Il cinema italiano ha spesso preso di mira, certo con intento ironico e per strappare qualche sorriso, tic e luoghi comuni legati al costume e ai modi di vivere e di essere del nostro "Mezzogiorno", da Totò in poi, ma non altrettanta cura, in termini quantitativi, ha dedicato a similari caratteristiche della "gente del settentrione", almeno a memoria di un "non espertissimo" come il sottoscritto. Ebbene, la pellicola "Benvenuti al nord", uscita nelle scorse settimane, cerca di attuare una sorta di par condicio, mettendo a nudo vizi comportamentali legati a una certa visione di vita "lumbard". Esasperandoli, certo, come del resto è naturale per un'opera con intenti comici. Una caricaturizzazione che rappresenta uno degli aspetti più riusciti di questo film, una commedia brillante di stampo tradizionale senza troppe pretese, che tutto sommato riesce nell'intento di regalare allo spettatore un'ora e mezza di spensieratezza, pur senza attingere vette sublimi e senza riuscire a eguagliare per freschezza talune produzioni di genere similare della nouvelle vague italiana.
In fondo ci si può accontentare, perché, parere personalissimo, ritengo che la fotografia divertita e dissacratoria di certi stereotipi "regionali", ancorché operazione non originalissima, non sia da bocciare, se condotta riuscendo a trovare chiavi comiche non scontate. Del resto, il cinema ha da sempre certi tormentoni, certi argomenti più frequentati di altri (come nella musica leggera, con l'amore sempre in vetta alle preferenze degli autori). In breve la storia: un impiegato precario delle poste di un paesino della Campania, Mattia (Alessandro Siani), viene trasferito in un ufficio di Milano, dove ritrova l'amico Alberto (Claudio Bisio), il quale a sua volta, nel precedente "Benvenuti al sud", aveva dovuto fare i conti con un trasferimento "dall'altra parte dell'Italia". Da qui, la vicenda si snoda attraverso un canovaccio tutto sommato prevedibile, privo di guizzi di originalità. Il fatto però che il filo conduttore sia più o meno lo stesso di tante altre opere analoghe non implica in automatico che non si riesca a lavorare sul copione rendendolo gradevole e funzionale all'obiettivo finale che, nel caso specifico, è quello di far ridere.
I tic "nordisti", si diceva: la sceneggiatura mette impietosamente a nudo, con amabile ironia, gli eccessi dell'operosità lavorativa "made in Brianza": iper attivismo sul posto di lavoro, con necessità di ridurre al minimo, se non a zero, i tempi morti. C'è il lato divertente, con il controllo dei dirigenti persino sul momento più intimo, quello della "ritirata" (non più di pochissimi minuti, forse secondi, da trascorrere... a tu per tu col water), e quello, diciamo con una iperbole, di "denuncia", rintracciabile nella mancanza di calore umano che tale laboriosità spinta al limite produce; si generalizza, di certo, ma questa "fotografia comportamentale" ha un suo senso all'interno di una pellicola di gran semplicità creativa, e pazienza se si indugia su un tentativo di analisi sociologica di grana grossa. Personalmente, ancor più divertente ho trovato la "messa a fuoco" di una certa incomprimibile necessità, da parte del milanese - tipo, di programmare al secondo ogni momento del proprio tempo libero anche con settimane di anticipo (non appena lo spaesato Siani propone ai nuovi colleghi una serata a cena insieme, questi tirano fuori all'unisono, e in un nanosecondo, le loro agende per verificare compulsivamente i giorni disponibili alla bisogna).
Per il resto, dicevamo, pur risultando nel complesso dignitoso e in grado di centrare il bersaglio, "Benvenuti al Nord" non brilla per inventiva, anche se ogni cosa può essere variamente interpretata: il napoletano che si reca al Nord munito (dai parenti) di un improbabile giubbotto "fendinebbia" (ossia dotato di luminosissimi fari) non può non richiamare alla mente Totò e Peppino che giungono alla stazione di Milano bardati come fossero nella steppa russa, nonostante un'afa opprimente, con il secondo che si lamenta per l'elevata temperatura e il Principe che ribatte, piccato: "Impossibile, a Milano non può fare caldo!". C'è chi la chiama mancanza di idee, chi ispirazione o citazione, ma è inutile lambiccarsi troppo il cervello sul tema.
Fondamentale, per la discreta riuscita del film, la buona ispirazione del protagonista, Alessandro Siani, che sta certo vivendo un particolare stato di grazia, evidenziato pure dall'eccellente performance al Festival di Sanremo. A chi volta il capo schifato per certi paragoni azzardati con Massimo Troisi, diciamo che è senza'altro una forzatura, ma personalmente non ricordo tutta questa unanimità di favore critico nei confronti del povero Massimo quando era ancora in vita. Più in generale, paragonare pur bravi attori di oggi con fuoriclasse autentici del passato è ingiusto e ingeneroso: i mostri sacri lasciamoli da parte e valutiamo caso per caso.
Siani ha spigliatezza, simpatia e una vis recitativa che, tutto sommato, cerca di inserirsi nel solco della più classica tradizione comica napoletana, senza azzardare sperimentazioni. Nulla di paragonabile, per dire, alle cifre stilistiche di altri comici o personaggi brillanti sulla cresta dell'onda (e anch'essi presenti a Sanremo) come i Soliti Idioti e Geppi Cucciari, portatori invece di nuovi "format della risata". Di Siani, nel film, funziona anche l'intesa con Bisio, il quale dal canto suo offre una prova dignitosa ma senza particolari guizzi. Caricate all'inverosimile, sempre in stile commedia Cinquanta - Sessanta, le maschere partenopee dei compaesani del protagonista, fra cui un Nando Paone che per la sua espressività e mimica meriterebbe qualche "finestra" cinematografica in più.
Di buon livello il Paolo Rossi paradigma del moderno dirigente d'azienda, tutto proteso a migliorare situazioni che forse andrebbero bene già come sono, perdendo di vista il benessere interiore e relazionale dei dipendenti, mentre Valentina Lodovini, che interpreta la fidanzata del protagonista, diventa prototipo e anche un po' stereotipo, questo sì un po' troppo abusato, della bellezza formosa mediterraneo - campana, che nel finale non manca di... strabordare con un "vedo non vedo" che è... più vedo che non vedo.
Anche la costruzione filmica del rapporto fra i due giovani, a ben vedere, parte con le migliori intenzioni per poi banalizzarsi un po': tutto sommato interessante, visti i tempi, lo "story board" della coppia una cui metà è costretta al trasferimento lontano da casa per motivi di lavoro (e per mostrare all'altra metà una raggiunta maturità, la voglia di impegnarsi e di superare le crisi, costruendo un rapporto duraturo), più sottotono lo sviluppo, con un finale troppo scontato che non può prescindere dall'inevitabile ritorno al sud del buon Matteo, perché le radici son sempre le radici: ben più coraggioso sarebbe stato il mostrare una coppia emancipata e moderna, con lei che decideva alfine di seguire l'amato nell'avventura in Brianza: il che, attenzione, non è detto sia la cosa più giusta "in assoluto" nella vita vera, ma forse la meno semplicistica sul piano della creazione filmica.
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