Un'Italia "antica" eppur nuova, quella che ha strapazzato la Svizzera conquistando con un turno d'anticipo l'accesso agli ottavi. L'Azzurra del Mancio svela cammin facendo le sue risorse, che non sono infinite ma hanno se non altro il pregio dell'eterogeneità. In questi tre anni di gestione di Bobby-gol, e fino alla gara con la Turchia, abbiamo imparato ad apprezzare una squadra che gioca in punta di fioretto, facendo leva quasi esclusivamente sulle ottime doti di trattamento della palla e su una manovra avvolgente, elegante ed efficace. Ecco, ieri si è visto qualcosa di diverso e di più ricco: non che siano mancate le consuete trame in agilità e scioltezza, quel palleggio disinvolto che taglia in due gli schieramenti avversari consentendo vertiginosi approcci all'area nemica. Ma, forse per la prima volta, al pacchetto di mezzo non è toccato sostenere quasi per intero il peso del nostro gioco d'iniziativa.
CORALITA' E AGGRESSIVITA' - La Nazionale vittoriosa sugli elvetici è stata "squadra" nel senso più pieno del termine. Il collettivo ha fatto la differenza: partecipazione corale, tutti i settori impegnati in tutte le fasi, quasi un mini calcio totale, il che è una semplice annotazione tattica, senza voler indulgere in paragoni blasfemi con certi dream team del passato, paragoni al momento fuori luogo. E però è un fatto che mai come ieri all'Olimpico si sia vista un'armonia, una fusione quasi perfetta fra i reparti, nel segno di un'equa distribuzione dei compiti. L'apporto della terza linea, per dire, è stato determinante, ma non nel senso classico del termine. Perché non si è trattato di battersi in trincea contro opponenti all'assalto, questo no: certo la multietnica rappresentativa di Petkovic al tirar delle somme ha concluso pochissimo (doppia palla gol su tentativo di Zuber ottimamente neutralizzato da Donnarumma, poi poco altro), ma non ha manifestato la timidezza turca. Il suo approccio alla gara è stato notevolmente aggressivo, soprattutto all'inizio delle due frazioni, ma non solo: i nostri hanno dovuto quindi limitarne gli estri offensivi, e lo hanno fatto non chiudendosi a riccio nell'attesa del momento opportuno per ripartire, arma strategica comune a molte Italie del passato, ma alzando il baricentro, aggredendo in pressing con continuità, contrastando e impostando subito.
IL FONDAMENTALE APPORTO DELLA DIFESA - Tutti hanno svolto un ruolo attivo. Valga questa annotazione: nella zona nevralgica ha svettato Locatelli, non solo per i due gol che pure significano tantissimo, perché avere centrocampisti che segnano è fondamentale, questo Club Italia ne ha trovato un altro (dopo l'assaggio in Bulgaria nel marzo scorso) e conferma così una delle sue doti principali, un'arma difficilmente disinnescabile, ossia la capacità di andare a rete con diversi elementi della rosa, e non solo con le punte. E però, tolta la gara da califfo del giovane del Sassuolo, Jorginho ha svolto una tessitura preziosissima, costante, puntuale, senza sbagliare un pallone ma agendo tutto sommato sotto traccia, mentre Barella è andato a strappi, anche con qualche errore di misura pur se, tanto per gradire, ha fornito a Manuel il passaggio per il 2-0, confermandosi uomo decisivo negli snodi cruciali di ogni match.
Insomma, un reparto che al solito ha ampiamente fatto il suo dovere, ma forse, stavolta, non sarebbe bastato, da solo, a forzare il bunker svizzero, se non avesse avuto un sostanzioso aiuto da parte del resto della formazione. Dalla difesa non sono emersi i soli, consueti sganciamenti di Spinazzola, sempre positivo nella spinta e nel cross ma con la mira da aggiustare al momento di concludere (ha sprecato il 2-0 con un esterno destro fuori bersaglio), ma ha giganteggiato Di Lorenzo, insuperabile in copertura e costantemente presente in appoggio e in costruzione; Chiellini, finché è stato in campo, ha giocato spesso sulle trequarti elvetica, il suo sostituto Acerbi si è proiettato in avanti quando ha potuto, Bonucci ha scodellato un lancio che per poco non mandava in gol Immobile, formula ampiamente utilizzata in edizioni recenti del Club Italia, da Prandelli a Conte.
