La serata delle cover è ricomparsa dopo il salutare biennio "baglioniano" di pausa. Siamo sinceri: non se ne avvertiva la mancanza. Giustificata almeno in parte dalle esigenze celebrative del settantesimo compleanno, la rassegna di evergreen liberamente rivisitate non ha regalato momenti particolarmente memorabili, e del resto era prevedibile: se in tante edizioni, l'unico rifacimento ad aver avuto lunga vita fuori dall'Ariston è stato "Se telefonando" di Nek, un motivo ci sarà pure. Il fatto che le esibizioni di ieri debbano incidere sul risultato finale della kermesse rappresenta poi uno dei misteri poco gaudiosi di questo Sanremo 2020: chissà cosa diavolo è passato per la mente di Amadeus nel momento in cui ha deciso di inserire nel regolamento questo meccanismo che, più che astruso, definirei inconcepibile.
LA SCONFITTA DELLA GARA - Il problema di serate come quella di poche ore fa, in ogni caso, è a monte. Quando questo Festival chiuderà i battenti, sarà d'obbligo prendere seriamente in considerazione un ripensamento generale della struttura, della costruzione dell'evento. Con la doppia sfilata dei big di oggi e domani le cose dovrebbero un po' migliorare, ma al momento posso dire, senza tema di smentite, che la kermesse numero 70 ci ha riportati indietro di almeno una decina d'anni, sul fronte della centralità della gara. L'importanza della ricorrenza e la necessità di allestire attorno ad essa uno show memorabile ha fatto un po' prendere la mano alla Rai e al direttore artistico in carica: il Sanremo in corso è un inno alle ospitate, alle passerelle fuori concorso. Non dico che si debba tornare alla formula in atto fino agli anni Ottanta, ossia prima tutti i cantanti in gara e poi appendice per le star "extra" nella seconda parte della trasmissione (formula peraltro efficace e apprezzata dal pubblico, anche se erano decisamente altri tempi e la battaglia dell'audience vedeva quasi sempre la tv di Stato vincitrice in partenza), ma non si può nemmeno esagerare nel senso opposto.
STRUTTURA DA RIPENSARE - L'evento Festival 2020 è mal concepito, a livello di scaletta: ieri si è partiti forte con i concorrenti, poi un vistoso rallentamento, tanto che, per un largo tratto di serata, pareva fosse stata vietata per decreto l'esibizione di più di due Campioni di seguito; infine, una volta esaurita la sarabanda delle vedettes, dopo l'una di notte (l'una di notte!) è ricomparso il concorso, proponendo a tambur battente circa la metà degli artisti in lizza. Così, il messaggio che passa è duplice, e doppiamente negativo: ora che abbiam mostrato gli elementi di spettacolo importanti, togliamoci rapidamente il peso della gara; oppure: abbiam fatto tardi, ora sbrighiamoci e buttiamo sul palco uno dopo l'altro i concorrenti rimasti. In entrambi i casi, la Rai non ci fa una bella figura. Tutto questo lo dico a prescindere dagli esiti delle rilevazioni Auditel, sempre confortanti: il successo è scontato perché la concorrenza è quasi inesistente e, in ogni caso, lo spettacolo è di indubbia attrattiva, ma agli organizzatori piace vincere facile. Manca coraggio, il coraggio di fare una manifestazione più innovativa ma al contempo rigorosa, che valorizzi adeguatamente la sua ragione stessa di vita, ossia la competizione. Perché è incredibile: prima della kermesse si parla per mesi, per settimane del possibile cast, dei cantanti papabili per entrare nel listone, segno che agli appassionati fondamentalmente questo interessa, e poi, quando si inizia, i riflettori si accendono sul Sanremo inteso come varietà televisivo. E' una contraddizione in termini che Conti e Baglioni avevano in qualche modo risolto, e che finora Amadeus ha fatto tristemente ricomparire, e ciò rappresenta forse l'unica sua sconfitta (ma una sconfitta non da poco) in una rassegna per il resto bene allestita.
TOSCA, MOLINARI, ANGI: OK - Scusandomi per il lungo ma necessario sfogo, mi accingo a parlare delle cover: una forma musicale da maneggiare con estrema cura, perché "come fai sbagli". Se sei troppo aderente all'originale mostri scarsa fantasia, se forzi troppo la mano della libera interpretazione diventi un profanatore di classici. L'ideale, in questa come in tante altre situazioni della vita, è la via di mezzo, e questo aspetto è una delle spiegazioni del successo finale di Tosca, che con Silvia Perez Cruz ha dato vita a una brillante rilettura spagnoleggiante di "Piazza grande", la quale peraltro già in originale si prestava a questa particolare rivisitazione. Tenete d'occhio la cantante romana, che ha raggiunto il vertice della maturità artistica e che sabato notte potrebbe ottenere un piazzamento insperato. L'orchestra, per l'occasione nel ruolo di giuria, ha assurdamente maltrattato lo splendido duetto Gualazzi - Molinari in "E se domani" (rivogliamo presto Simona in gara, due sole partecipazioni in curriculum per lei sono inaccettabili), e anche la sobria e intensa performance di Giordana Angi (coi Solis String Quartet) in "La nevicata del '56". Ha fatto molto discutere la "Vacanze romane" di Masini e Arisa, certo lontana dalla versione Matia ma che, nel complesso, mi è parsa rispettosa del capolavoro e dignitosamente interpretata, senza particolari forzature vocali. "Si può dare di più" a cura del trio Levante - Michielin - Maria Antonietta si è fatta apprezzare più per l'arrangiamento morbido che per l'impasto delle voci delle ragazze, mentre Diodato e Nina Zilli hanno offerto una rivisitazione pittoresca e di grande impatto visivo per "24mila baci".
