"Sarà un Festival sui generis, diverso dal solito, sicuramente originale". Lo si dice da mesi, e del resto questo Sanremo 2018 è stato circondato da un alone di mistero fin dalla fase di gestazione: prima l'inquietante "vuoto di potere" del dopo Carlo Conti, con la nomina del nuovo direttore artistico che si è fatta pericolosamente attendere; poi la designazione di Claudio Baglioni a fine settembre, e a seguire la messa a punto di un regolamento che segna un deciso cambio di rotta rispetto alle edizioni degli ultimi anni, con l'abolizione delle eliminazioni in entrambe le categorie in concorso; e ancora, la composizione di un cast di Big meno glamour e meno commerciale rispetto a quelli della gestione "contiana", per finire con l'inedito ed estemporaneo trio scelto per fare gli onori di casa: Michelle Hunziker, showgirl targata Mediaset, Pierfrancesco Favino, attore a digiuno in fatto di conduzioni catodiche, e ovviamente lui, il "capitano coraggioso" Claudio, non si sa ancora bene con quanto spazio e con quale ruolo, ruolo che tuttavia, stando alle indiscrezioni, potrebbe essere meno defilato di quel che si pensava inizialmente.
Ora che siamo al momento del dunque, le impressioni sono le stesse della lunghissima vigilia. Ci accingiamo ad assistere a un Sanremo del tutto particolare. Non so se sarà di semplice transizione, per poi tornare a percorrere la strada di recente intrapresa (una strada vincente), o se segnerà una svolta nel modo di concepire la struttura dell'evento. Ma sarà comunque una rassegna da seguire con grande attenzione e curiosità. Dei Campioni ho già scritto al momento dell'annuncio del "listone", in dicembre: inutile tornarci sopra adesso, quando basterà attendere poche ore per avere anche la materia prima su cui discutere, ossia i brani in lizza. "Annusando l'aria che tira", come dicono gli esperti sanremologhi, i miei favoriti sono le coppie Meta - Moro e Facchinetti - Fogli, poi Red Canzian e Annalisa, mentre la critica già ha detto mirabilia del brano di Ron targato Dalla. Ne riparleremo presto...
OSPITI ITALIANI: UN CAST MONSTRE - Più opportuno spostare i riflettori sulla linea artistica che il cantautore romano ha voluto dare a tutto il progetto Festival nel suo complesso: da quando nella liturgia sanremese sono stati introdotti gli ospiti fuori concorso, non è mai accaduto, a mia memoria, che gli italiani superassero, in quantità, le star d'oltrefrontiera. Solo due i precedenti analoghi in tal senso, ma si trattò di circostanze del tutto eccezionali, di due eventi concentrati entrambi in una sola delle cinque serate in cartellone: nel 2010, sfilarono nove superstar canore di casa nostra per celebrare il sessantesimo compleanno della manifestazione; l'anno prima, dieci superbig si esibirono facendo da padrini ad altrettante nuove proposte (fu la covata d'oro di Arisa, Malika Ayane, Simona Molinari, Irene Fornaciari).
OSPITI ITALIANI: UN CAST MONSTRE - Più opportuno spostare i riflettori sulla linea artistica che il cantautore romano ha voluto dare a tutto il progetto Festival nel suo complesso: da quando nella liturgia sanremese sono stati introdotti gli ospiti fuori concorso, non è mai accaduto, a mia memoria, che gli italiani superassero, in quantità, le star d'oltrefrontiera. Solo due i precedenti analoghi in tal senso, ma si trattò di circostanze del tutto eccezionali, di due eventi concentrati entrambi in una sola delle cinque serate in cartellone: nel 2010, sfilarono nove superstar canore di casa nostra per celebrare il sessantesimo compleanno della manifestazione; l'anno prima, dieci superbig si esibirono facendo da padrini ad altrettante nuove proposte (fu la covata d'oro di Arisa, Malika Ayane, Simona Molinari, Irene Fornaciari).
In questo Sanremo 2018, salvo cambiamenti dell'ultima ora (che al Festival sono frequenti, in tema di reclutamento di vedettes internazionali), dall'estero al momento sono in arrivo i soli Sting (con Shaggy) e James Taylor: oltretutto, grandissimi nomi, ma non certo protagonisti delle più recenti charts, quegli effimeri eroi che in Riviera sono spesso e volentieri venuti a far promozione per sfruttare il loro attimo più o meno fuggente. Del resto, Baglioni era stato chiaro: gli stranieri che verranno, aveva detto, dovranno impegnarsi anche a omaggiare, in qualche modo, la canzone italiana. Può anche essere che questo "paletto" abbia scoraggiato molti divi del pop mondiale a sbarcare all'Ariston. Ma magari si è trattato solo di una scelta di campo chiara, netta, inequivocabile da parte dello staff organizzativo: fare del Festival 2018 un inno assoluto alla musica tricolore.
