Sensazioni. Solo a quelle ci si può affidare, una volta superato lo scoglio del primo ascolto del pacchetto-canzoni offerto da Sanremo '24. Una mole imponente di nuove produzioni, succedutesi a ritmo sostenuto lungo uno spettacolo fiume snodatosi per oltre cinque ore televisive. E dunque, ditemi voi come si possa anche solo azzardare un giudizio, sia pur parziale, sui trenta pezzi del 74esimo puzzle rivierasco. Ecco, appunto, sarebbe un azzardo, e non invidio le certezze di chi già ha stilato le proprie pagelle a caldo. Operazione legittima, soprattutto nell'era dei social che richiede di essere sempre "sulla notizia" e di proporre il proprio commento prima degli altri. Legittima ma rischiosa, perché le valutazioni sui primi ascolti di una tale abbondanza di opere non possono che essere affrettate e superficiali, persino se escono dalla tastiera dei critici più smaliziati, non dico da parte di dilettanti come me, che dunque per il momento prudenzialmente mi astengo (anche perché, davvero, per quasi tutte le canzoni sono fermo a quanto sentito ieri sera "on stage"), e mi limito ad annotare, come detto, solo alcune sensazioni immediate avvertite durante la diretta.
Balza alle orecchie l'assenza di un brano che si stagli nitidamente al di sopra degli altri, come era accaduto per "Due vite" l'anno passato e, in misura minore, per "Brividi" nel '22. Soprattutto quello di Mengoni, era, anzi è, un "pezzone" che tutti, dalla stampa specializzata ai semplici ascoltatori, avevano avuto gioco facile nel pronosticare vincitore fin da subito. Quest'anno non è così, e non è detto che sia un male, anzi, è vero il contrario, perché ciò conferma quanto da me scritto ieri, ossia l'esistenza di un equilibrio esasperato nei quartieri alti, destinato a incrinarsi parzialmente solo dopo le due serate intermedie di oggi e domani. Un equilibrio costruito su fondamenta abbastanza solide, perché quello che si percepisce è un livello sostanzialmente più che dignitoso, pur se non siderale, dell'offerta musicale. In molte canzoni, questo sì, si è avvertita maggiore ricercatezza e minore immediatezza, ed è ciò che ha forse penalizzato i Negramaro, raffinati e nostalgici, in sede di prima, parzialissima classifica; in altre, pur gradevoli, sembra di primo acchito mancare la trovatina furba che assicura i primi posti delle charts, ma anche questo può essere visto come qualcosa di positivo, e in particolare è parsa coraggiosa l'attesissima Annalisa, che non ha la frase tormentone stile "Dove vaaaaai" o "Ho visto lei che bacia lui", ma porta comunque un singolo di notevole impatto, che non dovrebbe faticare a piazzarsi sia all'Ariston che fuori.
Sensazioni e prime impressioni, dicevamo: è piaciuta la sofisticata dance di Clara, la coerenza artistica di Angelina Mango con un genere che non scimmiotta nessuno e che a Sanremo ha sempre trovato pochissimo spazio, il sapore vintage che ha vagamente colorato di anni Ottanta l'autobiografica "Pazza" della Bertè, trionfatrice di tappa. Più di tutti mi hanno colpito Emma, con un brano di grande incisività radiofonica, e Mahmood, uno dei pochi per i quali ho potuto beneficiare di un secondo ascolto: dopo la parentesi romantica con Blanco, è tornato a cantare di sé e delle sue esperienze giovanili, lo stile è sempre quello ma capace di rinnovarsi costantemente, con un ritmo ipnotico e un uso del linguaggio più estremo di quello di tanti trapper, un vero e proprio slang giovanilistico infarcito di espressioni incomprensibili a chi abbia più di vent'anni. Suggestivo e d'atmosfera Diodato, vocalmente imponente Irama, nel solco della tradizione la sofferta ballad di Alessandra Amoroso, meno lirici e più pop i ragazzi del Volo, che si mantengono comunque nell'alveo dei canoni melodici sanremesi. E anche Mr. Rain, pur senza bambini a supporto, sembra avere le stimmate per ripetere con "Due altalene", almeno parzialmente, l'exploit dell'anno passato, con una composizione delicata e intimistica.
Queste ultime annotazioni confermano quanto si sospettava ieri, ovvero che ci sarà pure stato un incremento delle proposte ad alto tasso ritmico, ma non mancano, come è ovvio e doveroso che sia, le canzoni di stampo prettamente melodico, vecchia scuola italiana. Riguardo al comparto dance, forse solo ora si apprezza compiutamente l'importanza della partecipazione e del piazzamento di Lazza nell'edizione 2023: la sua ritmica, le sue sonorità, paiono far capolino in diversi brani, e non tutti sono riusciti a rivestirle di abiti nuovi e originali: attenzione, perché non basta appiattirsi su certi modelli per ripeterne il successo. I Kolors, se non altro, rifanno un po' il verso a loro stessi e, ad occhio e croce, si sono assicurati un altro tormentone dopo "Italodisco", vedremo se ugualmente destinato a lunga gloria.
Preferisco dire poco o nulla su chi si è esibito fra mezzanotte e l'una inoltrata: mente annebbiata (la mia), impossibile cogliere pregi e difetti, anche se mi è parso di percepire del buono in Alfa, Gazzelle e Il Tre. Discorso a parte per Dargen D'Amico, con una "Onda alta" straniante, che fa ballare, trascina, ha facile presa e però tratta un tema spinoso, quello dei migranti e dell'inferno nel Mediterraneo. Bene ha fatto il funambolico artista a lanciare un appello per la pace a esibizione conclusa; una presa di posizione che si ritrova anche nel testo di Ghali, per una "Casa mia" che va riascoltata e soppesata per bene.
Basta così, per ora. Qualche nota sullo spettacolo nel suo complesso, che ha offerto come unica sorpresa l'incursione di Ibrahimovic, di ritorno tre anni dopo la co-presentazione a teatro vuoto, Marco Mengoni ha giganteggiato come performer musicale e ha superato la prova come collaboratore di Amadeus, grazie ad alcuni semplici siparietti alimentati da un modo di fare da ingenuotto un po' a disagio nella grande kermesse. Una "intramuscolo" l'apparizione di Federica Brignone, di cui in questi termini non si avvertiva il bisogno, mentre anche Fiorello è andato sulla comicità "easy", con lo sketch del clone creato dall'intelligenza artificiale: si ride con poco, ma si ride, e al giorno d'oggi non tutti i comici di professione possono dire di sapere suscitare con tale abilità l'ilarità del pubblico. Ma tutto è sostanzialmente rimasto negli argini di una certa prevedibilità: certo, dopo l'apparizione del presidente della Repubblica dodici mesi fa, era difficile poter stupire, e allora ritorniamo a quanto si diceva ieri: la gara è tornata ad assumere centralità assoluta, sia pur diluita nell'arco di tante, troppe ore. Bene così. Discorso a parte per la presenza della mamma di Giogiò Cutolo, il giovane musicista ucciso a Napoli, che ha suscitato emozione e commozione vere con una lettera al figlio perduto priva di odio e carica di ricordi e di voglia di giustizia.
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