Se esistono ancora dubbi sul proseguimento dell'esperienza sanremese di Amadeus (sarà il diretto interessato a sciogliere la riserva a Festival concluso, come è giusto che sia), quanto accaduto ieri sera con e attorno a John Travolta dovrebbe essere interpretato come un segnale che un'epoca sta per chiudersi, o quantomeno come un campanello d'allarme. Chiariamo subito: il fallimento totale di una singola ospitata non può certo essere motivo sufficiente per bocciare in toto una direzione artistica che ha accumulato meriti innumerevoli nel quinquennio (sì, mettiamoci anche l'edizione in corso). Il mio è un discorso di più ampio respiro, che riguarda più la "sceneggiatura" dello show che non la scelta delle canzoni in gara: la costruzione del terribile siparietto con la superstar d'Oltreoceano ha mostrato, in maniera inequivocabile, che le idee cominciano a latitare, che la stanchezza del gruppo di lavoro sta emergendo sempre più nitidamente. Perché Fiorello ha rappresentato spesso, in questi anni, l'ancora di salvezza, la scappatoia con la quale uscire brillantemente da situazioni spinose (ricordate la leggerezza con cui gestì lo scazzo Bugo-Morgan, per non parlare dell'abilità con cui si destreggiò nel clima pesante del teatro vuoto in era Covid?), ma non si può sempre sperare che la sua capacità di improvvisazione e il suo talento comico partoriscano sistematicamente la genialata di turno. Stavolta non è successo, ed è normale che la formula Ama-Fiore possa mostrare la corda dopo un lustro ai massimi livelli.
Poi, certo, la questione è anche più complicata. Puntare su Fiorello e sulle sue idee finisce col risultare anche un alibi, perché dietro i due padroni di casa dovrebbe esserci una squadra di autori, profumatamente pagata per concepire qualcosa di più presentabile di quanto visto ieri, o comunque in grado di stoppare simili pseudo sketch prima che vadano in onda, capendone il potenziale nefasto. E dire, dopo, "vabbè, ma ci siamo divertiti" è un cavarsi di impiccio che sta cominciando a stufare, oltretutto mi pare che l'avesse sostenuto pure Blanco dopo la malriuscita performance floreale del 2023, quindi non insisterei su queste affermazioni.
E ancora, tutto questo è il risultato di una scelta di fondo doppiamente sbagliata: la scelta di continuare a cercare vip internazionali del cinema che rarissimamente hanno portato un valore aggiunto alla kermesse (ricordo solo una bella intervista a Sharon Stone nel 2003, poi sicuramente qualcos'altro che mi sfugge, ma in ogni caso poche gocce in un mare di mediocrità), e il fatto di concludere certi contratti a immediato ridosso della rassegna, quindi con pochissimo tempo a disposizione per preparare qualcosa di raffinato, ben costruito, godibile. Peccato davvero, perché il tutto era iniziato in maniera anche azzeccata, con le domande di Giorgia, poi la degenerazione, con la scontata banalità delle canzoni cult da ballare e con l'imbarazzante "Qua qua dance".
Che poi, intendiamoci, nulla contro la canzoncina di Romina Power che dominò la hit parade fra l'81 e l'82: mi spingo a dire che non c'è scandalo nel balletto "imposto" a Travolta, un divertissement che però avrebbe avuto senso in un altro contesto, inserito in un numero più lungo e articolato, in cui l'attore avrebbe dovuto avere spazio per muoversi su diversi registri, per fare cose serie e meno serie, per poi concludere con questa sorta di "svacco"; è stata invece il fulcro di una presenza di pochi minuti, alla quale, è vero, lo stesso protagonista, a disagio e poco incline ai sorrisi, non ha fornito nemmeno il minimo sindacale di verve. E anche questo è un punto interrogativo: d'accordo l'estrema tristezza della gag, ammessa a tarda notte dallo stesso Fiorello, ma John non era stato avvertito? E' stato colto di sorpresa? E se ne era a conoscenza, non poteva opporsi e dire "no, questa proprio non la faccio"? Misteri della televisione. In tutto questo, continuo a non trovare spiegazioni logiche alla scomparsa, dalla Riviera ligure, dei big del pop internazionale, che avrebbero in cambio una massiccia promozione e non dovrebbero nemmeno prestarsi a scenette senza sale, ma solo cantare uno o due pezzi. Ne basterebbero tre o quattro, di questi grossi nomi, nessuno pretende l'invasione degli anni Ottanta.
