Germania campione continentale Under 21. L'Europeo più cervellotico di sempre, che nell'ultima giornata del primo turno ha richiesto calcoli da... emicrania per stabilire la miglior seconda classificata da ammettere alle semifinali, non poteva che emettere il verdetto matematicamente più bizzarro: ha trionfato l'unica squadra a non aver vinto il proprio girone eliminatorio, essendo finita dietro l'Italia. E' una pura curiosità statistica, intendiamoci, perché sul campo, nelle ultime due gare, la Mannschaft ha ampiamente legittimato il proprio successo. La finale contro la favoritissima Spagna ha visto i ragazzini di Kuntz disputare un gran primo tempo e un inizio di ripresa sulla stessa linea; avendo concretizzato una sola delle tante palle gol create, i teutonici si sono poi trovati esposti alla reazione iberica, che in venti minuti di fuoco avrebbero potuto centrare legittimamente il pareggio; ma i bianchi hanno superato indenni la breve tempesta, e pur chiudendo all'insegna della prudenza sono andati in porto senza più correre grossi rischi. Giusto così, dunque, e del resto anche nella semifinale contro i tradizionali rivali inglesi Arnold e compagni erano parsi complessivamente più in palla, soprattutto in un secondo tempo di grana finissima e giocato a tratti all'arrembaggio.
TROPPE ASPETTATIVE ATTORNO AI NOSTRI - Ma ciò che più mi preme, in questa sede, è tracciare un sintetico bilancio dell'esperienza azzurra. Attorno alla spedizione italiana in Polonia si era creata un'aspettativa esagerata, e la colpa, va detto senza mezzi termini, è stata di mass media sempre meno inclini all'analisi pacata e all'approfondimento, con la pessima abitudine di puntare tutto o quasi su notizie urlate ed amplificate. Così qualcuno ha straparlato, inserendo questa Under fra le più forti mai espresse dal nostro calcio. A troppi addetti ai lavori fanno difetto memoria e cultura specifica: non basta citare le cinque vincenti in passato (1992, '94, '96, 2000, 2004), ma anche splendide "piazzate" come le due di Vicini '84 (semifinalista) e '86 (finalista sconfitta ai rigori), o quella di Mangia che nel 2013 si arrese nell'atto conclusivo a una Spagna veramente imbattibile, al contrario di quella attuale.
La giovane Italia versione 2017 era sicuramente una squadra di buonissimo livello, ma non siderale. Il fatto è che tutti si sono lasciati un po' abbagliare da questo pallido ritorno di fiamma del vivaio azzurro: è bastata una stagione in cui una manciata di nostri virgulti son tornati ad essere titolari con continuità in alcuni club di Serie A, per far gridare a una rinnovata grandeur. Beh, ragazzi, calma e gesso: e l'invito è rivolto anche al buon Di Biagio, cittì non irreprensibile di questa armata sbarazzina, il quale ha concluso la trasferta polacca dicendo che "l'obiettivo era rilanciare il calcio italiano, ed è stato centrato".
IL VIVAIO ERA GIA' RINATO... - In realtà, il rilancio del football made in Italy è ancora tutto da dimostrare. E poi sono passati appena quattro anni da quando, in Israele, mandammo un'Under vincente, spettacolare, votata all'offensiva. Ricordate? Era l'Italia dell'ex trio pescarese delle meraviglie Verratti - Insigne - Immobile, di Florenzi, Borini, Gabbiadini, Bertolacci... Non male, a rileggerne l'organico a distanza di tempo. Quella squadra si spinse, lo si è detto, fino alla finale del torneo israeliano. Due anni dopo le cose andarono peggio, ma la selezione estromessa al primo turno in Repubblica Ceca fu vittima più che altro di una sola partita sbagliata (la prima, con la Svezia) e delle reciproche convenienze di portoghesi e svedesi nell'ultima gara del girone; e quella compagine espresse comunque gente come Zappacosta, Romagnoli e soprattutto Belotti, che da tempo vestono ormai l'azzurro della Maggiore, oltre a elementi rivisti nel torneo appena finito come Benassi, Rugani, Berardi e Bernardeschi. Voglio dire che i nostri settori giovanili e la vetrina dell'Under hanno lavorato piuttosto bene anche nei bienni precedenti a questo, nonostante le difficoltà, e quindi fare di quest'ultima Italia il simbolo di chissà quale rinascimento è una forzatura, tout court.
