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domenica 7 marzo 2021

SANREMO 2021: LA VITTORIA DEI MANESKIN È UNA DELLE PIU' CLAMOROSE DEGLI ULTIMI 40 ANNI. IL FESTIVAL CHIUDE IN CRESCENDO E LASCIA AI POSTERI UN GRUPPETTO DI BELLE CANZONI

A pensarci bene, era persino ovvio. Il Festivalone più fuori dall'ordinario di tutti i tempi non poteva che esprimere un verdetto spiazzante, pazzesco, sopra le righe, al di là di ogni pur ardito pronostico. Alle 2 e 30 di notte trionfano i Maneskin: seguo il Festival da quasi quarant'anni e, fatte tutte le dovute valutazioni e distinguo per ognuna delle edizioni, penso di poter dire che siamo di fronte a una delle vittorie più clamorose, più di quella di Mahmood, sui livelli di Tiziana Rivale e Jalisse, quanto a imprevedibilità. Certo, Damiano e compagni sono cresciuti nella considerazione di tutti fin dalla prima esibizione, non hanno sbagliato una performance, ma potevano tutt'al più essere accreditati del ruolo di principali outsiders, perché ben altri erano i favoritissimi e loro non potevano essere considerati nel gruppo, a maggior ragione in quanto esponenti di un genere musicale che in Riviera ha sempre raccolto pochissime soddisfazioni.

C'ERA DI MEGLIO - In linea generale, fa sempre piacere quando a chiudere in testa la maratona ligure è un'espressione del mondo giovanile, perché testimonia del fatto che Sanremo mantiene intatta la propria vitalità, vuole sempre e comunque guardare avanti, ignorando chi invece è rimasto inspiegabilmente ancorato agli anni Ottanta-Novanta e auspicherebbe una kermesse costruita sui cantanti mito di quel periodo, oggi fuori mercato e lontani dai gusti di chi spende davvero per fruire del prodotto musicale. Il discorso cambia un po' se guardiamo invece all'aspetto meramente qualitativo: personalmente ritengo che il pacchetto-canzoni del Festival numero 71 offrisse decisamente di meglio. Alla fine, scremando e sacrificando pezzi gradevolissimi, ero giunto a una terna di miei preferiti: Irama, Rappresentante di lista e Malika Ayane, con opzioni aggiuntive per Arisa e Colapesce-Dimartino; i motivi del mio apprezzamento per le loro composizioni li ho già ampiamente illustrati nei post di questa settimana, e non mi pare il caso di ripetermi. 

A IRAMA E' MANCATA L'ATMOSFERA LIVE - Nessuno di loro è giunto a toccare con mano la possibilità di vittoria: poteva avere qualche chance in più l'elettrodance europea di Irama, il quale però alla lunga ha pagato il modesto impatto televisivo della registrazione della prova generale, lo stesso filmato mandato in onda per tre sere. All'Ariston pesa anche, sull'esito della competizione, la performance live, che può mutare da una serata all'altra non tanto come caratteristiche della messa in scena (se andiamo a vedere, l'esibizione di ogni cantante rimane grosso modo la stessa da martedì a sabato, anche sul piano della gestione registica), ma come modo di porsi sul palco da parte del singolo interprete, sulla base del mood del momento. In soldoni: l'rvm trasmesso in loop ha mostrato un Irama padrone assoluto della situazione, da artista consumato, quasi gigione in certi atteggiamenti, sicuro di sé al punto da rasentare una positiva arroganza (nel segno di una delle sue recenti hit estive...); immaginiamo cosa avrebbe potuto fare con lo stimolo della diretta tv e con l'adrenalina di una gara in pieno svolgimento. Un peccato: nelle condizioni in cui ha dovuto operare, ha obiettivamente raggiunto il massimo traguardo. 