INSIGNE E IMMOBILE, I TUTTOFARE - E poi l'attacco: Berardi, coi sui cambi di passo, la sua velocità, la capacità di saltare l'uomo continua a mettere a ferro e fuoco le difese avversarie, e da una sua insistita iniziativa sulla destra è nato l'1-0 di Locatelli, il quale aveva oltretutto dato il via all'azione. Ma merita l'elogio pieno anche Insigne, che qualche commentatore ha bocciato ma che ha disputato una gara encomiabile per impegno, continuità, sacrificio, ripiegando a sostegno della seconda linea, partendo sovente da lontano e pagando così in termini di lucidità nei sedici metri finali; e anche Immobile non si è sottratto al lavoro di fatica, confermandosi poi in gran vena anche come suggeritore, visto che dai suoi piedi è partita la fase decisiva della manovra che ha prodotto il bolide di Locatelli per il bis. Gol e apporto di peso al gioco, non si poteva chiedere di meglio a Ciro dopo tante prove azzurre in chiaroscuro, ad esempio quella in Lituania che fece innervosire lui per primo.
GLI AVVERSARI "CHE NON ESISTONO" - Questo Club Italia così fresco e sbarazzino sta suscitando le reazioni più disparate: si moltiplicano le "cadute dal pero" (conferma inequivocabile del fatto che, negli ultimi tre anni, in molti non hanno visto nemmeno mezza partita della nostra rappresentativa); persistono gli scettici, che con impegno e cocciutaggine degne di miglior causa continuano a derubricare a nullità gli avversari degli azzurri, ma mano che vengono spazzati via. Poco importa che, come ricordato a commento della gara d'esordio, la Turchia fosse reduce da colossali imprese contro i campioni del mondo francesi e contro l'Olanda oggi esaltata da tutti (imprese compiute in gare ufficiali, non in amichevoli); e poco importa che la Svizzera occupi attualmente il 13esimo gradino del ranking FIFA, un solo posto dietro la Germania, uno davanti alla Croazia battuta dagli inglesi, tre davanti alla sopra citata Olanda. Strano destino davvero, quello di questa Selezione che non riesce a commuovere né con i risultati né con il gioco, laddove in passato ci si stringeva a coorte durante e dopo gare puramente catenacciare come quelle di Saint Denis '98 o di Amsterdam 2000.
IL MOMENTO DEI CALCOLI - Ora che abbiamo la certezza di accaparrarci uno dei primi due posti del gruppo, beh, spiace dirlo, è anche il momento dei calcoli, perché non siamo nati ieri e i percorsi post primo turno vanno studiati attentamente. Proprio questo "studio" permise all'Italia di Lippi 2006 di battersi per vincere il proprio girone e assicurarsi così una mezza autostrada fino alla semifinale; "astuzia" che non fu in grado di mettere in pratica l'Italia di Bearzot '82, complice una prima fase mediocre che ci recapitò in un secondo raggruppamento terribile; vero che da quella apparente sciagura sportiva nacquero poi le imprese epiche con Argentina e Brasile, ma nonostante tutto credo che, alla vigilia, quegli azzurri avrebbero pagato per capitare con avversari più abbordabili. In queste ore, lo spauracchio più concreto che si agita di fronte ai nostri occhi è la già evocata Olanda: vero che in Nations League le abbiamo preso quattro punti su sei giocando meglio, ma sarebbe meglio comunque evitare un confronto così precoce. Perché nelle gare a eliminazione, si sa, basta una giornata mezza storta per far svanire un sogno. Occhio...
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