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lunedì 12 luglio 2021

EURO 2020: L'ITALIA SBANCA WEMBLEY, E' CAMPIONE D'EUROPA SULLE ALI DEL GIOCO. UN TRIONFO CRISTALLINO E UN FUTURO CHE FINALMENTE CI SORRIDE

 "Un'estate italiana" di Nannini-Bennato può finalmente risuonare, nel catino di Wembley, a sottolineare una serata azzurra memorabile, e non un cumulo di rimpianti. Non eravamo più nessuno, il nulla cosmico calcistico, e oggi ci ritroviamo sul tetto del Vecchio Continente. Siamo usciti dal tunnel con una velocità che era difficile prevedere anche per chi, come me, ha sempre accompagnato questa nostra Nazionale con parole di fiducia e ottimismo. Dall'inferno al paradiso in meno di quattro anni. Campioni d'Europa, e scriverlo suscita perfino un effetto straniante. L'emozione è enorme, da groppo in gola che non passa dopo una notte quasi insonne. Si dice che in casi come questo risulti superfluo avventurarsi in analisi tecniche dell'evento in sé, perché conta il fattore sociale, l'entusiasmo che l'ItalMancio ha trasmesso al Paese, facendolo scendere in piazza a folleggiare dopo oltre un anno da incubo. 

TRIONFO SENZA OMBRE - Invece no, perché proprio l'aspetto sportivo della finale di ieri ne esalta ancor più i contorni di impresa. Si è trattato di un successo limpido, cristallino, meritato. Nessun dubbio è lecito sulla legittimità di un titolo che ritorna nello Stivale dopo 53 anni, un'eternità. Non vale mai la pena dover aspettare così tanto per assaporare la gioia della vittoria, ma possiamo dire che, perlomeno, l'attesa sia stata ripagata da un Club Italia pienamente all'altezza della situazione. Migliore di tutti per continuità di rendimento, ad alto livello, dalla prima alla settima partita. Pochi i momenti di cedimento: le difficoltà nel secondo tempo con l'Austria, la semifinale con la Spagna, la prima frazione della finalissima. L'avevo scritto dopo il soffertissimo successo sugli iberici, nel mio piccolo: giocando in quel modo, old style tricolore, si possono vincere le singole battaglie, non le guerre. Per prevalere in un atto conclusivo così impervio, da disputare in casa dell'avversaria, di fronte a un pubblico di oltre 60mila persone quasi interamente ostile, ci sarebbe voluta la vera Azzurra, quella che mi ha fatto innamorare in questo triennio manciniano, quella propositiva e brillante, col gusto della manovra, quella dal palleggio inesorabile e preciso al millimetro. 

IL NOSTRO "SECONDO INIZIO" - Ebbene, quell'Italia non si è vista, nella prima mezz'ora allo stadio Imperiale. I nostri hanno stranamente impiegato più del lecito ad entrare nel clima rovente del match e hanno pagato il loro "cuore freddo" con lo sbandamento difensivo che li ha visti in versione "belle statuine" sul cross di Trippier da destra e sull'appoggio in rete di Shaw dopo meno di due minuti. La classica mazzata che potrebbe abbattere un toro. Ma già nell'ultimo quarto d'ora della frazione si è cominciata a intravedere una Nazionale diversa, una squadra che si era ripresa di prepotenza l'iniziativa e la gestione della palla. La nostra... seconda finale era iniziata: certo, in partenza il possesso pareva un po' fine a se stesso, una lunga serie di trame che però non producevano granché, nei sedici metri finali, anche se ottenevano il non trascurabile risultato di schiacciare sempre più gli inglesi sulla loro trequarti. 

INGLESI SOLIDI DALLA CINTOLA IN GIU', KANE RIFINISCE MA NON TIRA - Diamo qualche merito anche alla truppa di Southgate, per diana: compagine che raramente ruba lo sguardo, che produce scariche elettriche soltanto con le improvvise accelerazioni di uno Sterling il quale peraltro, nella circostanza, è parso velleitario e nervoso. Ma, anche, una compagine di invidiabile solidità dalla cintola in giù, perfetta nei sincronismi difensivi che sono davvero difficili da forzare, mentre in avanti fa reparto quasi da solo Kane che ieri si è esaltato però solo nel lavoro di rifinitura, come sapevano mirabilmente fare il Rossi e il Bettega della prima Italia bearzottiana, mentre in zona tiro non è stato in grado di incidere come ci si attendeva. 

Un collettivo granitico che però forse si è specchiato un po' troppo nella sua presunta superiorità, o che semplicemente non è riuscito a chiudere l'incontro, quando ne ha avuto la possibilità, perché i nostri, passato lo shock d'apertura, hanno assunto l'assetto più funzionale e adatto alla bisogna. Non si doveva soffrire come contro la Spagna, si è detto, e così è stato: disinnescate le offensive britanniche, rimaneva da trovare il modo di penetrare nella retroguardia. Nel primo tempo, quando il nostro ritmo era ancora troppo basso per mandare in tilt il loro dispositivo di copertura, occorreva un'iniziativa personale, una scossa d'estro, e l'ha tirata fuori dal cilindro Chiesa, con una poderosa progressione chiusa con un sinistro a lato di pochissimo. 

