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domenica 11 febbraio 2024

SANREMO 2024: ANGELINA MANGO VINCE UNA GARA MOZZAFIATO, LA PIU' INCERTA DEGLI ULTIMI ANNI. NESSUN PICCO CANORO EPOCALE MA TANTI PEZZI DA HIT PARADE. GHALI E' ORA UN BIG PER TUTTI


E' caduta (letteralmente), si è rialzata, ha trionfato. La serata di Angelina Mango è stata un caleidoscopio di emozioni fortissime: prima il capitombolo in chiusura di esibizione, dovuto al grande trasporto con cui sempre interpreta "La noia" (e la mente è subito andata a un analogo patatrac che vide protagonista Loredana Bertè in un altro momento felice, quando si aggiudicò il Festivalbar '82), poi, a notte fonda, il traguardo tagliato per prima, un risultato da molti atteso ma tutt'altro che scontato, anzi. E così, si può proprio dire che la figlia d'arte sia passata in poche ore dal... tonfo al trionfo, e mi sarà permesso di scherzarci su, visto che la ragazza non si è fatta assolutamente nulla. 

ANGELINA, PERSONALITA' E NUOVO SOUND - Una vittoria significativa, sotto molti punti di vista. In primis, perché segna il decollo di un astro nascente della musica italiana, un talento puro che, personalmente, "inquadrai" per bene già nell'agosto scorso, in sede di commento qui sul blog della finalissima di Power Hits, la rassegna estiva di RTL 102.5: già allora, scrissi che la sua "Ci pensiamo domani" era per me il vero tormentone balneare, più della decoratissima "Italodisco". Da lì in poi, ho sempre data per certa la partecipazione di Angelina a questa edizione del Festival, ma non pensavo che potesse già arrivare a conquistare la medaglia più pregiata. Aggiudicarsi Sanremo così presto è sempre un rischio, un'arma a doppio taglio: solo il tempo ci dirà se sia stato un bene; oggi, all'indomani dell'evento, posso solo riconoscere l'indubbia unicità artistica di questa fanciulla. E qui veniamo a un altro aspetto rilevante del risultato di poche ore fa: Angelina, ben spalleggiata da un team di autori di prim'ordine, ha portato in gara un pezzo totalmente fuori dagli schemi festivalieri, ma anche non propriamente in linea con certe tendenze radiofoniche, perché la cumbia, per quanto adattata a certi stilemi contemporanei, non è il genere che va per la maggiore nel nostro Paese. E però funziona, è di impatto, grazie a una scrittura astuta, a un sound vivace e dai colori mediterranei e arabeggianti, e, torniamo al punto di partenza, alle doti performanti della cantante, che riesce a dare un'anima genuina e spontanea alle sue canzoni, e le "porge" con energia, aggressività positiva, personalità da autentico animale da palcoscenico e voce tutt'altro che anonima. 

ANNALISA POTEVA VINCERE DEGNAMENTE - In ogni caso, una vincitrice degna, il che non esclude un'altra considerazione: in misura diversa, molti altri avrebbero avuto titolo per occupare il gradino più alto del podio. Limitandoci alla cinquina finale, forse a mettere d'accordo tutti, o quasi, poteva essere Annalisa, che personalmente ritenevo la più meritevole, sia pur di un'incollatura, per titoli acquisiti in quasi quindici anni di carriera, per mole di consensi recenti e per abilità di un pezzo che, alla fine, rinnova con successo il filone inaugurato con  "Bellissima" e ne consolida la posizione di diva pop glamour del momento. E se Irama si è confermato uno splendido cantore moderno di atmosfere romantiche retrò eppure sempre di moda, con il suo struggente urlo d'amore, Ghali si è ripresentato al grande pubblico vincendo la sua sfida e guadagnando una credibilità che va oltre il suo consueto bacino di fruitori, abbattendo il muro del residuo scetticismo: "Casa mia" è una proposta fresca per eccellente grado di cantabilità in ogni sua parte, giusto compromesso fra lo stile ruvido di certa sua produzione passata e una maggiore immediatezza elettropop, e contiene un importante e ben chiaro messaggio pacifista, ribadito anche ieri sera in chiusura di esibizione con uno "stop al genocidio" che finalmente, dopo tante remore e timidezze, alla lunga ha fatto almeno parzialmente breccia sul palco dell'Ariston. 

GEOLIER E IL REGOLAMENTO - Discorso a parte per Geolier, sul quale comunque mi confermo: sul piano prettamente musicale, una sua affermazione non sarebbe stata scandalosa, anche se mi avrebbe lasciato un po' di amaro in bocca. Una trap urban ammorbidita con accenti  da neomelodico napoletano e un refrain ficcante, ossessionante. Il punto è che la sua ammissione in gara è frutto di un'interpretazione del regolamento assolutamente lecita (ci mancherebbe) ma attuata sul filo del rasoio e dell'equilibrio; nelle "tavole della legge" rivierasche, al paragrafo A del capitolo "Canzoni", si legge che il testo delle suddette "dovrà essere in lingua italiana. Si considera in lingua italiana anche il testo che contenga parole e/o locuzioni e/o brevi frasi in lingua dialettale e/o straniera (o di neo-idiomi o locuzioni verbali non aventi alcun significato letterale/linguistico), purché tali da non snaturarne il complessivo carattere italiano, sulla base delle valutazioni artistiche/editoriali del Direttore Artistico". Ecco, quest'ultima frase salva capra e cavoli, attribuendo peso dirimente alla sensibilità, al sentire e alla linea del responsabile massimo della manifestazione, ma è chiaro che, appunto, si ricama in punto di diritto, ed è ovvio che, dopo la vicenda che ha coinvolto il giovane partenopeo, il regolamento dell'anno prossimo dovrà essere adeguatamente aggiornato. 

