"E il resto scompare". Parafrasando e forzando un po' il titolo del brano di Elettra Lamborghini, la seconda tappa di Sanremo 2020 ha offerto soprattutto due momenti ad alto tasso emotivo, di fronte ai quali le altre componenti dello spettacolo, per quanto fossero di spessore, sono passate decisamente in secondo piano. E' stata la serata dei Ricchi e Poveri tornati in versione originale, un colpaccio autentico messo a segno dalla direzione artistica, uno di quelli che ti fanno (in parte, molto in parte) rivalutare la sciagurata moda dei superospiti italiani; ma è stata anche la serata del rapper Paolo Palumbo, che sta affrontando la Sla con dignità e coraggio e la cui performance, ci giurerei, resterà nella storia della rassegna (e della Rai).
RITORNO AL FEBBRAIO 1981 - Certo, sono stati due momenti diversi: di commozione e riflessione per il ragazzo disabile, un inno alla positività scevro di pietismo; di gioioso amarcord riguardo al ricostituito gruppo genovese. Evento, quest'ultimo, enormemente significativo per chi, come me, è patito (e un tantinello esperto, concedetemelo) del Sanremo passato e presente: perché, quando il quartetto ha intonato "Sarà perché ti amo", l'orologio è tornato indietro al pomeriggio del 7 febbraio 1981, giorno fatidico in cui tutto iniziò (o finì, a seconda dei punti di vista dei protagonisti), con Marina che si impuntò e riuscì a provare il brano assieme agli ormai quasi ex compagni, e alla fine, dopo una discussione davanti al giudice, dopo aver sentito gli esperti musicali, dopo un accordo tra le parti, la bionda accettò la separazione e il gruppo proseguì il suo percorso ridotto a soli tre componenti. Una prova generale di cui rimangono poche tracce fotografiche e alcuni secondi di ripresa video in un servizio televisivo dell'epoca. Una parentesi comunque antipatica per chi la visse, chiusa oggi definitivamente, probabilmente anche in forza di accordi economici, com'è sacrosanto, ma i sorrisi dei quattro mi sono apparsi più sinceri che di facciata, la sintonia nell'esecuzione degli efergreen accettabile, e, insomma, dopo quasi quarant'anni certi rancori si possono anche mettere da parte, per quanto dolorosi possano essere stati i fatti che li generarono.
FESTA DELLA MUSICA ITALIANA, MA... - Ricchi e Poveri e Paolo su tutti, dunque, in una serata che, al solito, si presta a valutazioni di natura diversa. Sul piano qualitativo ed estetico, nessun dubbio che sia stato un happening di altissimo livello, una festa della musica e della discografia italiana che il pubblico televisivo ha mostrato di gradire oltre ogni aspettativa, visti gli stupefacenti numeri dello share. Un nutrito drappello di star della canzone nostrana degli ultimi venti - trent'anni concentrato sul palco dell'Ariston in una manciata di ore, da Zucchero a Massimo Ranieri, da Gigi D'Alessio a Ferro: cosa chiedere di più? Il discorso cambia radicalmente se si parla di durata e scaletta, ossia dei due punti interrogativi che avevo già messo in evidenza ieri. Altre cinque ore di trasmissione, troppo per una seconda serata festivaliera: era già tutto previsto? Perché la "Bibbia" Sorrisi indicava, sia per martedì che per mercoledì, la conclusione attorno alle 00.45; quindi, o Amadeus è diventato uno "sforatore di professione" che al confronto Pippo Baudo era un dilettante, oppure gli orari erano puramente indicativi, anche per... non scoraggiare i teleutenti.
FIORELLO SHOW E GARA ALLE 22 - Troppa carne al fuoco, e non è la prima volta: ieri, poi, Fiorello ha gettato la maschera ed è stato autentico mattatore, salvo scomparire a notte ormai inoltrata, quando non c'era più bisogno di lui... Di culto il travestimento da Maria De Filippi e il siparietto dedicato alle "tipiche canzoni di Sanremo", ma c'è un ma: Nuove proposte a parte, per un'ora e mezza è parso quasi un "Stasera pago io" versione 2.0: un one man show di Rosario, gradevole finché si vuole, ma che ha fatto iniziare la gara dei Big alle 22 o giù di lì, e questo è inaccettabile. Negli ultimi anni il mantra sanremese è "la musica al centro", un motto per rispondere alle critiche di chi accusa la Rai di aver trasformato la kermesse in un mero varietà tv a carattere canoro. Ecco, che la musica sia stata al centro, alla fine della fiera, non lo si può negare, ma forse la frase andrebbe cambiata con un "la gara al centro". Insomma, sarò io troppo nostalgico e purista, ma Sanremo non dovrebbe essere innanzitutto una competizione fra canzoni? In queste prime due serate, e soprattutto in quella conclusa poche ore fa, la sensazione, netta, è che sia stata data assoluta precedenza ai fuori concorso, con gli ultimi Campioni confinati a orari indecorosi. E' una strutturazione del Festival che non accetto, non riesco ad accettare. Tuttavia, da stasera le cose dovrebbero cambiare: fino a sabato ogni puntata prevede in scaletta tutti i cantanti in lizza (e venerdì anche i giovani) per cui, o si finisce alle tre del mattino, o davvero occorrerà essere più rigorosi nella costruzione dello spettacolo.