LO STRANO PERCORSO DI MICHIELIN E FEDEZ - Una volta... rasi al suolo i miei favoriti, nel terzetto finale avrei puntato su un'affermazione del duo Michielin-Fedez, con una "Chiamami per nome" che è partita col freno a mano tirato ma che alfine si è imposta come pezzo di grande presa radiofonica, del tutto in linea con il pop di questi anni Venti, un prodotto abilmente confezionato e destinato a fare il vuoto nelle chart. Curiosa storia, quella sanremese di questi ragazzi: sono entrati papi (a bocce ferme, prima dell'inizio, i favoriti erano loro), sembravano essere usciti cardinali ma, sotto la possente spinta del televoto, sono rientrati nel conclave rivierasco respirando nuovamente aria di successo pieno. In tema di sorprese, abbastanza inatteso anche il "crollo" di Ermal Meta. Intendiamoci, non per sua responsabilità, ché anzi ha regalato in finale un'esibizione di assoluto spessore, tecnicamente ineccepibile ed emozionalmente vivida. Visto che ieri avevo parlato di un Ermal come l'Inter attualmente in fuga in Serie A, rimanendo in ambito calcistico si potrebbe paragonare ciò che è avvenuto stanotte alla clamorosa rimonta scudetto della Lazio sulla Juventus nel 2000: solo che in quel caso furono i bianconeri a cedere di schianto, laddove il trionfatore (in coppia con Moro) del 2018 ha fatto tutto quello che doveva e poteva, compresa la capacità di mettere d'accordo demoscopica e orchestra e "tenere botta" nelle votazioni via sms, ma non è bastato. 

COSA RESTERA' - Alle corte: non hanno vinto i migliori, parere personalissimo. Succede, e ce ne faremo una ragione. In "Zitti e buoni" i Maneskin portano se non altro una spruzzata di rock certo ingenuo, basico, da studenti alle prime armi, ma comunque sincero e genuino, sporco, graffiato, puro, laddove l'unico precedente di medaglia d'oro sanremese del genere, quello di Ruggeri nel '93 con "Mistero", virava verso tonalità decisamente più ammorbidite. Ad ogni modo faranno breccia anche loro, nelle heavy rotation e nelle classifiche di vendita reali e digitali, assieme a una buona decina di pezzi: nel gruppetto di prevedibili successi di Sanremo 2021 metto il podio ufficiale dell'edizione, i miei preferiti prima elencati, e ci aggiungo i teneri Coma_Cose, una Gaia dal buon impatto scenico, quel Fulminacci che raccoglie l'eredità dei nostri migliori cantautori "de borgata", con la sua capacità di pennellare a parole stralci di semplice vita quotidiana, la martellante rabbia di Willie Peyote, l'estro immaginifico di Gazzè, persino una Madame che è stata forse la più avanguardista di tutti i 26 Campioni, riuscendo a dimostrare che si può cantare l'amore, il nuovo amore, quello giustamente vissuto in totale libertà dai ragazzi d'oggi, con linguaggio ultracontemporaneo, con sonorità futuribili, ma anche con felici contaminazioni fra rap e classicismo italico, senza dover totalmente tradire le proprie origini. 

I CLASSIC: PROMOSSI CON RISERVA - C'è poi tutto il discorso riguardante la truppa dei "classic", i veterani: certo fa un po' effetto chiamare così gente come Renga, Arisa, Annalisa, Noemi, lo stesso Meta, segno inequivocabile che, ahimé, il tempo passa inesorabilmente. Francesco rappresenta un caso a sé, e mi ripeto: non so se fosse in precaria forma vocale o se si stia appannando con l'avanzare dell'età, ma la sensazione, netta, è che il brano scelto non fosse del tutto nelle sue corde; non esaltante ma nemmeno brutto, difficilissimo da eseguire, con continui salti tonali, una montagna russa, ardua da affrontare anche per un campione dell'ugola come lui, se non si è al top della condizione. Di Ermal scrivevo ieri che una sua affermazione avrebbe aggiunto poco o nulla all'albo d'oro festivaliero e alla sua carriera, e lo confermo. Più in generale ho sottolineato nei giorni scorsi che nessuno di questi nomi a noi familiari ha voluto rischiare, andando fin troppo sul sicuro. Esaurita la parte critica, non posso non rilevare come, in ogni caso, le opere da loro portate in concorso siano, alla fine, tutte ben cesellate. In particolare le tre primedonne hanno saputo impreziosire le loro canzoni con interpretazioni ricche di pathos; menzione d'onore per il crescendo vocale e orchestrale di "Glicine" della rossa Veronica, ma tutti i brani in questione spiccano per l'eleganza del vestito, per la classe complessiva, nessuno di loro ha il dono dell'immediatezza ma alla fine entrano nelle orecchie e nel cuore. Insomma, più rispetto della tradizione che banalità. 

