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domenica 12 febbraio 2023

SANREMO 2023, LA FINALISSIMA: PER MENGONI TRIONFO PREVISTO E MERITATO. LAZZA FARA' FAVILLE, L'ARISTON INCORONA ANCHE MADAME

 


Promosso a pieni voti dalla critica, osannato dal pubblico dei "consumatori di musica leggera", esaltato dagli spettatori dell'Ariston, fra standing ovation e canzone già mandata a memoria e intonata in coro nella notte della vittoria. La marcia trionfale di Mengoni, iniziata già prima del Festival, si è conclusa placidamente all'alba di domenica. Era già tutto previsto, avrebbe detto Cocciante, ma nel caso specifico non ci sono né scandali né maliziosi sospetti da avanzare: "Due vite" aveva, semplicemente, una marcia in più rispetto ai competitors, e mi riferisco al particolare contesto della competizione. Nel senso che si tratta di un brano confezionato per vincere, costruito con maestria, il miglior compromesso fra tradizione e modernità, impastato di classe sonora e testuale, impreziosito dalla magistrale capacità interpretativa di Marco. 

MENGONI E LAZZA PRONTI A PRENDERSI L'HIT PARADE - Verdetto atteso e ineccepibile, dunque, con le emozioni della gara che hanno riguardato più che altro le posizioni di rincalzo. Si pensava a un duello... all'ultima nota con Ultimo, che sarebbe partito comunque sfavorito, mentre alla fine hanno preso campo tre giovani rampanti della scena canora nostrana. Sacrosanta, nella fattispecie, la medaglia d'argento toccata a Lazza, che, l'abbiamo detto, ha portato a Sanremo '23 la proposta più contemporanea. Penso di essere facile profeta nel dire che la classifica festivaliera, relativamente ai primi due posti, troverà agevole conferma anche fuori dal teatro, coi due ragazzi che faranno il vuoto nelle chart, persino con un possibile sorpasso dell'ultimo arrivato il cui exploit, mi ripeto, non sorprende affatto, perché non si diventa campioni assoluti di vendita per caso. Lazza è arrivato in Riviera da big autentico ed è uno dei paradossi del mercato discografico d'oggidì: si possono collezionare dischi d'oro e di platino senza tuttavia essere conosciuti da alcune fasce di pubblico; una barriera che l'interprete di "Cenere" ha sicuramente abbattuto con questa sua fortunata partecipazione. 

PESO COMMERCIALE E  LIVELLO MEDIO-BUONO - Tornando al trionfatore, dire che fosse superiore al lotto dei contendenti non significa che il resto fosse robetta, altroché. Questo Festival ci ha mostrato del bello, e tuttavia, dopo anni di commenti e analisi dedicati alla rassegna ligure (questo blog se ne occupa dal 2012), sono giunto alla conclusione che sia inutile e fuorviante fare bilanci sul livello complessivo della proposta musicale "a botta calda". E' un tipo di valutazione che va fatta solo a distanza di tempo, e non per mancanza di coraggio, ma perché tira in ballo molteplici fattori, tante variabili non immediatamente percepibili. Qualche considerazione preliminare si può fare, senza pretesa di assolutismo: fermo restando che il miglior Sanremone di Amadeus, al momento, sembra destinato a rimanere quello, drammatico, del 2021, la sensazione è che questa sua quarta edizione (su cinque) avrà comunque un notevole peso a livello commerciale, con una manciata di dischi destinati a lasciare il segno. Siamo su standard fra il discreto e il buono, una gradevole medietà con qualche ottimo picco e poche proposte veramente insufficienti. 

EASY LISTENING NON IMMEDIATO - Sul piano tecnico, avevo scritto dopo la prima serata, e qui lo confermo, che il pacchetto-canzoni va inquadrato nell'ambito di una ricerca quasi spasmodica dell'orecchiabilità, senza astruserie, senza complessità. Il che non vuol dire istantaneità totale: ecco, ciò che ho percepito coi primissimi ascolti dei pezzi è stato un deciso easy listening, che però va a braccetto con una capacità di impatto non immediata: nel senso che è mancata la vorticosa forza del "Ciao ciao" o del "Dove si balla" di dodici mesi fa, abbiamo sentito composizioni bisognose di almeno tre ascolti per imprimersi nella testa e nel cuore, e ciò vale persino per l'opera vincitrice. Forse è meglio così: dovrebbe essere una garanzia della capacità di alcuni di questi pezzi di durare nel tempo, senza venire immediatamente fagocitati dalla produzione primaverile ed estiva. Niente prodotti usa e getta, insomma. 