BENE LA RILETTURA DI "LUCE" BY RANCORE - Merita tutto sommato l'inserimento nella lista dei promossi anche Paolo Jannacci in "Se me lo dicevi prima", resa molto efficace dal dialogo con Francesco Mandelli. Pur senza miracol mostrare, ha portato a casa la pagnotta Piero Pelù con una scatenata "Cuore matto", impreziosita dalla voce di Little Tony tratta dal filmato di Sanremo '67, una rarità recuperata dalle Teche tre anni fa di questi tempi. Eleganti pur senza guizzi Irene Grandi e Bobo Rondelli con "La musica è finita", meglio del previsto Achille Lauro, anche se "Gli uomini non cambiano" è stata portata in alto soprattutto da Annalisa, altra bravissima interprete che deve ritornare al più presto in concorso, speriamo già l'anno prossimo. C'è poi la parentesi dei rapper - trapper, che hanno scandalizzato i puristi: personalmente, anche se so di non trovare molti in accordo con me, non considero scandaloso che questi ragazzi diano liberissime interpretazioni dei classici, fino a inserirvi parti ex novo da loro concepite; il duetto Rancore - Rappresentante di Lista per "Luce" di Elisa, ad esempio, mi è parso originale e di notevole impatto, meno un Anastasio sopra le righe in "Spalle al muro" con la PFM, ma qui è questione di gusti.
DELUDONO MINGHI, LAMBORGHINI, GABBANI - Il "buono" della serata, per quanto mi riguarda, si ferma qui, e non è molto: Alberto Urso poteva cantarsi da solo "La voce del silenzio" senza l'inutile apporto di Ornella Vanoni, Elodie troppo appiattita sulla versione originale di "Adesso tu", leggero e quasi inconsistente il medley dei Pinguini Tattici Nucleari, invece premiato dagli orchestrali, insufficiente "1950", non per colpa della Pavone che ha fatto il suo, quanto per un Minghi che, quando comincia a snocciolare in versione "accelerata" i versi delle sue canzoni, cosa che fa un po' troppo spesso, diventa perfino irritante. Il resto non ha lasciato il segno e non merita nemmeno la citazione, a parte il surreale duetto Lamborghini - Myss Keta che è stato una sfida all'intonazione nettamente perduta (per k.o., direi), e a parte l'evitabilissimo travestimento da astronauta tricolore di Gabbani per "L'italiano" di Cutugno.
L'EROTISMO DI BENIGNI, LA PARLANTINA DI ALKETA - Non molto da dire anche sul "contorno": quasi mezz'ora di Benigni è un po' troppo anche per gli estimatori del premio Oscar, poche battute all'altezza del suo passato satirico, una pesante introduzione alla lettura di brani del Cantico dei Cantici, il che è stata invece una discreta trovata, che oltretutto ha portato erotismo puro (e di classe, di altissimo spessore letterario) in una prima serata (o giù di lì) della rete ammiraglia, cosa non da poco. Lewis Capaldi ha fatto respirare quell'aria internazionale che sta mancando tremendamente in questo Sanremo 70, Alketa Vejsiu ha mostrato genuino entusiasmo per il traguardo professionale raggiunto: parla a macchinetta come nemmeno il Claudio Cecchetto dei tempi d'oro, e potrebbe essere una soluzione da non scartare per la conduzione di una futura edizione, benché dopo il suo primo intervento un microfono lasciato aperto (ed è successo altre volte durante la diretta) abbia fatto intuire un rimprovero nei suoi confronti per l'eccessivo minutaggio che si era preso: ma non è certo colpa sua se lo show deborda fino alle prime luci del mattino...
NERVI A FIOR DI PELLE - L'unica giustificazione all'ingaggio di Georgina Rodriguez è stata invece la possibilità di avere in platea Cristiano Ronaldo, presenza comunque d'eccezione. Giunge voce infine di un contrasto fra Fiorello (ieri assente) e Tiziano Ferro, che in chiusura di seconda serata se l'era bonariamente presa con l'entertainer siculo per l'ampio spazio occupato nello spettacolo. Addirittura, pare che Fiore abbia minacciato di mollare il carrozzone. Ipotesi inverosimile e poi rientrata con le scuse del cantante, però sintomatica dei nervi tesi di un'epoca in cui basta una battuta poco felice ma sostanzialmente innocua, e per di più pronunciata a tarda notte, per far saltare la mosca al naso anche a seri professionisti. Camomilla, please.
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