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martedì 12 marzo 2024

CLUB ITALIA VERSO EURO 2024: QUADRO D'ASSIEME SUGLI AZZURRABILI ALLA VIGILIA DELLA TRASFERTA AMERICANA. ABBONDANZA DIETRO, RISORSE SUFFICIENTI IN MEZZO, EMERGENZA DAVANTI

 

                                     Calafiori: possibile nome nuovo per il Club Italia (foto Guerin Sportivo)

Quattro mesi senza Nazionale. Un'enormità non nuova, purtroppo, nella storia recente, ma che rende difficile la messa a punto di un plausibile progetto tecnico, soprattutto per una squadra, quella azzurra, che ha vissuto un altro anno difficile dopo l'orrido 2022: il discusso e discutibile addio agostano di Mancini, l'arrivo di Spalletti costretto subito a macinare punti per non fallire una qualificazione europea a rischio, e quindi impossibilitato a sperimentare come invece aveva potuto largamente fare il suo predecessore nel lungo e grigio limbo post disastro Macedonia. 

Dalla sofferta ma meritata conquista del pass continentale ci troviamo dunque, in men che non si dica, a soli novanta giorni, o giù di lì, dall'esordio in Germania, e alla vigilia di una trasferta americana ovviamente accolta con malumore dai club, in quanto collocata nel vivo della stagione di Serie A e coppe. Club che possono avere ragione non sulla pausa, sacrosanta e dovuta, quanto sul modo in cui è stata concepita: un viaggio transoceanico per due amichevoli contro rivali nemmeno di primo piano (Venezuela ed Ecuador, non Brasile e Argentina). Non era davvero possibile trovare due avversarie da affrontare nel nostro Continente? Mah. Fatto sta che siamo quasi al redde rationem, ossia al momento dell'ultima selezione: chi vuole entrare o rientrare in azzurro, chi c'è già e vuole restarci, risponda presente adesso, perché poi i margini per l'ingresso nel gruppone per Euro 2024 si ridurranno drasticamente. 

EURO "DI PASSAGGIO" - Scrivo al buio, prima delle convocazioni del CT, per cercare di fare un quadro d'assieme sulle forze italiane, sulla qualità e la quantità di ragazzi  all'altezza di un compito così gravoso. Sarà per noi un torneo strano, quello che ci attende: un Europeo che avrà sullo sfondo, come ingombrante convitato di pietra, il Mondiale prossimo venturo. Intendiamoci: in terra tedesca dovremo dare fondo a ogni risorsa fisica e mentale per difendere il titolo di Londra, ma questa kermesse dovrà anche essere, più che in passato, propedeutica al raggiungimento del torneo iridato, dovrà formare e plasmare, magari anche attraverso qualche doloroso inciampo, una compagine plausibile, all'altezza di ritornare sul massimo palcoscenico planetario. 

Un Euro di passaggio? E' antipatico fare considerazioni del genere nel momento in cui si affronta una competizione così prestigiosa, peraltro l'unica che, dopo l'anno di grazia 2006, abbia dato ai nostri colori qualche soddisfazione. E però, ripeto, nel frattempo la storia è cambiata, e ci ha marchiato con una doppia esclusione che mai avevamo vissuto prima; questo ha radicalmente mutato le prospettive del nostro calcio, e al momento, ragionando a bocce ferme, una bella campagna europea rappresenterebbe una ben magra soddisfazione se, ripeto, non producesse un gruppo di ragazzi in grado di affrontare e chiudere con successo l'eliminatoria mondiale. Quindi, sì, in Germania mi aspetto una Azzurra che si costruisca, si tempri, faccia esperienza e acquisisca certezze in vista di ciò che dovrà per forza accadere dall'autunno 2024 in poi; se a questo lavoro di edificazione a medio termine corrisponderanno anche un buon rendimento e un bel risultato fra giugno e luglio, tanto meglio, perché vincere aiuta a vincere ma purtroppo tale regola non è sempre valida, come abbiamo amaramente imparato dopo il 2021. 

QUADRO D'ASSIEME - E dunque: come sta il Club Italia, a livello di disponibilità di uomini validi? Un primo sguardo d'assieme ci dice che sta bene, anzi benissimo, nel reparto arretrato, in tutte le zone: in porta, al centro e sulle fasce. A centrocampo si è perso qualcosa rispetto al primo, rigoglioso triennio manciniano, ma ci sono comunque le pedine per costruire un reparto di discreta efficacia; in avanti, invece, il piatto continua a piangere: anche qui, abbiamo alcuni (pochi) elementi che potrebbero darci qualche soddisfazione, ma tutto dovrebbe girare alla perfezione, dalla condizione fisica, all'intesa, al funzionamento dei meccanismi tattici. Andiamo con ordine. In generale, sembra essersi leggermente ampliato il bacino in cui pescare. L'esterofilia continua a imperare presso le nostre società, ma molte squadre hanno nuclei significativi di calciatori indigeni in larga parte titolari, e del resto l'Inter ammazza-campionato non può prescindere dal blocco Darmian-Acerbi-Bastoni-Dimarco-Barella-Frattesi, alcuni inamovibili, altri meno ma capaci comunque di ritagliarsi ampi scampoli di gloria. 