INUTILE SCAGLIARSI CONTRO LE GIURIE - Sempre a proposito di Geolier, che come si vede ha catalizzato le poche polemiche di questa edizione relativamente alla gara, trovo tutto sommato stucchevoli le grida di dolore per il rovesciamento del verdetto del televoto da parte di sala stampa e radio: si è giunti a questo complesso sistema di "bilanciamento fra giurie" negli ultimi lustri, proprio per attutire l'impatto devastante e non sempre positivo che il voto tramite sms ebbe nei primi anni della sua introduzione, decretando vincitori senza grossi meriti e rivelatisi spesso effimeri. E' così da tempo, c'è un regolamento che cantanti, management e discografici leggono e accettano prima di affrontare la tenzone, e che, dai primi anni di questo secolo, la Rai mette giustamente on line, rendendone disponibile la consultazione a chiunque; cadere oggi dal pero e fare gli scandalizzati è fuori dal mondo. Insomma, questo meccanismo di riequilibrio è nei poteri delle giurie presenti in loco (in tempi più lontani se ne avvalse con disinvoltura anche la giuria di qualità, oggi non più esistente), a volte può avere esiti apprezzabili, altri più infelici, ma, insomma, fa legalmente parte del gioco. 

SANREMO THRILLING - E così, a notte fonda si è chiuso uno dei Festival più incerti e combattuti di sempre. Del resto, l'avevamo detto alla vigilia: almeno la metà dei concorrenti poteva legittimamente ambire a centrare il bersaglio grosso, sia pur con argomenti diversi e di diversa consistenza. Amadeus aveva allestito quest'anno un cast ricco di nomi di primissimo piano, soprattutto di big del momento, assolutamente sulla cresta dell'onda, nel cuore degli appassionati. Cast del genere danno prestigio all'evento e, indubbiamente, moltiplicano il loro potere promozionale a favore dei partecipanti, ma hanno anche il rovescio della medaglia, ossia che, in un mare immenso di proposte, fatalmente anche delle opere di pregio rischiano di perdersi e di scomparire nella massa. Ed ecco quindi che la melodia tradizionale a pieni polmoni del Volo, ariosa e d'impatto, non è mai riuscita a entrare nei giochi di alta classifica, clamoroso se si pensa alla popolarità internazionale del trio e ai risultati colti dallo stesso nelle due precedenti partecipazioni. E ancor più clamoroso è stato il buco nell'acqua in graduatoria dei Negramaro, il nome di spicco che il direttore aveva estratto quest'anno dal cilindro, sulla scia dei grandi ritorni recenti dei grossi calibri dell'ultimo ventennio, pensiamo a Elisa (2022) e Giorgia (2023). Erano nel lotto dei papabili, sono finiti nelle retrovie, colpa di una "Ricominciamo tutto" raffinata e complessa, non facile all'ascolto, che è salita di tono nel corso delle serate ma non abbastanza per tornare in lizza; una composizione di cui comunque torno a sottolineare le buone qualità, con il tocco di quell'omaggio al Dalla di fine Settanta - primi Ottanta, di cui non era facile riprodurre le atmosfere evocative e nostalgiche. 

DANCE, BALLAD E IMPEGNO - Dovrei citare molti altri artisti, fra chi ha raccolto meno di quanto seminato, ma per i dettagli rimando al pagellone audiovideo realizzato con Markus del canale You Tube "Profumo di Sanremo e non solo". Accenno solo alla sofisticata architettura sonora dei Santi Francesi, a cavallo fra attualità e riscoperta del passato con quel bel sintetizzatore eighties, la dance sostenuta in salsa Lazza, ma con una propria originalità, della bravissima Clara, il sound estivo di Emma, la cui "Apnea" potrebbe diventare un tormentone balneare, se riuscirà ad arrivare ai mesi caldi senza essere travolta dai tanti nuovi dischi che usciranno nel frattempo; e ancora la ballad di pregio di Maninni, che ha appreso, con intelligenza, le lezioni di tanti habitué del genere, Il Tre con un'altra operazione nostalgia rivolta in questo caso al sapore di rap-pop in salsa novantiana, e aggiungiamoci l'azzardata operazione di Dargen D'Amico, che per lanciare un importante messaggio di pace ha optato per un pezzo nelle sue corde, fatto di ritmi martellanti e massima orecchiabilità che rischiano di sommergere e far passare in secondo piano il significato del testo. Ad ogni modo, Dargen è stato il primo, martedì notte, a esporsi nella sua richiesta di cessate il fuoco, e con il passare delle serate qualcuno si è fatto avanti con coraggio, ma, dicevo, sempre troppo pochi, con il picco dello "stop al genocidio" invocato da Ghali. 

