Non sono trascorse che poche ore, l'amarezza è ancora grande, i rimpianti al livello di guardia. Eppure, questa volta, non c'è bisogno di ragionare a sangue freddo per ribadire quanto già avevo scritto dopo il trionfo sulla Spagna. L'Europeo degli azzurri è stato eccezionale, sic et simpliciter: hanno ridimensionato il precoce mito del Belgio squadra del futuro (e comunque seconda nel ranking FIFA) con un esemplare saggio di calcio all'italiana in versione 2.0, difesa attiva e spirito d'iniziativa, per poi vincere in scioltezza e in anticipo il girone iniziale; hanno strabattuto e dominato sul piano del gioco, dell'aggressività, della continuità d'azione gli iberici bicampioni continentali, concludendo la demolizione della Roja invincibile avviata due anni fa da Olanda e Cile; hanno, infine, neutralizzato e quasi ridotto all'impotenza la Germania campione del mondo in carica. In poche settimane, Conte e i suoi ragazzi son stati in grado di colmare, nei confronti di queste tre squadre, un gap di talento e classe che alla vigilia pareva abissale. Sono andati a un passo da una clamorosa semifinale, ma a un passo davvero, uscendo pressoché indenni da un tabellone che i sorprendenti sviluppi del torneo avevano reso, sulla carta, proibitivo.
SQUADRA DA RICORDARE - Sul serio: come si poteva pretendere di più? Certo, l'ingresso fra le magnifiche quattro, le elette del Vecchio Continente, a un certo punto ci è parso davvero alla portata, e in fondo è quello il traguardo che scava il solco fra una buona e un'ottima Nazionale. Questa Italia, sul piano delle fredde statistiche, degli almanacchi, è rimasta a metà del guado. E anche per questo, ieri sera, abbiamo visto Andrea Barzagli piangere lacrime sincere in televisione: "Nessuno si ricorderà più di noi, essendo usciti ai quarti"; e già: nessuno parlerà di questo splendido gruppo, delle belle prestazioni offerte, dei pronostici sovvertiti, delle gare giocate ad armi pari con le grandi d'Europa. Ebbene, mi sento di poter dire che il nostro statuario difensore si sbaglia di grosso, e non date retta a giornalisti che non sanno guardare al di là del punteggio; il risultato non può essere sempre l'unico metro di giudizio, e ogni traguardo raggiunto, o mancato, va tarato sulla situazione del momento, sul valore proprio e su quello degli avversari.
C'E' ELIMINAZIONE ED ELIMINAZIONE... - Tanto per esser chiari: questa uscita ai quarti vale molto di più, infinitamente di più sia di quella del 2008, quando ci presentammo come campioni del mondo e giocammo un Europeo mediocre dall'inizio alla fine, sia di quella del Mondiale '98, quando rotolammo fino all'eliminazione per mano francese sulle ali di un gioco sparagnino, risparmiatore, poco spettacolare, pur potendo schierare campioni in ogni reparto e, soprattutto, una batteria di attaccanti che tutto il mondo ci invidiava. In questo particolare momento storico, invece, il calcio tricolore aveva soprattutto bisogno di ritrovare una propria identità, di ricostruirsi una credibilità andata in frantumi due anni fa in Sudamerica. Aveva bisogno di una Nazionale che, a dispetto dell'indifferenza dell'ambiente, sapesse conquistarsi prepotentemente un posto al sole, tornare nel cuore degli appassionati fornendo anche un'immagine di serietà, di pulizia, di unità interna, pur battendosi in una situazione di grande disagio tecnico, di mezzi non eccezionali che han fatto parlare in molti, ingenerosamente, di "peggiore Italia degli ultimi cinquant'anni", o cose del genere.
C'E' ELIMINAZIONE ED ELIMINAZIONE... - Tanto per esser chiari: questa uscita ai quarti vale molto di più, infinitamente di più sia di quella del 2008, quando ci presentammo come campioni del mondo e giocammo un Europeo mediocre dall'inizio alla fine, sia di quella del Mondiale '98, quando rotolammo fino all'eliminazione per mano francese sulle ali di un gioco sparagnino, risparmiatore, poco spettacolare, pur potendo schierare campioni in ogni reparto e, soprattutto, una batteria di attaccanti che tutto il mondo ci invidiava. In questo particolare momento storico, invece, il calcio tricolore aveva soprattutto bisogno di ritrovare una propria identità, di ricostruirsi una credibilità andata in frantumi due anni fa in Sudamerica. Aveva bisogno di una Nazionale che, a dispetto dell'indifferenza dell'ambiente, sapesse conquistarsi prepotentemente un posto al sole, tornare nel cuore degli appassionati fornendo anche un'immagine di serietà, di pulizia, di unità interna, pur battendosi in una situazione di grande disagio tecnico, di mezzi non eccezionali che han fatto parlare in molti, ingenerosamente, di "peggiore Italia degli ultimi cinquant'anni", o cose del genere.
