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mercoledì 5 febbraio 2020

SANREMO 2020: BENE LA "PRIMA" DI AMADEUS, TROPPO SPAZIO PER I "SUPER" OSPITI. IN GARA SPICCANO ELODIE, GUALAZZI, DIODATO E GRANDI


La "prima" sanremese di Amadeus è stata da sufficienza piena, e la sua prestazione può aver sorpreso solo chi non ne ha seguito e apprezzato appieno il lungo percorso professionale, iniziato ormai oltre trent'anni fa. Apro col direttore artistico - padrone di casa questa analisi della prima serata festivaliera, in quanto soprattutto su di lui erano puntati gli strali della critica dopo una vigilia che è perfin riduttivo definire movimentata. Il conduttore ha mostrato padronanza assoluta del palco più difficile della tv italiana; non ha regalato sorprese perché sorprendere non è nella sua cifra stilistica, ma ha fatto bene quello che sa fare: reggere le fila di uno show articolato e complesso con polso fermo, senza impennate, senza accentrare su di sé l'attenzione del pubblico, ma non sottraendosi a piacevoli siparietti e improvvisazioni se opportunamente chiamato in causa dai suoi partner, fino a concedersi una disinvolta e storica passeggiata fuori dal teatro, a braccetto con Emma. 
TROPPO SPAZIO A CERTI OSPITI - "Ama" promosso, insomma, e sostanzialmente accettabile tutto il vernissage di Sanremo 70, con un paio di riserve sintetizzabili in due parole: durata e scaletta. Sì, perché cinque ore di trasmissione e la chiusura all'una e mezza per ascoltare dodici Big (gli ultimi a notte inoltrata) e quattro Nuove proposte mi sono parse francamente un po' troppe. Visto che non ci sono stati tempi morti di rilievo durante lo spettacolo, è chiaro che qualcosa non torni, e si tratta del minutaggio eccessivo riservato ai "super" (ehm) ospiti italiani. Fateci caso, negli ultimi anni lo schema delle prime serate è sempre lo stesso: si parte a razzo, subito una raffica di artisti in lizza, e poi si rallenta, la gara passa in second'ordine e si aprono le danze dei fuori concorso. Certo, il pacchetto ospiti non è da buttare in toto, ma... quasi: ho apprezzato l'ampio spazio dedicato ad Emma, la cui prestazione è stata da star a tutto tondo, da primadonna completa; del tutto inutile la presenza di Al Bano e Romina Power, non solo perché si è trattato di un dejavu che ha francamente stancato, ma perché l'ennesimo greatest hits della coppia non ha aggiunto alcunché allo spettacolo, per non parlare dell'inedito griffato da Malgioglio, una produzione men che mediocre oltretutto eseguita in playback,  almeno così mi è parso: la più grande caduta di stile della serata di apertura, per una kermesse che è il tempio del live canoro. Occasione sprecata, tempo televisivo sprecato, come quello dello spot cinematografico del nuovo film "Gli anni più belli", con Favino che sta mettendo le radici all'Ariston e con un Santamaria per il quale posso semmai ripetere quanto scritto in occasione di un'altra sua ospitata festivaliera: l'attore ci sa fare anche come showman, ed è da prendere in seria considerazione un suo futuro impiego come presentatore della rassegna. 
SANREMO SOCIALE - Inutile non è stato, invece, il passaggio fuori concorso del duo Antonio Maggio - Gessica Notaro, con una canzone di Ermal Meta (e si sentiva, eccome!) ispirata alla drammatica storia di violenza di cui la ragazza è stata vittima. Un momento indubbiamente emozionante, così come lo è stato il lungo monologo di Rula Jebreal sul tema del femminicidio: la giornalista ha un suo peso, una sua enorme valenza informativa e culturale quando affronta certi argomenti, meno quando mostra il peggio di sé in certi dibattiti a sfondo squisitamente politico, ma non è stato fortunatamente questo il caso. Qualche lustro fa, un intervento come il suo sarebbe stato inconcepibile in ambito sanremese: oggi non lo è, non lo è più da tempo; su quel palco negli anni si è parlato di immigrati, di omosessualità, di inclusione, di razzismo. Del resto è ormai inevitabile che un evento di così grande richiamo, orchestrato dalla tv pubblica, diventi megafono anche per importanti messaggi a sfondo sociale: e debbo dire che finora a Sanremo lo si è fatto quasi sempre nella maniera giusta, cioè stando attenti a non varcare il limite della pesantezza, che in un contesto ameno e gioioso può creare effetti opposti a quelli desiderati. 
LE INUTILI CROCIATE - Che sorpresa, eh? Il Sanremo del sessismo e contro le donne, come dipinto da qualche critico a corto di argomenti, in una sola serata ha dato più spazio alle tematiche delle pari opportunità e della dignità femminile di quanto, probabilmente, sia stato fatto in tutta la storia della manifestazione. L'accorato monologo di Rula, la performance di Gessica (con un tenerissimo Maggio che fra l'altro, vincitore fra i giovani nel 2013, meriterebbe un giorno di tornare in gara nella categoria regina, occasione che non gli è stata mai concessa) e persino le considerazioni di Diletta Leotta sulla vecchiaia sono stati spot efficaci per le suddette cause, molto più di vuoti dibattiti e livorosi interventi a margine della kermesse. E' il Sanremo più "open" verso  i diversamente abili, come dimostrano anche i servizi forniti a non vedenti e non udenti. Spiace solo che anche giovani artisti di valore si siano lasciati coinvolgere in certe sgradevoli polemiche e attacchi senza nemmeno attendere l'inizio del festival, ma del resto siamo nell'era dei social, in cui tutti si sentono in diritto di giudicare "a prescindere". 