AUDITEL GIU', AUDITEL SU - E dunque, il bilancio squisitamente canoro del Sanremo 71 è da considerarsi, di primo acchito, positivo. Come detto ieri, non so se migliore o peggiore dell'anno passato, questo solo il tempo potrà dirlo e comunque richiederebbe una valutazione approfondita e complessa, nella quale non poco inciderebbero le inclinazioni personali (leggasi: gusti soggettivi). Di certo c'è che proprio la musica, le canzoni in competizione, è ciò che più resterà dell'edizione appena conclusa. Dello spettacolo nel suo complesso abbiamo già detto molto. Si può aggiungere che il secondo Festivalone targato Ama-Fiore si è dimostrato più forte di chi lo dava per morto già mercoledì; parlando esclusivamente di Auditel, dopo un avvio tremendamente difficile c'è stata una risalita lenta e costante, culminata con una finalissima che ha dato risultati di tutto rispetto: 13 milioni di spettatori nella prima parte, quasi 8 nella seconda, media non molto lontana dai 10; sui grandissimi numeri, siamo grosso modo in linea con la finale di tredici mesi fa, con flessione contenutissima. 

IL SENSO DELL'AUDIENCE E LA CHIUSURA MENTALE - Si è chiuso in bellezza, quindi, e proprio sulle ali di un dato incoraggiante è giusto dire (farlo mercoledì o giovedì sarebbe parsa un'arrampicata sugli specchi per giustificare l'insuccesso) che continuare a parlare di audience catodica, oggi, ha un senso relativo. Tantissime persone, i giovani soprattutto, ma non solo (l'ho fatto anch'io a volte, in questi giorni) hanno ormai a disposizione modalità alternative di fruizione delle produzioni tv, tramite le piattaforme web che consentono anche di vedere solo stralci di spettacolo, scegliere le parti e le esibizioni che maggiormente interessano. Di tutto questo, oggi, va tenuto conto. Lo sanno i pubblicitari, credo, e in futuro faranno le loro valutazioni in merito, dovrebbero cominciarlo a capire anche i giornalisti, di settore e non, che continuano a vivere coi santini dell'audience e dello share appesi al pc. Aggiornatevi, ragazzi. Se poi  una certa fascia di pubblico ha deciso aprioristicamente di non seguire la manifestazione perché non conosceva diversi nomi del cast, ecco, di questo la direzione artistica non ha colpa alcuna: la chiusura mentale verso il nuovo è un problema culturale che riguarda l'intera visione personale della vita, e che meriterebbe ben altri approfondimenti. Nel piccolo microcosmo festival, io mi tengo il continuo rinnovamento dei ranghi attuato dagli anni Dieci in maniera via via più consistente e deciso, con apertura a realtà periferiche del mercato discografico, ma ricchissime di talento e idee. Ne coglieremo presto i frutti. 

FORMULA AMA-FIORE: COSA HANNO SBAGLIATO - Come annunciato ieri dal diretto interessato, non ci sarà un Amadeus numero tre (anche se oggi in conferenza stampa c'è stata una parziale marcia indietro, forse più formale che altro, su sollecitazione dell'ad Salini...). Lo capisco ed è giusto così: l'anchorman ha sfoderato un coraggio nella selezione dei brani in concorso di cui, lo si capirà presto, gli dovremo essere grati a lungo. Minore elasticità ha mostrato nella costruzione complessiva dello spettacolo, a partire dalla cocciutaggine, rimasta intatta dal 2020 al 2021, nel voler insistere sulla durata spaventosamente dilatata delle serate, accettabile per la finalissima, molto meno per le prime puntate. E poi la formula dell'accoppiata con Fiorello non può essere ripetuta per una terza volta consecutiva: a tratti ha mostrato la corda anche in questa settimana, e più di tanto non si può raschiare il fondo di un pur ricco barile. E' stato tutto troppo uguale da un anno all'altro, anche certi ospiti italiani, anche la trovata della squadra di copresentatrici femminili. 