RINASCITA A META' - Che poi, quale rinascimento? Come ho scritto fino alla nausea su questo blog, al rinnovamento dei ranghi, all'entrata in circolo di freschi prodotti del vivaio locale, saremmo comunque arrivati per sfinimento, per inevitabile necessità, una volta usciti di scena i vecchi draghi degli anni Zero e una volta constatata la mediocrità di tanti stranieri, fatti giungere nella Penisola solo perché acquistabili a prezzo ridotto. E' successo, alla fine, e tuttavia il rilancio del "prodotto interno lordo" è passato, nella stagione 2016/17, attraverso un ridotto gruppuscolo di club: diciamo Sassuolo, Milan, Torino e soprattutto Atalanta, e non ci sbagliamo. Riguardo agli orobici, ringraziamo mago Gasperini, ma se fosse arrivato il prevedibile esonero dopo quel terribile inizio di torneo, che ne sarebbe stato dei vari Conti, Caldara, Gagliardini e Petagna? Insomma, non mi pare di notare un'inversione di tendenza dovuta a un cambio di politica, a una progettualità sul lungo termine, come avviene in Germania (dove sui giovani si è cominciato a lavorare seriamente dopo la disfatta ad Euro 2000) e in Spagna. Si tratta di un fenomeno che ha tratti di estemporaneità ed è a macchia d'olio, non generalizzato: alcune fra le principali realtà del nostro calcio di club, penso a Roma, Napoli e Fiorentina, continuano a puntare con decisione sul mercato estero, mentre è già cara grazia che l'Inter abbia dato spazio al citato Gagliardini....
IL LAVORO DI VENTURA - Il parziale rilancio del calcio di casa nostra, sul piano della valorizzazione delle nuove leve, sta passando invece soprattutto dalle mani di Giampiero Ventura, che al contrario di alcuni suoi predecessori non solo recepisce in pieno le indicazioni dell'Under e del campionato in tema di giovani, ma è riuscito a dare un senso ai mal tollerati stages, facendone palestra per gli emergenti, una palestra talmente funzionale da avergli consentito di ripristinare la Nazionale sperimentale, retaggio del tempo che fu (per la quale, peraltro, si poteva trovare un test più probante del San Marino asfaltato poche settimane fa). Ecco, sul piano della rappresentativa maggiore sì che si può parlare di inversione di rotta convinta: ma se non ci sarà la collaborazione continuativa dei club, questa nuova tendenza rischia di afflosciarsi nel giro di pochi anni.
IL BUONO DELL'UNDER - Torniamo all'ultima Under. Sono quasi tutti ragazzi che valgono, quelli messi insieme da Di Biagio: non c'è il fuoriclasse in grado di trascinare le folle (potrebbe diventarlo forse Bernardeschi, ma dovrà eliminare gli sbalzi di rendimento anche nell'ambito dello stesso match), ma un drappello di buonissimi giocatori che, se lasciati crescere con calma, potranno dare tanto al campionato e alla Selezione dei grandi. Penso ai centrali difensivi Caldara e Rugani (la futura terza linea juventina, e a Torino non avranno di che pentirsene, soprattutto il secondo ha classe da vendere), ai laterali Conti e Barreca, che sono stati spesso la marcia in più della squadra (e l'assenza del primo ha pesato tantissimo in semifinale), ai centrocampisti Benassi e Pellegrini (ma anche Gagliardini, se ritroverà le misure atalantine), al guizzante figlio d'arte Chiesa, peraltro in Polonia spentosi dopo un avvio promettente. Berardi lo attendiamo da anni e deve decidersi a uscire dal bozzolo, perché le qualità le ha ma finora sono andate troppo spesso "in sonno", mentre Petagna è al momento indecifrabile: ha delle giocate da campione vero, ma sbaglia troppo davanti alla porta e a volte si estranea dal gioco, come accaduto con la Spagna. In ogni caso, a tutti manca un cospicuo minutaggio internazionale, e non è poco, in rapporto alle esperienze già maturate da pari età di altre nazioni.
SQUADRA NON AL MASSIMO - L'Italia non è mai stata al meglio fisicamente, e nella seconda gara con la Repubblica Ceca ha pagato certe scelte incomprensibili del cittì Di Biagio, che ha dato la stura a un massiccio turnover senza che ve ne fosse reale necessità, problemi di Caldara a parte. E, spiace dirlo, non è la prima volta che il nostro trainer accusa simili défaillance nella fase finale. Rimane però il fatto che i nostri hanno giocato una gara volitiva e brillante per un'ora contro la Germania poi campione, e un ottimo primo tempo contro una Spagna fortissima ma non inarrivabile. Solida, compatta, abile a chiudere i varchi e a riproporsi secondo la miglior tradizione nostrana, l'armata azzurra ha pagato, al cospetto degli iberici, una scarsa consistenza offensiva (mancava Berardi e Petagna era un pesce fuor d'acqua); nella ripresa, dopo aver subito lo 0-1 e l'espulsione di Gagliardini, aveva anche rimesso in carreggiata la gara con Bernardeschi, poi il fiato, l'inferiorità numerica e il superiore palleggio dei rossi hanno avuto la meglio. La squadra si è espressa complessivamente al 70 - 80 per cento dell'effettivo valore: avesse dispiegato al massimo le proprie potenzialità, non avrebbe "ciccato" il secondo match, sarebbe magari arrivata in finale e poi chissà... Non ce n'erano di imbattibili, in questo torneo, e la Spagna, da qualche anno a questa parte, lo è solo a parole.
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