Sulla carta, si annuncia come un Festival memorabile. Gli ingredienti per un'edizione storica parrebbero esserci tutti: in primis un cast di concorrenti "mostruoso" sul piano della qualità e della popolarità dei nomi, e nel contempo più che mai aperto alle nuove tendenze della canzone nostrana. Diciamoci la verità, ragionando in termini di realismo e lasciando da parte i voli pindarici: di più e di meglio, oggettivamente, era difficile auspicare. Il listone unico dei 24 in concorso è zeppo di personaggi di prima fascia: idoli pop dell'ultimo decennio, tanti ex vincitori di epoche non lontane che tornano sul... luogo del delitto, il fenomeno rap e quello indie che trovano uno spazio mai avuto all'Ariston in precedenza. Non c'è un vincitore scontatissimo come in tanti Sanremo passati (c'è il favorito, questo sì, e si chiama Ultimo, ma ha una concorrenza agguerritissima), non c'è neanche quel livellamento di valori spesso riscontrato, in cui l'incertezza del pronostico è data dal fatto che nessun concorrente spicca sugli altri per prestigio e curriculum.
BIG DI SPESSORE ASSOLUTO - Personalmente, faccio fatica a ricordare, perlomeno riguardo al secolo in corso, un Festivalone così ricco di veri big: vincitori recenti, si diceva, come i ragazzi del Volo che non avevano alcuna necessità di rimettersi in gioco, forti di una popolarità oceanica che ha da tempo valicato i confini nazionali; e poi Arisa, che si impose nel 2014, e ancora Renga e Cristicchi, due trionfatori degli anni Zero, il primo sempre sulla cresta dell'onda, il secondo ai margini del mondo discografico solo perché ha optato, negli ultimi tempi, per un percorso di teatro civile. Grossissimi calibri sono anche il citato Ultimo, che ha legittimato la vittoria fra i Giovani 2018 mettendo d'accordo pubblico e critica nei mesi successivi, quel Nek che vuol completare l'operazione rilancio avviata col secondo posto del 2015 centrando finalmente il primo alloro rivierasco, giovanotti rampanti come Irama e il duo Federica Carta - Shade che alla loro età hanno già fatto incetta di dischi di platino...
Un cartellone migliore, lo ripetiamo, era difficile metterlo insieme, fatti salvi gli eterni assenti allergici alla gara (un nome per tutti: Cremonini) e gli esponenti del cantautorato tradizionale che peraltro è anche piuttosto infantile continuare a rimpiangere. Sia perché molti di essi hanno già dato il meglio da tempo e non aggiungerebbero granché, se non rimpianti per i tempi che furono, sia perché Sanremo ha dimostrato, alla lunga, di poter fare abbondantemente a meno di loro.
ANCORA I "CAST PARALLELI" - Tutto perfetto, dunque? Non proprio. Sulla kermesse ai nastri di partenza si addensano almeno due tipi di nubi. Innanzitutto il cast "a tre piazze", che ripete e amplifica l'anomalia già manifestatasi dodici mesi or sono. Nel presentare Sanremo 2018, avevo infatti parlato di "tre cast paralleli", in riferimento ai cantanti in gara, agli ospiti italiani e ai duettanti del venerdì. Il format viene riproposto in questa edizione, in misura financo esagerata: il gruppone dei vip italiani fuori concorso non rischierà forse di oscurare quello dei gareggianti, che abbiamo detto essere di elevata consistenza, ma è comunque una truppa a 24 carati. Certo, ci sono i prezzemolini che una passeggiata all'Ariston non se la fanno quasi mai mancare (Giorgia, Mannoia, Bocelli, che perlomeno offrirà un brivido emozionale in più "sdoganando" il talentuoso figliolo Matteo), ma Baglioni ha saputo convincere anche personaggi recalcitranti alla ribalta sanremese come Antonello Venditti (unica precedente apparizione nel 2000) e reclutato big sulla cresta dell'onda quali Marco Mengoni e Alessandra Amoroso.
SUPEROSPITI: CATEGORIA DISCUTIBILE - E allora, qual è il problema? Semplice: la categoria dei super ospiti italiani, da sempre discutibile, tocca forse in questo 2019 l'apice della sgradevolezza e dell'inopportunità. Mengoni, giovanotto che a Sanremo deve tantissimo, avendolo vinto sei anni fa in un momento in cui il suo percorso di crescita stava incontrando qualche difficoltà, non è mai più tornato in competizione; la Amoroso con la gara non si è proprio mai cimentata, nonostante voci e indiscrezioni ogni anno la inseriscano puntualmente fra i "papabili", e poteva oltretutto risparmiarsi il post di giubilo pubblicato su Facebook ("Ce l'abbiamo fatta, abbiamo realizzato il nostro sogno, saremo lì come ho sempre sognato", eccetera eccetera); Ligabue e Venditti, entrambi alla seconda presenza, hanno sempre snobbato la kermesse ligure nella sua accezione primaria di tenzone canora. Ebbene, tutti loro colgono adesso al volo l'occasione di fare passerella senza rischi, omaggiando la canzone italiana come richiesto dal direttore artistico, certo, ma anche autopromuovendosi, mentre, parallelamente, rischiano amarezze e delusioni colleghi altrettanto famosi, grandi venditori di dischi e collezionisti di sold out nei live.