LO STRANO SANREMO: RINGIOVANIMENTO E CLASSICISMO SPINTO - Altre due linee di tendenza artistiche ha espresso questo festival. La prima rimanda a quella curiosa "schizofrenia" del Sanremo targato Amadeus, cui ho fatto riferimento in questi giorni per il desiderio sfrenato di voler mettere tutto e il contrario di tutto nel calderone del maxishow. Ebbene, si prosegue sulla giusta strada di un complessivo svecchiamento del panorama canoro, con un cast zeppo di giovani ed emergenti, alcuni già validi e pronti per la grande ribalta, altri con evidenti limiti di maturità, ma non è questo il punto. Il fatto è che questo ringiovanimento procede di pari passo con una sempre più massiccia riscoperta e rivalutazione della più schietta tradizione melodica italiana. Già l'anno scorso fu il trionfo di un mood classico, ovviamente rivisitato in chiave attuale, col duello fra Elisa e Mahmood-Blanco. Oggi, la cinquina finale farebbe commuovere i protagonisti di certe edizioni anni Ottanta, da Cutugno a Christian ai Ricchi e Poveri. Non è una battuta: oltre a Mengoni, persino il rapper Mr. Rain ha puntato su toni soft, sull'abile uso degli archi e su un ritornello accattivante, con la ciliegina sulla torta del ricorso al coro di bambini, utile comunque a veicolare un messaggio profondo, il non vergognarsi a chiedere aiuto quando si è in difficoltà, qualsiasi tipo di difficoltà. E che dire di Tananai? Avevo inizialmente manifestato perplessità sulla sua svolta ultra-romantica, ma debbo dire che cammin facendo mi ha sostanzialmente convinto, e anzi, la sua "Tango" va considerata opera di notevole caratura, un mix riuscitissimo fra atmosfere retrò e poetica assolutamente in linea col linguaggio della generazione X. E, ebbene sì, pure Lazza ha stilemi di classicismo. Fateci caso: il suo pezzo, pur con quell'arrangiamento ipertecnologico, ha un'impalcatura strettamente fedele ai canoni compositivi più consolidati, con quasi tutte le energie concentrate su un inciso ficcante, ben congegnato, destinato a rimanere. 

FORTE INTROSPEZIONE - Seconda linea di tendenza: il lirismo introspettivo. Tante proposte, come mai in passato, che hanno portato on stage il vissuto dei cantanti, un vissuto quasi sempre drammatico, in certi casi non ancora del tutto risolto. Da Grignani ai Modà, dai Coma_Cose a Levante, dagli Articolo 31 allo stesso Mr. Rain e ad altri ancora, pur se in termini più sfumati. Nessuna furberia ma, anzi, si è percepito più realismo, più contatto con la vita vera, meno costruzioni a tavolino per lisciare il pelo ai compratori di dischi e ai... downloadatori. Chi sostiene che Sanremo viva in un mondo parallelo non sa quel che dice e, anzi, è forse lui stesso fuori dal mondo; casomai, sorprende trovare adesso questa necessità di mettersi a nudo, quando me la sarei aspettata maggiormente negli anni bui del lockdown e della pandemia, ma tant'è. 

MADAME, IL FUTURO - La classifica finale, come sempre del resto, ha penalizzato ingiustamente alcuni personaggi usciti comunque ingigantiti da questa esperienza. Madame meritava di entrare nei Top five, ieri sera è stata accolta con enorme calore e una lunga ovazione finale dal pubblico, portandola alla commozione. Ovazione meritata, per la perfezione della sua performance e per la qualità di "Il bene nel male": brano superiore alla pur bella "Voce" del 2021, con un refrain ossessivo che, paradossalmente, può persino nuocere al tutto, perché finisce per oscurare la pregevole, ricca varietà di scrittura e di struttura della canzone (anche con tracce ritmiche che rimandano ai Daft Punk, come detto nei giorni scorsi), lontana anni luce dalla prevedibilità e impreziosita dalla voce particolarissima di una cantautrice che ha le stimmate della fuoriclasse. Confermatisi su eccellenti livelli anche Colapesce e Dimartino, con una "Splash", lo ribadisco, che mi è parsa perfino più rigorosa del tormentone "Musica leggerissima", meno incline alla facile presa e più di stampo autorale ma comunque efficace, in cui elettronica e sound settantiano si fondono per creare quegli effetti evocativi che sono ormai il marchio di fabbrica del duo. 