Insomma, una macchia non da poco su una serata che aveva anche mostrato come un'ospitata possa essere realizzata con tutti i crismi e risultare perfino emozionante, grazie al ritorno di Giovanni Allevi che non si è limitato a suonare (bene, per quel che me ne capisco) il pianoforte, ma ha anche raccontato con voce tremante il suo viaggio attraverso la malattia, invitando alla speranza, senza vergognarsi di chiedere comprensione per eventuali incertezze esecutive e plaudendo ai medici e alla ricerca, in una triste epoca in cui i medici sono spesso vittime dell'odio social, a volte addirittura aggrediti fisicamente, e la ricerca oggetto di scherno e derisione da parte dei laureati all'università della vita. E visto che abbiamo cominciato parlando della parte extragara, ma l'attualità lo imponeva, diciamo che la seconda co-co Giorgia è stata impeccabile ma, mi è parso, leggermente meno a suo agio nel ruolo di presentatrice aggiunta rispetto a Mengoni, meno a briglia sciolta, preferendo dare il meglio di sé nelle sue due performance canore. Quanto ai concorrenti che introducono altri concorrenti, è un'idea anche carina ma che non aggiunge nulla al racconto del Festival, se non la dimostrazione plastica che ormai larga parte dei cantanti sanno disimpegnarsi senza eccessivi problemi anche in ruoli che professionalmente non gli appartengono; del resto, la storia televisiva recente parla chiaro, coi vari Ruggeri, Mika e Nek che hanno indossato senza intoppi le vesti degli anchorman. Altri (e altre) seguiranno, scommetto.
Il secondo ascolto di metà dei brani in concorso ha permesso di schiarire parzialmente le idee, ma non al punto di capire quale potrebbe essere, sabato notte, il vincitore o la vincitrice assoluta. Conferme e sorprese, ma sorprese parziali: perché comunque si sapeva che Geolier avrebbe potuto contare su una massiccia spinta da parte di radio e televoto. Il pezzo ha indubbio sprint e pathos, è contemporaneo, martellante, anche variegato nell'arrangiamento e nell'architettura: può piazzarsi, ma non sarebbe, quanto a genere musicale, il mio trionfatore ideale. Convince sempre più Mahmood, che si rinnova nella continuità e, come accennato ieri, spinge senza compromessi su un linguaggio giovanilistico estremo che rischia di renderlo alieno e incomprensibile alla platea di mezza età. Ha guadagnato credibilità "Sinceramente" di Annalisa, che, come detto, non presenta trovatine acchiappa-ascolto clamorose ma ha una ritmica accattivante e passaggi testuali, come il "quando" ripetuto ossessivamente, che comunque ne fanno un'opera di sicura presa commerciale.
Conferma per la Bertè, la cui autobiografia ha una costruzione un po' altalenante nella poetica, con parti mature e altre un po' più di grana grossa, mentre la struttura complessiva della canzone rimanda, decisamente, allo stile compositivo di tanta musica leggera anni Ottanta, quella che dentro e fuori Sanremo si appiccicava subito alle orecchie. Pollice in su per Irama, che ha sfoderato una intensa e, direi, splendida canzone d'amore, anche meno scontata rispetto a quella "Ovunque sarai" che tanti consensi gli aveva portato due anni fa. Non mi sorprende il suo secondo posto di serata, mentre non mi aspettavo il fatto che, nelle prime due cinquine di questo Festival, non comparissero i ragazzi del Volo, con un classicone più pop e meno lirico, di grande impatto ed eseguito magistralmente. Per i Kolors è già tormentone totale (devo essere sincero: stanotte, quando stava per essere svelata la prima posizione parziale, mi aspettavo di trovare loro in vetta, e non Geolier, ma non credo che la vittoria sanremese sia in testa ai pensieri di Stash e compagni).
Tanta dance ma anche una rappresentanza tutt'altro che sparuta del melodico tradizionale. Detto dei convincenti Irama e Volo, non deludono sul piano interpretativo e dell'impasto vocale Renga e Nek, con una "Pazzo di te" forse un po' datata, mentre va riascoltato il non banale intimismo cantautorale di Gazzelle. Assolutamente trascinante l'Apnea di Emma, che pare più un brano da rassegne canore estive che da Sanremo, e proprio per questo potrebbe avere vita lunga. Abilmente confezionato per le radio e lo streaming "Il cielo non ci vuole" di Fred De Palma, col tocco di classe di alcuni inserti simil-sinfonici grazie al poderoso sostengo degli archi, ma in questo ambito stilistico si fanno preferire i "Diamanti grezzi" di Clara, con quella intro malinconica che sa tanto di Hooverphonic inizio secolo, spruzzate dello stile di Mahmood e una generale gradevolezza all'ascolto, così come sta emergendo Bigmama, che porta all'Ariston uno dei refrain più efficaci. Si conferma lo spessore di "Onda alta", un testo impegnato amplificato da un ritmo sostenuto con toni quasi drammatici, un messaggio che può arrivare maggiormente ai cuori delle persone grazie all'utilizzo di una modalità espressiva apprezzata dalle nuove generazioni. Interessante è "Vai" di Alfa, con quel marcato stile country all'americana, ma è un brano su cui va sospeso il giudizio, visto che, da quel che si legge e si sente in giro, non brillerebbe propriamente di originalità.
Nessun commento:
Posta un commento