Poche ore al via del Festival di Sanremo, e l'atmosfera attorno a questa edizione numero 63 pare alquanto freddina. La sensazione è che la kermesse griffata Fabio Fazio - Mauro Pagani sia guardata con perplessità da più parti: persino, e la cosa ha dell'incredibile, da qualcuno all'interno della stessa azienda che il Festival lo produce e lo manda in onda. Al di là delle strumentalizzazioni politiche già in atto da parte di certa stampa, il battage mediatico che sta introducendo l'evento tv dell'anno non è nemmeno lontanamente paragonabile a ciò che è avvenuto tante volte in passato. Spazi televisivi ridotti al minimo indispensabile, e le famigerate trasmissioni - chiacchiericcio della mattina e del pomeriggio insolitamente distaccate (almeno finora...), laddove fino a dodici mesi fa traevano dalla kermesse rivierasca linfa vitale per puntellare l'audience. Zero assoluto, o quasi, anche sul piano dei servizi rievocativi sulla storia di Sanremo: scarseggiano persino le inflazionatissime riproposizioni dei medesimi filmati di sempre (gli esordi di Ramazzotti e Vasco Rossi, Rino Gaetano, ecc.).
"ARRIDATECE I NAZIONALPOPOLARI!" - Cosa succede, dunque? Forse a molti non è andata giù la svolta "alta" impressa al carrozzone festivaliero da Fazio e dal suo gruppo di lavoro. Soprattutto, non è andata giù la drastica riduzione dello spirito nazionalpopolare del Festivalone. Si sprecano, da parte di questa "fronda", gli interrogativi di fronte a un cast di Big che, per molti professionisti dell'entertainment televisivo generalista, risulta quantomeno astruso, e si versano lacrime per l'assenza dal cartellone dei mostri sacri del bel canto nostrano, tanto amati dalla tv di Stato. Che Sanremo potrà essere mai, continuano a domandarsi inconsolabili, senza Al Bano e Toto Cutugno in gara, senza Marcella e Fausto Leali, senza la Vanoni e senza la Oxa? Già, Anna Oxa: proprio lo spazio abnorme che si sta concedendo alla triste protesta della cantante pugliese contro la propria esclusione del Festival è sintomatico dello strano modo di agire da parte di certe trasmissioni, un tempo più che mai ben disposte nei confronti della rassegna canora: gode di una ribalta più sostanziosa, sul piano quantitativo, chi a Sanremo non è stato invitato e se ne adonta pubblicamente, rispetto a chi a Sanremo ci andrà da protagonista.
CONTEMPORANEITA' - Perché? E' chiaro che "l'intruso" Fabio Fazio, preso in prestito da Rai Tre, ha introdotto una concezione del Festival radicalmente diversa dai criteri artistici che, ormai, sembrano essere diventati prevalenti sulla rete ammiraglia. L'anchorman savonese ha voluto imprimere una brusca accelerata al processo di svecchiamento del carrozzone festivaliero già massicciamente intrapreso da Gianmarco Mazzi negli ultimi quattro anni, avvicinando ulteriormente l'universo Sanremo alla realtà musicale di oggi, e a ciò che accade sul mercato discografico nel 2013.
E' pazzesco: per anni si è rimproverato al Festival di mancare di contemporaneità in termini di cantanti e di canzoni, di vivere in un mondo parallelo animato da interpreti amati da un pubblico fin troppo adulto ma, nella sostanza, deboli commercialmente: e ora che questa contemporaneità si sta faticosamente realizzando, ecco spuntare i musi lunghi e gli insoddisfatti. Una schizofrenia che è figlia della dicotomia con cui la popolare kermesse deve fare i conti, da quando è stata presa in gestione diretta dalla Rai, ossia dal 1992: coniugare qualità canora e ascolti televisivi, cercando di dare la preferenza a questi ultimi. Solo che fare ascolti alti, su Rai Uno, significa spesso e volentieri puntare sull'usato sicuro, sugli ultraveterani, su un registro "medio", da intrattenimento che più leggero non si potrebbe. Avete presente una trasmissione tipo "I migliori anni"? Ecco, quello è il paradigma dello show ideale per il primo canale. Nulla di male, intendiamoci, ma Sanremo è qualcosa di ben più importante.
