Non sono convinto che le quattro ore di diretta televisiva dei Music Awards 2014 (non più Wind) abbiano reso un buon servizio alla discografia italiana. Certo non è facile recensire uno spettacolo come quello andato in scena ieri sera a Roma: non una rassegna canora nella classica accezione cui ci hanno abituati decenni di Sanremi, Festivalbar e Dischi per l'estate, e lo si sapeva; ma nemmeno, nonostante le apparenze, uno splendido happening musicale di piazza, perché il live si è mischiato al playback, artifizio tecnico che in certe occasioni dovrebbe essere lasciato da parte. L'impressione, alla fine, è stata quella di sempre, dopo l'eccezione di dodici mesi fa, quando mi era parso di ravvisare, nelle costruzione della kermesse, più di un cambiamento in positivo e diverse scelte coraggiose: siamo invece tornati, purtroppo, all'evento istituzionale, direi ultra governativo.
POCO DA FESTEGGIARE - Una stanca passerella finalizzata alla consegna di premi, un'aspirante notte dei Grammy senza che a sostenere tale pretesa di grandeur vi fosse un'idea lineare di show e, alle spalle, un mercato musicale dalle dimensioni (e dal giro d'affari) necessarie per giustificare l'euforia un po' plastificata di questo vorticoso scambiarsi di trofei. Sì, perché l'industria discografica italiana, da un bel po' di tempo, non avrebbe molti motivi per autocelebrarsi in tal guisa: le vendite sono quelle che sono e non è il caso, in questa sede, di rigirare il coltello nella piaga; ieri sera, poi, fra i decorati in pompa magna abbiamo trovato diversi re-packaging di album già usciti tempo fa, sintomo di una certa stagnazione di idee o quantomeno di difficoltà, per le proposte veramente innovative, a far breccia nei gusti dei consumatori; e abbiamo trovato, anche, "Nero a metà" di Pino Daniele, ossia la ristampa di un'opera uscita nel 1980, arricchita di qualche inedito e qualche extra gustoso, certo, ma pur sempre il ripescaggio di un disco di oltre tre decenni fa.
SHOW INGESSATO E MOSCIO - Ad ogni modo, se proprio si deve continuare a far sopravvivere questo spento rituale degli Awards de noantri, che almeno lo si costruisca in maniera appetibile e brillante. E invece no: televisivamente parlando siamo ancora fermi alle moscerie degli Oscar tv o di quella Notte dei Telegatti che può rimpiangere solo chi guarda al passato con mentalità esclusivamente nostalgica. Scaletta piatta, cerimoniosa, solenne, nessun "cane sciolto" a fare un po' di movimento (a meno di non voler considerare tale il pur volenteroso Morandi - Ballantini), presentatori ingessati.
Carlo Conti va avanti col pilota automatico, ma per il Festivalone, quello vero della Riviera Ligure, occorrerà ben altro, e non ho dubbi che l'anchorman toscano sarà in grado di tener fede alle attese, perché è quello sanremasco il... brodo di coltura ideale per lui, non certo l'evento romano né carne né pesce di cui stiam discutendo; meglio Conti, comunque, di una Vanessa Incontrada che con le sue incursioni nell'idioma spagnolo ha francamente stufato ("Besitos, besitos": ma da quanti anni sentiamo questa litania?) e che i suoi discorsi privati coi cantanti ("Prometto che questa volta verrò al tuo concerto") potrebbe farli, per l'appunto, a telecamere spente.
MUSICA DATATA - Poi c'era la musica, certo. Un gran calderone in cui è stato buttato dentro di tutto senza criterio, un susseguirsi di esibizioni destinate, nella gran parte dei casi, a non lasciare il segno. Detto di un Pino Daniele penalizzato da un'acustica imbarazzante, è stata la sagra della canzone fuori stagione: il successo invernale di Ligabue, quelli sanremesi di Arisa (con inguardabile chioma bionda) e di Francesco Renga (il quale almeno ci ha regalato un bel duetto con Elisa, l'autrice di "Vivendo adesso"), medley per Alessandra Amoroso e Max Pezzali, i Modà con "Gioia" che non è certo fresca di stampa. Sarebbe stata gradita una più ampia panoramica sulle novità destinate a movimentare i mesi del solleone, ma da questo punto di vista non ci rimane che attendere il Music Summer Festival, più vicino "ideologicamente" al Festivalbar di quanto lo sia il Music Awards. L'unico tormentone estivo emerso da un generale piattume dovrebbe essere "Maracanà" di Emis Killa, giusto omaggio in chiave rap all'imminente Mondiale di calcio.
