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venerdì 9 febbraio 2024

SANREMO '24, LA TERZA SERATA: PICCOLA RIVINCITA PER BALLAD E MELODIE TRADIZIONALI. ANGELINA LANCIATISSIMA, MR. RAIN AL CULMINE DELL'ISPIRAZIONE, BENE CROWE E MANNINO

 


E' un Sanremo dance, si dice. Beh, è vero, ma solo in parte. La serata di ieri, con il riascolto del secondo gruppo di canzoni, ci ha un po' riportati indietro nel tempo, nel solco della tradizione festivaliera propriamente detta. I riflettori si sono accesi su quello che quest'anno è considerato il lato oscuro della rassegna, un mondo canoro mediaticamente sommerso, popolato dagli irriducibili delle ballad e dell'amore romantico declamato a ugole spiegate, del profluvio di archi e pianoforte. 

E sì, Sanremo '24 è anche questo, ed è quasi sempre un buon sentire. Poi, certo, le opere ad alto tasso di ballabilità sono preponderanti come forse mai da queste parti, ma non c'è nulla di male perché, come ho già scritto nel pezzo di presentazione, in epoche nemmeno troppo lontane si era esagerato nel senso opposto, con un'offerta eccedente di ipermelodici che avevano allontanato la kermesse ligure dalla realtà discografica nostrana, dalle nuove tendenze all'epoca à la page. E tuttavia, almeno per una sera è tornata a dominare la dolcezza canora: ed ecco quindi la melodia un po' convenzionale di Alessandra Amoroso, ma anche la struggente, soffusa delicatezza  delle "Due altalene" di Mr. Rain, al vertice della vena ispiratrice nella capacità di mettere in musica le esperienze di vita proprie e altrui. Nel suo cambiamento di registro, allontanandosi dalla giocosità delle prime hit come aveva fatto Arisa a suo tempo, Sangiovanni si propone in "Finiscimi" sul filo dei canoni tradizionali sanremesi riguardo all'architettura strumentale, aprendosi invece nelle liriche a un linguaggio giovanilistico più nelle sue corde, risultando comunque comprensibile a tutti. Ed è una bella sorpresa Maninni, che ha saputo far proprie le lezioni di tanti maghi del genere, da Meta a Zarrillo, da Renga a Ultimo, adattandole alla propria indole e producendo una "Spettacolare" di notevole impatto emozionale. 

In questa... isola perduta in mezzo al mare di radiofonicità martellante, i più ardimentosi sono stati, e la cosa non sorprende, i Negramaro, che potevano arrivare e vincere facile e invece hanno scelto la difficile strada della raffinatezza, di una canzone complessa e articolata, in crescendo, impreziosita da evocative pennellate di un Dalla fine Settanta - primi Ottanta, con la sola trovata infelice del countdown stile Cape Canaveral piazzato nel finale. "Ricominciamo tutto", fosse stata in gara nelle edizioni del '99 o del 2000, con la giuria di qualità a dettare legge o quasi, sarebbe stata probabilissima vincitrice. Ugualmente non banale ma più immediata l'incalzante ballata di Diodato, dalla splendida orchestrazione, un ricco tappeto di note che trasmette grande serenità, con l'usuale mix di malinconia e speranza che è parte irrinunciabile della sua cifra compositiva. 

A metà del guado si posiziona Rose Villain, con una proposta spiazzante, da un lato furbetta perché tenta di intercettare fasce di pubblico agli antipodi, dall'altro comunque audace, proprio per la combinazione tra il genere lento nelle strofe, oltretutto eseguito con una voce di gran spessore, e il refrain ispido, duro, quasi di marca techno. Stesso discorso per i Santi Francesi, che però si muovono su stilemi sonori diversi: una via contemporanea al canto d'amore, con arrangiamento variegato e sofisticato e con la gradevole concessione al vintage rappresentato dal ricorso al sintetizzatore, che riproduce atmosfere "computerizzate" da primissimi anni Ottanta. 

Insomma, la "canzone da festival" non è del tutto scomparsa, ma sopravvive, e non è un male, seguendo spesso percorsi di costruzione più articolati e moderni, altre volte consegnandosi senza remore alla sicurezza dei canovacci old school. In questo contesto, stupisce che ad abbandonare le antiche certezze siano stati i Ricchi e Poveri, che nella nuova veste discoteca-style stanno piacendo a molti ma non a me, che li trovo un po' come pesci fuor d'acqua, non troppo credibili, oltre che, mi è parso, in difficoltà vocale in alcuni passaggi della performance. Possiamo parlare di richiami ai tempi che furono anche per due insospettabili: la rivelazione di serata, Il Tre, semplicemente perché ci ha riportati agli albori di certo rap italiano contaminato dal pop, quello acqua di rose che combinava piacevolezza del ritornello e strofe recitate, senza trascendere in versi troppo crudi, e anche i Bnkr44, i più sinceri portatori di una schietta voglia di gioventù, con la riscoperta di una struttura-canzone che ricorda in parte le boyband e più in generale  certi generi canori in voga  a cavallo dei due secoli. 