ANNI SESSANTA FOREVER - Il nostalgismo oltranzista di Rai Uno ha creato dei miti di cartapesta ingigantendoli oltre il loro effettivo valore storico, e ha inculcato nel telespettatore medio l'idea che senza tali miti la tv sia più povera: così, personaggi come Al Bano e Massimo Ranieri sono sempre più massicciamente presenti sui teleschermi (e il primo lo ritroveremo anche all'Ariston). Il culto del passato e delle vecchie glorie, in sé per sé tutt'altro che condannabile, su Rai Uno ha... saltato un giro: il gusto musicale si è fermato ai primi anni Ottanta, e privilegia comunque i divi dei Sessanta. Un racconto troppo parziale della storia canora del nostro Paese, per cui i protagonisti di quegli anni, spesso ormai logori e sfiatati, devono essere tenuti artificiosamente in vita artistica all'infinito. Si era così arrivati al punto, tornando a Sanremo, di assistere a un'edizione del Festival, nel 2009 che schierò orgogliosamente in gara Al Bano (aridaje), Fausto Leali, Patty Pravo e Iva Zanicchi. Nel 2009, lo ripetiamo. Roba da matti, eppure, secondo una mentalità ancora pericolosamente diffusa sia tra il pubblico sia tra gli addetti ai lavori, senza di loro non si può fare un Sanremo che si rispetti.
Crozza: mattatore della prima serata
SMUOVERE IL PUBBLICO - Segno di pigrizia mentale, segno che talvolta il pubblico deve essere smosso, ed educato nei gusti, anche con scelte coraggiose e inizialmente impopolari, come potrebbero rivelarsi quelle del terzo festival faziano. Che forse, ma lo si può dire solo col senno di prima, ha sbagliato soltanto una mossa: l'aver optato per una inversione di marcia radicale, quando forse sarebbe stato migliore un passaggio graduale alla nuova realtà, per non traumatizzare il pubblico. Su questo ho un'idea ben precisa: viva la contemporaneità e largo ai giovani, ma temperando la linea artistica con qualche scelta un po' più popolare, con qualche nome maggiormente televisivo. Attenzione però, non i mostri sacri di cui sopra, gente che era già veterana nel 1984 e che ha continuato ad usufruire di spazi esagerati, a danno della generazione di mezzo, di quei cantanti affermatisi fra la fine degli Ottanta e i Novanta e che, dopo aver toccato il picco del successo, sono stati rrepentinamente oscurati, mandati in pensione anticipata pur essendo ancora nel cuore della gente e pur avendo ancora molto da dire. Qualcuno, tipo Mietta, sta ora faticosamente riemergendo dopo anni di oblìo: spero che altri suoi coetanei possano presto tornare alla luce del sole...
APRE CROZZA - Dunque, con qualche riserva ma con un sostanziale apprezzamento nei confronti della nuova linea editoriale festivaliera, prepariamoci alla consueta full immersion... rivierasca. Sanremo 63 l'ho presentato nei giorni scorsi in questo articolo (gettonatissimo: ringrazio tutti i lettori): nel frattempo si è aggiunto il colpaccio Maurizio Crozza, che ad occhio e croce dovrebbe assicurare l'adeguato boom di audience a una prima serata che, effetto attesa a parte, rischiava forse di risultare un po' deboluccia sul piano dell'appeal, visto che i Big più famosi e quotati fra quelli in concorso sono stati inseriti nella scaletta del mercoledì. Oltretutto, per il comico genovese è una collocazione televisivamente assai furba e "strategica": martedì è il "suo" giorno, perché è solitamente il giorno di Ballarò (che non a caso questa settimana è stato spostato a domenica), trasmissione che viene aperta proprio dal tagliente sketch - monologo dell'ex Broncoviz, un appuntamento divenuto irrinunciabile per milioni di italiani...