PORTIERI: OCCHIO A VICARIO - Fra i pali sembra di essere ritornati, almeno in parte, ai tempi in cui la scuola italiana sfornava validi numeri uno in quantità: Donnarumma, finito nell'occhio del ciclone dopo il trionfo di Wembley per qualche imbarazzo di troppo nel gioco palla al piede, è in vistoso recupero, reduce da un periodo di forma incoraggiante, ma dietro di lui ha scalato le gerarchie Vicario, che grazie alla sua continuità è diventato un punto fermo del Tottenham. Sono ormai sicurezze il laziale Provedel (appena infortunatosi e forse un po' in calo nelle ultime settimane, ma ci sta, in una squadra che non gira) e il partenopeo Meret, mentre Carnesecchi si gioca la titolarità atalantina con l'argentino Musso e quest'anno ha trovato ampia fiducia da parte di Gasperini, generalmente ricambiata. Per tacere del validissimo monzese Di Gregorio, che però ha davanti, come si vede, una concorrenza assai folta. 

LATERALI BASSI: AMPIA SCELTA - Grande ricchezza di buone-ottime scelte in terza linea. Partiamo dalle corsie laterali: a destra Di Lorenzo, totem intoccabile e leader carismatico, dietro di lui un Cambiaso che sta facendo faville con la Juve, il sempre affidabile e duttile Darmian (oltretutto tornato al gol azzurro in novembre contro la Macedonia del Nord), un Bellanova in crescita impressionante nel Toro; meno chance per due ragazzi che da anni fanno dentro e fuori dal Club Italia, Calabria e Lazzari. Bene anche a sinistra, dove lo strabordante Dimarco interista è diventato imprescindibile soprattutto per il suo peso negli inserimenti offensivi, ma di questi tempi è difficile lasciare in panchina Udogie, come Vicario inattesa colonna del Tottenham, anche lui laterale fisicamente straripante e utilissimo in fase di costruzione e di spinta. C'è un Biraghi che in Nazionale ha sempre fornito un discreto apporto, e per uno Spinazzola meno esplosivo e decisivo a causa dei gravi guai fisici che lo hanno tormentato in passato, può tornare utile un Calafiori che è fra le rivelazioni assolute in stagione e che nasce come esterno sinistro, anche se Thiago Motta lo ha valorizzato al massimo collocandolo al centro della difesa del Bologna. 

CENTRALI: COPPIA INTER E BUONGIORNO - Già, i centrali: il felsineo può essere l'uomo... nuovissimo, mentre l'uomo nuovo, ma neanche più tanto, è Buongiorno, ormai perno della retroguardia granata e già lanciato nella Maggiore da Mancini, con ottimi risultati. Non mi stupirei di vederlo perfino titolare, anche se a partire dovrebbe essere la coppia interista Acerbi-Bastoni, mix esperienza-gioventù di notevole affidabilità. Alle loro spalle, elementi sostanzialmente validi ma con qualche controindicazione, tipo Gatti, mortifero nelle incursioni sotto porta ma non sempre irreprensibile in copertura, e Mancini, anche lui difensore goleador ma spesso su toni agonistici fin troppo elevati nella Roma mourinhana. Senza dimenticare Scalvini, virgulto atalantino di buone qualità, che ha mancato la prova nella gara di qualificazione in Inghilterra, dove per la verità, in un secondo tempo da brividi, fu tutta il complesso ad andare in barca di fronte allo strapotere dei bianchi. Una di quelle magre che fanno crescere, si spera. E sta persino tornando a brillare Rugani, grande promessa che pareva sfiorita da anni. Comunque, come si vede, le alternative non mancano e sono rassicuranti, anche per un modulo non necessariamente a quattro. 

