Iniesta: fenomenale anche ieri, in una Spagna "minore"
Spagna - Italia 2013, al di là dell'amarezza per il verdetto della giostra dei penalty che premia gli iberici ben oltre i loro meriti, è un'altra gemma che va ad aggiungersi allo speciale "scrigno azzurro" di Cesare Prandelli. Uno scrigno piccolo, contenente giusto una manciata di partite: non perché questa Nazionale ne abbia giocate così poche in maniera decente, anzi; qui si sta semplicemente parlando di quelle sfide che, fra qualche anno, saranno più che sufficienti allorché, a ciclo concluso, si vorrà tracciare un ritratto a tutto tondo dell'Italia concepita e modellata dall'ex trainer della Fiorentina. Sette match: le amichevoli con Germania e Spagna del 2011, le sfide di Euro 2012 ancora con la Spagna (gara d'esordio), con l'Inghilterra e coi tedeschi, il "gala" svizzero col Brasile nel marzo scorso e, infine, questo ennesimo rendez - vous con le Furie Rosse. Sette tappe fondamentali nel processo di crescita della squadra, sette esami di maturità superati a pieni voti; sette incontri che bastano a dare la dimensione del progetto griffato Prandelli. Riguardandoli, questi incontri, vi si ritrovano tutti gli elementi che sono diventati tratti distintivi della rappresentativa nata dalle ceneri sudafricane.
Spagna - Italia 2013, al di là dell'amarezza per il verdetto della giostra dei penalty che premia gli iberici ben oltre i loro meriti, è un'altra gemma che va ad aggiungersi allo speciale "scrigno azzurro" di Cesare Prandelli. Uno scrigno piccolo, contenente giusto una manciata di partite: non perché questa Nazionale ne abbia giocate così poche in maniera decente, anzi; qui si sta semplicemente parlando di quelle sfide che, fra qualche anno, saranno più che sufficienti allorché, a ciclo concluso, si vorrà tracciare un ritratto a tutto tondo dell'Italia concepita e modellata dall'ex trainer della Fiorentina. Sette match: le amichevoli con Germania e Spagna del 2011, le sfide di Euro 2012 ancora con la Spagna (gara d'esordio), con l'Inghilterra e coi tedeschi, il "gala" svizzero col Brasile nel marzo scorso e, infine, questo ennesimo rendez - vous con le Furie Rosse. Sette tappe fondamentali nel processo di crescita della squadra, sette esami di maturità superati a pieni voti; sette incontri che bastano a dare la dimensione del progetto griffato Prandelli. Riguardandoli, questi incontri, vi si ritrovano tutti gli elementi che sono diventati tratti distintivi della rappresentativa nata dalle ceneri sudafricane.
IL GUSTO DEL GIOCO - L'ho scritto talmente tante volte sul blog, fin dal primo post in assoluto, che rischio di diventare pedante. Ma questa Italia, l'Azzurra degli anni Dieci, è una compagine con un'anima tecnica ben precisa, un'idea di football moderna e sbarazzina: una squadra che ha restituito al calcio italiano il gusto del gioco, che cerca sempre di tenere pallino, di essere propositiva e aggressiva, che rifugge gli attendismi, le speculazioni, la mentalità sparagnina. Lo ha sempre fatto, beninteso quando aveva le risorse fisiche necessarie a reggere un copione così impegnativo; per questo, la bella prova contro la Spagna euromondiale non mi ha sorpreso che in parte: nel post di ieri, scritto in gran parte di getto, avevo sottolineato come i nostri ragazzi avessero già dimostrato, in due dei tre precedenti incroci con gli iberici, di potere tener loro bellamente testa, a patto di poter avvalersi di una condizione atletica ottimale.
Così è stato: forse qualcuno dovrà ammettere di aver ecceduto nel considerare Kiev 2012 come il più attendibile metro per misurare il divario fra le due selezioni, dimenticando che i nostri vi arrivarono in totale riserva di benzina (aggiungendovi gli errori di formazione del cittì, che non diede lo spazio necessario a gente fresca per puntare sugli stanchi eroi spremuti nelle gare precedenti). Perché l'Italia rimane, al momento, uno (e forse due) gradini sotto la Spagna, ma non è a distanza siderale come in molti la considerano, lasciandosi traviare dall'impressione dell'ultimo momento, dagli inciampi con haitiani e giapponesi. E' vero, i nostri nell'ultimo mese hanno offerto alcune prove imbarazzanti, ma già nell'ultima parte del confronto col Brasile si erano mostrati in netta crescita.