CANZONI AL CENTRO - La gara, quest'anno più che mai al centro, non ha un favorito designato, come poteva essere il Vecchioni del 2011. Tendenzialmente, punterei su un pokerissimo formato da Modà, Gualazzi, Malika Ayane, Elio e le Storie Tese e Mengoni; outsider, Cristicchi e Chiara Galiazzo, potenziale nuovo "fenomeno" della canzone italiana. Le pagelle degli esperti, di coloro che hanno avuto il privilegio di ascoltare in anticipo i brani (privilegio al quale rinuncio volentieri: il fascino del Festival risiede anche nel poter aspettare le serate sanremesi per ascoltare tanti inediti tutti in una volta), sprizzano entusiasmo da tutti i pori. Occhio, perché solitamente ciò che piace a certi critici con puzza sotto il naso solitamente fa fatica a sfondare il muro del gradimento popolare. Anche in questo caso, l'ideale sarebbe percorrere la via di mezzo: non capolavori compositivi per pochi eletti o sofisticate elaborazioni cantautoriali, ma brani ben confezionati, non banali ma comunque in grado di catturare l'orecchio e di arrivare al cuore. E' questo ciò che si chiede a Sanremo, non opere d'élite. Aspettiamo fiduciosi: mai come quest'anno, più che "buona visione" è assai più opportuno dire: "Buon ascolto!".
E' pazzesco: per anni si è rimproverato al Festival di mancare di contemporaneità in termini di cantanti e di canzoni, di vivere in un mondo parallelo animato da interpreti amati da un pubblico fin troppo adulto ma, nella sostanza, deboli commercialmente: e ora che questa contemporaneità si sta faticosamente realizzando, ecco spuntare i musi lunghi e gli insoddisfatti. Una schizofrenia che è figlia della dicotomia con cui la popolare kermesse deve fare i conti, da quando è stata presa in gestione diretta dalla Rai, ossia dal 1992: coniugare qualità canora e ascolti televisivi, cercando di dare la preferenza a questi ultimi. Solo che fare ascolti alti, su Rai Uno, significa spesso e volentieri puntare sull'usato sicuro, sugli ultraveterani, su un registro "medio", da intrattenimento che più leggero non si potrebbe. Avete presente una trasmissione tipo "I migliori anni"? Ecco, quello è il paradigma dello show ideale per il primo canale. Nulla di male, intendiamoci, ma Sanremo è qualcosa di ben più importante.
ANNI SESSANTA FOREVER - Il nostalgismo oltranzista di Rai Uno ha creato dei miti di cartapesta ingigantendoli oltre il loro effettivo valore storico, e ha inculcato nel telespettatore medio l'idea che senza tali miti la tv sia più povera: così, personaggi come Al Bano e Massimo Ranieri sono sempre più massicciamente presenti sui teleschermi (e il primo lo ritroveremo anche all'Ariston). Il culto del passato e delle vecchie glorie, in sé per sé tutt'altro che condannabile, su Rai Uno ha... saltato un giro: il gusto musicale si è fermato ai primi anni Ottanta, e privilegia comunque i divi dei Sessanta. Un racconto troppo parziale della storia canora del nostro Paese, per cui i protagonisti di quegli anni, spesso ormai logori e sfiatati, devono essere tenuti artificiosamente in vita artistica all'infinito. Si era così arrivati al punto, tornando a Sanremo, di assistere a un'edizione del Festival, nel 2009 che schierò orgogliosamente in gara Al Bano (aridaje), Fausto Leali, Patty Pravo e Iva Zanicchi. Nel 2009, lo ripetiamo. Roba da matti, eppure, secondo una mentalità ancora pericolosamente diffusa sia tra il pubblico sia tra gli addetti ai lavori, senza di loro non si può fare un Sanremo che si rispetti.