MORENO: MA PERCHE'? - Proprio dalla vitalissima galassia del rap - hip hop nostrano sono venute le uniche scosse, in positivo e in negativo, della manifestazione: detto di Killa, di gran suggestione anche il duetto tra Fedez e Francesca Michielin in "Cigno nero", mentre è eufemistico definire irritante l'esibizione di Moreno con "Prova microfono", sopra le righe, superbo, convinto di essere diventato il centro dell'universo: "Per essere al mio posto venderesti la coscienza", "Io qualcosa l'ho ottenuto e te muto resti senza", "Il vostro rap vecchio lo chiudo dentro un sarcofago", "Ho colto l'attimo mio, disco di platino zio, vivo a Milano anch'io", "Parli male di Moreno, poi devi sfidarlo Moreno, io sono qui, invece di parlare male di me, gioca le tue di carte, io le mie le ho giocate" e altre amenità simili; classico esempio di ragazzino che, al primo successo, si è montato la testa: il consiglio è di ritrovare un pizzico di umiltà e ridiscendere al più presto fra i terrestri. Sconfortante che le pagine più brutte della serata le abbiano scritte i giovani: detto di Moreno, dimenticabile anche la performance dei Dear Jack, che alla prima uscita importante dopo Amici si sono esibiti in playback.
MORRICONE E GLI ALTRI - Poco altro da segnalare, se non un'Elisa sempre sul pezzo con una notevole "Pagina bianca", Emma che sta cercando giustamente di rilanciare la bella "La mia città", maltrattata all'Eurovision Song Contest, e la figura di Ennio Morricone che, in un contesto così poco entusiasmante, è in grado di giganteggiare con la sola presenza. Ah sì, c'era anche una gara di "nuove proposte" ("Next generation"), ovviamente relegata a tardissima sera, sulla scia della deprecabile abitudine sanremese degli ultimi anni, e con canzoni in versione ridotta: inconcepibile la presenza in questa categoria di Alessandro Casillo, già vincitore del contest degli emergenti a Sanremo 2012 e con alle spalle discrete vendite del suo ultimo album; avrebbero meritato qualcosa in più i Moderni di "Un giorno qualunque", ha vinto Greta ma, ad occhio e croce, dovrebbe trattarsi di una vittoria di Pirro.
Basta così: rimane un interrogativo, lo stesso che gli addetti ai lavori si posero assistendo ai Festival di Sanremo degli anni Settanta, in piena decadenza: ha davvero senso una manifestazione così? Se deve continuare, la si riformi seriamente, ripartendo dall'edizione 2013 e accentuando i caratteri di innovazione, altrimenti la si chiuda per sempre e i premi vengano consegnati all'interno degli uffici delle case discografiche...
sinceramente non ho assistito al programma, se non con zapping comandato (dall'altra parte della casa, in cucina, qualcuno mi avvisava qualora ci fossero cantanti di mio gusto). A quanto pare ho fatto bene, non mi sono perso niente. Non sono manifestazioni che destano interesse, solo una stanca parata, una autocelebrazione dei presunti big in un mondo, quello discografico, che non ha quasi più ragion d'essere, come hai giustamente sottolineato. Su Moreno poi stendiamo un velo pietoso... Confido comunque in Conti per il Festival, c'è tempo sufficiente per allestire un'ottima kermesse
RispondiEliminaGianni G.
Quando ho ascoltato la canzone di Moreno son rimasto basito, non credevo alle mie orecchie, davvero. Costui è partito per la tangente, deve fare un bel bagno di umiltà e la vasca deve essere proprio piena fino all'orlo... Su tutto il resto poco da aggiungere, kermesse piatta, musica già sentita, autocelebrazione del tutto fuori luogo.
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