BUON LIVELLO MEDIO, TANTE HIT IN PECTORE, RISCHIO OMOLOGAZIONE - Ho citato tante canzoni, e altre ancora avrei potuto citarne (penso a quelle di Mahmood, Mr. Rain e Diodato, sulle quali mi ero comunque espresso positivamente nei giorni scorsi), ma, nel mio proverbiale ottimismo, credo di avere individuato un buon livello medio della proposta festivaliera appena ascoltata. Senza picchi come in anni passati, penso al Mengoni pigliatutto, ma con tante canzoni costruite con  astuzia, ben confezionate, con tutti i crismi per "spaccare" in radio, nelle charts, in streaming. Capolavori? A naso direi di no, ma brani con una loro precisa dignità e con la possibilità di farsi ricordare. Non vi piace un Sanremo così? Ci sarà modo di parlarne nel dettaglio. Troppa dance, si era detto quest'anno, e poi abbiamo visto che le proposte classiche, le melodie, le ballate hanno comunque avuto il loro vasto spazio. Poco spazio per certi generi più di nicchia, e su questo si può essere anche d'accordo, è uno degli aspetti su cui maggiormente si dovrà lavorare in futuro per non offrire una produzione troppo omologata. In questo senso, è balzata agli occhi la presenza massiccia di un ristretto numero di autori a firmare un elevato numero di canzoni; non è una novità, certi nomi che ricorrevano con costanza sono stati una caratteristica anche di Festival molto lontani nel tempo, forse nel 2024 si è un tantinello esagerato, ecco. Senza entrare in meccanismi di management, collaborazioni e rapporti professionali che non mi appartengono e che non conosco, penso sia normale che un interprete si affidi ai compositori più in voga, i re Mida della canzonetta che trasformano in oro tutto quel che scrivono; casomai posso rimproverare loro scarso coraggio nel non affidarsi anche a qualche autore emergente o comunque meno "sfruttato".

FESTIVAL COMMERCIALE, COME SEMPRE - Ma molti sembrano dimenticare cosa sia davvero Sanremo: una rassegna a carattere commerciale, che deve offrire essenzialmente (non esclusivamente) musica da classifica, "da canticchiare", composizioni che fanno vendere, che danno popolarità e riscontri economici ai cantanti e che quindi aiutano l'industria discografica a girare e a poter investire denaro su nuove produzioni e, si spera, su sempre più emergenti. E' sempre stato così, il Festivalone non è né il Tenco né Musicultura. Del resto, proprio sul piano discografico, gli esiti dei cinque anni di gestione Amadeus sono stati un crescendo rossiniano di certificazioni oro e platino; i cantanti fanno la fila sempre più numerosi per entrare nel cast, che dal 2020 si è allargato a dismisura anche per fare il minor numero di scontenti possibile; e qualche settimana fa Enzo Mazza, il presidente della Fimi, colui che a fine anni zero aveva pronosticato l'estinzione del Festival nel giro di poco tempo, ha chiesto a gran voce la riconferma di "Ama" alla luce degli straordinari risultati conseguiti. Questi sono dati oggettivi, che dimostrano come la gestione appena conclusasi, la linea editoriale emersa, pur con tutti i suoi limiti, era e rimane una delle migliori per la salute dell'universo canoro nostrano. 

E IL FUTURO? - Per tutto questo, l'abbandono ormai quasi sicuro dell'attuale responsabile (ma i vertici Rai sperano ancora di convincerlo a tornare sui suoi passi) apre problematiche non di poco conto. Innanzitutto perché non è facile scegliere un successore credibile (il ritorno della sicurezza Conti? Il clamoroso ripescaggio di Baglioni prima dell'annunciato ritiro? L'idea da me lanciata di Fiorella Mannoia? Una Pausini però ancora in piena attività, fra dischi e live?), e perché chi verrà dovrà ovviamente avere liberta di scelta e di realizzazione della sua idea di Festival, ma anche l'estrema umiltà, e direi l'intelligenza, di non toccare alcuni meccanismi e alcuni criteri di selezione messi a punto da Amadeus, che ha allineato Sanremo alla realtà musicale del nostro Paese come era riuscito a pochissimi prima di lui . E' di nuovo l'appuntamento più ambito da tutti, e chi ci va, soprattutto se nome di primo piano, lo fa con brani di spessore, mentre in epoche passate accadeva spesso che i big arrivassero con produzione di seconda scelta, riservandosi il meglio per altre occasioni. Si apre una successione difficile, insomma, forse la più difficile, perché l'anchorman siciliano non è stato il primo a sbancare l'Auditel (certo, questi livelli non si raggiungevano dai tempi del miglior Baudo), ma l'eredità principale del suo operato è appunto l'aver ridato all'evento assoluta centralità nell'andamento del mercato musicale. 

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