ITALIA OLTRE I PROPRI LIMITI - Ecco, direi che tutti questi obiettivi sono stati centrati, fra Lione, Saint Denis e Bordeaux. L'Italia ha di nuovo una Nazionale, una Nazionale che non vive di espedienti ma che ha trovato una identità precisa, sul piano tecnico, tattico e morale. Una squadra che oggi poteva festeggiare il successo sulla Germania e attendere l'avversario di semifinale, e sarebbe stata una delle imprese più clamorose nella storia del pallone nostrano. Perché, davvero, nell'anno di disgrazia 2016 era quasi impossibile fare di meglio: queste tre settimane di battaglia non hanno cancellato la crisi profonda del nostro movimento, la scarsa attenzione verso i giovani del nostro vivaio, i club imbottiti di stranieri, la carenza di uomini di valore in molti ruoli chiave; e hanno solo mascherato la realtà di una rappresentativa che è andata costantemente oltre i propri limiti, limiti evidenti dalla cintola in su e che, siamo onesti, presto o tardi avrebbero dovuto presentare il conto, anche perché storicamente il Club Italia, nelle sue fasi di più acuta difficoltà, raramente trova quella fortuna che sorregge altri: come la Grecia 2004 che vinse casualmente un Europeo partendo dal nulla e nel nulla tornando, o anche, ebbene sì, come la Germania.
LA FORTUNA? A VOLTE E' ANCHE TEUTONICA - La continuità storica agli alti livelli dei vincitori di ieri è fatta di tantissimi, enormi meriti, ma anche di un pizzico di buona sorte sparsa qua e là, quella che li ha quasi sempre portati a pescare il numero fortunato della lotteria, le poche volte che si sono trovati ad affrontare sfide infide: quando vanno in sofferenza (e, lo ripetiamo, capita di rado), quando si trovano a un passo dal baratro, quando l'equilibrio è esasperato ma la bilancia sembra poter pendere dalla parte dei rivali, nove su dieci riescono a cavare fuori dal cilindro, in qualche modo, il colpo da prestigiatori che li fa scollinare. Da Spagna '82 a Mexico '86, da Corea - Japan 2002 a questo Euro 2016: non c'è nulla di male, e del resto la fortuna aiuta gli audaci, quindi è giusto così.
LA FORTUNA? A VOLTE E' ANCHE TEUTONICA - La continuità storica agli alti livelli dei vincitori di ieri è fatta di tantissimi, enormi meriti, ma anche di un pizzico di buona sorte sparsa qua e là, quella che li ha quasi sempre portati a pescare il numero fortunato della lotteria, le poche volte che si sono trovati ad affrontare sfide infide: quando vanno in sofferenza (e, lo ripetiamo, capita di rado), quando si trovano a un passo dal baratro, quando l'equilibrio è esasperato ma la bilancia sembra poter pendere dalla parte dei rivali, nove su dieci riescono a cavare fuori dal cilindro, in qualche modo, il colpo da prestigiatori che li fa scollinare. Da Spagna '82 a Mexico '86, da Corea - Japan 2002 a questo Euro 2016: non c'è nulla di male, e del resto la fortuna aiuta gli audaci, quindi è giusto così.
