Si celebra oggi il cinquantesimo anniversario di un evento rimasto purtroppo, e incredibilmente, un unicum nella storia del calcio azzurro. Il 10 giugno del 1968, infatti, l'Italia si laureava campione d'Europa, battendo nella finale di Roma la Jugoslavia per 2 a 0. Prima e unica volta, e ribadisco che la cosa ha dell'incredibile: perché, dimenticando per un attimo la nostra amarissima e disastrosa assenza da Russia 2018, è inconcepibile una bacheca continentale così scarna, per una rappresentativa che ha messo insieme la bellezza di quattro titoli mondiali.
Non si può dire che quel lontano trionfo sia stato, nel tempo, scarsamente ricordato e celebrato, ma certo oggi può essere letto e analizzato sotto una luce nuova, vista la congiuntura negativa che sta attraversando il nostro calcio. Il peso specifico del titolo europeo "sessantottino" si può infatti mettere sullo stesso piano di altri due successi azzurri: la Coppa internazionale vinta nel 1930, perché fu la prima manifestazione di spessore vinta dalla nostra rappresentativa, e l'apoteosi di Madrid '82, perché interruppe un digiuno iridato di ben 44 anni, fu un volano potentissimo per la crescita del nostro movimento calcistico ed ebbe perfino un'incidenza sociale, segnando idealmente, secondo molti studiosi, l'uscita dal nero periodo del terrorismo per immettere il Paese in una breve ma intensa fase di benessere.
LA PROFONDA CRISI DEL DOPOGUERRA - Ebbene, la vittoria di cinquant'anni fa fu una liberazione, la luce in fondo all'oscuro tunnel che il pallone tricolore aveva imboccato nel dopoguerra, dopo gli anni Trenta vissuti da dominatori assoluti in Europa e nel mondo. Ci fu l'illusione del Grande Torino, spazzato via dalla tragedia di Superga, ci furono gli stenti del conflitto che pregiudicarono la corretta crescita e maturazione fisica di una generazione di calciatori, ci furono scelte penalizzanti per la Nazionale come l'acquisto di troppi stranieri da parte dei club e la troppo disinvolta naturalizzazione soprattutto di elementi provenienti dal Sudamerica, cosicché indossarono la maglia color cielo campioni di fuorivia come Schiaffino, Ghiggia, Montuori, Altafini e Sivori, senza peraltro apportare evidenti benefici, anzi. Una selezione nazionale che, oltretutto, veniva spesso affidata ad elefantiache e macchinose commissioni tecniche, invece che alla classica figura del Commissario Unico.
ROMA '60: RIFIORISCE LA SPERANZA - Dal 1950 al '66, l'Italia divenne una cenerentola del football internazionale: eliminata al primo turno nelle Coppe del mondo del '50 e del '54, toccò il fondo non qualificandosi nemmeno per la fase finale di Svezia '58, estromessa dall'Irlanda del Nord. I primi, timidi segnali di risveglio ci furono all'inizio degli anni Sessanta, ma in una forma del tutto inattesa, grazie alle rappresentativa olimpica messa insieme alla bell'e meglio per partecipare al torneo calcistico dei Giochi del 1960, tenutisi a Roma. Quella squadra, guidata da Gipo Viani, allineò la "meglio gioventù" di un vivaio che era, evidentemente, in netta ripresa: ne vennero chiamati a far parte validi atleti come Tumburus, Trebbi, Salvadore, Trapattoni, Ferrini, Tomeazzi, e futuri mostri sacri come Burgnich, Bulgarelli e Rivera. Nonostante lo scetticismo degli osservatori, l'Italia a cinque cerchi disputò un'ottima competizione, con la perla del successo sul Brasile per 3-1, approdò alla semifinale dove fermò sull'1 a 1 la fortissima Jugoslavia, che si impose solo per sorteggio, e perse immeritatamente anche la finale per il bronzo, cedendo di misura all'Ungheria. Ma l'impressione positiva suscitata dai nostri portabandiera fu notevole.