CAPOLAVORO INCOMPIUTO - L'incontro di ieri sera è uno di quelli che marchiano a fuoco il Dna di una squadra, che ne fanno la storia in positivo pur non essendo stati vinti. Un capolavoro tattico, tecnico e agonistico... incompiuto, nel senso che gli è mancata "solo" la pennellata del gol. Pazienza, davvero: è stata un'Italia, lo si è detto, che non ha rinnegato se stessa, la propria filosofia, e il percorso fin qui compiuto, nonostante le tentazioni, giunte da più parti (anche dall'autorevole Gazzetta) di predisporre una gara di puro contenimento per scongiurare una nuova goleada che qualcuno, alla vigilia, riteneva assai probabile.
Sulle ali di una interpretazione impeccabile del disegno strategico e grazie a prestazioni individuali di altissimo livello, i nostri hanno dimostrato che gli spagnoli non sono rimasti gli unici depositari del saper giocare a calcio. Hanno attaccato con ritmo e baldanza, gli azzurri, soprattutto in un primo tempo scintillante, con una manovra ariosa che sfruttava alla perfezione le fasce laterali, con un Gilardino che si prodigava a fare ciò che, per poche settimane, fece nel Genoa l'anno scorso, mostrandosi cioè attaccante in grado di giocare per il collettivo, di creare varchi, di lavorare in appoggio ai compagni, e liberando in tal modo alla conclusione elementi provenienti dalle retrovie: ci hanno provato Maggio, con due occasionissime di testa sventate da un super Casillas, e Marchisio, anche lui di testa, così come con un'inzuccata, sugli sviluppi di una punizione di Pirlo, ha sfiorato il vantaggio De Rossi.
De Rossi: pilastro azzurro
De Rossi: pilastro azzurro
PRIMA DOMINIO, POI IN TRINCEA - Un'Italia che agiva in velocità ma che sapeva anche dosare gli sforzi con un palleggio a centrocampo quasi... spagnoleggiante. La percentuale di palle perse e di passaggi sbagliati, rispetto alle precedenti partite, è scesa drasticamente, in tutti i reparti: sì, non ci eravamo imbrocchiti, era la gamba che mancava. Non a caso il team di Del Bosque ha cominciato a prendere piede, a riavvicinarsi in parte ai suoi standard di gioco, quando la fatica ha cominciato a fare capolino nelle nostre file, e del resto giova ricordare che gli iberici sono arrivati a questo incontro avendo, di fatto, giocato una partita in meno, visto che tale non può essere considerata il galop di allenamento con Tahiti.
LOTTERIA E NULLA PIU' - In quei momenti è venuta fuori la nostra capacità di soffrire in trincea, che rappresenta un retaggio storico del calcio azzurro e di cui non bisogna quindi vergognarsi (salvo non se ne faccia un abuso, come l'Italia maldiniana di Francia '98...), ma che questa squadra non annovera fra i suoi assi nella manica abituali, facendovi ricorso solo in casi di estrema necessità. Il divino Iniesta e i suoi han preso il largo nei supplementari (aperti peraltro da uno schioccante palo di Giaccherini), avventandosi senza concretizzare su un'Italia stanca, ma nei novanta canonici il verdetto ai punti era stato chiaramente dalla nostra parte. Sulla giostra finale dei penalty poco da dire: la considero da sempre una lotteria tecnicamente poco attendibile e affidata in larga parte a fattori psicologici e di tenuta fisica, altrimenti la storia del calcio non annovererebbe, in tale fase di gioco, gli errori illustri di gente come Platini, Maradona e Roberto Baggio... Comunque ha deciso, per noi, un solo errore su sette tiri, ci può stare, e anche questa è in fondo la conferma di un aspetto positivo, ossia gli italiani si sono scrollati di dosso i tremori e i blocchi mentali degli anni Novanta e hanno imparato a tirare i rigori di spareggio. Casomai ci sarebbe da discutere sulla... imperturbabilità di un Buffon che non ha battuto chiodo (come del resto Casillas), ma il buon Gigi, salvo alcune prodezze isolate, non è mai stato un drago sui tiri finali dagli undici metri, è bene farsene una ragione...
