Se ne parla già dagli anni Ottanta, ma è in questo 2021 che,
complice la pandemia, si è definitivamente completata la transizione di Sanremo
da rassegna canora a show televisivo. E nell'attuale situazione di emergenza è
stata una mano santa, riconosciamolo: la costruzione dello spettacolo fatta su
misura per il piccolo schermo (complice una scenografia ad hoc, mai così decisiva) ha reso meno impattante lo shock della platea
desolatamente deserta, quasi neutralizzandolo. Certo, dal vivo, on stage, deve
essere diverso, me ne rendo conto. E dev'essere terribile per cantanti,
presentatori, performers esibirsi davanti a nessuno, soprattutto per
professionisti di vasta esperienza che hanno bisogno del contatto col pubblico
come dell'ossigeno. Ma il filtro della tv attutisce tutto, anche se magari alla
lunga il disagio riemergerà: no, non sono stati gli applausi finti, espediente
discutibile in tempi normali (quando spesso se ne abusa) ma accettabile oggi.
Per quanto di basica elementarità, la trovatina esorcizzante del dialogo con le
sedie vuote ha contribuito invece a sciogliere gli animi: il saluto alle
poltronissime partito da Fiorello e poi ripreso da vari artisti in corso di
serata, l'invito ad applaudire rivolto... ai braccioli, la corsa fanciullesca
dei due presentatori fra i corridoi della sala vuota. Tutto fa, ma nel
vernissage di Sanremo 2021 è stato fondamentale concepire l'evento come
trasmissione tout court, non un grande happening ma un intrattenimento che è soprattutto vetrina promozionale
catodica per novità musicali, e lo si è percepito soprattutto nelle esibizioni
dei cantanti in gara, ciò che continua a contare di più, nonostante
l'allungamento sempre più indecoroso di un brodo che potrebbe serenamente chiudere
i battenti a mezzanotte e dintorni.
GIOCARE CON L'AUDITEL - Lo si fa per giocare coi numeri
dell'Auditel, solo che questa volta il trucchetto si è rivolto contro i signori
dei dati, dello share e delle percentuali: avesse avuto una durata più umana,
questa prima serata si sarebbe chiusa con un bilancio di spettatori del tutto
soddisfacente, come possono esserlo 11 milioni e rotti di televisori
sintonizzati sulla kermesse. La media ponderata con la seconda parte della
puntata ha portato il calo che, del resto, avevo temuto, al di là
dell'ottimismo di facciata sbandierato da molti. Lo abbiamo già detto: la
concorrenza della Juve, un cast molto avveniristico e privo o quasi di
"grandi vecchi", e soprattutto, ripeto, la lunghezza. Minore il peso
dell'indegna campagna d'odio delle ultime settimane, fondata su argomenti
talmente labili e imbarazzanti, per chi li porta avanti, da non poter essere
fattore scatenante di un boicottaggio catodico. Ma poi, non ci sono cose più
importanti da boicottare? Se proprio sentite la necessità fisiologica
impellente di boicottare qualcosa, fatelo con
l'emittente ligure Primocanale e con la sua grottesca e ossessiva
campagna anti festival, non vi pare?
BERTE' EVITABILE, DIODATO SUPER - Torniamo all'Ariston. Le
trovate carine non sono mancate, come la sigletta in stile musical di Ama e
Fiore e le telefonate da casa dei vip sintonizzati su Rai 1. Evitabilissima, e
anche questo era prevedibile, la presenza di Ibrahimovic, che sembra davvero la
caricatura di se stesso: cose che accadono quando si diventa prigionieri di un
personaggio, e non si riesce più a distinguere la realtà dalla parodia della
stessa. Fra i tanti ospiti, meglio sorvolare, per carità di patria, sulla
presenza della Bertè, che ha ormai dato al festival tutto ciò che le era
possibile dare senza che si sentisse la necessità di questa ulteriore presenza,
priva di pathos e colma solo di rimpianti per la bella voce che fu, mentre ha
giganteggiato Diodato, davvero un nuovo fuoriclasse della canzone italiana.
Molto, troppo autoreferenziale fino ad essere criptico Achille Lauro, sul pezzo
Matilda De Angelis, che sarebbe stato bello vedere anche nelle prossime serate.
L'ELEGANZA CLASSICA DI ARISA, MICHIELIN E FEDEZ PER VINCERE -
Capitolo gara: per chi ha seguito in autunno AmaSanremo, nessuna novità dalle
Nuove proposte: il pezzo d'atmosfera di Folcast e quello da "pugno nello
stomaco" di Gaudiano, che rimane il mio favorito, erano nettamente
superiori alla concorrenza, e non potevano temere scherzi se non un inserimento
del fin troppo scanzonato Avincola, mentre Elena Faggi è passata senza lasciare
tracce. Riguardo alla prima infornata di Big, sinceramente il livello mi è
parso buono, pur se non siderale, e tenendo conto che per me si è trattato del
primo ascolto in assoluto. Se una critica debbo fare sulla media delle canzoni,
è forse mancato del coraggio ai veterani, quelli che hanno meno da giocarsi
rispetto ad altri e potrebbero, una buona volta, osare un po' di più. Ma
tant'è. Al netto di questa considerazione, Arisa e Annalisa portano avanti la
classica linea melodica sanremese con due proposte di notevole classe ed
eleganza, soprattutto quella di Rosalba, mentre forse la savonese tende un po'
ad affondare nella banalità, pur facendosi ascoltare gradevolmente. Di Noemi ho
apprezzato il buon crescendo vocale e orchestrale nella seconda parte di
"Glicine", mentre Michielin (bellissima nel suo new look) e Fedez
hanno il tipico pezzo costruito per soddisfare ogni esigenza: quelle
radiofoniche e di streaming, quelle... economiche di vendita, quelle immediate
di classifica al Festivalone. Possono vincere? Dopo questo primo approccio
sembrerebbe di sì, ma tante cose possono ancora accadere, vista la quantità di
giurie chiamate ancora a pronunciarsi di qui a sabato.