MEGLIO GLI STRANIERI - Spiace, ma così è troppo comodo. Appena accettabili soltanto le presenze di Riccardo Cocciante, che perlomeno un Festival l'ha vinto in un periodo in cui non aveva certo bisogno di un rilancio, e Ramazzotti, che ha avuto tanto da Sanremo ma gli ha anche dato tantissimo, con tre partecipazioni consecutive (visto il suo clamoroso exploit, avrebbe anche potuto fermarsi alla seconda del 1985, per poi fare ugualmente la carriera che avrebbe fatto), così come anche Giorgia, che dopo aver combattuto per quattro volte (1994, 1995, 1996 e 2001), ora sta fuori dalla mischia. Ma questo fare figli e figliastri fra i cantanti nostrani è una distorsione che andrebbe sanata: serve per fare audience, è chiaro, per compensare la presenza di qualche nome insolito fra i gareggianti, nomi che potrebbero spiazzare la platea tradizionale e tendenzialmente anziana del primo canale Rai; è necessario anche per accontentare esigenze di case discografiche e manager vari, d'accordo. Ma resta un'ingiustizia, e trovo che Sanremo avrebbe semmai bisogno di una nuova, cospicua apertura ai grandi nomi internazionali; non la pletora di divi stranieri che caratterizzò certe edizioni degli anni Ottanta e Novanta, ci mancherebbe, ma sei - sette nomi selezionati che innalzerebbero l'eco della manifestazione e creerebbero nuovo interesse. Costerebbero di più, forse, ma sarebbero investimenti fruttuosi.
Del resto, anche se può sembrare un controsenso per quello che è denominato ufficialmente "Festival della canzone italiana", Sanremo è veramente decollato quando ha aperto le sue porte all'Europa e al mondo: nel '64, dopo un periodo di stanca, arrivarono i grandi interpreti di fuorivia, e da lì partì un boom di successo e di vendite che si protrasse per quasi dieci anni. Personalmente, qualche straniero lo riporterei perfino in gara, e del resto il regolamento non chiude le porte a questa soluzione, che peraltro negli ultimi anni è stata adottata raramente (la sola Lara Fabian nel 2015, in un'edizione per la quale, raccontano le cronache dell'epoca, pare siano stati in corsa per la partecipazione autentici numeri uno come Anastacia e Michael Bolton).
CONFLITTO D'INTERESSE: SI' O NO? - Secondo buco nero di Sanremo 2019: il caso del presunto conflitto di interessi del direttore artistico, tematica nella quale non mi addentro perché non ho né le conoscenze giuridiche né tutte le informazioni necessarie per trarre conclusioni. E' però palese, e lo ha sottolineato anche la Rai, che da qualche tempo è in atto una forma di eccessiva concentrazione dei più prestigiosi cantanti italiani sotto l'egida di poche agenzie, dalle quali una manifestazione come Sanremo non può dunque prescindere per poter costruire uno spettacolo decente. Il problema andrebbe quindi risolto alla base, fuori e lontano dalla Riviera, creando le condizioni per una maggiore concorrenza, per un mercato più aperto, ma non è affatto facile. Quanto a Baglioni, la sua integrità morale e artistica non è in dubbio, ma visti i rapporti professionali che parrebbero intercorrere con una di queste agenzie, stando alle informazioni di stampa, per il futuro sarebbe forse meglio trovare per il Festivalone un altro responsabile. Anche qui: fosse semplice... Ci vorrebbe un nome fuori della mischia, ma dove lo si va a pescare? Nel mio piccolo, mi permetto di suggerire Claudio Cecchetto, che non ha mai fatto mistero di gradire un eventuale ritorno a Sanremo come direttore artistico (lo ha ribadito anche in una recentissima ospitata durante una trasmissione del servizio pubblico), e sul piano della competenza e dell'esperienza avrebbe tutte le carte in regola; non so però se abbia contratti o rapporti lavorativi in essere.
SENZA NUOVE PROPOSTE - Infine, ci sono le perplessità relative alla soppressione della sezione Giovani nel contesto della gara di febbraio, per relegare le "nuove proposte" in una kermesse dicembrina che ha avuto tiepida accoglienza sul piano dell'audience. La sensazione che gli emergenti fossero avvertiti come un peso per il Festivalone vero e proprio è stata netta negli ultimi anni, ma almeno Carlo Conti aveva forzato la mano riuscendo a riproporli in un orario degno, addirittura in apertura di serata, nella fascia di "anteprima". La formula studiata da Baglioni rappresenta per il momento un passo indietro, in quanto questi ragazzi sono stati privati di una platea vastissima, e si è negata la possibilità di farsi notare a tanti artisti battuti nelle votazioni dai "neo big" Einar e Mahmood, ma non per questo meno validi. Spero che l'eventuale, nuovo deus ex machina della rassegna capisca quanto la categoria rappresenti linfa vitale imprescindibile per Sanremo, e debba essere potenziata, non svilita. Ma sono considerazioni che ci portano troppo lontano, per il momento. Fra poche ore comincia Sanremo 2019: la griglia di partenza vede nelle prime file Ultimo, Il Volo, Nek, Irama, Renga, Arisa. Si parla benissimo delle proposte di Silvestri, Cristicchi, Motta, Achille Lauro. I giudizi dei giornalisti che hanno potuto ascoltare i pezzi in anteprima, pur con le ovvie discrepanze, si sono orientati verso una valutazione di buon livello della produzione proposta. Le aspettative sono alte, dunque, ed altrettanto alto è il rischio di rimanere delusi. Da stasera inizieremo a capire.
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