Verratti (foto Guerin Sportivo)
Ormai è ufficiale: l'Italia c'è, c'è di nuovo, è ritornata. Io per primo, nel precedente articolo di commento al trionfo in Grecia, avevo sottolineato l'importanza di non esaltarsi e di aspettare test più probanti, per la giovane selezione di Roberto Mancini. Ebbene, il test impegnativo è arrivato, ed è stato superato con una brillantezza che, ad un certo punto della gara, pareva utopico auspicare. La Bosnia è squadra tosta, scaltra, di elevato tasso tecnico in numerosi elementi, non solo gli arcinoti Pjanic e Dzeko (Besic, Saric e Visca danno del tu al pallone). Per un'ora abbondante ha messo in grave imbarazzo i nostri, che tenevano pallino ma subivano ripetutamente la rapidità e la precisione delle ripartenze avversarie. In questo quadro tattico, il vantaggio ospite era stato quasi inevitabile: già Bonucci aveva salvato in scivolata su un inserimento di Visca, che poi forniva al centravanti della Roma un pallone comodo comodo per il tocco dello 0-1.
REAZIONE DI GIOCO, NON DI NERVI - Ma l'Italia ha saputo reagire, e lo ha fatto non di soli nervi, non solo attingendo a quell'orgoglio che è stato spesso, in passato, l'arma in più della nostra rappresentativa. Lo ha fatto cercando comunque di produrre gioco, nonostante un centrocampo che girava a scartamento ridotto grazie all'abilità dei bosniaci nel neutralizzarne le trame. Ha mantenuto una sua linearità di manovra, dapprima sofferta e spezzettata, poi via via sempre più "centrata", evitando assalti all'arma bianca che avrebbero, probabilmente, creato solo confusione e intasamento nell'area dei rivali. E' sintomo di una lucidità, di una consapevolezza nei propri mezzi che mai si erano palesate nella precedente gestione. Ed è merito di un gruppo di "piedi buoni" che stanno facendo dimenticare le imprecisioni e le incertezze di tocco cui negli ultimi anni ci eravamo tristemente abituati.
L'INSIGNE CHE ASPETTAVAMO DA TEMPO - La sensazione è che questa giovane Nazionale sappia sempre cosa fare, e sia pronta a opporre le adeguate contromisure ad imprevisti e contrarietà. Così, nella prima ora di gioco, col pacchetto di mezzo sovente saltato dai rapidi tagli in avanti dei biancoblù, si sono rivisti i centrali di difesa alzare il baricentro e giocare in appoggio, in particolare con Chiellini che giungeva spesso fin sulla trequarti e sfiorava addirittura il gol del pari mancando di poco una deviazione ravvicinata su cross di Insigne (ripetendosi poi nel secondo tempo con una poderosa inzuccata respinta d'istinto dal portiere). Già, Insigne: se due indizi possono cominciare a fare una prova, la seconda prestazione super dopo quella di Atene dimostra che il partenopeo si è finalmente preso le chiavi della prima linea azzurra, riesce a dare libero sfogo al suo estro giostrando con efficacia per se stesso e al servizio dei compagni. Ha tirato fuori da ogni impaccio la squadra con la strepitosa rete dell'1-1 in avvio di ripresa, destro al volo di rara potenza sugli sviluppi di un corner, e ha poi continuato a martellare la retroguardia di Prosinecki, chiamando Sehic a un gran intervento su colpo di testa e poi appoggiando a Verratti il pallone per il colpo di biliardo che, in zona Cesarini, è valso la vittoria che ci avvicina ad Euro 2020.
FINALE SPRINT DI VERRATTI: GIOCASSE SEMPRE COSI'... - Il talento e l'esperienza internazionale della stellina del PSG sono emersi alla lunga, dopo che l'aggressività bosniaca aveva a lungo costretto lui e i compagni di reparto a remare controcorrente. Nella zona nevralgica, il solo Barella ha retto la baracca nel momento peggiore, mostrando il suo volto di combattente che ne completa le doti propositive, ieri meno appariscenti rispetto alla trasferta ellenica; poi è venuto fuori Jorginho, con un gioco scarno ma fondamentale per ricreare equilibrio nel settore, e la chiusura, come detto, è stata tutta del "francese", che se giocasse sempre coi ritmi, la continuità, la precisione e la concretezza degli ultimi venti minuti sarebbe elemento di valore planetario.
I MERITI DELLA DIFESA; BERNARDESCHI GIU' DI TONO - Pur stregati dall'ondata offensiva finale, che ha visto il fresco Belotti fornire un contributo di notevole spessore fisico e Insigne sfiorare persino il 3 a 1 in contropiede poco prima del triplice fischio, non dobbiamo però dimenticare il ruolo decisivo recitato dalla terza linea per larghi tratti di gara. L'atalantino Mancini ha un po' sofferto nel tenere a bada gli avanti bosniaci, in particolare un Dzeko indiavolato, un perno offensivo che farebbe la fortuna di rappresentative anche più qualificate. Del duo juventino si è detto, mentre Emerson è stato costretto dalle circostanze a rimanere quasi sempre rintanato dietro, essendo invece un laterale che dà il meglio di sé in fase di spinta; ma merita una citazione anche Sirigu, che ha sfoderato sicurezza assoluta e coraggio, come quando è uscito su Dzeko strappandogli il pallone coi piedi. Fra lui, Donnarumma e l'ottimo Meret dell'ultima stagione napoletana, ci troviamo ad essere più coperti nel ruolo di quanto ci aspettassimo, dopo l'addio di Buffon. In avanti, come detto, Insigne uber alles; per il resto, Quagliarella ha avuto un solo pallone giocabile nel primo tempo e l'ha scagliato verso la porta di destro, consentendo a Sehic di prodursi nella miglior parata della serata, mentre ha deluso Bernardeschi, che col centrocampo in crisi avrebbe dovuto prendersi maggiori responsabilità in chiave creativa. Ma sono dettagli; importanti, certo, ma di sicuro nulla di irrimediabile. E poi si è ritrovato il feeling con le vittorie, senza le quali il morale resta sotto i tacchi e di strada se ne fa poca. Avanti così.
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