POLLICE IN SU PER MANESKIN E COLAPESCE-DIMARTINO - Anche se
c'è chi lo nega, quello dei Maneskin è rock duro e puro. Certo rock
all'italiana, ma pur sempre genuino, sporco e maleducato: la loro "Zitti e
buoni" è destinata a percorrere una buona strada fuori dall'Ariston. Lo
stesso accadrà per Colapesce e Dimartino, grazie a una "Musica
leggerissima" con deliziose reminiscenze seventies, in particolare nei
rimandi ai primi Matia Bazar. Troppo forzata l'interpretazione di Aiello, sotto
la cui veemenza non pare esserci molto se non un brano che musicalmente non
appare modernissimo come nel testo, mentre per Max Gazzè c'è il rischio di
cadere nella... prevedibilità dell'imprevedibilità. Alla fine persino gli Elii
hanno stufato con la loro ricerca dell'originalità a tutti i costi... "Il
farmacista" è comunque ancora un prodotto di spessore, certo con sprazzi
di genialità, ma che sostanzialmente nulla aggiunge al suo percorso artistico.
Gli devo comunque dare atto di avermi fregato: pensavo che la sua Trifluoperazina
monstery band fosse un gruppo reale, di giovani musicisti sconosciuti, e invece
erano dei cartonati di personaggi iconici. E vabbè.
FASMA SUL SICURO, MISTERO RENGA - Fasma ha fatto breccia nel
cuore della demoscopica con un "capitolo 2" del brano che gli ha dato
popolarità l'anno passato. Nulla di male: per quanti anni abbiamo osannato e
gratificato economicamente, comprandone i dischi, cantanti italiani e stranieri
che proponevano ogni anno lo stesso pezzo, con piccole variazioni sul tema? Qui
c'è almeno uno stile riconoscibile a chi frequenta quei territori musicali.
Allegrotta, coinvolgente e neppur troppo spiazzante "Fiamme negli
occhi" dei Coma_Cose, Madame più "omologata" del previsto,
adattata cioè al palco sanremese che ne ha smussato certi angoli, anche se il
punto forte rimane la sua particolarissima, straniante, distorta maniera di
"porgere" la canzone, mentre chi non ha esitato a lanciarsi nel buio,
sfidando le giurie, è stato il buon Ghemon con una miscela di jazz, soul e funk
di non facile digeribilità, eppur rimarchevole. Una postilla per Francesco
Renga: che non sia più molto "a fuoco" è chiaro perlomeno dalla sua
precedente, opaca performance ligure del 2019, e ieri ha nuovamente lasciato
interdetti. Forse qualche difficoltà esecutiva, sicuramente un'opera dalla
costruzione strana e ardua da percorrere anche per corde vocali d'eccellenza
come quelle del bresciano. Gli strali per lui si sprecano, io voglio
riascoltarlo, perché non mi pare
terribile: sicuramente più ardimentoso di due anni fa, quando non
rischiò alcunché e andò incontro al disastro.
BATTAGLIA TERRIBILE CON LA SERIE A - Stasera seconda
infornata di big e giovani. La battaglia è terribile: se ieri in concorrenza
c'era "solo" la Juventus, ossia la squadra più amata e seguita in
Italia, oggi c'è il resto della Serie A (con Ibra assente forzato all'Ariston,
e non è detto sia un male), e c'è soprattutto il derby della Lanterna. Io
ovviamente vedrò Sanremo, per antica passione e perché odio profondamente la
stracittadina, una partita che provoca in me solo ansia e tensione, ma
ovviamente sarò costretto a uno zapping compulsivo, perché al cuor calcistico
non si comanda. Anche nel 2011 un derby genovese si svolse nei giorni del
Festival, ma venne evitata la sovrapposizione anticipandolo al tardo
pomeriggio. Vedremo come andrà, e capiremo nei prossimi giorni se, dati Auditel
alla mano, sarà il caso di porre mano a un ripensamento della concezione
artistica del progetto Sanremo, per quanto riguarda le edizioni future. Tante
sbavature, tanti lati oscuri erano già emersi in questi anni (e puntualmente
registrati su queste pagine, se avete avuto la bontà di leggere), ma il
successo oceanico di pubblico aveva mitigato il tutto. A volte prendere qualche
facciata fa bene, ma avremo modo di riparlarne.
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