Superpippo Forever! Sì, d'accordo, ieri sera avrà anche raccontato per la milionesima volta lo stesso aneddoto sul 1968, su Louis Armstrong portato via a forza dal palco, sul vibrafono di Lionel Hampton, sui grandi stranieri come Dionne Warwick ed Eartha Kitt. Però, ragazzi, c'è poco da fare: Pippo Baudo è uno dei simboli più veri e genuini della storia del Festival di Sanremo. Anzi, per molti incarna il Festival stesso: un'esagerazione, è chiaro, ma è innegabile che l'anchorman siciliano abbia lanciato una formula sanremese che ancora oggi molti considerano la migliore per questa rassegna. Fra questi ci sono anch'io, pur con alcuni distinguo: mi vanno bene i tanti Big in concorso e soprattutto il criterio ecumenico nell'allestimento del cast dei cantanti, ossia il tentativo di metterci dentro le più svariate tendenze musicali e di soddisfare il maggior numero di fasce d'età. Solo che il Pippo nazionale tendeva sempre a privilegiare la tradizione, il classico: in questo era distante dallo storico patron Gianni Ravera (a cui in qualche modo si ispirava), che dava sì spazio ai veterani ma era sensibilissimo alle novità offerte dal panorama nostrano: penso all'edizione dell'84, quando a vecchi draghi come Del Turco, Sannia e Zanicchi affiancò massicciamente la nouvelle vague dell'epoca, da Camerini a Ruggeri, dalla Mannoia agli Stadio, da Garbo al Gruppo Italiano, quello di "Tropicana".
VINTAGE - Digressioni a parte, l'ospitata del recordman di presentazioni festivaliere era doverosa e ha messo in luce un Pippo ancora sufficientemente in palla, capace di prendersi la ribalta e di ricreare in pochi minuti quel feeling col palco e quell'empatìa col pubblico che ne hanno fatto il massimo maestro di cerimonie sanremesi. La sua presenza ha rappresentato il clou di una serata che, più che Sanremo Story, sarebbe stato maggiormente corretto definire "Sanremo vintage", grazie al ripescaggio di piccoli - grandi momenti della storia della kermesse, come i quattro "presentatori allo sbaraglio" dell'edizione '89 (Gianmarco Tognazzi, Danny Quinn, Rosita Celentano e Paola Dominguin), e José Luis Moreno col corvo Rockfeller, parte integrante del cast del Festival 1985. Poteva essere anche più coraggiosa nelle scelte artistiche: pensate quanto sarebbe stato spiazzante, ad esempio, invitare una rappresentanza dei cantanti in concorso al Festival più sfortunato della storia, quello del 1975, il Sanremo degli sconosciuti! Siamo sicuri che l'audience ne avrebbe risentito?
MENGONI E IL CASO TENCO - Per il resto, come noto, è stata la serata della riproposizione, da parte dei Big di quest'anno, di alcuni grandi successi del passato festivaliero. In genere, non sono un cultore delle cover: difendo a spada tratta le versioni originali, perché personalmente sono soltanto quelle a risvegliare in me i ricordi legati al periodo in cui uscirono. Per cui, se proprio cover deve essere, preferisco che sia largamente aderente alla canzone così come era stata realizzata ai tempi. In questo senso, ieri, si sono fatti apprezzare soprattutto Daniele Silvestri in "Piazza grande" e Mengoni con un'intensa interpretazione di "Ciao amore ciao". Forse per la prima volta, se la memoria non mi inganna, Tenco e la sua tragica partecipazione al Sanremo del '67 sono stati ricordati in maniera degna su quel palco: peccato solo che Fazio abbia trovato il modo di fare riferimento al "suicidio" del cantautore, laddove ormai sono sempre più numerose le voci che avanzano serissimi dubbi sulla versione ufficiale dei fatti, versione che presenta numerose incongruenze (ci sono diversi siti e forum che le analizzano nel dettaglio). Sarebbe stato più corretto e neutro parlare di morte avvolta nel mistero: la speranza è che, prima o poi, si riesca ad affrontare l'argomento con serenità di giudizio e senza affidarsi pedissequamente e acriticamente a cose dette e stradette in passato.