CHI RISCHIA IN GARA E CHI NO - Così, ecco schierati ai nastri di partenza Laura Pausini (se guarirà in tempo utile dalla laringite), Giorgia, Negramaro, Piero Pelù, Gianni Morandi, Il Volo, Gino Paoli con Danilo Rea, il trio Nek - Pezzali - Renga, Antonacci, Fiorella Mannoia. Non si può certo dire che si tratti di un elenco grondante sorprese (quasi tutti sono stati visti e rivisti a Sanremo in tempi non troppo lontani, perfino il "ribelle" Pelù fece il superospite nel 2001), ma d'altro canto non può sfuggire un fatto singolare: si tratta di un nutrito drappello di "campioni" che marcerà parallelamente a quello degli "altri" campioni, ossia i concorrenti.
Big italiani contro big italiani, lotta fratricida nella quale vedo un senso di profonda ingiustizia. Parliamoci chiaro: il fatto che ci sia una élite di cantanti nostrani che si sottraggono alle forche caudine della gara preferendo la vetrina senza rischi, mentre nelle stesse ore dei "valorosi" colleghi affrontano la pugna con spirito indomito, stona un po', ancor più se si tratta di una scelta avallata o ispirata dal patron di turno. Bei tempi, quelli in cui il palco ligure era negato agli artisti italiani refrattari al concorso; il Pippo Baudo dei tempi d'oro fu particolarmente rigoroso nella difesa di questo principio, salvo poi cambiare registro negli ultimi due Festival sotto la sua gestione, 2007 e 2008. Rimango del parere che una distinzione del genere, che suona quasi come "cantanti di Serie A e cantanti di Serie B", non dovrebbe esistere, a Sanremo: ed è ancor più assurdo che esista quest'anno, con una competizione così largamente annacquata che porterà tutti, proprio tutti, i gareggianti alla finalissima di sabato. Una Giorgia, un Antonacci, un Sangiorgi con band al seguito, possono davvero aver paura di un piazzamento sanremese non all'altezza della loro fama? Suvvia, siamo seri...
Big italiani contro big italiani, lotta fratricida nella quale vedo un senso di profonda ingiustizia. Parliamoci chiaro: il fatto che ci sia una élite di cantanti nostrani che si sottraggono alle forche caudine della gara preferendo la vetrina senza rischi, mentre nelle stesse ore dei "valorosi" colleghi affrontano la pugna con spirito indomito, stona un po', ancor più se si tratta di una scelta avallata o ispirata dal patron di turno. Bei tempi, quelli in cui il palco ligure era negato agli artisti italiani refrattari al concorso; il Pippo Baudo dei tempi d'oro fu particolarmente rigoroso nella difesa di questo principio, salvo poi cambiare registro negli ultimi due Festival sotto la sua gestione, 2007 e 2008. Rimango del parere che una distinzione del genere, che suona quasi come "cantanti di Serie A e cantanti di Serie B", non dovrebbe esistere, a Sanremo: ed è ancor più assurdo che esista quest'anno, con una competizione così largamente annacquata che porterà tutti, proprio tutti, i gareggianti alla finalissima di sabato. Una Giorgia, un Antonacci, un Sangiorgi con band al seguito, possono davvero aver paura di un piazzamento sanremese non all'altezza della loro fama? Suvvia, siamo seri...
LA TERZA SQUADRA: I DUETTANTI - Due cast di big paralleli, dunque. Anzi, tre: perché fra le più belle novità del Sanremo numero 68 c'è il pensionamento della serata delle cover (aveva un po' stufato e in tanti anni aveva prodotto un solo clamoroso exploit, quello di "Se telefonando" versione Nek, bissato, ma in misura decisamente minore, da "Un'emozione da poco" di Paola Turci), e il ripristino della serata dei duetti, che per diverse edizioni ha proposto tante riletture interessanti dei brani in competizione, e tante performance di notevole effetto scenico. Per questo happening, in programma venerdì, è stato arruolato uno "squadrone" di vip niente male: da Arisa a Michele Bravi, da Simone Cristicchi a Giusy Ferreri, e poi ancora Sergio Cammariere, la Turci, Marco Masini, Alice, Tullio De Piscopo... Anche loro sono ufficialmente "fuori concorso", ma perlomeno accorrono a dare una mano concreta ai colleghi, e, insomma, un minimo incideranno sulla classifica finale.
MA GLI STRANIERI SERVONO... - Eccolo, quindi, il Sanremo dei tre squadroni di Big, e della guerra fratricida fra artisti che sfilano in allegria ed altri che affrontano le ansie e le nevrosi della gara. D'accordo, così facendo Baglioni ha radunato in Riviera una cospicua razione della crème dell'italico pop, mettendo in piedi un Festival tutto sommato abbastanza rappresentativo dell'attuale realtà musicale del Paese (rispunta persino il rap, con Ghemon che sarà partner di Diodato e Roy Paci); ma, almeno per quanto mi riguarda, il retrogusto amarognolo da disparità di trattamento permane. Forse costano di più, ma giova ricordare che i grandi interpreti di fuorivia hanno quasi sempre portato lustro e spessore alla kermesse, facendole superare i confini della Penisola e dando nel contempo visibilità quasi planetaria alle nostre ugole d'oro. Senza arrivare agli eccessi degli anni Ottanta, con le abbuffate di stranieri al mitico Palarock, forse era il caso di battere con più convinzione la pista internazionale. Pazienza, e... buon Sanremo a tutti.
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