LOTTERIA E NULLA PIU' - In quei momenti è venuta fuori la nostra capacità di soffrire in trincea, che rappresenta un retaggio storico del calcio azzurro e di cui non bisogna quindi vergognarsi (salvo non se ne faccia un abuso, come l'Italia maldiniana di Francia '98...), ma che questa squadra non annovera fra i suoi assi nella manica abituali, facendovi ricorso solo in casi di estrema necessità. Il divino Iniesta e i suoi han preso il largo nei supplementari (aperti peraltro da uno schioccante palo di Giaccherini), avventandosi senza concretizzare su un'Italia stanca, ma nei novanta canonici il verdetto ai punti era stato chiaramente dalla nostra parte. Sulla giostra finale dei penalty poco da dire: la considero da sempre una lotteria tecnicamente poco attendibile e affidata in larga parte a fattori psicologici e di tenuta fisica, altrimenti la storia del calcio non annovererebbe, in tale fase di gioco, gli errori illustri di gente come Platini, Maradona e Roberto Baggio... Comunque ha deciso, per noi, un solo errore su sette tiri, ci può stare, e anche questa è in fondo la conferma di un aspetto positivo, ossia gli italiani si sono scrollati di dosso i tremori e i blocchi mentali degli anni Novanta e hanno imparato a tirare i rigori di spareggio. Casomai ci sarebbe da discutere sulla... imperturbabilità di un Buffon che non ha battuto chiodo (come del resto Casillas), ma il buon Gigi, salvo alcune prodezze isolate, non è mai stato un drago sui tiri finali dagli undici metri, è bene farsene una ragione...
MAGGIO E CANDREVA SU, AQUILANI E GIOVINCO GIU' - Sul piano dei singoli, svettanti Maggio e Candreva, straripanti per continuità, dinamismo, incisività (e per il laziale la chicca del cucchiaio, patente di maturità internazionale). Retroguardia da promuovere in blocco come reparto, perfetta nei sincronismi e tempista nel rimediare con efficacia ai rari momenti di défaillance. De Rossi, come previsto, ha giostrato sopratutto in copertura, come recupera - palloni e diga, per poi retrocedere definitivamente in terza linea dopo il forfait di Barzagli, ma ha anche trovato il modo di sfiorare la rete in apertura, confermandosi fondamentale "uomo - ovunque" di questa formazione. Giaccherini meno appariscente del solito eppure ugualmente prezioso nel tenere alta la squadra garantendo un ulteriore sbocco offensivo alla manovra.
Della gara di sacrificio di Gila si è detto, anche se ha pagato il suo lavoro con una certa lentezza di riflessi nei sedici metri finali che gli ha fatto perdere un paio di occasioni potenzialmente pericolosissime. Pirlo non al meglio e non ispiratissimo nella tessitura del gioco, che peraltro ieri sera ha percorso altre vie tattiche, mentre la delusione è arrivata, a parer mio, dai tre innesti in corsa, che non hanno rinfrescato la verve offensiva mostrata dai nostri nella prima parte. Soprattutto Aquilani e Giovinco, al di là dei rigori impeccabilmente segnati, continuano a non convincere: il primo si limita al compitino in una zona che richiederebbe ben altre presenza e personalità, il secondo non sembra proprio avere la statura per incidere sul serio a livello internazionale (il gol a porta vuota col Giappone, parliamoci chiaro, non può far testo).
LA SUERTE SPAGNOLA - Certo, al di là di tutto, non si può negare la rabbia per un esito che, ancora una volta, ha premiato chi vince ininterrottamente da anni. Ma bisogna farsi una ragione del fatto che le grandi squadre, nei loro percorsi di gloria, sono sempre scortate da una massiccia dose di fortuna. Cosa sarebbe accaduto, nel 2010, se Robben non avesse fallito un paio di clamorose palle gol a tu per tu con Iker? E cosa sarebbe accaduto, l'anno scorso, se il Portogallo avesse giocato la semifinale con un pizzico di coraggio in più e si fosse comunque imposto ai rigori, cosa possibilissima? Di certo, mai nessuno, da quando è nato il mito spagnolo, era andato così vicino a superare l'Invincibile Armada, per punteggio e qualità di gioco, come l'Italia di Prandelli. I pessimisti si chiederanno: ma se non ci si è riusciti nemmeno stavolta che si è giocato così bene, quando potrà accadere? Occhio: l'Italia che ha sfiorato il colpaccio non era affatto la migliore Italia: condizione non al top, diversi elementi chiave fuori fase o addirittura indisponibili, la nostra arma letale, Balotelli, costretta a tornare a casa in anticipo. Eppure siamo arrivati a un passo dal sogno: no, non siamo davvero così scarsi. Ma ora, per favore, andiamo a prenderci la medaglia di bronzo.
Della gara di sacrificio di Gila si è detto, anche se ha pagato il suo lavoro con una certa lentezza di riflessi nei sedici metri finali che gli ha fatto perdere un paio di occasioni potenzialmente pericolosissime. Pirlo non al meglio e non ispiratissimo nella tessitura del gioco, che peraltro ieri sera ha percorso altre vie tattiche, mentre la delusione è arrivata, a parer mio, dai tre innesti in corsa, che non hanno rinfrescato la verve offensiva mostrata dai nostri nella prima parte. Soprattutto Aquilani e Giovinco, al di là dei rigori impeccabilmente segnati, continuano a non convincere: il primo si limita al compitino in una zona che richiederebbe ben altre presenza e personalità, il secondo non sembra proprio avere la statura per incidere sul serio a livello internazionale (il gol a porta vuota col Giappone, parliamoci chiaro, non può far testo).