LA SVOLTA DOPO LA COREA - Il momento nero del calcio nostrano stava per concludersi, ma ci furono ancora amare disillusioni, come la tempestosa esperienza del Mondiale cileno e l'umiliante resa di fronte alla Corea del Nord a Inghilterra '66: insomma, il seme era gettato, occorreva solo avere pazienza e correggere la rotta quel tanto che bastava per cogliere i frutti di un lavoro lungo e paziente. Dopo la disfatta di Middlesbrough, la Nazionale venne presa in mano da Ferruccio Valcareggi, che per quattro partite condivise la guida tecnica con Helenio Herrera, prima di rimanere da solo in sella. I ragazzi che avevano fatto naufragio Oltremanica, ossia Albertosi e Burgnich, Facchetti e Salvadore, Rosato e Bulgarelli, Rivera e Mazzola, ebbero modo di riscattarsi e dimostrarono tutto il loro valore, chi più chi meno; altri emergenti si aggiunsero al gruppo incrementandone il tasso di classe, atletico e caratteriale, in primis Domenghini e Riva.
CARATTERE AZZURRO CONTRO LA BULGARIA - Il girone eliminatorio di Euro '68 venne vinto prevalendo su Svizzera, Romania e Cipro. All'epoca il campionato continentale funzionava assai diversamente rispetto ad oggi: solo otto squadre superavano la fase di qualificazione, dopodiché si affrontavano in quarti di finale con gare di andata e ritorno; la "fase finale", quella che da Euro 2016 prevede la partecipazione di ben 24 squadre, era limitata alle sole semifinaliste, che si ritrovavano in un singolo Paese per le sfide decisive. Dopo il sorteggio dei quarti, che ci oppose alla Bulgaria, si seppe che, in caso di nostro superamento del turno, il torneo conclusivo si sarebbe svolto proprio in Italia.
Così avvenne, anche se prevalere sulla formazione balcanica non fu affatto facile: aveva estromesso in precedenza il Portogallo di Eusebio, terzo al Mondiale inglese, e schierava elementi di assoluto valore come Asparukov e Jakimov. Gli azzurri persero 2-3 a Sofia, in un match assai duro che vide finalmente venir fuori la personalità e la saldezza morale della nostra squadra, fino ad allora accusata spesso di essere troppo arrendevole psicologicamente quando giocava all'estero. Gli uomini di Valcareggi seppero limitare i danni, nonostante un avversario scatenato e numerosi affronti della sfortuna: due pali colpiti, Picchi infortunato che lasciò i suoi in dieci (le sostituzioni non erano ancora ammesse, se non per il portiere), Albertosi costretto anche lui al forfait in corso d'opera, essendo rimasto contuso in occasione del secondo gol bulgaro. Nel ritorno di Napoli, pur non brillando, l'Italia capovolse il risultato grazie agli acuti di Pierino Prati, testa in tuffo su traversone di Rivera, e di Domenghini con una sua classica punizione.bomba (una "costante" di questa favola azzurra: ne riparleremo più avanti). Una gara memorabile anche per un altro motivo: l'esordio assoluto di Dino Zoff, un esordio fortunato, primo capitolo di una carriera sensazionale.
LE MIGLIORI D'EUROPA SI RITROVANO IN ITALIA - Fu così semifinale, e fu ufficializzato l'onere, per il nostro paese, di ospitare le sfide decisive per il titolo. Ci avrebbero fatto compagnia la poderosa URSS del tempo (vinse il primo Europeo nel '60, fu medaglia d'argento nel '64), l'Inghilterra campione mondiale in carica, e la sorpresa Jugoslavia, che prima di travolgere la Francia nei quarti aveva eliminato la Germania Ovest, complice anche il clamoroso pari in Albania dei tedeschi. (1 - CONTINUA)
Nessun commento:
Posta un commento