita a creare, fin quando le gambe e il fiato avevano retto. Sul piano della prestazione, è assai più inquietante il rovescio di ieri sera; "solo" tre gol sul groppone, ma una disperante dimostrazione di impotenza, una inferiorità a tratti imbarazzante sotto tutti i profili: talento (e si sapeva, ma non fino a questo punto), brillantezza atletica, organizzazione di gioco... Inutile tornare sulla mancanza di idee, sull'inconsistenza in tutte le zone del campo, sull'imprecisione assoluta nel tocco e nel passaggio: la gara in sé non si presta a commenti e analisi approfondite, è stato un semplice monologo, e quando ci si riduce a fare da sparring partner a una rivale storica, in una gara ufficiale e decisiva, qualche domanda è lecito porsela, al di là dei contratti rinnovati fino a lontane e improbabili scadenze.
K.O. TARGATO VENTURA - Poche ore fa, come nella sfida d'andata a Torino, il fallimento (perché quell'1-1 fu una mezza sconfitta) porta l'indelebile firma del cittì Ventura. Che all'Olimpico piemontese sbagliò clamorosamente formazione di partenza (se ne avete voglia, andate a rileggervi cosa scrissi all'epoca, qui), mentre in terra iberica ha optato per una scelta tattica suicida. Suicida, perché un 4-2-4 in casa di una delle rappresentative più forti al mondo, che gioca oltretutto con due risultati su tre a disposizione, lo puoi fare solo se hai interpreti tecnicamente all'altezza, abituati a tale modulo da una lunga pratica e, soprattutto, sorretti da una straripante condizione fisica, trattandosi di un modulo che richiede grande dispendio di energie per risultare efficace in avanti senza tralasciare l'adeguata copertura. E invece, ci siamo ritrovati con un centrocampo in cui Verratti e De Rossi, presi in mezzo dai fini dicitori spagnoli, sono naufragati senza possibilità di riscatto, anche perché poco o nulla supportati dai vari Candreva, Insigne e compagnia. Sì, d'accordo, la vecchia storia della Nazionale che in settembre fatica: ma proprio perché lo si sa da anni, non era opportuno pararsi le spalle infoltendo la zona nevralgica (là dove le partite si vincono e si perdono), sciogliendo le briglie al solo fantasista napoletano come suggeritore delle due punte? O tornare al nostro 3-5-2 vecchia maniera, che spesso gli iberici hanno patito? Si sarebbe perso ugualmente? A parte che non è detto, alla luce dei freschi precedenti, ma persino una sconfitta di misura ed onorevole sarebbe servita per il morale e per i delicati equilibri psicologici di un gruppo in fase di formazione e crescita.
ELASTICITA' TATTICA - Non è una questione di coerenza col discorso tattico intrapreso negli ultimi mesi. La coerenza del progetto la si vede da altri elementi: il gruppo azzurro consolidatosi nella scorsa stagione, il lavoro in prospettiva sui giovani con l'inserimento di tanti volti nuovi... Il discorso sulla strategia da adottare in campo viene dopo, è secondario, e deve sempre tenere conto sia dell'avversario, sia della situazione contingente, ossia degli uomini a disposizione in quel momento e del loro stato di forma. Con una rosa al 40 per cento (e stiamo larghi) delle proprie effettive potenzialità, non è peccato mortale adottare un atteggiamento più prudente: oltretutto il 3-5-2 o il 4-3-3 non sono sinonimi di attendismo, così come il 4-2-4 non lo è di spregiudicatezza, e la serata madrilena lo ha ampiamente dimostrato... Si chiama elasticità, uno dei fattori in grado di far la differenza fra un buono e un ottimo allenatore.
DIVARIO IRREALE - La Spagna ci è superiore in questo momento, è vero. Ma ciò che si è visto ieri è stato un divario tecnico simile a quello che può esserci fra Italia e Lichtenstein, e questo è inaccettabile, perché le cose non stanno così, e basterebbe il nostro buon Europeo francese, o la graduale affermazione di tanti nostri ragazzi in sboccio, a dimostrare che, pur inferiori, potremmo comunque giocarcela. Torniamo a quel pomeriggio magnifico di Saint Denis 2016: lo sto citando a ogni piè sospinto perché è un termine di riferimento imprescindibile, mentre molti sembrano averlo già dimenticato. Per una Nazionale che deve ricostruire la credibilità internazionale cancellata dal disastroso Mondiale brasiliano, le piccole conquiste intermedie vanno difese strenuamente, e quel 2-0 fu una piccola grande conquista che avrebbe dovuto incrementare la nostra autostima, la nostra personalità, e spingerci a lavorare ancor di più per affinare i nostri mezzi di "offesa" in vista dei successivi confronti con le Furie Rosse; un traguardo che doveva essere valorizzato, facendo tesoro delle modalità adottate per ottenerlo. Invece quel patrimonio è andato sprecato, per inseguire improbabili chimere di gioco, per la voglia di strafare, per immaturità agli alti livelli di un trainer che ha ricevuto, probabilmente, la più sonora lezione di calcio della sua carriera.
AVANTI CON MENO FIDUCIA - La situazione è meno semplice di quel che sembra: perché non è il massimo della vita avviarsi a concludere il girone con la consapevolezza di dover poi passare attraverso un playoff, con tutti i rischi connessi. Barrage peraltro ancora tutto da conquistare. Sarà un autunno di fuoco, per la nostra ridimensionatissima Azzurra, e lo si affronterà partendo da uno 0-3 che ha incrinato certezze precoci e fiducia eccessiva. Ormai il danno è fatto: perso il terreno che si era recuperato sulla Spagna, tornata a distanza siderale, e persa la possibilità di conquistare un primo posto che, nonostante tutto, era alla portata, bisogna concentrarsi sulle modeste esigenze del momento. Ossia coniugare il lavoro in prospettiva con i risultati. A Ventura si chiede solo un atteggiamento maggiormente camaleontico: più che nei moduli, il coraggio lo dovrà dimostrare nella scelta di uomini che possano adeguatamente surrogare giovani e meno giovani troppo spesso balbettanti, alcuni forse sopravvalutati, altri non più all'altezza di certe ribalte, per naturale esaurimento. Fare nomi riguardo al match madrileno sarebbe ingeneroso, perché nessuno ha avvicinato la sufficienza. Ma le forze fresche ci sono, sia pure in ridotta quantità. Il calcio italiano non è quella "cosa" senza capo né coda che, ridicolizzata dagli assi di Lopetegui, ci ha fatto provare momenti di notevole imbarazzo. Ora, sotto con Israele, senza melodrammi.
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