Le precarie sorti di Sanremo 2019 si reggono quasi unicamente sulle spalle dei cantanti in gara e dei loro pezzi. Qualche decennio fa sarebbe stata un'ovvietà, ma da un po' di tempo non lo è più: da quando, precisamente, il Festivalone ha mutato pelle trasformandosi da gara musicale a show musicale, arricchito cioè da numeri di varietà e da ospitate più o meno clamorose. Un evento mediatico che, insomma, affida il suo successo televisivo più alla cornice che al quadro: solo che quest'anno la cornice sta palesando una debolezza in parte inattesa, relativamente ai padroni di casa, e in parte largamente prevedibile, pensando allo stracco cast di stelle fuori concorso in passerella.
LIEVE CRESCITA - Anche la seconda serata, pur facendo registrare una lieve crescita qualitativa del livello spettacolare, ha comunque messo a nudo scelte infelici sul piano autoriale e la sostanziale, totale inutilità dei siparietti coi cantanti italiani non in gara, a proposito dei quali sarebbe opportuno scatenare una vera e propria battaglia, ma ne accennerò più avanti. Il trio di conduttori continua a pagare dazio: sottotono il direttore artistico, più che mai aggrappato all'incerta, ennesima esecuzione dei suoi classici, frenato un Bisio che appare come il classico pesce fuor d'acqua, mentre Virginia riesce a strappare la sufficienza grazie al talento e al mestiere (di buona fattura la sua dissacrante versione della Carmen di Bizet), ma non si può negare che ci si attendesse qualcosa di più anche da lei.
LA SORPRESA PIO-AMEDEO - Peraltro forse ci siamo abituati male: non è Sanremo il luogo in cui personaggi come Bisio e Raffaele possono dare libero sfogo al loro estro, tanto più se sono chiamati in primis ad esercitare il ruolo di padroni di casa. Se devi presentare, diminuisce lo spazio da dedicare a ciò che si sa far meglio: paradossalmente, ma neanche tanto, meglio un quarto d'ora da ospite in cui fornire ampi saggi delle proprie doti da mattatori o mattatrici. Non a caso Virginia fece benissimo tre anni or sono, quando la responsabilità della conduzione era in larga parte a carico di Carlo Conti; e non a caso l'intermezzo più riuscito di ieri sera è stato, a tarda ora, lo sketch irriverente e fuori dagli schemi di Pio e Amedeo. Nello scarso appeal della "sceneggiatura" della kermesse stanno incidendo le scelte autoriali di cui si diceva: perché riportare sul palco Favino prima e Hunziker poi è stato un doppio autogol. I due anfitrioni del 2018 hanno infatti messo ancor più a nudo i limiti di quelli di quest'anno, con due apparizioni brevi ma portatrici di brio e brillantezza in serate assai monotone: in particolare, il duetto Bisio - Michelle in "La lega dell'amore" è stato forse il momento più saporito di queste prime dieci ore di diretta, ritorno di fiamma dell'antica, comune militanza sullo scanzonato palco di Zelig.
LACUNE AUTORIALI E PREMI ALLA CARRIERA DISCUTIBILI - Scarsa fantasia anche nell'utilizzo dell'icona Pippo Baudo: non c'era davvero niente di meglio che rispolverare il ricordo della "canzone del secolo" proclamata nell'85 per consentire poi a Baglioni di eseguire, per l'ennesima volta, "Questo piccolo grande amore"? A proposito della quale Pio e Amedeo non hanno forse tutti i torti (lo dico un po' per scherzo un po' sul serio...): bellissima, intramontabile, stupenda, ma il troppo stroppia (fermo restando che per me non è nemmeno la miglior composizione del cantautore romano, ma qui entriamo nel campo dei discutibilissimi gusti personali). Per chiudere questa catena di strafalcioni, e pazienza se mi attirerò qualche antipatia: era proprio necessario assegnare il premio alla carriera a Pino Daniele, oltretutto quasi di soppiatto e senza omaggiarlo con qualcuno dei suoi splendidi brani?
Mettendo da parte la malinconia per un fuoriclasse che ci ha lasciati troppo presto, e parlando in termini pratici, il compianto Daniele non ha mai messo piede a Sanremo in gara, e solo una volta in qualità di ospite. Fra chi invece ha concorso più volte, ottenendo anche notevoli successi, c'è ad esempio un altro campano, tal Peppino Di Capri, plurivincitore e pluripartecipante, che un riconoscimento di tal guisa lo meriterebbe senz'altro, così come altri personaggi che hanno fatto la storia di questa manifestazione, senza mai sottrarsi al brivido della tenzone canora. Non si tratta di fare gli snob e gli offesi verso chi dalla Riviera si è quasi sempre tenuto lontano, per scelta personale rispettabilissima: casomai è vero il contrario, ossia lo snobismo esiste verso tanti validissimi artisti che proprio grazie a Sanremo hanno costruito buona parte della loro carriera. Va bene Pino, insomma, per un trofeo che comunque non aggiunge alcunché alla sua grandezza, ma non dimentichiamoci di altri musicisti e cantanti amati e titolati (Zanicchi, Bobby Solo, Cinquetti, Don Backy, Leali, Fogli...).
