Tante cose senza senso, in queste ore surreali. Come la graduatoria degli scempi azzurri storici. Interessa davvero a qualcuno sapere cosa sia stato peggio fra Corea '66, Svezia '17 e Macedonia '22? A parte che non ci vuole davvero una grande scienza... Senza risalire a ere calcistiche geologiche, quattro anni fa andò fuori dal Mondiale una Nazionale mediocre, con veterani sul viale del tramonto, giovani promettenti ma non ancora sbocciati, elementi senza spessore internazionale, un improbabile ensemble guidato da un trainer non all'altezza del compito; ieri ha alzato bandiera bianca la squadra campione d'Europa, escludendo il nostro movimento dal consesso iridato per la seconda volta consecutiva, fatto mai accaduto prima, di una gravità inaudita, ça va sans dire.
IL PUNTO PIU' BASSO - Il fondo, mi pare palese, è stato dunque toccato a Palermo, ma non è questo il punto, non è della medaglia d'oro dei disastri, che mai nessuno toglierà ai Mancini boys, che qui dobbiamo discutere. Occorre invece capire il perché, e non è facile. Mi stomacano le immancabili grida di dolore sulle nefandezze del sistema calcio italiano: grida che si ripresentano periodicamente da oltre 15 anni, diciamo dal post trionfo del 2006, per nefandezze che nel mio piccolo denuncio e sottolineo su questo blog più o meno dal 2011. Ho perso io, e conta poco, ma hanno perso anche i grandi organi di stampa, che evidentemente non hanno impiegato tutte le energie necessarie per spingere i vertici a riforme e rivoluzioni veramente sostanziali. E però, oggi, questo conta fino a un certo punto, perché il percorso recente della nostra Rappresentativa dice altro.
SENZA SENSO APPARENTE - Se il fallimento del 2017 fu in qualche modo "telefonato", prevedibile, nell'aria, questo pare senza una logica palese, quantomeno per chi ha davvero seguito, studiato, analizzato l'attività degli azzurri da quando il Mancio è salito sulla tolda di comando. Non date retta a chi parla di gruppo modesto e di massicce, determinanti dosi di fortuna ad accompagnare i successi colti fino all'estate scorsa: o ha poca memoria, o scarse capacità di valutazione. L'Italia 2018-2021 è stata qui raccontata con dovizia di particolari, e non è male fare un ripassino: una squadra tecnicamente di buonissimo livello, capace di dare del tu alla palla, di manovrare in agilità e scioltezza con grande precisione ed efficacia, di aggredire l'avversario tenendo costantemente l'iniziativa, di creare palle gol e di concretizzarne una buona parte. Ci stropicciavamo gli occhi di fronte a un team straordinariamente prolifico sotto porta come poche altre volte in passato, nonostante la mancanza di punte di autentica caratura europea.
BUONA SQUADRA, EURO MERITATO. E POI? - L'apice del rendimento, probabilmente in anticipo sui tempi, è stato raggiunto in occasione dell'ultimo Euro, vinto assolutamente con merito, nonché con l'ovvio aiuto di un pizzico di buona sorte che sempre accompagna le grandi conquiste (prima o poi qualcuno dovrà trovare il coraggio di affrontare un'analisi critica su come ci aggiudicammo il Mondiale '82, totem intoccabile come la mamma e Garibaldi). Nessun dubbio è lecito, dunque, sul valore assoluto di quel Club Italia, non la compagine più forte del lotto ma la più "in palla" nel momento giusto (come anche quella dell'82, per l'appunto). Lì c'è stato un errore di valutazione globale, che ha coinvolto tutti, dal cittì alle penne più autorevoli, fino al sottoscritto, il quale pensava che con la rosa di Euro 2021 fosse possibile, se non aprire un ciclo di successi, restare quantomeno su ottimi livelli per parecchi anni: perché i vecchietti sono pochi, ci sono diversi elementi validi nel pieno della maturità e qualche giovane di talento da far crescere.
APPAGAMENTO E MANCATO RINNOVAMENTO - Il punto, forse, è proprio quest'ultimo; il giorno dopo la gloriosa serata di Wembley avevo scritto: "Questa Italia è all'inizio della sua parabola, ben lungi dal potersi sentire appagata (guai, guai!). Dovrà essere svecchiata in alcuni (pochi) tasselli, ha titolari in grado di reggere sul piano internazionale ancora per un po' di anni, ha giovani elementi già nella rosa dei 26 (Bastoni, Locatelli, Pessina, Castrovilli, Raspadori) e altri rimasti momentaneamente a casa, per scelta tecnica (Kean, Cragno, Gianluca Mancini, Lazzari, Romagnoli) o per infortunio (Sensi, Zaniolo, Lollo Pellegrini), per tacere di altri virgulti in fase di salita dall'Under (Tonali, già provato nella Maggiore, e Scamacca, i primi nomi che mi vengono in mente)". Ecco, è accaduto tutto ciò che non doveva accadere: l'appagamento è arrivato precocemente, troppo precocemente, e il moderato rinnovamento non è avvenuto.
