Un tempo, a Sanremo, era in voga l'espressione "vincitore morale", da contrapporre a chi realmente trionfava pur non avendolo meritato del tutto. Ecco, quest'anno mi piacerebbe parlare di "ex aequo morale". Il Festival numero 72 è stato Mahmood-Blanco contro Elisa fino all'ultimo respiro, lo scontro fra titani scritto nelle stelle già dal primo ascolto all'Ariston delle canzoni; si sono imposti i due... ragazzi di oggi, in piena legittimità e, voti alla mano, quasi doppiando la rivale, ma poco sarebbe cambiato se a iscrivere il proprio nome nell'albo d'oro fosse stata l'eterea cantautrice triestina, che non avrebbe rubato assolutamente nulla. Due vincitori intercambiabili, quelli veri e quella virtuale, portatori dei due brani che da subito si sono stagliati nettamente al di sopra degli altri contendenti.
LA NUOVA "CANZONE DA FESTIVAL" - Ci ha provato fino in fondo Morandi, ma il suo inno alla vita gioioso, ritmato e allegro aveva, possiamo dirlo, ben poche possibilità di tagliare per primo il traguardo, in un'edizione della kermesse che ha riscoperto e rilanciato la melodia all'italiana, opportunamente modernizzata. Più sofisticata, ridondante, classicheggiante, diciamo pure matura "O forse sei tu", più essenziale "Brividi", che molto punta sui ghirigori vocali di Mahmood e sull'inserimento di stilemi linguistici e di scrittura più contemporanei; entrambe intense, suggestive, passionali. Insomma, davvero questa volta era difficile scegliere, davvero il gradino più alto del podio poteva essere a due piazze, come per Tamberi e Barshim nel salto in alto di Tokyo 2020.
CLASSIFICA CRISTALLIZZATA, E CHE BRAVO MATTEO! - Se il verdetto più atteso, almeno per noi che non conoscevamo i dati numerici delle preferenze, è stato incerto fino all'ultimo, in stile Juve-Toro '77 come ho scritto qualche giorno fa, la competizione nel suo complesso è stata fra le più placide che la kermesse ligure abbia mai ospitato. Pochi davvero gli scossoni a una classifica che si è subito cristallizzata da cima a fondo: chi era attardato all'inizio è rimasto tale senza possibilità di recupero, mentre il lotto dei papabili è stato chiaro fin da subito, aggiungendo Irama, Sangiovanni ed Emma ai tre medagliati. La miglior crescita, lungo la settimana festivaliera, l'ha fatta registrare il giovane Matteo Romano, entrato come "Cenerentolo" ma ben presto in grado di impressionare il pubblico a casa e in teatro con un'assoluta sicurezza interpretativa e un brano, "Virale", in definitiva gradevole, quantomeno per il suo attuale target di riferimento. E' un prospetto su cui lavorare, così come Yuman con la sua calda e avvolgente voce, a dimostrazione del fatto che, anche in una versione dimessa come quella del dicembre scorso, Sanremo Giovani serve sempre, e ancor più frutti darebbe se gli venisse restituito il palcoscenico più importante, quello del palco di febbraio.
FESTIVAL GIOVANE E PER I GIOVANI, MA NON SOLO - Del resto, il Festival numero 72 ha portato alle stelle per la seconda volta il non ancora trentenne Mahmood, che può già entrare nel ristretto novero dei plurivincitori quando, appena quattro anni fa, era solo uno dei tanti emergenti che cercavano con cocciutaggine un posto al sole nell'asfittico panorama discografico nostrano. A proposito di giovani: se si volessero analizzare le ragioni del prepotente rilancio vissuto dal Festivalone dopo la grande crisi di fine anni zero (fra il 2008 e il 2009 la manifestazione rischiò di perire, è sempre bene tenerlo presente), una buona base di partenza sarebbe una semplice occhiata all'albo d'oro del periodo in esame: solo due volte il massimo alloro è toccato a dei veterani, Vecchioni 2011 e Stadio 2016. Per il resto a svettare sono state sempre le nuove leve (Ermal Meta nel 2018 fu accompagnato da un collega più navigato ma certo non "anziano", come Fabrizio Moro). Nuove leve provenienti dai talent o proprio dal settore giovanile del Festival, con quest'ultimo che mantiene dunque una sua dignità e centralità, nonostante gli incidenti di percorso, le annate poco felici e un format da ripensare.
Significa che Sanremo ha ormai istituzionalizzato una linea editoriale precisa e già intrapresa dai tempi della gestione Mazzi 2009-2012, quella del continuo svecchiamento e rinnovamento dei ranghi, senza ripensamenti o nostalgie. L'apertura di credito ai nomi nuovi e alle tendenze più in auge era e rimane l'unica via per restare vivo, vitale, cruciale nel discorso musicale italiano, per entrare nel cuore delle nuove generazioni come sta avvenendo in maniera persino commovente, per noi di età un po' più avanzata che osserviamo con gioia, e un pizzico di stupore, questo diffuso, crescente interesse per l'evento ligure. Le porte ai "grandi vecchi" non sono e non saranno mai chiuse, e il cast di quest'anno lo dimostra in maniera inequivocabile, ma la loro presenza sarà sempre più soverchiata, perlomeno sul piano quantitativo, da quella dei nuovi assi delle chart.