Mettendo da parte la malinconia per un fuoriclasse che ci ha lasciati troppo presto, e parlando in termini pratici, il compianto Daniele non ha mai messo piede a Sanremo in gara, e solo una volta in qualità di ospite. Fra chi invece ha concorso più volte, ottenendo anche notevoli successi, c'è ad esempio un altro campano, tal Peppino Di Capri, plurivincitore e pluripartecipante, che un riconoscimento di tal guisa lo meriterebbe senz'altro, così come altri personaggi che hanno fatto la storia di questa manifestazione, senza mai sottrarsi al brivido della tenzone canora. Non si tratta di fare gli snob e gli offesi verso chi dalla Riviera si è quasi sempre tenuto lontano, per scelta personale rispettabilissima: casomai è vero il contrario, ossia lo snobismo esiste verso tanti validissimi artisti che proprio grazie a Sanremo hanno costruito buona parte della loro carriera. Va bene Pino, insomma, per un trofeo che comunque non aggiunge alcunché alla sua grandezza, ma non dimentichiamoci di altri musicisti e cantanti amati e titolati (Zanicchi, Bobby Solo, Cinquetti, Don Backy, Leali, Fogli...).
NEK, VOLO E BERTE' PUNTANO IN ALTO - Serate come quelle di ieri e di oggi sono fondamentali per apprezzare maggiormente le caratteristiche e il livello delle opere in gara, dopo l'indigestione del gala di apertura. Le prime impressioni sono in buona parte confermate: Nek ha la canzone tormentone che può puntare alla vittoria, ma troverà temibili avversari nel Volo, che sono andati sul sicuro fornendo una versione riveduta e corretta di "Grande amore", italica melodia con spiegamento di voci nel ritornello, nel solco della tradizione sanremese, pertanto autorevole candidata all'alloro finale. Occhio però a Loredana Bertè, finalmente sul pezzo con una proposta d'autore, classica e moderna al contempo, e bene interpretata. Piace Arisa in vesti assai pimpanti e con echi di musical, oltretutto più umana del solito, avendo incontrato difficoltà di esecuzione forse per la prima volta nella sua lunga storia in Riviera. Difficoltà palesi anche per Paola Turci, frenata forse da malanni di stagione, ma la sua proposta non è male, anche se meno esplosiva e immediata della splendida "Fatti bella per te".
OTTIMO SILVESTRI, BENE I NEGRITA - Originale e ben scritta "Rose viola" di Ghemon, curioso il rock martellante di Achille Lauro, Silvestri ai massimi storici con un un racconto di vita teso, serrato, di quelli che lasciano l'amaro in bocca. Non orecchiabile, non radiofonico, ma non è detto che non possa godere di lunga e felice vita dopo i passaggi all'Ariston: di certo, entrerà a buon diritto nelle scalette dei live del cantautore, e credo gli porterà nuovi consensi. Non si sono avventurati per strade ardite i genovesi Ex Otago, con una ballatona romantica che sarebbe andata più che bene anche per i Festival anni Ottanta e Novanta (con la speranza che sabato il leader del gruppo ci sveli l'identità delle varie donne che abbraccia a fine performance), così come i Negrita, fedelissimi al loro stile ma assai convincenti con un morbido rock sostenuto da un testo di spessore, per un mix azzeccato che si imprime bene nella memoria.
OTTIMO SILVESTRI, BENE I NEGRITA - Originale e ben scritta "Rose viola" di Ghemon, curioso il rock martellante di Achille Lauro, Silvestri ai massimi storici con un un racconto di vita teso, serrato, di quelli che lasciano l'amaro in bocca. Non orecchiabile, non radiofonico, ma non è detto che non possa godere di lunga e felice vita dopo i passaggi all'Ariston: di certo, entrerà a buon diritto nelle scalette dei live del cantautore, e credo gli porterà nuovi consensi. Non si sono avventurati per strade ardite i genovesi Ex Otago, con una ballatona romantica che sarebbe andata più che bene anche per i Festival anni Ottanta e Novanta (con la speranza che sabato il leader del gruppo ci sveli l'identità delle varie donne che abbraccia a fine performance), così come i Negrita, fedelissimi al loro stile ma assai convincenti con un morbido rock sostenuto da un testo di spessore, per un mix azzeccato che si imprime bene nella memoria.
ABBASSO GLI OSPITI - Viva la gara, dunque, e più che mai abbasso gli ospiti italiani. Qualcuno mi dovrà spiegare, ma non riuscirà a convincermi, il senso di far venire Mengoni e Mannoia a presentare l loro più recenti o nuovi prodotti. Rispetto ai concorrenti, una disparità di trattamento inaccettabile, che la buona prova del vincitore del 2013, in ottima forma vocale, non può compensare: un'anomalia con esigenze più promozionali che spettacolari, alla quale il nuovo direttore artistico (se nuovo sarà) dovrà avere il coraggio di porre rimedio. Meglio allora, e lo avevo sottolineato già in fase di vigilia, il ritorno di Cocciante, che perlomeno un Sanremo lo ha fatto e lo ha vinto, nel '91, oltretutto sbaragliando una concorrenza monstre (Zero, Tozzi, Minghi, Bertoli... ), e che ha offerto un numero di peso, tratto dall'opera Notre Dame. Anche lui, però, sempre con la solita "Margherita" (oltretutto sbagliata da Baglioni nel duetto); ha un repertorio infinito, altre canzoni meravigliose: se al pubblico offri sempre le stesse cose trite e ritrite, si perde la voglia di scoprire il nuovo, si perdono gli stimoli per pretendere spettacoli più arditi e interessanti.
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