MANCINI COME IL PEGGIOR BEARZOT - Da settembre in poi, la reattività di Mancini è stata pericolosamente simile a quella di Bearzot nella stagione post Mundial spagnolo. Si è legato mani e piedi ai suoi fedelissimi, al gruppo storico che l'ha portato ai vertici, maledetta gratitudine. Nel maggio '83, per la gara con la Svezia, ultima spiaggia per riacciuffare una qualificazione europea ormai compromessa, il Vecio non trovò di meglio che rimettere in campo la formazione del Sarrià, già prostrata da una sequela di pareggi e sconfitte, con gli esiti che tutti gli appassionati conoscono. Ecco, la sensazione è che l'ex Bobby gol a Palermo avrebbe fatto lo stesso, ossia schierare lo stesso undici di Wembley, se non ci fossero state le indisponibilità forzate di Di Lorenzo, Bonucci, Chiellini (poi subentrato) e Chiesa. Che poi l'assenza più pesante, in questi mesi, è stata quella di Spinazzola: anche in questo caso, chi può si vada a vedere le partite del triennio, per comprendere quale peso abbia avuto lo sfortunato terzino romanista nell'elevato rendimento tenuto dalla nostra Selezione.
LA DECADENZA DI JORGINHO, INSIGNE, IMMOBILE - Refrattario a qualsiasi cambiamento, il nostro trainer, eccezion fatta per la gara casalinga con la Lituania (sai che coraggio), non a caso dominata in attacco da Kean e Raspadori. Nulla è cambiato, da novembre a marzo: il solito Emerson timido (persino Biraghi avrebbe probabilmente inciso di più su quella corsia), un Jorginho da troppo tempo marginale nella tessitura di gioco, per tacere dei rigori scellerati, un Insigne fuori fase, poco ispirato e lento, e un Immobile quasi irritante nella sua pochezza offensiva. Non sono stati fulmini a ciel sereno, ma scenari tecnici e tattici ben noti, a cui il coach non ha saputo porre rimedio. Perché il problema dei giovani, ossia dei ricambi dei titolarissimi, esiste, ma è un problema che, ahinoi, riguarderà soprattutto la prossima generazione di calciatori: per quella al momento in sella, le risorse di classe non mancano, pur se non sovrabbondanti, ed erano comunque più che sufficienti per mandare a casa senza difficoltà una Macedonia piccola e catenacciara, a patto di saperle usare con destrezza. Perché, ad esempio, cosa c'è di meglio di "svezzare" gli emergenti mettendoli alla prova in una gara decisiva e però, al contempo, ampiamente alla portata come quella del Barbera?
Invece abbiamo mandato al massacro i pretoriani. Che, come scrissi l'estate scorsa, non dovevano assolutamente sentirsi appagati, perché erano solo all'inizio di un percorso che si annunciava ricco di soddisfazioni, e invece sono precocemente sfioriti, hanno staccato la spina mentalmente, sono calati fisicamente, hanno perso convinzione e sicurezza ed è gravissimo, perché un'impresa come quella continentale avrebbe dovuto accrescerne la fame, la personalità e, di conseguenza, la capacità di imporsi e di fare risultato anche in circostanze difficili, fattore che invece è totalmente mancato in questa terrificante seconda parte delle eliminatorie mondiali.
IMPOTENZA - La gara siciliana è stata emblematica: è vero, come in molti si affannano a scrivere oggi, che l'Italia ha dominato, ma è stato un dominio sommamente sterile. Seriamente, quante palle gol veraci, clamorose, nitide avete contato? Direi che stanno ampiamente sulle dita di una mano. Berardi, protagonista di una stagione esemplare col Sassuolo, è stato inevitabilmente anche il più pericoloso, il più incisivo, il più continuo al tiro, ma la mira è mancata totalmente, e il gol fallito nel primo tempo su pasticcio difensivo avversario è da doppia sottolineatura blu. Immobile solo una volta è andato alla conclusione in maniera discretamente insidiosa, e nella ripresa ancora Berardi ci ha provato due volte dalla distanza e una con una girata sotto misura; possiamo aggiungere un destro di poco alto da parte di Raspadori e un bel diagonale di Pellegrini, due che dovevano essere dentro fin dall'inizio, tanto per dire. Oltre a questo, un florilegio di tiri ritardati, abbozzati, oppure deboli e prevedibili: scarsa reattività, scarsa velocità di pensiero e di esecuzione dal centrocampo in su. Lacune che, ripeto, erano palesi anche in autunno: il fatto di non avervi messo una pezza con ben quattro mesi a disposizione inchioda il Mancio alle sue responsabilità, che onestamente mi paiono evidenti.
