La breaking news dell'ultimissima ora è la rinuncia ufficiale di Amadeus a una terza direzione artistica consecutiva. Era ampiamente nell'aria, ma sentirlo dichiarare in maniera così esplicita e risoluta fa comunque un certo effetto, anche se ha il pregio della chiarezza assoluta. Ne riparleremo domani, perché questo nasce come un pezzo di commento al venerdì del 71esimo Sanremone. L'anno scorso, la quarta serata fu quella del fattaccio Bugo-Morgan. Lì per lì un siparietto indecoroso, che però fornì al Paese gli ultimi spunti di innocua ilarità prima dell'inizio del dramma. Questa volta non c'è stato alcuno scossone di tal tenore, ed era ovvio: perché il cast non include personaggi ingestibili e imprevedibili come il signor Castoldi (persino Achille Lauro può definirsi "omologato" nella sua telefonatissima irriverenza all'acqua di rose), e perché non c'è proprio l'atmosfera per certe forzature, in un Festival che vuole essere momento d'evasione senza però rinunciare a un basso profilo nel modo di arrivare al pubblico a casa. Si è verificato un intoppo tecnico, questo sì, che ha costretto alla ripetizione della propria performance Francesco Renga, apparso in effetti ancor più in difficoltà della prima serata nell'esecuzione di "Quando trovo te". Ma nulla di strano, cose che accadono spesso all'Ariston, e del resto 24 ore prima anche Fasma e Nesli erano stati stoppati da Amadeus nel bel mezzo della loro cover perché il microfono del primo era rimasto muto.
UN PO' MENO LUNGA, DECISAMENTE PIU' INTERESSANTE - A proposito di Sanremo 2020: anche nel superfluo, discutibile, infelice monologo di Barbara Palombelli (un modo per giustificarne la presenza al di là della presentazione di qualche brano) ha fatto capolino il refrain di "Fai rumore", ulteriore segnale che questa composizione, pur dalla vita ancor brevissima, è già diventata iconica nella storia della manifestazione e della musica leggera italiana, per la sua intrinseca bellezza e per i significati di cui si è caricata in questi dodici mesi. E sempre pensando all'edizione numero 70, l'archivio del blog mi ricorda che la serata-nottata del venerdì era stata leggermente più lunga di questa, che a sua volta è durata un po' meno rispetto all'indigeribile mappazzone del giovedì. Pochi minuti di differenza, certo, ma la durata-fiume in questo caso è stata resa più tollerabile dal fatto che il succo dello show sia stato il concorso vero, non la pseudo-gara degli evergreen rivisitati. Oltretutto, nonostante si sia comunque trattato di una maratona, la sensazione generale è stata di una maggior scorrevolezza, di un ritmo più serrato soprattutto nella seconda parte, quella finora maggiormente penalizzata e penalizzante in termini di audience complessiva della rassegna.
ERMAL META PIAZZA L'ALLUNGO. SARA' DECISIVO? - I fatti concreti, le notizie del quarto capitolo di Sanremo 71 sono sostanzialmente due: del successo di Gaudiano nelle Nuove proposte parlerò più avanti, mentre in prima pagina si staglia nitido il nome di Ermal Meta. Il vincitore 2018, in linea teorica, affronta la finalissima nelle vesti dell'Inter di Lukaku e Conte, ossia l'attuale capolista in fuga della Serie A: dopo aver conquistato la demoscopica e l'orchestra, dopo aver tenuto egregiamente nel giudizio dei giornalisti, ed essendo accreditato di una buona resa anche nel televoto, che stasera avrà un ruolo pesantissimo pur se non decisivo, si può ben dire che solo lui, a questo punto, possa perdere il Festival. Ho detto in linea teorica perché non conosco cifre e percentuali delle votazioni, tutto rigorosamente secretato, ma al momento i dati noti sono questi. Certo non sarebbe il trionfatore ideale, forse il più "grigio" dell'ultimo quinquennio. Dopo il primo posto degli Stadio nel 2016, più che altro un tributo all'invidiabile carriera della band di Curreri, abbiamo avuto quattro pezzi-bomba a sbaragliare il campo, quattro gemme che, ognuna nel suo genere e attraverso interpretazioni diverse, hanno segnato profondamente, in senso positivo, l'albo d'oro della kermesse. Questa volta, si tratterebbe di un'affermazione basata più sul prestigio e sul curriculum del cantautore che sulle qualità di un brano senz'altro dignitoso, senz'altro ben concepito, delicato e con una vena di malinconia come nel classico mood di Ermal, ma che non spicca per originalità.
LA PROTESTA (DI GRANA GROSSA) DI PEYOTE - Approfondiremo questi discorsi se stanotte verranno confermati i pronostici. Chi può insidiare il capoclassifica? La graduatoria provvisoria premia forse oltre i suoi meriti Willie Peyote, con un brano certo ficcante, furbescamente protestatario, che si scaglia contro una certa deriva dell'industria musicale e culturale non senza ragione, che ironizza amaramente su certe distorsioni causate dalla pandemia (stadi aperti, eventi di spettacolo chiusi), finendo però per allargarsi alla totalità del quadro sociale in disfacimento, mettendo insomma troppe cose nel calderone senza focalizzarsi su di un obiettivo preciso e finendo col risultare in alcuni passi retorico, ciò che un rapper di buona penna come lui non dovrebbe mai fare. Resta il fatto che "Mai dire mai" ha un refrain martellante e tremendamente efficace: una sua vittoria sarebbe veramente rivoluzionaria, forse la più sconvolgente nella storia del Sanremone, molto più di quella di Mahmood (rivisto ieri in straordinaria forma vocale), ma potrebbe anche essere un modo per sdoganare definitivamente un genere che finora, in Riviera, ha incontrato molte difficoltà, tanto da tener forse lontani dall'Ariston alcuni suoi esponenti di spicco.