BEL RITORNO DEI  MODA' - E ancora: meritavano di più i Modà, ricomparsi sui medesimi, ottimi standard sciorinati prima dell'eclissamento, uno stile unico, riconoscibilissimo, esaltato dal trasporto vocale di un Kekko fragile e forte allo stesso tempo. E forse proprio questa lunga assenza ha precluso alla band il raggiungimento di posizioni più elevate, perché la freschezza della loro proposta è intatta. E' cresciuta alla distanza Giorgia, la cui canzone ha il limite di non arrivare subito anche se poi, alla fine, il ritornello ti si appiccica addosso. "Parole dette male" è una produzione che avrebbe trovato forse più fortuna nei festival anni Novanta (ma anche prima: certe parti dell'arrangiamento hanno sapore eighties), non aggiunge molto alla carriera della cantante romana ma ha una sua precisa dignità e una certa raffinatezza, nonché un pregio innegabile: ce l'ha riportata in gara a  Sanremo, dopo un buco nero di ventidue anni (causa stress, come è parso di capire). Ora che ha ripreso confidenza con l'ambiente, speriamo di rivederla presto con un brano da vittoria. Ad ogni modo, poteva stare assolutamente fra i primi cinque come poteva starci Elodie, che è andata sul sicuro dosando sapientemente dance, soul, vocalità di spessore e padronanza assoluta del palco. Tutte proposte migliori, in ogni caso, della delicata "Alba" di Ultimo, con versi di struggente poesia e con l'immancabile esplosione finale, una canzone che tutto sommato emoziona ma che fatica a restare nelle orecchie, manderà in sollucchero lo zoccolo duro ma non era all'altezza, secondo me, di giocarsi il podio. 

COMA_COSE E LEO: PROMOSSI - Pollice in su anche per gli innamoratissimi Coma_Cose, con una ballad intimista, più riflessiva e meno gioiosa di "Fiamme negli occhi" e con una messa in scena da consumati professionisti dei palchi. E mi è piaciuto anche Leo Gassman, certo valorizzato dalla buona vena di Zanotti dei Pinguini, ma che da parte sua ha saputo rendere al meglio l'articolata costruzione di "Terzo cuore", fra parti sussurrate ed altre declamate a ugola spiegata, quindi con salti di tonalità non semplici. Tutto sommato da promuovere Rosa Chemical, più per il coraggio nel riscoprire sonorità agée che rimandano addirittura agli anni Trenta, che per lo spirito fortemente trasgressivo, che ci sta tutto anche se raggiunge alcuni picchi francamente evitabili, per questioni di buon gusto. La fluidità e la libertà sessuale si possono portare avanti anche con moderazione, e nel caso specifico erano più che espliciti il testo di "Made in Italy", che funzionerà in radio, e il look dell'artista: tutto il resto è inutile sovrastruttura. 

CHI SI SALVA FRA I GIOVANI - Del problema emergenti abbiamo già ampiamente parlato in questi giorni. I ragazzi di Sanremo Giovani hanno quasi totalmente steccato, e certo non li ha aiutati una collocazione in scaletta quasi sempre ad ora tardissima. Salvo comunque il pop adolescenziale di Gianmaria, le acrobazie vocali, con e senza autotune, di Olly, e il mood da boy band nineties dei Colla Zio, peraltro ieri artefici di una prestazione mediocre. Shari è parsa più credibile di serata in serata, la malinconica "Egoista" non è nulla di nuovo ma ha una buona intensità e cantabilità, e quella voce un po' da "maschiaccio" può diventare un tratto distintivo; da rivedere il brioso Sethu e Will, quest'ultimo fra i cantanti che meno mi ha impressionato, assieme a LDA, con una proposta che scorre via senza lasciare grosse tracce, e a una Mara Sattei di cui alla vigilia si dicevano mirabilie ma che ha rischiato poco con un brano tradizionale ma senza particolari slanci che possano farlo ricordare. Pur senza strafare, ha invece portato a casa la pagnotta Ariete, col suo giovanilismo acqua e sapone da diario scolastico. 

