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sabato 11 febbraio 2017

SANREMO 2017 VERSO LA FINALE: MANNOIA, META, TURCI E GABBANI IN PRIMA FILA, MA...


Sulla bocca di tutti c'è un poker di nomi: Mannoia, Turci, Meta, Gabbani. Alla vigilia della finalissima di Sanremo 2017, mi riesce difficile pensare a un vincitore diverso da quelli citati. Dopo il secondo ascolto del venerdì, i loro brani sono quelli che più nitidamente si stagliano sopra gli altri. E' un poker in cui c'è tutto ciò che il minestrone festivaliero deve offrire: tradizione e modernità, melodia e ritmo, leggerezza e impegno, pop sfrenato e taglio cantautoriale. Uno sguardo piuttosto attendibile, pur se non completo, sul panorama musicale nostrano della fase storica in corso. Sono anche, forse, i quattro brani più intensi ed elaborati, sul piano della scrittura dei versi: l'inno alla vita di Fiorella, Paoletta all'apice della maturità con le sue riflessioni sulla necessità di volersi bene e sulla bellezza che vola al di sopra del trascorrere del tempo, Ermal con una storia cruda di violenza che apre però orizzonti di speranza, ma anche il brillante guazzabuglio testuale del vincitore delle Nuove proposte 2016, sostenuto da un tappeto sonoro energico e trascinante. 
PIU' ATTENZIONE AI TESTI - Quattro canzoni che dimostrano come, in questa edizione, ci sia stata una maggiore attenzione ai testi, magari sacrificando qualcosa all'orecchiabilità. Una considerazione che vale anche per altre composizioni in gara, ma forse le quattro di cui si parla sono quelle che maggiormente hanno saputo sposare parole e musica in un mix efficace e accattivante. Mannoia favorita, ma non favoritissima, e sinceramente non mi stupirebbe un sorpasso da parte di qualcuno degli altri, le cui quotazioni sono state in continuo crescendo da martedì in poi. Certo, stiamo ragionando "al buio", in quanto nulla sappiamo di numero di voti, di percentuali e di distacchi maturati in queste serate, dati che potrebbero fornire appigli più oggettivi per stilare pronostici. In questo senso, non sono da sottovalutare altre alternative ai favoritissimi: i nomi più interessanti, in tal senso e a mio avviso, sono quelli di Elodie, Sergio Sylvestre, Fabrizio Moro, Chiara e Lodovica Comello. 
GLI OUTSIDERS - Vediamo perché, brevemente: la trionfatrice di X Factor 2012 sembra finalmente essere uscita dal bozzolo, si è presentata in vesti convincenti e nitide dopo i primi due approcci sanremesi (2013 e 2015), donando la sua voce cristallina ma non più fredda a un brano di stampo classico e di grande eleganza; tradizionale anche la proposta di Sylvestre, che non spicca per originalità ma è impreziosita dalla sua notevole possanza interpretativa; quello di Elodie è un dichiarato, palese omaggio alla tipica canzone "da Sanremo", parla di amore in modo ridondante e semplice come da tempo non accadeva, ed è rafforzata da una performance che riesce a unire perfezione tecnica e calore; nessun guizzo innovativo nemmeno da parte della teen idol di scuola Disney, che però ha una "Il cielo non mi basta" dal refrain che colpisce subito nel segno; infine, l'intensa ballata di Fabrizio Moro, che ne conferma la vena di autore assolutamente moderno, capace di arrivare al cuore con versi scarni e diretti, eppure pieni di poesia. 
PIU' CLASSICO CHE MODERNO - Quest'ultimo elenco dimostra come sia stato, sul piano musicale, un Sanremo che ha strizzato l'occhio alla tradizione italiana più di quanto fosse preventivabile alla vigilia, soprattutto in rapporto alla giovane età di molti Big e ai loro trascorsi: dalla Comello, ad esempio, era lecito attendersi sonorità più vigorose. Alla fine, però, il livello medio non mi pare essere stato malvagio. Non vanno dimenticati ad esempio un Samuel rispettoso del suo percorso artistico e assolutamente al passo coi tempi, nonché un Masini meno immediato ma pur sempre incisivo. Ma in tutti i finalisti c'è qualcosa da salvare, anche in quelli più bersagliati dalla critica: Clementino si è mantenuto sul dignitoso standard di dodici mesi fa, Bernabei ha confermato di saper dare il meglio nel genere dance - anni Duemila, mentre ho visto in crescita Bianca Atzei, toccata dalla grazia della sapiente penna di Kekko Silvestre, il quale, piaccia o meno, nel pop easy listening à la page ci nuota con perizia assoluta. 
IL PIANTO DI BIANCA - Mi ha un po' lasciato interdetto, semmai, il pianto che ha scosso la giovane interprete milanese nel bel mezzo della sua performance di ieri, cosa insolita in senso assoluto e mai vista, almeno a mia memoria, in sede di Festivalone (forse accadde a Nada nel '71, ma fu una riesecuzione post vittoria, con "Il cuore è uno zingaro"). Tendenzialmente credo sempre nella genuinità dei cantanti, e, chissà, si è forse trattato di uno sfogo spontaneo, arrivato nel momento meno opportuno (nel senso che ha rischiato di interrompere l'esibizione), nei confronti di un pubblico che ancora non è riuscito a capirla appieno. Spero per lei che questa sua partecipazione riesca ad abbattere tale muro di diffidenza. Fra gli esclusi, spiace soprattutto per Giusy Ferreri, che ha lanciato un brano di grande presa radiofonica e che, perlomeno nelle ultime due uscite, non mi è parsa così sottotono come dipinta da molti, e poi per Ron, la cui struggente ballad non è tanto lontana dalle vette delle sue migliori espressioni. 
