Sul piano del risultato, l'Europeo degli azzurrini non poteva iniziare in maniera migliore. Battuta, anche piuttosto nettamente, la Spagna dei nostri incubi, che sulla carta rappresentava l'ostacolo più duro del girone. Il tabù iberico cancellato dopo tempo immemore, soprattutto dopo le amarezze della finale 2013 e della semifinale 2017 (in particolare quest'ultima, in cui la Roja era parsa meno inarrivabile rispetto a quattro anni prima). Sul piano del gioco, invece, ci sarebbe oltremodo da eccepire. Certo, il 3-1 conclusivo mitiga la delusione per quei lunghi tratti di gara in cui la squadra di Di Biagio ha girato a vuoto, contratta, prevedibile, con errori ripetuti nelle due fasi. E tuttavia non si può far finta di nulla: perché se l'obiettivo primario è vincere il girone per conquistare un posto fra le prime quattro e la qualificazione olimpica, e se il sogno neanche troppo recondito è di arrivare a giocarsi la finalissima, beh, occorre sottolineare che con prestazioni come quelle di ieri sera non si potrà puntare al bersaglio grosso.
CHIESA UBER ALLES - Stranezze del calcio, certo: si è battuta l'avversaria più forte e temuta giocando sì e no al 30 per cento delle nostre possibilità. E non è nemmeno il caso di parlare di fortuna, anzi: trovarsi sotto dopo pochi minuti non è propriamente un favore della buona sorte, e nel complesso quanto raccolto da Barella e compagni è stato farina del loro sacco, non regali trovati per strada. Diciamo allora che per "spaccare la partita", come si dice oggi, ci è voluto un Chiesa monumentale, fuori categoria, che si è inventato dal nulla il gol del pari con una ficcante iniziativa sulla sinistra, chiusa con un diagonale chirurgico da posizione defilatissima, e che nella ripresa, dopo aver sfiorato il palo con un morbido tocco di piatto destro, ha completato la rimonta raccogliendo una palla vagante in area dopo un tentativo in girata di Cutrone, per poi battere Simòn da distanza ravvicinata. Dicono sia il campioncino più atteso dell'Europeo, il figlio del grande Enrico, ma non ha avvertito il peso della responsabilità e, anzi, si è caricato sulle spalle un'Italia che, fino alla sua prodezza per l'1-1, sembrava aver imboccato un vicolo cieco. Non si può neanche dire che sia pronto per la Nazionale maggiore, perché è già fra gli intoccabili di Roberto Mancini. Semmai, questo torneo gli potrà servire per ritrovare confidenza col fondo della rete, che nell'ultima stagione in maglia viola ha visto raramente.
UNA SPAGNA ANTICA E MODERNA - Resta il fatto, però, che non si può andare avanti sperando nelle prodezze di uno dei nostri assi già promossi al piano superiore, dei Barella e dei Kean, oltre a Chiesa. Ci vuole un'idea di gioco e, onestamente, ieri ho faticato a vederla. Una prima mezz'ora abbondante in soggezione di fronte alle Furie Rosse che, pur sciorinando la consueta maestria nel far girare palla e nell'assumere il controllo delle operazioni in ogni zona del campo, nella circostanza hanno saputo anche rispolverare la filosofia "pre tiki taka". nel senso che, a tratti, si è vista una squadra corta e compatta sulla propria trequarti, davanti alla difesa, abile a intasare i corridoi ai nostri, a puntare sull'agonismo molto più di quanto abbia fatto negli ultimi lustri (sia a livello giovanile che "adulto"), a venire avanti con azioni manovrate rapide ed essenziali. Una Spagna che peraltro, sul piano della dotazione complessiva di classe, mi è parsa inferiore a quella del precedente Europeo, anche se non mancano picchi di eccellenza, soprattutto quel Ceballos che ha sollecitamente sbloccato il risultato con un gran destro da fuori ed è stato il principale animatore delle azioni offensive iberiche.
CONCRETEZZA AZZURRA - Dopo il pari e dopo la fiammata di puro orgoglio che ne è seguita, con finale di tempo all'assalto, anche la nostra seconda frazione non è stata immune da pecche, e Meret si è ritagliato il suo spicchio di gloria alzando sulla traversa un tiro dalla distanza di Soler quando il punteggio era ancora sull'1-1; ma se non altro, dopo l'intervallo, l'Italia è parsa nel complesso più viva e continua, anche se raramente ordinata e non sempre con le idee chiare sul da farsi. A sigillare il risultato è stato un rigore via VAR, concesso per trattenuta in area su Pellegrini e trasformato con freddezza dallo stesso romanista. In definitiva, una vittoria giunta soprattutto col cuore e grazie a una mirabile concretezza, che ha consentito di finalizzare la quasi totalità delle occasioni create: concretezza frutto dell'esperienza ad alto livello maturata da alcuni di questi ragazzi, sia nei club sia nella Nazionale A, un atout che troppo spesso ci è mancato in tante recenti edizioni della kermesse Under 21.