GLI OVER 70: E' PROPRIO NECESSARIO? - Cosa rimarrà, per il resto, dell'interminabile finalissima? La magia creata in teatro dai Depeche Mode conferma, e non mi stancherò mai di ricordarlo, quanto sia importante per il Festival recuperare in futuro una congrua appendice internazionale. Discorso diverso per le ospitate degli over 70 nostrani. A rischio di apparire impopolare e, in qualche misura, cinico, arrivo a dire che c'è un tempo per tutto: gli evergreen emozionano sempre, ma le luci dei telefonini (come gli accendini in passato) si illuminerebbero anche se venissero mandate in onda le canzoni in playback. Voglio dire, nessuno nega la storicità di certi grandi artisti e del loro repertorio, ma a me personalmente non fa piacere, e anzi fa decisamente male, vedere questi mostri sacri arrancare sul palco con enormi difficoltà e, in certi casi, sproloquiare come è naturale a una certa età. No, non è stato un bello spettacolo, con la luminosa eccezione del trio prezzemolino Al Bano-Morandi-Ranieri, e pur considerando il fatto che la prova di Ornella Vanoni sia stata comunque apprezzabilissima: già il criterio di puntare, per gli ospiti italiani, solo sui super veterani è stato parzialmente tradito; se proprio lo si deve fare, che vengano scelti adeguatamente, usando più la testa e meno il cuore, cercando chi è ancora in grado di reggere l'impegno. Peppino Di Capri, persona che conserva una straordinaria lucidità, lo ha detto chiaramente, pur fra le righe, due sere fa: si aspettava questa chiamata e questa celebrazione ben prima, forse quando avrebbe potuto regalare al pubblico un recital ancora di alto livello. 

TUTTI (O QUASI) A SANREMO - Più in generale, una ulteriore annotazione sul format attuale della rassegna, i cui punti deboli ho evidenziato nelle scorse "puntate". In cinque sere, sono transitati sui tre palchi, fra gareggianti, duettanti e ospiti, circa settanta, e sottolineo settanta, artisti italiani. Ecco perché, ogni anno, le richieste di ammissione al concorso sono innumerevoli, e sempre più rari i musi lunghi per le tante forzate esclusioni in fase di selezione. Il Sanremo degli anni Venti garantisce comunque una larghissima partecipazione dei cantanti di casa nostra. Ovvio che una situazione del genere rappresenti l'ideale per tutti, in primis per l'industria discografica e tutti coloro che vi lavorano. Almeno fino a quando, come scritto ieri, vendite, streaming e audience continueranno a girare a mille. 

E LA PACE? - Il messaggio di Zelensky ha detto esattamente ciò che ci si aspettava: uniti verso la vittoria. E ribadisco che nulla di diverso poteva dire, il presidente ucraino fa esattamente ciò che deve fare e che chiunque farebbe al suo posto. Confermo però la mia amarezza per il fatto che il Festival, contenitore di molteplici istanze e proclami, persino per l'arruolamento nell'aeronautica (!) come accaduto ieri in apertura di finale, non ha pronunciato quasi nessuna parola per la pace, a parte il "No war" sul retro della camicia di Grignani, iniziativa isolata, da vera rockstar ribelle, ma francamente insufficiente. 

MASCHILISMO? - Dispiace, infine, l'assenza di voci femminili nel quintetto finale. Anche qui, ripeto quanto scritto poco sopra: potevano entrarci, senza scandalo, Madame soprattutto, poi Elodie e Giorgia, così come han fatto buonissima figura Levante e Paola e Chiara, con pezzi vigorosi ed energici che avranno lunga vita lontano dalla Riviera ligure. Già è montata la polemica, lo stesso Mengoni in sede di premiazione ha manifestato un certo disagio nel non vedere colleghe al suo fianco, ma le accuse di maschilismo mi sembrano onestamente esagerate: il cast dei concorrenti ha annoverato una decina di donne, ce n'erano grosso modo altrettante fra i "duettanti" del venerdì, tre fra gli ospiti (Vanoni, Annalisa, Rappresentante di Lista); a buon peso, la schieramento imponente delle co-presentatrici e quasi tutti gli invitati non cantanti in promozione televisiva: Elena Sofia Ricci, Carolina Crescentini coi ragazzi di Mare Fuori, Rocio Munoz Morales e ieri Luisa Ranieri. Amadeus ha la coscienza a posto, dopodiché, per la gara, decidono le giurie, che però non mi pare abbiano votato in maniera scandalosa: quasi tutti quelli che sono arrivati davanti meritano di essere lì, fra le ragazze solo Madame aveva un brano veramente da medaglia d'oro. A tal proposito, nel 2024 saranno dieci anni dall'ultima vittoria "in rosa", quella di Arisa nel 2014. Potrebbe essere l'occasione per chiudere il cerchio. Un nome? Annalisa. 

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