BENE GABBANI E PINGUINI, LEVANTE PROMETTENTE - Eccoci dunque a parlare dei pezzi, ai quali cercherò di dedicare più spazio nei prossimi giorni, quando col secondo ascolto dovremmo averne un quadro più chiaro. In evidenza Gabbani (non a caso primo nella peraltro prevedibilissima graduatoria della demoscopica), che ha messo da parte trovate bizzarre e spiazzanti per un'opera più classicheggiante, ma comunque non priva di originalità e indubbiamente ispirata. Pierò Pelù ha mostrato il volto tenero del rocker maledetto, con una "Gigante" possente il giusto e discretamente orecchiabile. Alla voce tormentoni, in prima linea i Pinguini Tattici Nucleari, la cui "Ringo Starr" potrebbe perfino correre per un piazzamento inaspettato, e la citata Lamborghini, con una canzoncina leggerina e da ballare in stile Festivalbar, testo ridotto all'osso ma proprio per questo facilmente memorizzabile. Levante ha presentato un'opera di notevole spessore autoriale su tutti i fronti, testo, arrangiamento e struttura complessiva, ha pagato l'emozione del debutto all'Ariston con una prestazione vocale non impeccabile, ma ci ha messo l'anima e ha portato sul palco una notevole fisicità, una performance da ascoltare ma anche da vedere: non ho dubbi sul fatto che, acquisendo sicurezza esecutiva, la sua "Tikibombom" possa crescere di qui a sabato.
LA CLASSE DI TOSCA, IL RITMO DI ZARRILLO - Enrico Nigiotti, autore di vaglia, non riesce a ripetersi sui livelli d'intensità della bellissima "Nonno Hollywood", questa "Baciami adesso" è più scarna, un compromesso azzeccato fra antico e moderno, ma può comunque fare strada. Piacevolmente sorprendente Michele Zarrillo, che non si vedeva in versione così ritmata, credo, dai tempi della sua seconda partecipazione sanremese, 1982, "Una rosa blu". E pollice in su anche per Tosca, presenza di grandissima classe ed eleganza, con una canzone che è il modo più azzeccato per tenere alta la bandiera della tradizione melodica italiana. Di buon livello i due rapper, meglio Rancore di Junior Cally, ovviamente confinato a notte fonda e presentatosi senza maschera con una "No grazie" dall'inciso martellante, mentre non mi hanno coinvolto, convinto ed emozionato Paolo Jannacci e Giordana Angi, di cui al momento salvo solo i testi ben scritti e, nel caso della ragazza, la riuscita interpretazione.
I GIOVANI, IL RICORDO DI FRIZZI E LE TRE DONNE - Capitolo giovani: cadute le bravissime Gabriella Martinelli e Lula, con canzone sull'Ilva di Taranto che mi è parsa ieri più efficace rispetto alle esecuzioni nell'ambito di Sanremo Giovani, bene il rap all'acqua di rose di Marco Sentieri sul tema del bullismo, perlomeno trattato con un pizzico di originalità compositiva, tutt'altro che memorabili Matteo Faustini e Fasma, con quest'ultimo che approda comunque alla semifinale di venerdì. Doveroso il ricordo di Frizzi, di cui Amadeus è il più degno erede per umiltà, dedizione alla causa e, consentitemi, sottovalutazione da parte dei media e di alcune fasce di pubblico. Chiusura sulle collaboratrici di Amadeus: un po' impacciata ma sensualissima come ai bei tempi la mitica Sabrinona Salerno, emozionata Emma D'Aquino (che non finirò mai di ringraziare per gli ottimi special dedicati alla tragedia del Ponte Morandi, da lei presentati nel 2018), la quale si è ampiamente riscattata col monologo su libertà di stampa e giornalisti che rischiano e danno la vita, di gran rilievo sociale e per questo meritevole di essere collocato in orario più consono. Per contro, più disinvolta la collega Laura Chimenti, ma la lettera d'amore alle figlie è stata una parentesi di cui si poteva benissimo fare a meno.
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