ELIO E ROCCO SU, GUALAZZI GIU' - Di tutto rispetto anche la performance dei Modà, che hanno "movimentato" con una leggera veste rock la memorabile "Io che non vivo", e del duo Annalisa - Emma, rabbiosissime e convincenti in "Per Elisa". La versione di Chiara di "Almeno tu nell'universo" ha ricordato, inizialmente, quella, decisamente poco felice, incisa da Elisa sette o otto anni fa; poi la ragazza di X Factor ha aggiustato il tiro strada facendo. A proposito di Elisa, Gualazzi ha letteralmente stravolto la sua "Luce", vincitrice nel 2001, rendendola di fatto irriconoscibile. Bocciato, per quanto mi riguarda: se c'è una cosa che non sopporto è la tendenza a rifare una vecchia e celebre canzone sconvolgendone totalmente lo spirito musicale. Si può innovare, si può mettere qualcosa di proprio, ma nel pieno rispetto dell'originale: è ciò che hanno fatto Elio e le Storie tese, con "Un bacio piccolissimo" trasformata in divertissement teatrale grazie al duetto riuscitissimo con Rocco Siffredi, e tutto sommato anche gli Almamegretta, che hanno "contaminato" l'evergreen "Il ragazzo della via Gluck" con alcune intromissioni rap di Clementino lasciando tuttavia pressoché intatta la parte cantata, e anzi impreziosendola col jazz sempre efficace di James Senese.
ANTONIO MAGGIO SUGLI SCUDI - Detto dei momenti alti rappresentati dalla delicata, suggestiva performance di Caetano Veloso e dalla verve di Stefano Bollani, nonché del commosso omaggio a un altro simbolo del Festival, Mike Bongiorno, con l'inaugurazione di una statua a lui dedicata, resta da parlare della finale dei Giovani, che ha avuto un esito tutto sommato scontato. Ha vinto il migliore fra i finalisti, un Antonio Maggio che già padroneggia il palco con abilità da artista consumato. La sua "Mi servirebbe sapere" è orecchiabile senza essere banale, anzi, si avvale di un'impalcatura financo complessa e articolata e di un'interpretazione a tratti istrionica ma non sopra le righe, sostenuta da una vocalità poliedrica. Renzo Rubino ha stoffa e ispirazione, mentre Ilaria Porceddu ha sfoggiato una voce limpida e sicura ma un pezzo non del tutto in linea coi tempi e tutto sommato convenzionale, convincente più nella strofa che nel ritornello. Non mi hanno entusiasmato i Blastema, non tanto per la loro abilità di musicisti (che mi pare già su buoni livelli) quanto per l'efficacia del brano presentato: penso che, più di loro, Nardinocchi e soprattutto Il Cile non avrebbero sfigurato nella sfida conclusiva. Non a caso quest'ultimo è ritornato inaspettatamente sul palco dell'Ariston per ritirare il premio di categoria per il miglior testo, assegnatogli dalla giuria di qualità.
anche a me ha fatto piacere l'effetto vintage, quasi scontato in una serata del genere... e poi, Fazio, come pure Fiorello, è un amante del passato, è un nostalgico, come si evince dalla struttura dei suoi programmi, in un modo diverso da come lo può essere il più istituzionale Carlo Conti.
RispondiEliminaMeno apprezzabile dal mio punto di vista riesumare Rockfeller, ma di fatto sono tornato bambino. Mi ha fatto piacere rivedere "i figli di", ricordo quell'edizione con simpatia. Sul festival direi che stasera i nodi verranno al pettine e capiremo se la qualità l'avrà vinta sulla commercialità. Credo vinceranno i Modà e tutto sommato non sarebbe certo uno scandalo.