LA SUERTE SPAGNOLA - Certo, al di là di tutto, non si può negare la rabbia per un esito che, ancora una volta, ha premiato chi vince ininterrottamente da anni. Ma bisogna farsi una ragione del fatto che le grandi squadre, nei loro percorsi di gloria, sono sempre scortate da una massiccia dose di fortuna. Cosa sarebbe accaduto, nel 2010, se Robben non avesse fallito un paio di clamorose palle gol a tu per tu con Iker? E cosa sarebbe accaduto, l'anno scorso, se il Portogallo avesse giocato la semifinale con un pizzico di coraggio in più e si fosse comunque imposto ai rigori, cosa possibilissima? Di certo, mai nessuno, da quando è nato il mito spagnolo, era andato così vicino a superare l'Invincibile Armada, per punteggio e qualità di gioco, come l'Italia di Prandelli. I pessimisti si chiederanno: ma se non ci si è riusciti nemmeno stavolta che si è giocato così bene, quando potrà accadere? Occhio: l'Italia che ha sfiorato il colpaccio non era affatto la migliore Italia: condizione non al top, diversi elementi chiave fuori fase o addirittura indisponibili, la nostra arma letale, Balotelli, costretta a tornare a casa in anticipo. Eppure siamo arrivati a un passo dal sogno: no, non siamo davvero così scarsi. Ma ora, per favore, andiamo a prenderci la medaglia di bronzo.
Devo esprimere il mio disaccordo, sperando che sia ben accetto.
RispondiEliminaNon voglio dire che la squadra di Prandelli è a distanza siderale da quella di Del Bosque, ma così come la finale del 2012 non è un buon metro di giudizio, così ritengo che la sfida di ieri fosse "falsata" dall'attaggiamento spagnolo: è vero che si sono ritrovati imbrigliati in una difesa (e intendo una difesa di squadra, non solo i 3 dietro) eccellente, però non hanno espresso il calcio che sanno giocare loro. Lo stesso Iniesta, che a mio giudizio, è stato il migliore in campo non è stato all'altezza delle sue prestazioni con la Roja. Per non parlare di Xavi, Torres, Silva e Alba, tutti decisamente sotto tono.
Però direi che possiamo essere soddisfatti per la nostra nazionale perché ha dimostrato di aver fatto passi da gigante negli ultimi tre anni e non devo più farmi le croci prima di una partita, come prima di una partita dell'era Lippi II o dell'ultimo Trapattoni
Ma ci mancherebbe! Il dissenso è sempre bene accetto, se espresso in termini civili come fai tu. Poi la materia calcistica, si sa, è interpretabile nelle maniere più svariate a seconda dei punti di vista. Esempio: quando una grandissima squadra come la Spagna si esprime al di sotto del suo standard, come accaduto ieri, è colpa sua o merito di chi le sta di fronte?
EliminaFermo restando che secondo me non è mai o solo una cosa o solo l'altra, ieri c'è stato molto più merito azzurro che demerito dei rossi. Con la precisazione che non bisogna farsi illusioni perché loro sono sempre i più forti, ma nemmeno continuare a buttarci giù, come molti han fatto in questi giorni, quasi come fossimo diventati delle schiappe atroci.
Sul da farsi di qui ai Mondiali tornerò, spero, nei prossimi giorni. Siamo d'accordo sui progressi azzurri maturati nel triennio prandelliano, e anche a me il ricordo di quei precedenti mette i brividi: soprattutto il Trap, perché aveva una grande squadra, ci si aspettava tantissimo e falli alla grande; perlomeno il secondo Lippi aveva scritto in faccia il declino inevitabile, si trattava solo di capire come e quando sarebbe avvenuto il botto, e avvenne nel modo peggiore, leggasi Nuova Zelanda e Slovacchia...
giuste alcune considerazioni di Alessandro, ma è innegabile valorizzare la prova della nostra NAZIONALE ed evidenziare i progressi fatti nel corso della manifestazione. Credo che Prandelli abbia tratto delle ottime indicazioni, nel bene e nel male, per il prosieguo della sua avventura. Inutile e scontato dire che il prossimo campionato sarà fondamentale per l'inserimento di nuove forze e l'ulteriore consolidamento della squadra
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