Powered By Blogger

martedì 19 novembre 2019

VERSO EURO 2020: NON SOLO RECORD PER L'ITALIA DEL MANCIO. DIETRO LE CIFRE, UN GIOCO PREGEVOLE E GIOVANI IN CRESCITA COSTANTE

                                  Immobile e Belotti, gemelli del gol azzurri "in alternanza" (foto Guerin Sportivo)

Record su record, per la Nazionale del Mancio. Undici vittorie consecutive, solo successi nel girone di qualificazione europea, e poco ci mancava che si stabilisse un altro primato, il nuovo massimo scarto di gol della storia azzurra: ne bastava un altro paio con l'Armenia, ma accontentiamoci, per carità. Sono cifre di un'eloquenza granitica, che non garantiscono trionfi planetari per il futuro prossimo (Euro 2020) o un po' più lontano (Mondiali in Qatar, dove prima bisogna arrivare), ma dimostrano comunque che il cambio di marcia c'è stato, eccome se c'è stato. 
GIRONE ABBORDABILE, MA... - L'argomento del relativo valore degli avversari è valido e debole al contempo: perché non occorre essere profondi conoscitori delle vicende del pallone per accorgersi che non sono state battute delle corazzate, ma... Ecco, ci sono un sacco di ma: ad esempio i tanti gruppi facili in cui siamo capitati in passato, sia nelle eliminatorie che nelle fasi finali dei vari tornei, e nei quali abbiamo spesso messo insieme figure barbine che, a ricordarle, ancora si arrossisce. E poi il punto zero da cui il cittì è partito per questo viaggio: non eravamo più nessuno, una ex grande potenza calcistica rasa al suolo da un risultato umiliante, e in più bloccata da un handicap enorme, il rinnovamento che pareva impossibile, la difficoltà a trovar ricambi di valore già pronti per le grandi sfide, la mancanza di coraggio nel mettere alla prova le nuove leve. Questi erano gli sconfortanti blocchi di partenza di una Italia da ricostruire: a una stagione e mezza dall'avvento in panca dell'ex Bobby gol, la situazione è cambiata come dalla notte al giorno. Certo, il sorteggio ci ha aiutati, quella fortuna che un po' meritava, diciamocelo, una rappresentativa che ha contribuito ad alimentare la leggenda di questo sport, che ha messo insieme quattro titoli iridati e scritto pagine memorabili. Ma anche parlare di girone benevolo è relativo: ricordiamo che a giugno, al momento di incrociare i tacchetti con la Bosnia Erzegovina, non eravamo nemmeno sicuri di essere superiori a Dzeko, Pjanic e compagni. 
LA SVOLTA DELLO STADIUM - La nuova Azzurra è nata lì, allo Stadium torinese, in una serata di fine primavera: dopo un primo tempo che sembrò confermare la maggiore efficienza dei bosniaci, andati al riposo in vantaggio grazie al tocco sotto misura del bomber romanista, arrivò la reazione veemente dei nostri, una reazione però non affidata alla foga ma a una lucidità nell'interpretazione del match, una linearità di manovra, una sicurezza di palleggio che produssero le due stilettate di Insigne e Verratti, due prodezze balistiche che permisero di capovolgere con merito il risultato e di incamerare tre punti fondamentali. Da quel giorno non ci si è più fermati: punteggio pieno nel raggruppamento e, ciò che più conta, prestazioni contraddistinte quasi costantemente da espressioni di gioco di livello europeo.
BELLA A VEDERSI ED EFFICACE - Già, il gioco: altra "vittoria" centrata da Mancini in questa prima parte di gestione azzurra. La sua Selezione pratica, dal centrocampo in su, una manovra agile, rapida, esteticamente pregevole, efficace, sempre propositiva, ricordando in questo il primo biennio di Prandelli CT. Ma rispetto a quell'ormai lontano 2011-2012 c'è una maggiore perizia tecnica, una precisione nel tocco e nel trattamento del pallone che da tempo non ammiravamo in queste desolate lande calcistiche. Il Club Italia ha un'identità ben precisa e suona lo spartito con armonia, fatta salva qualche stecca qua e là, finora indolore. E' un meccanismo di squadra che ha radici solide e profonde, formatesi nel tempo, tanto che i primi vagiti in tal senso si videro nell'autunno 2018, a sprazzi nell'amichevole genovese con l'Ucraina e soprattutto nella straordinaria recita in casa della Polonia, l'altro snodo cruciale per la crescita della Nazionale insieme al citato match d'andata con la Bosnia. La differenza rispetto a un anno fa è che a Chorzow dovemmo aspettare l'acuto a tempo quasi scaduto di un difensore, Biraghi, per concretizzare la nostra schiacciante superiorità. 
COOPERATIVA DEL GOL - C'era, in quei giorni, il drammatico problema della mancanza di validi sbocchi offensivi, il rischio era quello di diventare come il Portogallo di un tempo, bello a vedersi ma tremendamente sterile. Le dieci gare del girone eliminatorio hanno invece fatto tirare un sospiro di sollievo: non abbiamo bomber epocali, Belotti si fa quasi sempre valere con dignità, Immobile ha qualche guizzo anche se in generale non riesce a replicare in azzurro l'infallibilità sotto porta che sfodera nella Lazio, Chiesa collabora attivamente all'azione ma manca ancora di un adeguato killer instinct; e tuttavia l'Italia attuale è soprattutto una cooperativa del gol, che porta alla conclusione vincente un pacchetto di centrocampisti dalla forte propensione alla spinta e di trequartisti che sanno essere micidiali incursori. Così, hanno trovato la via della rete Sensi, Barella, Lorenzo Pellegrini, e ieri sera a Palermo Zaniolo ha confermato il suo magic moment siglando una doppietta. Di quando in quando qualche acuto arriva anche dalla retroguardia: due segnature per Romagnoli, anche se con Liechtenstein e Armenia, una ciascuna per Bonucci e per il sontuoso Acerbi di questa annata. Residua qualche amnesia in fase di copertura, quasi inevitabile del resto quando si ha sempre la prua puntata verso la porta avversaria, ma almeno il dopo Buffon ci sta mostrando dei guardiani affidabilissimi: Donnarumma in Bosnia ha compiuto un paio di parate capolavoro, e sembra aver acquisito in azzurro quella continuità di rendimento che ancora gli fa in parte difetto nel Milan, mentre Sirigu col Toro sta disputando uno dei migliori campionati in carriera.  