NULLA DI MEMORABILE - Nel dettaglio, questa ennesima Germania - Italia è stata, nei 120' di gioco, meno epica e memorabile di tante indimenticabili tenzoni del passato. Tutto un po' sotto tono, in un clima tragicamente straniante, perché emozionarsi per una partita di football risulta veramente difficile quando si gioca con il lutto al braccio, quando l'ennesima strage si è consumata nel nome del più ottuso e barbaro fra tutti gli ottusi e barbari terrorismi che hanno infangato il genere umano. Sul campo, un primo tempo bloccatissimo, con leggero predominio teutonico ma migliore occasione per i nostri, su cross lungo di Giaccherini e tiro di Sturaro che, deviato da Boateng, finiva a lato di pochissimo. Ripresa con gli uomini di Low più decisi, vicini al gol con Thomas Muller (gran salvataggio in acrobazia di Florenzi), a segno con una deviazione sotto misura di Ozil su cross di Hector sporcato da Bonucci, e vicini al raddoppio su tacco di Gomez, deviazione di Chiellini e provvidenziale intervento di Buffon. Ma poi, scampato il pericolo, ecco il generoso ritorno azzurro: cross di De Sciglio e girata di poco a lato di Pellè, quindi gratuito mani in area di Boateng e penalty solare impeccabilmente trasformato da Bonucci, e poco dopo un bel destro dell'attivissimo De Sciglio sull'esterno della rete.
Conte: dopo il suo addio, futuro carico di incognite
Conte: dopo il suo addio, futuro carico di incognite
L'UNICA PARTITA POSSIBILE - Piccole schermaglie nei prolungamenti (ma peccato, peccato davvero per quell'Insigne messo dentro troppo tardi), a sancire un pari sostanzialmente giusto, in cui le contendenti si sono battute gagliardamente, ognuna coi mezzi a disposizione, ma nessuna delle due avrebbe meritato di cogliere l'intera posta. L'Italia non ha preso in mano il gioco come fatto contro la Spagna, né ha potuto sprigionare la buona aggressività, la spinta e la velocità di esecuzione sciorinate al debutto coi belgi, perché l'avversaria era diversa, più tosta, più fresca, più smaliziata tatticamente, più nitidamente superiore. Una Germania che della versione "rullo compressore" di Brasile 2014 ha conservato solo l'impermeabilità difensiva, meccanismi perfetti che hanno sistematicamente chiuso ogni varco ai tentativi azzurri, e qualche sprazzo di manovra vellutata e rapida in fase di costruzione, poche e pericolose accelerazioni tra mille languori. Pur sempre una montagna difficile da scalare, a cui Barzagli e compagni hanno opposto le sole armi possibili: difesa paziente (ma gli unici momenti di autentica sofferenza si sono avuti nel periodo culminato con l'1 a 0), occupazione degli spazi e ricerca dello spiraglio giusto in ripartenza: quest'ultima parte del piano poteva riuscire con centrocampisti più dotati in fase di impostazione (ma Verratti e Marchisio erano a casa) e con attaccanti di maggior statura internazionale. Nelle nostre condizioni, ripeto, si è fatto il possibile e lo si è fatto assai bene.
LOTTERIA, SENZA SE E SENZA MA - Poi l'assurda giostra dei rigori. Da anni sostengo sia una pura e semplice lotteria (il blog mi è testimone), a prescindere da chi vince e da chi perde, perché troppi fattori prevalgono sulla mera perizia tecnica degli esecutori, fino a schiacciarla: quando si battono diciotto tiri dal dischetto consecutivi (come nella finalina di Europa '80 fra Italia e Cecoslovacchia), la mazzata dell'errore può colpire chiunque, in qualsiasi momento, quando meno la si aspetta. E' una roulette mozzafiato, ma pur sempre una roulette, preferibile alla monetina ma non alla ripetizione della partita (con la moltiplicazione delle gare anche inutili che caratterizza il calcio d'oggidì, strano che non si trovi posto in calendario per incontri di spareggio da far disputare in queste situazioni).
Dopodiché, certo, magari un Pellè poteva evitare di presentarsi ai sedici metri facendo il figo e credendo di poter intimorire Neuer, lui, umile punta del Southampton: il suo atteggiamento imperdonabile (e seguito dall'ovvio errore) è chiaramente sintomo di immaturità, dovuta alla scarsa esperienza agli altissimi livelli sua e di tanti compagni di Nazionale. Un peccato, in ogni caso, perché questa smargiassata gli alienerà molte simpatie ed era l'ultima cosa di cui aveva bisogno, trattandosi comunque di un giocatore che, anche dopo un buonissimo torneo, è tutto fuorché intoccabile, e per conservare la maglia azzurra dovrà sudare sette camicie.