IO TIFO SERENA ROSSI - Su quest'ultimo punto, la nuova direzione artistica (se nuova sarà, a questo punto) dovrà, secondo me, fare una scelta di campo ben precisa, netta. Perché alla fine il buttare sul palco donne in in gran numero può quasi sembrare un contentino, un rispetto delle quote rosa fin troppo ostentato, un fare mucchio, riservando però a tutte spazi limitati. Ebbene, non conta la quantità, ma la qualità: dodici anni dopo Antonella Clerici, sarebbe ora di tornare ad affidare il comando della kermesse ligure a una donna. Certo, la Hunziker ha avuto un ruolo preminente nel 2018, ma era tutt'altro che sola, con presenza ingombranti come quelle di Baglioni e Favino. Ammetto che si tratti di una mia piccola fissa, ma la figura ideale ce l'abbiamo già, davanti agli occhi, e la si è vista anche ieri sera, pur se per un minutaggio troppo breve. Serena Rossi è una show girl completa e matura, sa presentare, intrattenere, recitare, cantare, potrebbe tranquillamente reggere sulle spalle anche da sola la conduzione del colosso Festival, secondo me. Il nome caldo di questi giorni è Alessandro Cattelan, da almeno due lustri promesso sposo di Sanremo, ma che non ha l'esperienza di prime serate Rai (altra cosa, diciamo pure un altro mondo rispetto alle pay tv), esperienza che può già vantare la prossima protagonista di "Canzone segreta". La quale a parer mio merita di essere la prima scelta. Avremo modo di riparlarne. 

LE COSE DA SALVARE E L'ASSENZA DEL PUBBLICO - Chiusura con piccole chicche extra-gara da salvare di questa faticosa settimana: tutti i momenti di sensibilizzazione sulla crisi del comparto cultural-spettacolare (non sono mancati, potevano essercene anche di più); la sigla delle prime due serate cantata da Amadeus e Fiorello su composizione in stile musical di Rocco Tanica (perché non utilizzarla per tutta la durata della rassegna?); la canzone-parodia di Fiore-Vasco sui pensionati; alcune ospitate non banali, come quelle di Enzo Avitabile, Dardust, l'attuale Re mida del pop italico, di Umberto Tozzi che accanto ai classicissimi ha proposto successi meno scontati come "Dimentica dimentica", e i due angoli nostalgia animati prima da Cinquetti, Leali e Marcella, e questa notte da Fogli, Vallesi e Zarrillo, un'idea da riproporre ampliata e riveduta in futuro, magari con una serata ad hoc. Rimarrà una frase, anche, tratta dal testo dei vincitori: "Parla, la gente purtroppo parla, non sa di che cazzo parla", applicabile a tante sciocchezze social lette in queste settimane sul festival, e colpevolmente alimentate anche da alcune testate giornalistiche che, ai miei occhi, hanno così perso ogni credibilità. 

Di quello che è da dimenticare, molto si è detto: su tutto si staglia l'assenza del pubblico in sala. Debbo dire che da casa l'ho percepita solo a tratti, merito di una scenografia che occupava lo schermo in tutto il suo spazio, di una regia accorta, di una proposta musicale, ribadisco, di grana buona e di due anfitrioni che, magari sbagliando qualcosa, magari segnando a tratti il passo, hanno fatto di tutto per far arrivare sui teleschermi allegria e spensieratezza. Ma per loro e per tutti gli artisti avere davanti quelle sedie vuote, per cinque e più ore a sera, dev'essere stato davvero avvilente. 

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