NUOVE PROPOSTE: COSI' COSI' - La serata di ieri ha anche chiuso il girone delle Nuove proposte, con la vittoria di Lele che era diventata forse la più prevedibile, in una gara impoverita dalla "strage di favoriti" operata sistematicamente dalle giurie fin dal dicembre scorso. Prima era toccato all'orecchiabilissima Chiara Grispo e ai brillanti ed estrosi La Rua e The Shalalalas, e in questi giorni sono caduti prima Marianne Mirage e poi il frizzantino Tommaso Pini; tolto il brano un po' obsoleto di Leonardo La Macchia, restavano il cantautorato non banale di Maldestro e quello rabbioso ma un po' convenzionale di Francesco Guasti a sbarrare la strada al giovane napoletano, la cui "Ora mai" ha taglio contemporaneo e buona cantabilità. Resta però la sensazione che "Sanremo giovani 2017" abbia fatto segnare un passo indietro, sul piano della credibilità di una categoria che molti vorrebbero abolire, e che invece appena un anno fa aveva dimostrato la sua vitalità e la sua importanza per il futuro del Festivalone, visti i risultati ottenuti da Gabbani e da Meta sia nei mesi scorsi sia in questa settimana ligure. Il prossimo direttore artistico dovrà concentrare molte delle sue energie su questo settore fondamentale della macchina Festival. 
SHOW PIU' "POVERO" - Commozione della Atzei a parte, la serata di ieri è stata talmente piena di musica da aver lasciato uno spazio relativamente ridotto alle attrazioni extra. Sul fronte della qualità dello show, in generale, è parsa meno brillante rispetto al giovedì delle cover, che aveva invece fatto registrare una marcata salita di tono rispetto all'analoga serata dell'edizione precedente. Maurizio Crozza alterna buoni monologhi ad altri dimenticabili: quello di ieri rientrava nella seconda categoria, mentre il giovedì aveva fatto centro soprattutto con la perla di un Papa Francesco profondo conoscitore delle dinamiche interne dei Subsonica (!), finezza che a molti è sfuggita. 
Di Virginia Raffaele non ce n'è mai abbastanza, e ieri sarebbe stato bello averne una presenza più continuativa nell'arco delle oltre quattro ore di diretta (anche se la "sua" Sandra Milo avrebbe bisogno di una messa a punto), mentre è stato troppo lo spazio concesso a Marica Pellegrinelli, giovane consorte di Eros Ramazzotti. Mi ha fatto piacere, questo sì, sentire sul palco dell'Ariston uno dei miei brani preferiti di sempre, "Take my breath away", nell'omaggio al giurato Giorgio Moroder; forse si sta un po' esagerando con i passaggi simil pubblicitari per i nuovi prodotti Rai (ieri erano in pista la pur gradevole Antonella Clerici e Luca Zingaretti). 
IL CULTO DEL LAVORO - Riguardo a Maria De Filippi (brava, per carità, ma mi sfuggono davvero le ragioni dell'entusiasmo popolare per lei e per il suo stile di conduzione), mi pare abbia perso un po' di mordente dopo il promettente inizio, tornando ad essere sovrastata dalla guida sobria ma sicura di Carlo Conti. Le sue finestre dedicate al sociale non sempre sono state "a fuoco": eccellenti le vetrine dedicate ai vigili e ai volontari anti - terremoto martedì, e a nonno e nipote sopravvissuti alla strage di Nizza, ieri, un po' meno quella al lavoratore siciliano che non ha mai fatto assenze, perché, dal mio personalissimo punto di vista, chi rinuncia perfino alle ferie non può essere additato a modello per la Patria intera: le ferie sono un diritto e, suvvia, non si può vivere per lavorare. Poi, ognuno può regolare la propria sfera privata come meglio crede, trovare la propria strada per la felicità o quantomeno per una serena esistenza, ma i veri esempi da seguire sono altri. 

1 commento:

  1. bellissimo articolo.. sulla musica e le canzoni in fondo ci siamo già confrontati e allora dico la mia su altre questioni.. la De Filippi è così, non so se ti sia capitato (in alcuni frangenti non ti saresti perso assolutamente nulla) di vederla nei suoi programmi ma non mi aspettavo certo del brio da parte sua... Eppure fidati che per molti critici è lei che sta oscurando Conti... boh, a me pare assurdo, Carlo è in sella con sicurezza, altrochè... Crozza è in effetti altalenante, non ho visto il monologo di Papa Francesco purtroppo ma magari lo recupero :-) sugli ospiti invece hai perfettamente ragione... e il signore che ha rinunciato alle ferie che voleva darci da intendere? non lui, ma chi l'ha invitato... assurdo, proprio.. buona Finale

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