I NUOVI IDOLI: RKOMI E ACHILLE NON A FUOCO - Avere in gara gente come Blanco, Sangiovanni, Irama, Aka 7even, Rappresentante di Lista, Achille Lauro e Rkomi significa avere gli adolescenti dalla propria parte. Che poi qualcuno di questi esponenti della nouvelle vague non abbia sfruttato al meglio l'occasione è un altro discorso: Rkomi non ha presentato ad esempio, un prodotto all'altezza del suo fresco repertorio (e l'ha anche proposto in maniera poco convincente, la sua ultima performance ha lasciato parecchio a desiderare), di Lauro dobbiamo sostanzialmente registrare un passaggio interlocutorio, se non proprio una battuta a vuoto. Ci sta, alla quarta presenza consecutiva: la sensazione è stata di idee un po' latitanti, di una ricerca un po' forzata dell'effetto scenico, ma se non altro c'è stato il guizzo vincente di lasciare ampio minutaggio all'Harlem Gospel Choir, che ha donato brio e colore a un'opera poco consistente anche se "fischiettabile".
LA DELICATEZZA E PROFONDITA' DELLA "LETTERA" DI RANIERI - Un discorso che ci porta inevitabilmente a tentare un bilancio consuntivo di cast e canzoni. Il tratto distintivo dell'Amadeus ter l'abbiamo già più volte sottolineato: l'anno scorso scelte spiazzanti e coraggiose, questa volta maggiore attenzione ai grossi nomi. Del resto, se hai la bravura e la possibilità di portare in concorso Elisa dopo ventun anni, Morandi dopo ventidue e Ranieri dopo venticinque, saresti un pazzo a fartela sfuggire, e c'è comunque da dire che i tre colossi non hanno tradito le attese, lanciando composizioni di tutto rispetto. Già parlato delle prime due, evidenziamo ancora la profondità e delicatezza della storia di immigrazione interpretata da Massimo, via via più convincente con il progressivo miglioramento della sua resa live. Esprimevo, alla vigilia, l'auspicio che il vincitore 1988 riuscisse finalmente ad aggiungere una nuova gemma a un repertorio da troppo tempo immutabile: con "Lettera di là dal mare" (scritta da Fabio Ilacqua) dovrebbe aver colmato la lacuna, il pezzo merita di entrare nelle scalette dei suoi concerti e dei suoi eventuali futuri impegni televisivi.
LIVELLO BUONO, MA FORSE L'ANNO SCORSO... - Il livello complessivo del pacchetto canzoni mi è parso un po' inferiore rispetto a quello del 2021, ma forse non dovrei neanche scriverlo, perché potrei pentirmene presto. Questo è un tipo di valutazione che può essere fatto in maniera esaustiva solo a bocce ferme, magari a distanza di mesi dalla fine della kermesse, e del resto è ingeneroso paragonare prodotti nuovi di zecca a brani con un anno di anzianità, molti dei quali tuttora sulla cresta dell'onda (ne abbiamo avuto un esempio in queste sere, con la riproposizione di alcuni di essi nei collegamenti con la nave da crociera). E' un fatto che la rassegna di undici mesi fa abbia rivelato tante realtà eccellenti del sottobosco canoro italiano, lanciato pezzi di grande orecchiabilità, prodotto due tormentoni ("Zitti e buoni" e "Musica leggerissima") e spedito in orbita una band, i Maneskin, passata dall'Eurovision ai trionfi d'oltreoceano. Parliamoci chiaro, un'annata come quella, per il Sanremone, può capitare due o tre volte nell'arco di un decennio.
CHI PUO' VENDERE - Quest'anno forse non si raggiungeranno tali vette, ma c'è comunque una decina abbondante di canzoni che può percorrere una strada ricca di soddisfazioni lontano dall'Ariston: penso al podio, penso alle proposte di Sangiovanni, Irama, Emma, Ranieri, Rappresentante, Aka 7even, Dargen D'Amico, Ditonellapiaga-Rettore, alle quali aggiungerei chi, come Noemi e Vibrazioni, è stato ingiustamente penalizzato dalle giurie. Discorso a parte per Giovanni Truppi, con una proposta cantautoriale così raffinata, elaborata, complessa eppur orecchiabile che ha spiazzato perfino la critica, tanto che nessun premio speciale gli è stato assegnato, e questo è forse l'unico vero scandalo della finalissima, se proprio dobbiamo cercarne uno.