CENTROCAMPO SOTTOTONO - Gaudio per una vittoria che fa morale e classifica, dunque, ma è doveroso pretendere di più dal team di Di Biagio. Se Chiesa ha cantato e portato la croce con eccellenti risultati, e se il subentrato Cutrone ha confermato la sua enorme incisività in area mettendo lo zampino nella rete del sorpasso, Kean ha girato quasi sempre a vuoto pur dannandosi l'anima, smarcandosi, dettando il passaggio. Chiaro che le responsabilità degli impacci in fase di attacco ricadano principalmente su centrocampisti e trequartisti, con Barella che si è acceso solo a tratti e con un Zaniolo poco ispirato, prima dell'infortunio che lo ha costretto all'abbandono. Con un reparto di mezzo più in palla, non avremmo subìto il possesso palla e le trame di avversari che, lo ripeto, non mi sono parsi su livelli stratosferici. Le défaillances in fase creativa hanno pesato pure sulla difesa, reparto in cui nessuno, a parte il citato Meret, è stato indenne da sbavature, anche se non getterei la croce addosso al criticato Dimarco, che ha sbagliato molto ma ci ha messo l'anima, difendendo, ripartendo e cercando pure la conclusione personale.
DOPO DUE ANNI DI AMICHEVOLI... - Ricordiamo poi che questa selezione azzurra, sul piano del rendimento complessivo, rappresentava la autentica incognita del torneo, era una favorita più che altro teorica, grazie all'indubbia ricchezza di talento: ma il biennio trascorso a giocare amichevoli, spesso con risultati tutt'altro che esaltanti, non poteva rappresentare una attendibile cartina tornasole per valutare il peso effettivo del nostro organico. Il fattore campo (col pubblico bolognese che si è acceso a intermittenza, ma quando lo ha fatto ha saputo spingere autenticamente i nostri), le ritrovate motivazioni dettate dall'impegno ufficiale, la voglia di ribaltare la tradizione negativa con gli spagnoli hanno portato al fondamentale successo. Ma per arrivare a Udine, sede della finalissima, ci vorrà ben altro. E occhio alla sindrome della seconda partita, troppo spesso in passato fatale sia all'Under (Europeo 2015 in particolare), che alla Maggiore.
CENTROCAMPO SOTTOTONO - Gaudio per una vittoria che fa morale e classifica, dunque, ma è doveroso pretendere di più dal team di Di Biagio. Se Chiesa ha cantato e portato la croce con eccellenti risultati, e se il subentrato Cutrone ha confermato la sua enorme incisività in area mettendo lo zampino nella rete del sorpasso, Kean ha girato quasi sempre a vuoto pur dannandosi l'anima, smarcandosi, dettando il passaggio. Chiaro che le responsabilità degli impacci in fase di attacco ricadano principalmente su centrocampisti e trequartisti, con Barella che si è acceso solo a tratti e con un Zaniolo poco ispirato, prima dell'infortunio che lo ha costretto all'abbandono. Con un reparto di mezzo più in palla, non avremmo subìto il possesso palla e le trame di avversari che, lo ripeto, non mi sono parsi su livelli stratosferici. Le défaillances in fase creativa hanno pesato pure sulla difesa, reparto in cui nessuno, a parte il citato Meret, è stato indenne da sbavature, anche se non getterei la croce addosso al criticato Dimarco, che ha sbagliato molto ma ci ha messo l'anima, difendendo, ripartendo e cercando pure la conclusione personale.
DOPO DUE ANNI DI AMICHEVOLI... - Ricordiamo poi che questa selezione azzurra, sul piano del rendimento complessivo, rappresentava la autentica incognita del torneo, era una favorita più che altro teorica, grazie all'indubbia ricchezza di talento: ma il biennio trascorso a giocare amichevoli, spesso con risultati tutt'altro che esaltanti, non poteva rappresentare una attendibile cartina tornasole per valutare il peso effettivo del nostro organico. Il fattore campo (col pubblico bolognese che si è acceso a intermittenza, ma quando lo ha fatto ha saputo spingere autenticamente i nostri), le ritrovate motivazioni dettate dall'impegno ufficiale, la voglia di ribaltare la tradizione negativa con gli spagnoli hanno portato al fondamentale successo. Ma per arrivare a Udine, sede della finalissima, ci vorrà ben altro. E occhio alla sindrome della seconda partita, troppo spesso in passato fatale sia all'Under (Europeo 2015 in particolare), che alla Maggiore.
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