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sabato 12 giugno 2021

EURO 2020: LUNGO LAVORO AI FIANCHI, POI GLI AZZURRI TRAVOLGONO LA TURCHIA. I TOP FIVE: BARELLA, BERARDI, IMMOBILE, SPINAZZOLA, JORGINHO

Da più parti si invoca equilibrio nel modo di approcciarsi alla Nazionale italiana e alle sue gesta. Troppo entusiasmo preventivo, si dice, e l'accusa non è del tutto campata per aria: si è cominciato assai presto, persino con uno show di prima serata su Rai 1 affidato ad Amadeus e addirittura con un documentario a puntate, sempre sull'ammiraglia, nella impegnativa fascia oraria dei Soliti ignoti. Poi gli spot della tv pubblica con festeggiamenti di vittorie azzurre che dovevano ancora arrivare. Infine, per giungere alla stretta attualità, qualche eccesso di ottimismo post trionfo nella gara d'esordio, non proprio un "Wembley, arriviamo", ma quasi. In parte è vero, ripeto, ma se equilibrio deve essere, deve esserlo a tutto tondo. Perché non è nemmeno giusto derubricare ogni successo dei nostri a ordinaria amministrazione, con la scusa che ogni avversario sia infallibilmente scarso, modesto, inesistente. E no: da possibile outsider, così l'avevano etichettata in molti, ora la Turchia è stata declassata a caricatura di squadra. La stessa caricatura di squadra che nelle qualificazioni ha preso quattro punti su sei alla Francia, e che nelle eliminatorie mondiali ha strapazzato l'Olanda, una selezione, fra l'altro, che viene sistematicamente considerata da certi esperti superiore alla nostra, e magari lo sarà anche, ma contro la quale, in Nations League, il team di Mancini ha esso pure fatto quattro punti su sei, andando a maramaldeggiare in trasferta ben al di là dello striminzito 1-0 finale. Qualcosa non quadra. 

LA TURCHIA NON E' UNA SCARTINA - So benissimo che quella di Gunes non è una big del continente, ma il ruolino di marcia recente prima citato, la solidità complessiva evidenziata a più riprese e diverse individualità di spicco ne facevano un'opponente della quale diffidare fortemente. Appena ieri si tessevano le lodi della sua difesa quasi impenetrabile, e dei gioielli Yazici e Yilmaz che hanno trascinato il Lille a uno storico scudetto in Francia, per tacere dei "nostri" Chalanoglu e Demiral. Ora, per dirla in gergo, hanno beccato pesante all'Olimpico e sono trattati come pezze da piedi. Ci vorrebbe meno strabismo nelle valutazioni critiche. Dopodiché, ripeto, questa Azzurra irriverente e garibaldina deve ancora consumarne, di suole, se vuole diventare grande, già mercoledì con la Svizzera il livello di difficoltà si alzerà di un altro piolo, ma la narrazione in base alla quale si vince perché si gioca sempre contro nessuno è inaccettabile, oltre a essere in buona sostanza non rispondente al vero. 

DIFENSIVISMO TURCO E IMPACCI NOSTRI - Mi ha sorpreso, questo sì, l'atteggiamento di estrema prudenza con cui gli ospiti hanno affrontato la gara. Una chiusura a riccio quasi al limite del catenaccio, e anche oltre, con ammucchiate e corridoi intasati dalla trequarti in giù. Forse perché era comunque lampante la superiore caratura tecnica del Club Italia, e lo stesso Gunes ne ha preso serenamente atto già prima di scendere in campo, pianificando una partita di attesa e ostruzionismo, cercando di far sfiancare gli azzurri nella continua e inutile ricerca di un varco buono, e fidando nella nostra mancanza di muscoli e centimetri in avanti. Nel primo tempo il disegno pareva avere qualche possibilità di riuscita: l'iniziativa era da subito di marca tricolore, come da copione, ma qualche errore di misura nei passaggi, insolito per il gruppo del Mancio, e qualche frazione di secondo di troppo nell'avvio e nell'elaborazione delle azioni consentivano ai rossi di contrastare efficacemente le nostre trame. 