LA SERATA DIFFICILE DI BARELLA E IMMOBILE - Un buon inizio, ma, come detto, non sarebbe bastato se la manovra non fosse lievitata ai consueti livelli "manciniani". E' ciò che è accaduto dopo l'intervallo, complici anche due intuizioni del nostro citti. In queste settimane europee c'è stato perfino chi è riuscito a sostenere, senza vergogna, che, insomma, non è il massimo della vita dover ricorrere sempre alla panchina per correggere errori iniziali di formazione. A parte che la panchina è una ricchezza, se ben sfruttata (e la nostra offre ampie varianti, tutte di grande affidamento ed efficacia), ma non è stato comunque il caso dell'ultimo match di Wembley. Mancini non ha sbagliato l'undici di partenza, semplicemente Barella non ne aveva più e non è riuscito a offrire quegli strappi centrali, quelle idee e quegli inserimenti che spesso sono stati una delle armi in più della nuova Italia, mentre Immobile confermava la sua parabola discendente nel torneo, anche se aveva provato una girata da centro area contrata alla bell'e meglio dalla difesa. E tuttavia, l'ingresso di Cristante portava peso e sostanza nel mezzo, mentre Berardi, col suo movimento e la sua imprevedibilità, era senz'altro meno controllabile del buon Ciro. 

CAMBIO DI  MARCIA E DOMINIO AZZURRO - Anche grazie a queste due novità, la gestione della palla e la solita precisione di tocco venivano puntellate da una maggiore velocità di esecuzione, mentre mutava totalmente anche l'atteggiamento di base: passata la paura iniziale, messa da parte anche la successiva prudenza, rimaneva solo la voglia di provarci, in ogni modo, perché loro non erano marziani e "si poteva fare".  Insigne mancava di poco il bersaglio su punizione dopo averci già provato con un tiro da posizione defilata su assist di Chiesa, un'altra accelerazione di Federico portava lo juventino alla battuta, stavolta di destro, con ottima deviazione in tuffo di Pickford. Il pareggio era maturo e giungeva sugli sviluppi di un corner da destra di Emerson: dopo una torre di Cristante, un tentativo di intervento di Chiellini arginato da Stones (poteva starci il rigore) e un tocco di testa di Verratti deviato dal portiere sul palo, interveniva Bonucci per il facile tap in di sinistro: un gol vero, dopo quello cancellatogli per fuorigioco contro il Belgio. A quel punto, per venti minuti abbondanti, siamo diventati letteralmente padroni del campo, e qui sta il grande cruccio: potevamo chiuderla prima, evitando perfino i supplementari, e su lancio dello stesso Bonucci Berardi quasi pescava il jolly, scavalcando Pickford con un sinistro al volo che però terminava di poco alto. In tutto questo carosello azzurro, l'Inghilterra solo una volta tornava a rendersi pericolosa, con una inzuccata di Stones su angolo alzata sopra la traversa da Donnarumma. 

FOSSE RIMASTO IN CAMPO CHIESA... - L'uscita per infortunio di Chiesa (ah, la famosa "fortuna" italiana...) poneva fine a questo periodo azzurro sontuoso. L'inerzia del match era ormai ribaltata, fatti salvi alcuni brevi break dei bianchi, ma ci mancavano le energie e, soprattutto, lo stoccatore per completare il capolavoro. Poteva esserlo il figlio d'arte, per l'appunto, protagonista della migliore prova in assoluto, pur senza trovare il gol, fra le ottime già fornite in questa competizione, e col piede palesemente "caldo". Nei supplementari accadeva poco, ma, tanto per gradire, una percussione di Emerson sulla sinistra mandava Bernardeschi, proprio il sostituto di Chiesa, a un passo dalla deviazione vincente sotto misura, mentre i locali ci provavano con un destro da fuori di Phillips. Ai rigori di spareggio erano tutti meno precisi del solito: per noi sbagliava Belotti e un terribile contrappasso sembrava dover colpire Jorginho, neutralizzato da Pickford con rimpallo sul palo, errore beffardo come beffardo era stato il penalty decisivo alla Spagna, ma Donnarumma, che già aveva respinto il tiro di Sancho, effettuava identica parata su Saka e non esultava, lasciandoci per un attimo con il cuore in gola davanti ai teleschermi. In realtà era fatta, e per Gigio era anche la consacrazione a miglior portiere del continente. Chissà che il Pallone d'oro... 