AUTORITARI IN BOSNIA, IMPLACABILI AL BARBERA - Volando sulle ali di un gioco via via sempre più rodato, alimentato da una zona nevralgica densa di piedi buoni, il gruppo ha trovato sicurezza nei propri mezzi, disinvoltura nella gestione delle varie fasi di gara e capacità di tenere pallino: è passato con autorità a Zenica, quasi "scherzando" una rappresentativa dotata di notevole talento, ha giocato al tiro al bersaglio a Palermo con gli armeni, firmando un'altra piccola conquista: la capacità di goleare senza pietà quando ce n'è l'occasione, esattamente come fanno tutte le altre grandi (ma anche le "medie") del calcio mondiale e come noi, invece, non siamo quasi mai riusciti a fare (ricordiamo ancora certi striminziti 1-0 o 2-1 con colossi come Malta, Azerbaigian e Far Oer, per tacere del 2-2 del 2013 proprio contro l'Armenia, a Napoli, che ci privò del ruolo di testa di serie per Brasile 2014). 
PORTE APERTE AI GIOVANI - Guardando oltre le trionfali cifre, dunque, il bilancio è in ogni caso molto più ricco di luci che di ombre. Il merito più grande del Mancio rimane quello di aver dato larghissimo spazio alle verdi speranze del pallone tricolore. L'ho scritto più volte negli anni passati, anche nei momenti più bui del nostro calcio: ci possono essere alti e bassi, generazioni meno valide di altre, ma il nostro vivaio, per ragioni storiche e di DNA, non smetterà mai di produrre elementi di qualità. Il problema, in questo ventunesimo secolo, è sempre stato un altro: la scarsa fiducia riservata nei club agli emergenti, e la conseguente poca esperienza in fatto di partitissime ad alto livello.
In tal senso sono andate le esternazioni dei giorni scorsi di Antonio Conte da una parte e di Paolo Nicolato, trainer dell'Under 21, dall'altra. Il coach dell'Inter, dopo la sconfitta in Champions a Dortmund, ha lamentato il fatto di non poter chiedere l'impossibile a gente come Sensi e Barella, ottimi calciatori che però fino alla stagione scorsa difendevano i colori di  Sassuolo e Cagliari, e quindi privi, al momento, dell'abitudine a giocare su palcoscenici di rilievo internazionale. Uscita comunque discutibile per due motivi: primo, perché certe cose sarebbe meglio dirle direttamente ai propri dirigenti, secondo, perché se si costruisce una squadra attorno a due ragazzi come i sopra citati, bisogna accettare il fatto di dover operare soprattutto in prospettiva, cioè di mettere minuti e partite importanti nelle gambe di questi giovani per prepararli, magari già dalla prossima annata, a fare la voce grossa fuori dai confini. 
RAGAZZI ITALIANI DI NUOVO PROTAGONISTI - In questo, diciamolo, una grossa mano a Conte è arrivata e arriverà proprio da Mancini, che sta svezzando i due califfi del centrocampo nerazzurro al calor bianco di insidiosi confronti europei, con risultati oltremodo benefici sia per la Beneamata sia per il Club Italia. A tale aspetto si ricollega l'affermazione di Nicolato, il quale ha sottolineato come nella sua rosa attuale solo cinque giocatori siano titolari in A. Un problema che Note d'azzurro denuncia da tempi assolutamente non sospetti, e che tuttavia, almeno per i giovanotti già promossi nella Maggiore, sta trovando parziale soluzione: molti di loro sono protagonisti in campionato (si veda anche "la Nazionale del mese" che da ottobre compilo per la pagina Facebook del Guerin Sportivo), e certo ha avuto un ruolo fondamentale proprio l'atteggiamento determinato del  Mancio, che ha deciso di dare piena fiducia e spazio a ragazzi che spesso non sono dei punti fermissimi nei rispettivi club: pensiamo al Kean dell'anno scorso, al Biraghi di questi tempi e soprattutto allo Zaniolo convocato quando era ancora poco più che un pulcino.
Grazie a queste apparenti forzature, oggi abbiamo una rosa di venti - venticinque azzurrabili di ampio affidamento, alcuni letteralmente inventati dal nulla come Di Lorenzo, altri, come il citato Zaniolo e il baby Tonali, chiamati ad affrontare con esiti confortanti un processo di maturazione più veloce del previsto, altri ancora rivitalizzati come Bernardeschi, in ombra nella Juve ma sempre positivo in rappresentativa. Tutto questo, lo ripeto, non significa che vinceremo l'Europeo: significa semplicemente che abbiamo di nuovo un drappello di calciatori italiani in grado di andare in giro per l'Europa senza farci patire le pene dell'inferno, e anzi regalando spesso momenti di football godibile, con tanto di risultati anche fragorosi. E' solo una base su cui edificare, ma è una base discretamente solida. Il resto, forse, verrà. 

Nessun commento:

Posta un commento