SALGONO RAPPRESENTANTE, ARISA, COLAPESCE-DIMARTINO - La sala stampa ha fatto giustamente balzare in avanti Rappresentante di Lista, Colapesce-Dimartino e Maneskin, consolidato la posizione di Irama e spinto in su Arisa. Della quale confermo quanto detto in sede di primo commento: il pezzo di Gigi D'Alessio è di grande eleganza e atmosfera, un esempio di eccelsa classe di melodia all'italiana che, per lo stile e il modo in cui la cantante lo porge al pubblico, mi ha ricordato un po' "Senza un briciolo di testa" di Marcella, riascoltata giusto un paio di sere fa. Ma tutto il pacchetto-festival di questo 2021 mi sembra onestamente di buon livello, dopo il secondo ascolto live dei brani scelti da Amadeus. Difficilissimo, a caldo, dire se sia migliore o peggiore di quello del 2020, che ha lasciato ai posteri almeno sei-sette chicche indimenticabili (Diodato, Gabbani, Levante, Pinguini Tattici, Tosca, Elodie, Lauro), queste sono valutazioni che si potranno fare solo a bocce ferme e dopo attente analisi, ma mi pare vi sia almeno una decina di opere in grado di percorrere una discreta strada da domenica in poi.
MALIKA? OTTIMA - In tal senso, la serata di ieri non ha modificato di molto le sensazioni maturate martedì e mercoledì: nelle mie preferenze è cresciuto un tantino il solo Aiello, la cui "Ora" musicalmente non ha alcunché di innovativo, ma è sostenuta da un testo non privo di trovate originali e da una interpretazione rabbiosa, financo istrionica, in linea col messaggio della canzone. Pur se i social e molti addetti ai lavori la stanno massacrando, secondo me Malika Ayane si è presentata a questo Sanremo con una delle proposte migliori della sua carriera, anche se non la migliore in assoluto. Forse uno stile più sbarazzino, una ritmica più sostenuta rispetto ai lenti delle ultime due partecipazioni hanno spiazzato chi si aspettava rimanesse nel medesimo solco, ma vivaddio, è stata l'unica dei veterani a rischiare uscendo dal seminato, e "Ti piaci così" ti entra dentro e ti si ficca in testa, trascina e coinvolge. Così come trascinano i Rappresentante di lista, col ritornello forse più intenso e accattivante dell'edizione, per una "Amare" impreziosita da arrangiamenti di pregio, dalla possente vocalità di Veronica Lucchesi e dalla personalità che tutto l'ensemble sfodera on stage.
L'ASTUZIA DA CHART DI MICHIELIN-FEDEZ - Malika e Rappresentante potrebbero persino essere i miei vincitori ideali, così come la cupa dance metalizzata di Irama, che stasera va tenuto d'occhio perché il Televoto potrebbe aiutarlo parecchio, quantomeno nella rincorsa a un podio che non sarebbe immeritato. Fra i "più" della serata anche l'allegrotto inno all'innamoramento dei Coma_Cose, le sonorità seventies, fra discomusic e Matia Bazar prima maniera, del duo Colapesce-Dimartino, l'astuzia radiofonico-commerciale di Michielin e Fedez, la cui "Chiamami per nome" non mi dispiace e che, come nel caso di Irama, potrebbe scalare stasera molte posizioni, anche se le soddisfazioni maggiori, par di capire, le raccoglierà fuori dall'Ariston. E ancora: conferme per la commistione di sonorità arabeggianti e spagnoleggianti di Gaia, per il semplice e romantico realismo cantautoriale di Fulminacci e per la grinta rockeggiante sopra le righe dei Maneskin. Si diceva di Renga: un altro che sta raccogliendo ampi dissensi in sede di commenti social, ma che secondo me va salvato quantomeno per l'ardimento mostrato nel cimentarsi con una composizione dalla costruzione assolutamente insolita, e che impone autentiche spericolatezze interpretative.
GAUDIANO E NUOVE PROPOSTE DI SPESSORE - Eccoci infine alle Nuove proposte. Elessi Gaudiano a mio favorito fin dall'autunno scorso, dopo averne sentito la cruda e autobiografica "Polvere da sparo", dal testo realista con linguaggio contemporaneo e dalle sonorità di buona presa. Non era invece il favorito numero uno degli esperti, e per questo la sua meritata affermazione mi rende ulteriormente felice. Ne sentiremo parlare, così come sentiremo parlare degli altri tre finalisti, di Wrongonyou e della sua felice fusion fra modernità e tradizione, di Davide Shorty e della sua indole soul funk, di Folcast che ha imbevuto "Scopriti" di atmosfere avvolgenti alla Sinead O'Connor. Senza dimenticare la bella voce di Greta Zuccoli e l'ironia disincantata di Avincola, che sa alleggerire e smitizzare anche la serietà dell'amore. Bastano questi sei nomi per evidenziare come la commissione di AmaSanremo abbia compiuto un lavoro tutto sommato di pregio, traendo una serie di piccoli diamanti, grezzi ma promettenti, da un campo di partecipanti che in prima battuta non mi era parso di altissimo spessore. Certo poi questi ragazzi andranno adeguatamente valorizzati, "forzandone" magari il lancio e la crescita con un precoce inserimento nella categoria principale, come è stato fatto quest'anno con Fasma e con tanti altri in passato. Ma se il vivaio del Festivalone è questo, deve rimanere in vita, perché può continuare a garantire adeguato ricambio generazionale.
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