Dopodiché, certo, magari un Pellè poteva evitare di presentarsi ai sedici metri facendo il figo e credendo di poter intimorire Neuer, lui, umile punta del Southampton: il suo atteggiamento imperdonabile (e seguito dall'ovvio errore) è chiaramente sintomo di immaturità, dovuta alla scarsa esperienza agli altissimi livelli sua e di tanti compagni di Nazionale. Un peccato, in ogni caso, perché questa smargiassata gli alienerà molte simpatie ed era l'ultima cosa di cui aveva bisogno, trattandosi comunque di un giocatore che, anche dopo un buonissimo torneo, è tutto fuorché intoccabile, e per conservare la maglia azzurra dovrà sudare sette camicie.
VENTURA: UN SALTO NEL BUIO CON LA LINEA VERDE - Questa considerazione, e il definitivo 7-6 di Bordeaux, chiudono il dolceamaro capitolo Europei e aprono immediatamente quello successivo. Come Zoff nel 2000, ma per ben altri motivi, Conte lascia a metà un lavoro estremamente promettente. Il rilancio azzurro rimane con l'urlo strozzato in gola, da settembre si rischia di ripartire quasi da zero, con un allenatore meno carismatico e meno avvezzo alle grandi ribalte del football mondiale (nonché molto meno vincente, particolare tutt'altro che trascurabile). Ventura dovrà innanzitutto mantenere il magico clima, l'unità d'intenti che Conte aveva saputo ricreare. E dovrà innovare, innovare profondamente, perché il tempo stringe per tanti azzurri di oggi, e i giovani non possono davvero più attendere.
Sarà ancora l'Italia di Buffon e Bonucci, di Chiellini e forse persino di un Barzagli in là con gli anni ma ancora in piena efficienza, e come rinunciare a Parolo, Candreva, Giaccherini (uno dei migliori in assoluto di Euro 2016), a un Darmian che ha potenzialità maggiori di quelle mostrate in Francia, a un De Sciglio concreto e concentrato come non si vedeva dai tempi degli esordi azzurri, all'eclettico e generoso Florenzi, a uno Sturaro che accumulando minutaggio può solo migliorare? Ma dovrà essere anche l'Italia di Rugani, Romagnoli, Zappacosta, Cataldi, Benassi, Berardi, Belotti, i migliori Under 21 del biennio 2013-2015, nonché l'Italia dei grandi esclusi di Conte, da Bonaventura a Soriano, da Acerbi a Jorginho, da Pavoletti a Gabbiadini; l'Italia dei grandi infermi che torneranno, Perin, Verratti e Marchisio, e dei convocati che in queste settimane hanno avuto pochissimo spazio: Ogbonna (positivo nell'unico match disputato, quello con l'Eire) e soprattutto Bernardeschi, Insigne ed El Shaarawy; senza tralasciare l'incognita Lapadula, potenzialmente un boom. I mezzi non mancano, ma è concreto il timore che il circolo virtuoso innestato da Conte si spezzi in assenza del "mentore". Una bruttissima gatta da pelare per il nuovo cittì, nel momento in cui la nostra selezione aveva soprattutto bisogno di stabilità e continuità nella guida tecnica.
Sarà ancora l'Italia di Buffon e Bonucci, di Chiellini e forse persino di un Barzagli in là con gli anni ma ancora in piena efficienza, e come rinunciare a Parolo, Candreva, Giaccherini (uno dei migliori in assoluto di Euro 2016), a un Darmian che ha potenzialità maggiori di quelle mostrate in Francia, a un De Sciglio concreto e concentrato come non si vedeva dai tempi degli esordi azzurri, all'eclettico e generoso Florenzi, a uno Sturaro che accumulando minutaggio può solo migliorare? Ma dovrà essere anche l'Italia di Rugani, Romagnoli, Zappacosta, Cataldi, Benassi, Berardi, Belotti, i migliori Under 21 del biennio 2013-2015, nonché l'Italia dei grandi esclusi di Conte, da Bonaventura a Soriano, da Acerbi a Jorginho, da Pavoletti a Gabbiadini; l'Italia dei grandi infermi che torneranno, Perin, Verratti e Marchisio, e dei convocati che in queste settimane hanno avuto pochissimo spazio: Ogbonna (positivo nell'unico match disputato, quello con l'Eire) e soprattutto Bernardeschi, Insigne ed El Shaarawy; senza tralasciare l'incognita Lapadula, potenzialmente un boom. I mezzi non mancano, ma è concreto il timore che il circolo virtuoso innestato da Conte si spezzi in assenza del "mentore". Una bruttissima gatta da pelare per il nuovo cittì, nel momento in cui la nostra selezione aveva soprattutto bisogno di stabilità e continuità nella guida tecnica.
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