TRIONFO AUDITEL - Vedremo come risponderà il mercato a questa infornata di inediti. Sul fronte televisivo, i numeri trionfali di questi giorni li sapete: non ne avevo parlato, finora, perché per me contano le canzoni, i cantanti e la buona costruzione complessiva dello show, poi i risultati Auditel sono legati anche ad altre variabili non sempre comprensibili a chi, come me, non ne è studioso. Non tirerei in ballo la pandemia che ci tiene in casa: undici mesi fa stavamo messi molto, ma molto peggio, eppure la platea catodica fu nettamente inferiore. Certo, il cast fornisce già una risposta: l'anno scorso tanti nomi nuovi, e si sa che il pubblico generalista di Rai 1 rimane costituzionalmente assai refrattario alle novità, soprattutto se gliele proponi in dosi così massicce. In questo 2022, e l'avevo scritto fin dall'articolo di presentazione, c'era un listone di concorrenti che era più che sufficiente a tenere incollati gli spettatori davanti al video, senza necessità di sovrastrutture e di contorni appetitosi. C'era un evento ben costruito, ben calibrato, con ritmi in generale più serrati (un po' di lentezza solo nella seconda serata) e tempi televisivi più contenuti. E c'era, infine, un padrone di casa che è parso davvero, più di Carlo Conti, il vero erede di Baudo nella capacità di gestire e padroneggiare la situazione, ma più rassicurante, "amicone" e meno svettante del Pippo nazionale. Altro che spalla di Fiorello...
CONTROPROGRAMMAZIONE ASSENTE? NON PROPRIO - Si è tirata fuori la solita storia della controprogrammazione inesistente. A parte che è così più o meno dal 2007... Certo, la pax televisiva è un dato di fatto, e se esiste conviene a tutti, perché non credo che Mediaset faccia favori alla Rai "per il bene supremo di Sanremo". Ma ci sono due aspetti da sottolineare: il primo è che la stessa Mediaset non ha, da anni, una produzione di show il cui spessore possa anche solo pensare di contrastare il Festivalone. Fra i pochi eventi messi in piedi negli ultimi tempi, "Uà" di Baglioni aveva un calibro piuttosto elevato, eppure non è stato baciato da dati Auditel trionfali. E comunque, se andiamo a guardare, la controprogrammazione c'è stata, perché i veri programmi-boom della nostra epoca sono i talk politici e le trasmissioni informative, e in questa settimana sono andati regolarmente in onda i vari "Carta bianca", "Di martedì", "Piazza pulita", per non parlare di "Chi l'ha visto?" e "Quarto grado". La verità, certo non l'unica, è che se il Festivalone è ben fatto, con personaggi interessanti e canzoni apprezzabili, la gente lo guarda, perché rimane un'istituzione che ora avvolge e coinvolge anche i Millennials, perlomeno in parte. Oltre 13 milioni di spettatori, cifra davvero d'altri tempi, non si totalizzano per caso.
LA GENUINA FERILLI - Poco rimane da dire sul gran gala conclusivo, come detto dominato dal thrilling della competizione. Confermata la linea fortemente sociale del nuovo Sanremo, col dialogo sugli haters fra Filippo Scotti e Marco Mengoni, il quale ha poi riproposto "L'essenziale" e lanciato il suo nuovo singolo "Mi fiderò". Anche per lui auspichiamo un ritorno in gara, magari l'anno prossimo, quando saranno trascorsi giusto dieci anni dalla sua ultima partecipazione. Scanzonata e caciarona, un po' "paesana", la co-presentazione di Sabrina Ferilli, che peraltro ha offerto uno spunto di riflessione significativo: per essere su quel palco, in quel ruolo, occorre per forza portare qualcosa di forte, un monologo sulle grandi questioni dei nostri tempi o performance simili, e non basta invece il proprio essere professionista dell'intrattenimento? La mia risposta: sono validissimi entrambi i modi di proporsi, l'importante è si tratti di partecipazioni ben concepite e opportunamente rese sul palco, e non tutte, fra le cinque primedonne di questa edizione, sono state in grado di centrare l'obiettivo.
AMADEUS QUATER? PRO E CONTRO - Rimane calda la questione sul futuro della rassegna: vorrei affrontare il discorso più approfonditamente a mente fredda, magari Amadeus ne parlerà oggi nell'ultima conferenza stampa. A me pare logico e inevitabile che la Rai gli offra un quarto mandato, e sinceramente non disdegnerei la scelta. Però attenzione: nemmeno Baudo è mai arrivato a più di tre direzioni artistiche consecutive (presentò il Festival dal '92 al '96, ma solo nelle ultime tre edizioni fu il gestore dell'evento), e comunque il rischio di saturare e stancare è sempre dietro l'angolo. Soprattutto perché, come scritto ieri, la formula Ama, pur vincente, è ripetitiva sul piano della costruzione dello spettacolo, prevedibile e con pochi spazi autenticamente spiazzanti. Però il conduttore di "I soliti ignoti" può vantare una mano assolutamente felice, come pochi altri prima di lui, nella scelta di cantanti e canzoni in concorso, che sono ormai ridiventate centralissime nella kermesse. Un bel rebus: ci ritorneremo.
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