TUTTI DA ELOGIARE - Non solo il portierone nella conquista azzurra, comunque, e non è retorica dire che tutti, con diverse sfumature, siano da elogiare. Anche Di Lorenzo, qualche responsabilità sul gol inglese (come tutto il reparto, del resto) ma rialzatosi alla distanza, i monumentali Bonucci e Chiellini, ed Emerson quasi in versione Spinazzola, costante e incisivo nella spinta sulla sinistra. Al centro, Verratti, da leader autentico, ha tenuto a galla la squadra quando, nel primo tempo, rischiava di disunirsi, l'ammaccato Jorginho ha stretto i denti ed entrambi hanno alternato con apprezzabili risultati fioretto e sciabola, mentre Cristante è entrato col piglio giusto, scattando e proponendosi in avanti. Non sempre preciso Insigne, ma la sua presenza nel vivo dell'azione offensiva non è mai venuta meno, anche se, come detto, il migliore dei nostri per distacco, in prima linea, è risultato Chiesa, che prima di questo Euro 2020 non si era mai visto in azzurro così "sul pezzo", decisivo, trascinatore. Comunque il napoletano, pur fra alti e bassi, esce decisamente ingigantito da questa esperienza, avendo messo in curriculum gol pesanti, vivacità e generosità nei ripiegamenti.

NAZIONALE CHE UNISCE - Ribadisco: abbiamo vinto sulle ali del gioco e persino col parziale rimpianto di aver dovuto attendere la giostra finale dei penalty. Ma non è il caso di fare troppo gli schizzinosi, non oggi. L'Italia ha conquistato Londra, ha strappato ai padroni di casa un Europeo che sembrava disegnato su misura per loro, un England 2020 camuffato da torneo itinerante, costringendoli alla patetica scena conclusiva delle medaglie d'argento tolte una frazione di secondo dopo averle indossate (non sono stati i primi a farlo, intendiamoci, ma è un'abitudine pessima). Che impresa, per Mancio e Vialli. E che tristezza, consentitemelo, per i genoani che non esultano in virtù della presenza in panchina dei due ex dioscuri blucerchiati. Santo Iddio, la Nazionale è un fattore unificante, non divisivo. Non ci furono tanti contestatari nell'82 a schifare un'Italia a vistose tinte bianconere, e non ci sono stati nemmeno questa notte, deo gratias, perché alla fine la ragionevolezza vince sempre. Vince come questa splendida Azzurra, che ha meravigliosamente messo a tacere critici ad oltranza, disfattisti in servizio permanente effettivo, e quelli per cui il calcio italiano è sistematicamente peggiore degli altri. 

LA DISFATTA DEI CRITICI DELLA DOMENICA - Dovevano metterci sotto tutti, dicevano, pure i turchi. Quando abbiamo cominciato (anzi, continuato, come nei tre anni precedenti) a vincere e convincere, l'ultimo labile argomento dei bastian contrari era la debolezza degli avversari (fra cui la Svizzera che ha poi fatto fuori la Francia e sfiorato il bis con la Spagna). Ma alla fine sono arrivati anche i crash test terribili così pedantemente richiesti da chi, nonostante tutto, non credeva in questa truppa: e sono stati tre splendidi esami di maturità superati. Con sofferenza e abnegazione contro le Furie Rosse, con svettante autorità contro il Belgio e, dopo la prima mezz'ora, con l'Inghilterra. Per me è una scommessa vinta: metto da parte per un attimo l'umiltà dell'osservatore e mi sento di poter stare a pieno titolo sul carro del vincitore, dove sono salito già nell'autunno 2018, quando intuii le straordinarie potenzialità di una Nazionale allora ancora in abbozzo. Del resto, bastava guardare e giudicare... 

IL FUTURO, IN QUALCHE MODO, E' NOSTRO - Prima e durante questa kermesse, per la verità, ho anche scritto più volte che l'Italia di Bobby gol sembrava strutturata e pensata per dare il meglio dopo l'Europeo, pensavo cioè fosse già validissima ma non ancora pronta per un simile, straordinario traguardo. Ho sbagliato? Forse, ma non è neanche detto... Perché al contrario di quanto avvenne nel 2012, quando non si riuscì a dare un seguito al brillante argento conquistato a Kiev, stavolta ci sono le premesse per continuare a sognare. Questa Italia è all'inizio della sua parabola, ben lungi dal potersi sentire appagata (guai, guai!). Dovrà essere svecchiata in alcuni (pochi) tasselli, ha titolari in grado di reggere sul piano internazionale ancora per un po' di anni, ha giovani elementi già nella rosa dei 26 (Bastoni, Locatelli, Pessina, Castrovilli, Raspadori) e altri rimasti momentaneamente a casa, per scelta tecnica (Kean, Cragno, Gianluca Mancini, Lazzari, Romagnoli) o per infortunio (Sensi, Zaniolo, Lollo Pellegrini), per tacere di altri virgulti in fase di salita dall'Under (Tonali, già provato nella Maggiore, e Scamacca, i primi nomi che mi vengono in  mente). Inutile parlare della possibilità di aprire un ciclo, è prematuro e sicuramente presuntuoso pensarlo, ma di certo il futuro, in termini di competitività sui grandi palcoscenici, è nostro, quantomeno "anche" nostro. Non so se vinceremo altre coppe a breve, la concorrenza è sempre terribile, ma saremo lì a giocarcela. L'Italia è tornata, signori. 

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