LOCATELLI CRESCE CON MISURA, BARELLA SALE IN CATTEDRA - Qualcuno, giocoforza, ha anche avvertito il peso dell'esordio assoluto in un contesto così impegnativo, mai vissuto prima: come Locatelli, ad esempio, che per un po' si è limitato al piccolo cabotaggio, così come Barella a lungo non ha trovato le misure giuste per entrare con decisione nella fase di costruzione e di spinta. I grandi giocatori sanno superare questi comprensibili attimi di impaccio, e loro l'hanno fatto: il giovane del Sassuolo ha ripreso a tessere e palleggiare con la sicurezza e l'efficacia che gli sono proprie, pur senza svettare ma confermando la sua propensione alla conclusione a rete (un bel destro sul quale il guardiano turco si è salvato in corner), e ancor meglio ha fatto l'interista, tornato affidabile in copertura e autoritario negli inserimenti e in rifinitura, recitando da protagonista nelle tre azioni-gol, da autentico uomo-partita.

SPINAZZOLA, BERARDI, IMMOBILE, JORGINHO OK - Molti altri non hanno invece accusato il "braccino" della grande ribalta nemmeno per un minuto: non Spinazzola, freccia sempre acuminata sulla sinistra, buon crossatore e buon tiratore, con due conclusioni respinte da Cakir, la seconda delle quali ha portato al 2-0 di Immobile; non lo stesso centravanti laziale, vivo e attivo già nel difficile primo tempo e, come con la Repubblica Ceca, di nuovo assistman per Insigne, che ha sprecato una volta ma non ha fallito la seconda; e nemmeno Berardi, fin dall'inizio il più ispirato e ricco di iniziativa in prima linea, nei limiti di quanto concesso dalla muraglia allestita dai rivali, e propiziatore, col suo cross, della goffa autorete di Demiral; per tacere di Jorginho, dapprima silenzioso collante di un reparto che teneva saldamente le redini del match ma girava a vuoto, e poi califfo in una zona nevralgica che al comando sterile ha saputo infine aggiungere profondità e capacità di far male. Il citato Insigne è lievitato alla distanza dopo un primo tempo in cui è parso poco sul pezzo, ma nel complesso la sua presenza offensiva non ha avuto il peso che ci si aspettava. 

SEMPRE IN AVANTI - Ma sempre, anche in quell'ispida prima frazione "controvento", l'Italia ha pressato e giocato col muso puntato verso la porta avversaria, come da DNA ormai cristallizzato; e ha concluso tutto sommato parecchio, magari qualche volta in modo velleitario, ma ci ha provato, sganciando anche i difensori: e non è un caso che, in tanta penuria di spazi, sia stato Chiellini ad avvicinarsi maggiormente al gol con una inzuccata alzata in angolo dal portiere. Poi, la Dea Bendata ci ha dato una piccola mano per sbloccare il risultato, ma è stato un aiutino ben indirizzato verso chi più lo meritava. E in una serata del genere non è forse nemmeno il caso di sottolineare nuovamente la mancanza di una punta centrale di stazza e di grande concretezza, perché il problema persiste ma stavolta lo si è avvertito meno che in altre circostanze. 

BUONA PRODUZIONE OFFENSIVA - Ciro ha fatto in pieno il suo dovere. L'abbiamo già detto: un gol, due passaggi smarcanti, altri tiri insidiosi; sembra aver trovato la condizione giusta, e la giusta intesa coi compagni, proprio nell'occasione più importante, e contro avversari meno coperti potrebbe trovare quei metri in più per liberarsi ed essere ancor più letale. Merita fiducia. Così come la merita tutta la squadra che, al tirar delle somme, pur fra qualche imperfezione di manovra, pur parzialmente imbrigliata per quasi un'ora, alla fine ha messo insieme tre reti e almeno altre quattro mancate di poco (oltre a un penalty incredibilmente ignorato da arbitro e sala Var), per una produzione offensiva leggermente inferiore alla media ma comunque cospicua. E ora occhio alla sindrome della seconda partita, tante volte a noi fatale in passato. Perché non è vero che nei grandi tornei se parti bene sei già a un passo dal primo obiettivo (il passaggio del turno): occorre superare indenni almeno due ostacoli, prima di  programmare il futuro con discreta serenità.  

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