E’ stato fino in fondo il Festival della gioventù, del nuovo in poderosa avanzata, delle forze fresche che hanno preso definitivo possesso della più importante ribalta canora nazionale. Lo si era detto già in sede di presentazione, su questo blog, sottolineando la peculiarità di un cast di Big (o Campioni che dir si voglia) mai così aperto alla nouvelle vague della nostra canzone. Il trionfo di Francesco Gabbani ha semplicemente chiuso il cerchio, assurgendo a simbolo di un’era sanremese che può dirsi, ora, definitivamente iniziata. L'era del Sanremo 2.0.
NUOVA DIMENSIONE - E’ un trionfo dalle molteplici implicazioni, quello del ragazzone toscano, al di là dei record abbattuti: primo campione delle Nuove proposte ad imporsi fra i Big a un solo anno di distanza, prima canzone ironica e scanzonata (non demenziale, attenzione) a trionfare nella categoria regina (c’erano andati vicini Arbore nell’86 e gli Elii in due occasioni, 1996 e 2013. "Chi non lavora non fa l'amore" del '70 ci si avvicina ma è un caso diverso, è una canzone dai contorni più indefiniti, vagamente politica, vagamente scherzosa). Ma non è solo questo: con Gabbani, ripetiamo, Sanremo archivia definitivamente un capitolo della sua storia e si fionda a pieno titolo nell’età contemporanea. Non può essere un caso che un pezzo come “Occidentali’s karma” conquisti la medaglia d’oro nell’anno in cui la kermesse ligure ha finalmente preso pienamente, totalmente coscienza delle proprie potenzialità multimediali, ed ha così invaso massicciamente web, social e altre piattaforme tecnologiche, a livelli mai visti prima. Il Festival del 2017 è il Festival che si volta indietro non con nostalgia ma con rispetto, che sa dare ancora chance a veterani che abbiano qualcosa da dire, ma che tiene in sempre più grande considerazione le generazioni di musicisti emergenti, e tutti coloro che seguono e sostengono questi musicisti.
L'IMPORTANZA DI "SANREMO GIOVANI" - Gabbani primo, ed Ermal Meta terzo: anche questo è un segnale di grandissimo peso. Sono le due rivelazioni di Sanremo 2016, che hanno poi continuato con soddisfazione il loro cammino nei mesi successivi per ripresentarsi alfine in Riviera come Big a pieno titolo. E’ un evidente messaggio di vitalità che giunge dal vivaio sanremese, proprio sul filo di lana di un'edizione in cui la sezione Nuove proposte, lo scrivevo ieri, ha un po' segnato il passo. Ma la categoria dei debuttanti (o quasi) rimane una colonna della macchina – Festival: non va gettata alle ortiche, va solo ripensata e migliorata, partendo dalle basi, ossia da un più accurato lavoro di scouting che strizzi meno l’occhio ai ragazzi passati dai talent televisivi, per riservare maggior attenzione a chi ha fatto la gavetta percorrendo altre strade. Solo così il girone che ha dato i natali a tanti vip del pop nostrano potrà non scadere a brutta copia dei vari “Amici” ed “X factor”, e riconquistare una propria precisa identità.
LA SPLENDENTE PAOLA TURCI - Il 67esimo Sanremo, si diceva, ha puntato sul nuovo senza lasciare indietro chi ha già alle spalle carriere luccicanti e bacheche piene di allori: fra Gabbani e Meta si è inserita Fiorella Mannoia, favoritissima della vigilia ma infine anche lei travolta dall’onda giovane. Ma questo Festival ha avuto soprattutto il volto pulito, brillante, energico di una Paola Turci che ha toccato vette sublimi, splendida nella sua maturità professionale e umana, emozionante, capace di emanare, dal palco, una luce speciale, come solo i fuoriclasse della musica sanno fare. E’ arrivata con un progetto solido, sentito, vissuto, e ha fatto breccia nel cuore del pubblico. Ci fosse stato un podio “allargato”, Paoletta avrebbe dovuto trovarvi spazio, invece è stata relegata “solo” al quinto posto, per via dell’incomprensibile quarta posizione raggiunta dall’incolore proposta di Michele Bravi, uno dei periodici misteri sanremesi al quale ho ormai fatto il callo, ma che ha sparso un po’ il sale della delusione sulla coda di una kermesse invece riuscitissima in molte sue espressioni.
TUTTI I BIG "SUL PEZZO" - La finalissima è risultata ritmata e scorrevole perlomeno fin quando si è trattato di far sfilare i sedici finalisti. I quali si sono espressi tutti su livelli medio - alti: anche chi aveva parzialmente deluso nelle precedenti uscite questa volta non ha steccato, penso ad esempio a Lodovica Comello, che dopo qualche incertezza all'esordio è progressivamente salita di tono regalando, ieri sera, una performance impeccabile. Si è vista una Chiara più matura e credibile: il suo pezzo non farà magari breccia sul mercato, ma lei ha dimostrato finalmente di avere acquisito consapevolezza dei suoi mezzi artistici e di poter reggere con assoluta dignità ribalte così impegnative; è uno di quei casi in cui la prestazione individuale ha un significato maggiore, in prospettiva, rispetto al valore della canzone presentata, comunque non disprezzabile.