ELODIE E GUALAZZI AL TOP - In sede di prima analisi, alla gara non posso che riservare poche battute, perché, come ripeto da anni fino alla nausea, giudicare un nutrito gruppo di nuove canzoni al primo ascolto è pressoché impossibile anche per critici ed esperti, figurarsi per semplici appassionati come me. Mi rifaccio ad alcuni post di commento scritti ieri sera su Facebook, che mi servivano più che altro da appunti, da promemoria, per tenere traccia delle impressioni a caldo: il livello medio della proposta musicale mi è parso più che dignitoso, pur se privo di picchi particolari. Su tutti hanno svettato Elodie, fascinosa sul palco e con un pezzo che ha le stimmate del tormentone, griffato Mahmood - Dardust che ormai è un binomio garanzia di successo nelle chart, e un Gualazzi con una "Carioca" colorata e variegata. Dovrebbero fare molta strada anche Irene Grandi, splendida per presenza scenica, grintosa nell'interpretare un'opera di Vasco Rossi non immediatissima, e Diodato, straordinario in una performance vocale che ha adeguatamente valorizzato un brano pop melodico di impianto tradizionale ma, tutto sommato, al passo coi tempi.
ACHILLE LAURO ICONICO - Abbastanza ispirato Marco Masini, godibili con le loro sonorità anni Ottanta Bugo e Morgan, scatenata Rita Pavone, quasi commovente per energia sprigionata e comunque interprete di un pezzo possente, che ha anche una buona radiofonicità. Convincente, tutto sommato, l'esperimento rap - rock di Anastasio, "iconico" Achille Lauro, che propone quest'anno una "Rolls Royce 2 - La vendetta" e sul quale tutto si può dire, ma non che non sia dotato di notevole istrionismo. Il suo spogliarello con tutina aderente è un richiamo (involontario?) all'Anna Oxa del 1985, può piacere o meno ma rimarrà nella storia fotografica del Festival: e poi c'è l'apporto di Boss Doms che dona all'esibizione una grande presa spettacolare. Al momento poco da dire sul resto: inconsistente Riki, forse eccessivo per lui un posto fra i Campioni, mentre ad Alberto Urso tocca il compito ingrato di tenere alta la bandiera del più classico repertorio sanremese, declinato in chiave pop lirica: per lui futuro  sulla scia di Bocelli e del Volo o su quella, assai meno gloriosa, di Alessandro Safina e Piero Mazzocchetti? Già questa settimana ne sapremo qualcosa di più... La prima graduatoria demoscopica è stata vinta dalle Vibrazioni, che personalmente non mi hanno propriamente convinto al primo impatto, hanno portato un pezzo privo di rischi, ossia in piena linea col loro repertorio, senza particolari "trovate" musicali che lo facciano immediatamente imprimere nella mente, ma può senz'altro crescere da qui a sabato. 
LE CANTONATE SANREMESI - Sul fronte giovani, prima cantonata sanremese, con l'esclusione degli scoppiettanti Eugenio in via di Gioia a favore della "giovane - vecchia" Tecla Insolia, una Arisa "in minore" con un pezzo che avrebbe forse funzionato nei festival anni Novanta in salsa baudesca, ma che risulta perfino fastidioso se ascoltato dalla voce di una ragazzina non ancora maggiorenne. Telefonatissimo il passaggio di Leo Gassman (a questo punto favoritissimo per la vittoria finale) contro un Fadi un po' troppo sopra le righe nell'interpretazione di una canzone invero leggerina. Chiusura coi due partner maschili di  Amadeus: Fiorello col freno a mano tirato, forse perché si è reso conto, strada facendo, che il suo vecchio amico sapeva cavarsela da solo senza bisogno di "stampelle", mentre per Tiziano Ferro si può ripetere il discorso fatto per i super ospiti: chiaro che occorra dare un senso al suo ruolo di vedette fissa, e ciò giustifica i suoi ben tre interventi nell'arco della serata, ma almeno uno era di troppo, e lui stesso se ne è reso conto in diretta. Il repertorio di Mia Martini è da maneggiare con cura, Serena Rossi lo ha fatto in maniera eccellente l'anno passato, non è che ad ogni edizione si debba per forza riproporre l'ennesima cover... Riguardo a stasera, una curiosità: come verrà accolto Junior Cally? Il pubblico dell'Ariston, in passato, è stato spesso capace di reazioni autenticamente "cattive", tutti ricordiamo la contestazione a Maurizio Crozza nel 2013, o, andando più indietro nel tempo, ai Placebo nel 2001. Non è da escludere qualche parentesi sgradevole... 

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