Crozza: mattatore della prima serata
SMUOVERE IL PUBBLICO - Segno di pigrizia mentale, segno che talvolta il pubblico deve essere smosso, ed educato nei gusti, anche con scelte coraggiose e inizialmente impopolari, come potrebbero rivelarsi quelle del terzo festival faziano. Che forse, ma lo si può dire solo col senno di prima, ha sbagliato soltanto una mossa: l'aver optato per una inversione di marcia radicale, quando forse sarebbe stato migliore un passaggio graduale alla nuova realtà, per non traumatizzare il pubblico. Su questo ho un'idea ben precisa: viva la contemporaneità e largo ai giovani, ma temperando la linea artistica con qualche scelta un po' più popolare, con qualche nome maggiormente televisivo. Attenzione però, non i mostri sacri di cui sopra, gente che era già veterana nel 1984 e che ha continuato ad usufruire di spazi esagerati, a danno della generazione di mezzo, di quei cantanti affermatisi fra la fine degli Ottanta e i Novanta e che, dopo aver toccato il picco del successo, sono stati rrepentinamente oscurati, mandati in pensione anticipata pur essendo ancora nel cuore della gente e pur avendo ancora molto da dire. Qualcuno, tipo Mietta, sta ora faticosamente riemergendo dopo anni di oblìo: spero che altri suoi coetanei possano presto tornare alla luce del sole...
APRE CROZZA - Dunque, con qualche riserva ma con un sostanziale apprezzamento nei confronti della nuova linea editoriale festivaliera, prepariamoci alla consueta full immersion... rivierasca. Sanremo 63 l'ho presentato nei giorni scorsi in questo articolo (gettonatissimo: ringrazio tutti i lettori): nel frattempo si è aggiunto il colpaccio Maurizio Crozza, che ad occhio e croce dovrebbe assicurare l'adeguato boom di audience a una prima serata che, effetto attesa a parte, rischiava forse di risultare un po' deboluccia sul piano dell'appeal, visto che i Big più famosi e quotati fra quelli in concorso sono stati inseriti nella scaletta del mercoledì. Oltretutto, per il comico genovese è una collocazione televisivamente assai furba e "strategica": martedì è il "suo" giorno, perché è solitamente il giorno di Ballarò (che non a caso questa settimana è stato spostato a domenica), trasmissione che viene aperta proprio dal tagliente sketch - monologo dell'ex Broncoviz, un appuntamento divenuto irrinunciabile per milioni di italiani...
CANZONI AL CENTRO - La gara, quest'anno più che mai al centro, non ha un favorito designato, come poteva essere il Vecchioni del 2011. Tendenzialmente, punterei su un pokerissimo formato da Modà, Gualazzi, Malika Ayane, Elio e le Storie Tese e Mengoni; outsider, Cristicchi e Chiara Galiazzo, potenziale nuovo "fenomeno" della canzone italiana. Le pagelle degli esperti, di coloro che hanno avuto il privilegio di ascoltare in anticipo i brani (privilegio al quale rinuncio volentieri: il fascino del Festival risiede anche nel poter aspettare le serate sanremesi per ascoltare tanti inediti tutti in una volta), sprizzano entusiasmo da tutti i pori. Occhio, perché solitamente ciò che piace a certi critici con puzza sotto il naso solitamente fa fatica a sfondare il muro del gradimento popolare. Anche in questo caso, l'ideale sarebbe percorrere la via di mezzo: non capolavori compositivi per pochi eletti o sofisticate elaborazioni cantautoriali, ma brani ben confezionati, non banali ma comunque in grado di catturare l'orecchio e di arrivare al cuore. E' questo ciò che si chiede a Sanremo, non opere d'élite. Aspettiamo fiduciosi: mai come quest'anno, più che "buona visione" è assai più opportuno dire: "Buon ascolto!".
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