L'INCIDENTE DI ALESSIO - Anche Samuel dei Subsonica può dirsi comunque soddisfatto, avendo portato nella top ten conclusiva un genere certo non ostico né elitario, ma che non sempre ha ottenuto adeguati riconoscimenti in terra ligure. In crescendo pure Alessio Bernabei, vittima di critiche fin troppo accanite ma anche di un incredibile incidente tecnico (sfuggito quasi a tutti), una telecamera che l'ha investito in pieno volto nel corso di un cambio di inquadratura: il giovanotto ha continuato a cantare con non chalance, dimostrando così di saper far fronte ai più assurdi imprevisti "on stage". Il trionfo di Gabbani è maturato anche sulle ali di una performance di notevole impatto visivo, grazie alla preziosa spalla della "scimmia" (citata più volte nel testo), ma la sua coreografia non è stata decisiva: ormai il pubblico è abituato a queste trovate, e del resto uguale peso specifico hanno avuto esibizioni più sobrie ma di grandissima forza emotiva, come quella della citata Turci o della stessa Mannoia, la quale basta a se stessa con una presenza scenica di gran carisma. Altre considerazioni sui brani le rimando a un eventuale pagellone da stilare in giornata.
BRODO ALLUNGATO - Si diceva dello show: fluido durante lo svolgimento della prima fase del concorso, poi un brodo allungato all'inverosimile come in certe edizioni del passato recente, caratterizzate da una penuria assoluta di concorrenti e quindi dalla necessità di riempire in qualche modo gli spazi televisivi. E' arrivato di tutto, sul palco: dal prezzemolino Cracco (che nel citare la sua "canzone di Sanremo" ha scambiato Luis Miguel con Miguel Bosè, complimenti) a una sconosciuta modella francese di origini italiane, di cui si poteva fare benissimo a meno.
E' stato invece piacevole rivedere all'Ariston, dopo ben quattordici anni, un Montesano la cui comicità un po' demodé risulta pur sempre gradevole, e tutto sommato anche una Geppi Cucciari decisamente a fuoco, capace di passare attraverso vari registri, ironia leggera (il monoscopio come controprogrammazione al Festival da parte di Canale 5...), sarcasmo sferzante e serietà assoluta nel condannare certe derive giornalistiche di marca sessista. Zucchero, in due fasi diverse, ha regalato momenti di grande spessore artistico, del resto è un fuoriclasse del "live" e in tale dimensione dà il meglio di sé, da sempre. Ho trovato invece superflui il balletto Tim (vabbè, era lo sponsor unico...) e soprattutto la solita voce fuori campo di una Mina sempre alla larga dalle telecamere, e il cui mito dell'invisibilità e dell'inavvicinabilità comincia a risultarmi fastidioso.
E' stato invece piacevole rivedere all'Ariston, dopo ben quattordici anni, un Montesano la cui comicità un po' demodé risulta pur sempre gradevole, e tutto sommato anche una Geppi Cucciari decisamente a fuoco, capace di passare attraverso vari registri, ironia leggera (il monoscopio come controprogrammazione al Festival da parte di Canale 5...), sarcasmo sferzante e serietà assoluta nel condannare certe derive giornalistiche di marca sessista. Zucchero, in due fasi diverse, ha regalato momenti di grande spessore artistico, del resto è un fuoriclasse del "live" e in tale dimensione dà il meglio di sé, da sempre. Ho trovato invece superflui il balletto Tim (vabbè, era lo sponsor unico...) e soprattutto la solita voce fuori campo di una Mina sempre alla larga dalle telecamere, e il cui mito dell'invisibilità e dell'inavvicinabilità comincia a risultarmi fastidioso.
L'EREDITA' DI CONTI - In totale, cinque ore di spettacolo, delle quali una, almeno, era assolutamente evitabile. Quest'anno si è davvero ecceduto nei passaggi promozionali pro Rai, mentre si può segnalare un'altra "quasi novità": un brano escluso nella fase di selezione dei Big proposto comunque in sede sanremese, nel caso specifico "Pace" del duo Amara - Paolo Vallesi, sentito a notte fonda. E' accaduto pochissime volte nella storia della rassegna, forse solo con Frassica l'anno scorso e con Papaleo nel 2012. Il caso Povia fu diverso, in quanto "I bambini fanno oh" venne esclusa per motivi tecnici (non era inedita, se non ricordo male) e non per una scelta artistica della commissione d'ascolto. Resta una considerazione "a caldo": se Sanremo è entrato... nel futuro, ora sulla kermesse pesa la pesante incognita dell'addio di Conti. Inevitabile, perché di Baudo ce n'è uno solo e dopo tre anni così intensi ci sta di volersi prendere una pausa. Ma non è un passaggio di consegne come tanti altri del passato: l'anchorman toscano ha lasciato un'impronta tangibile, pesante, decisiva nel DNA della manifestazione, ha lanciato una "formula Festival" che, strizzando l'occhio al passato, ha saputo cogliere gli input del presente e proiettarsi in avanti. Il suo è stato un Sanremo "music - show" moderno, evento non più solo per un pubblico dai quarant'anni in su, un format dal quale non si potrà più tornare indietro. Chi potrà raccogliere una così pesante "eredità"?
Nessun commento:
Posta un commento