LA RETORICA DEL CARRO E DEL "IO STO CON" - Qui entra in scena anche la disfatta della critica, di certa critica. Quanti danni ha fatto quella ormai lontana battaglia fra pro e contro Bearzot, culminata con l'epopea del Mundial '82, quando si cominciò a parlare di "carro dei vincitori" e amenità simili! Una retorica insopportabile, quella del carro su cui non si può salire se non sei "pro" fin dall'inizio, e quella del "io sto con Tizio" a prescindere da tutto. Per me non funziona così. Parlo per esperienza personale, quella scritta "nero su bianco" su questo blog da undici anni a questa parte: sono stato da subito con Mancini non per ragioni di simpatia umana, ma per quanto scritto all'inizio, ossia per aver visto giocare la sua Nazionale e averne colto in tempi non sospetti le enormi potenzialità, tanto da poterne agevolmente prevedere il buon rendimento all'Euro 2020 (la vittoria finale quella no, non poteva prevederla proprio nessuno). Allo stesso modo, ero stato immediatamente scettico su Ventura, un po' perché il suo curriculum parlava chiaro, un po' perché fin dalle sue prime uscite era parso lampante che fosse inadeguato al compito, per scelte strategiche e di uomini; ed ero stato con Prandelli perché per due anni fece un po' quel che ha fatto, con ancor più convinzione, Mancini, prima dell'improvvisa involuzione post Euro 2012 che mi fece lanciare chiari segnali d'allarme sulle non esaltanti prospettive del suo progetto, poi puntualmente arenatosi in Brasile.
Così, dallo scorso autunno ho fotografato il declino dei campioni d'Europa e le incertezze e i tentennamenti del cittì, di fronte a una situazione che stava palesemente degenerando. Sono sceso dal carro? Certo che no, semmai il contrario: ho cercato di portare il mio modesto contributo per scongiurare un disastro che stava prendendo lentamente forma quasi nell'indifferenza generale. L'avessero fatto anche altri, forse in questo triste 25 marzo 2022 non staremmo recitando il de profundis per un ciclo che poteva portarci molto in alto e che invece si è esaurito prematuramente.
ANCORA MANCINI? SI' MA... - E già: cosa ci attende adesso? La situazione è estremamente complessa. Mancini potrebbe benissimo rimanere, per quanto mi riguarda. Il disastro della seconda qualificazione iridata fallita, oltretutto contro un competitor di terza fascia (che ha vinto con un tiraccio della domenica, l'unico scagliato verso Donnarumma, diciamo anche questo), pesa come un macigno, e presumibilmente potrebbe portare l'ex fuoriclasse della Samp a decidere autonomamente di farsi da parte, però i meriti accumulati nel suo primo triennio sono epocali, e non parlo solo dell'aver riportato in Italia un titolo europeo che mancava da oltre cinquant'anni, un'eternità. Ha fatto molto di più, ha lanciato segnali importantissimi dando fiducia a giovani che inizialmente faticavano a trovare spazio anche nei club, ha puntato sul dominio del gioco e sulla tecnica, ha svecchiato l'immagine di un calcio italiano che può conseguire risultati anche percorrendo le vie dello spettacolo e della vivacità offensiva, non solo quelle della prudenza.
SOLO GLI INVESTITORI STRANIERI POSSONO SALVARE IL NOSTRO CALCIO - Un cambio di mentalità che purtroppo il movimento ha recepito solo in minima parte, e qui può tornare valido il discorso sui massimi sistemi. E' di pochi giorni fa l'amara considerazione del cittì dell'Under 21, Nicolato, sullo scarsissimo spazio riservato ai giovani nelle squadre di A. Ma è roba vecchia, lo ripeto: discorsi che si facevano già nel 2010, e qui sta tutta la tragicommedia del calcio italiano, che si è condannato a lustri di marginalità internazionale non prendendo nessuno dei provvedimenti necessari per cercare almeno di iniziare la risalita. Perché non c'è solo la Nazionale che non volerà in Qatar (ammesso e non concesso che quel Mondiale si giochi, visti gli scenari internazionali di guerra); ci sono anche i nostri club zeppi di stranieri che puntualmente, da dodici anni a questa parte, recitano in Europa il ruolo delle comparse. Ma non è neanche più utile sottolineare tutto ciò, è solo una stanca litania destinata a rimanere inascoltata. Sì, ho perso le speranze. Solo gli stranieri, parlo in questo caso di imprenditori, possono salvarci: a Genova, sponda Genoa, si sta tentando di lanciare un progetto calcistico serio, organizzato, razionale, di matrice tedesco-americana: l'auspicio è che nel nostro calcio barzelletta approdino sempre più investitori come i 777 rossoblù. Ma tutto questo, ribadisco per l'ennesima volta, c'entra poco e nulla con il ko palermitano, le cui cause sono all'interno del gruppo azzurro, non nel sistema calcio Italia.
NAUSEA AZZURRA - Per quanto mi riguarda, e mi scuso per questa ennesima digressione personale, in questo momento nei confronti della Nazionale ci sono più rabbia e nausea che voglia di ricominciare. Sono stanco e penso che staccherò la spina azzurra per un bel po'. Non mi appassiona l'Intercontinentale con l'Argentina, mi interessa poco e niente la Nations League, trovo persino frustrante l'idea di dover inseguire un altro Europeo, il Mondiale nordamericano del 2026 è troppo lontano, e non so se avrò le forze e l'energia critica per seguire questa ennesima ricostruzione del Club Italia che nemmeno doveva esserci, viste le premesse estive.
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