La serata ha decretato la conferma e il trionfo parziale di Angelina Mango, a questo punto quantomeno sicura piazzata. Convince perché portatrice di un genere raramente esplorato al Festival, e di un brano accattivante, coinvolgente e interpretato con personalità già in rilievo, con una vocalità intensa e sensuale, e con modalità esecutive uniche nel panorama italiano attuale, in cui quasi gigioneggia fra concessioni alla cadenza napoletana e gestualità da attrice. Apprezzabile "Casa mia" di Ghali, un pastiche di sonorità pop, dance ed elettronica decisamente efficace all'ascolto, e con un messaggio pacifista che davvero non guasta, in un Festival in cui sembra davvero un atto di coraggio riuscire a pronunciare qualche parola contro le guerre (è lontano il 2003, in cui i cantanti si presentavano con i colori della bandiera della pace). Non riesce a scalare posizioni Fiorella Mannoia, che non credo se ne adonterà, in quanto ciò che conta è la coerenza di un percorso artistico che la vede sempre su posizioni a favore delle donne, attraverso una canzone di taglio cantautorale vecchia maniera, con venature alla De Andrè, che sicuramente rimarrà nel suo repertorio, a prescindere da come andrà a finire sabato. I La Sad fanno i cattivi ragazzi negli atteggiamenti un po' sopra le righe (ma neanche tanto), ma di "Autodistruttivo" va salvato il messaggio positivo, la volontà di non rinunciare alla vita andando oltre ogni ostacolo, e nella struttura del pezzo il tocco e il piglio grintoso di Zanotti dei Pinguini si avvertono comunque nitidamente. 

Giusto dedicare gran parte dell'articolo alla gara, vera unica grande protagonista, lo ribadisco, del 74esimo festival, ma giusto anche dire che, dopo il clamoroso buco nell'acqua della presenza di John Travolta, ieri qualcosa di meglio si è visto, quanto agli elementi extra. Attorno a Russel Crowe è stato costruito un minishow dignitoso, con un'intervista fatta di poche ma interessanti domande (e altrettanto interessanti risposte), con l'esibizione canora dell'attore, con un clima generalmente più disteso e con una maggiore disponibilità della star, persino pronta a "perculare" Amadeus sul caso Qua qua dance. Conterà poco, ma questa ospitata era stata annunciata da tempo, al contrario di quella del divo di Pulp Fiction, e quindi preparata con cura e senza fretta, un dettaglio non da poco che mi ero permesso di sottolineare ieri. La vicenda legata a Travolta ha comunque aleggiato a lungo sull'Ariston: con l'intro di serata di Ama che ha rivendicato il carattere giocoso e leggero del siparietto, e con altre prese in giro bonarie, quelle di Eros Ramazzotti, al quale è stata concessa un fin troppo breve celebrazione di Terra promessa", eseguita, meraviglia delle meraviglie, con la stessa base del 1984, con quel sound che oggi sembra superato ma con cui noi ragazzi dei Settanta abbiamo convissuto a lungo in armonia e letizia.  

Promossa a pieni voti la co-co di turno Teresa Mannino, da me sempre apprezzata come performer comica: un vero peccato che negli ultimi anni abbia riservato le sue energie al solo teatro (con spettacoli comunque trasmessi anche sul piccolo schermo), limitando le sue apparizioni tv, dove avrebbe le potenzialità per condurre un one woman show cucitole addosso su misura. E, per noi genoani, commozione a go go grazie all'esibizione di Bresh, che ha lanciato in Eurovisione quella "Guasto d'amore" ormai divenuta inno ufficioso del club rossoblù. L'impegno sociale, che è comunque una delle colonne portanti della linea editoriale dei Sanremo targati Amadeus, ha portato sul palco il dramma delle morti sul lavoro, grazie alla struggente lettera di un padre al figlio che lo conoscerà solo tramite una foto, splendidamente interpretata da Stefano Massini, ormai una delle più importanti voci italiane del teatro di denuncia civile, con l'accompagnamento al piano di Paolo Jannacci. 

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