CENTROCAMPO: TUTTO ATTORNO A BARELLA - Accennavo a un centrocampo che ha perso qualcosa rispetto alle prime stagioni manciniane, culminate con la galoppata vincente nell'Euro itinerante. All'epoca tutto si reggeva sul trio Verratti-Jorginho-Barella in forma smagliante, ora Verratti è uscito dal giro, l'italo-brasiliano vi è rientrato tutto sommato con merito, ma con una spada di Damocle non da poco: per un po', sarà doveroso non fargli battere rigori, quattro errori consecutivi dal dischetto in gare ufficiali sono troppi per chiunque e ci si sarebbe dovuti fermare prima. Barella invece, al netto di tristi episodi (con scuse tardive) come quello contro il Genoa, è giunto alla piena maturità e la sua caratura internazionale è riconosciuta un po' da tutti. Doveva essere un punto fermo Tonali, le cui vicissitudini personali lo hanno momentaneamente allontanato dal gruppo, però è stato recuperato un Bonaventura che sta vivendo nella Viola una brillante seconda giovinezza, c'è sempre Cristante che, silenziosamente, si è affermato come elemento di equilibrio e sostanza imprescindibile per la Roma e per l'Italia. Ancora: Locatelli, pur fra alti e bassi, se in vena sa garantire un apporto di qualità, ma sta scontando anche lui, come molti compagni di club, il momento di una Juventus passata dal sogno scudetto al terzo posto. E non dimentichiamoci di Ricci, motore e cervello torinista, che vive invece una stagione particolarmente felice. 

LA RISORSA DEGLI INCURSORI - Frattesi ci sarà nonostante lo spazio non elevatissimo che ha nell'Inter, dove ha grande concorrenza ma anche il futuro in mano, vista l'età di alcuni illustri compagni di reparto. Ma in azzurro ha sempre dato un ottimo contributo, anche come attaccante aggiunto, e Dio sa quanto ne abbia bisogno questa squadra (vedremo tra poco). A proposito di giocatori di prospettiva, fra gli ultimi arrivati nel club c'è il monzese Colpani, quantità e qualità, assist (ne sa qualcosa il Genoa dell'ultima giornata, ahimè) e gol, da poco riemerso da un periodo opaco, mentre potrebbe giungere presto il momento di un altro giovanissimo toccato dalla grazia di questa annata bolognese, ossia Fabbian, anche lui abile nelle due fasi ma con grande propensione a puntare l'area avversaria. 

IL RITORNO DI PELLEGRINI E UN DRAPPELLO DI FUTURIBILI - L'avvicendamento sulla panchina giallorossa ha ridato centralità e brillantezza a un Lorenzo Pellegrini che in azzurro ha spesso convinto, soprattutto per il suo lavoro a sostegno della prima linea e come stoccatore inesorabile, al pari di Pessina, altro incursore e altra pedina di lusso dell'Ital-Monza di Palladino, e come Folorunsho, rivelazione del Verona, che potrebbe essere l'ultima "trovata", per la sua pericolosità al tiro ma anche per l'eclettismo che lo porta a fornire un ottimo contributo in diverse figure di gioco. Come si vede, alla fine, qualcosa di buono c'è, ed è un peccato che Baldanzi sia finito a fare panchina  nella Capitale: una condizione dalla quale uscirà presto, viste le sue doti, ma non in tempo utile per diventare un nome subito "spendibile"; futuribile per il momento anche l'emergente Gaetano, che nelle ultime giornate di A si sta mettendo in bella evidenza a suon di gol salvezza per il Cagliari. 

ATTACCO: RETEGUI, CHIESA E POCO ALTRO - Ci sono, come si vede, molti "guastatori", di cui questa Italia ha drammaticamente bisogno perché, lo accennavamo, là davanti il piatto sostanzialmente piange. Come punte centrali propriamente dette siamo in emergenza: Immobile, già di per sé raramente decisivo ai massimi livelli in azzurro, è incappato nella sua stagione più dura e forse (ma si attendono smentite) ha già dato il meglio in carriera; Scamacca ogni tanto si accende per poi sopirsi, e insomma, ci vuol altro per diventare titolare in Nazionale. Al momento il candidato più autorevole è l'ultima scoperta del Mancio, ossia Retegui: anche lui ha uno score stagionale esiguo, ma è stato frenato a lungo da un infortunio con ricaduta, quando gioca si fa sentire, fa gol spesso non banali, ha movenze e intuizioni da attaccante vecchio stampo. Accanto a lui, c'è da sperare in un ritorno agli antichi splendori di Chiesa, che come classe è forse il migliore del lotto ma non è ancora riuscito a trovare costanza di efficacia in zona gol. 

QUALCHE BUON ESTERNO E TANTE INCOGNITE - Poi, tanti punti interrogativi: Raspadori è un signor giocatore, una punta moderna, uno di quelli a cui si chiede di fare troppe cose, col rischio di trovarlo poco lucido in zona gol, e la non titolarità nel Napoli non aiuta. Perso Berardi per un grave infortunio, ci aggrappiamo a esterni rapidi, tecnici e spesso incisivi, come Politano, l'ottimo Orsolini del super Bologna, uno Zaccagni peraltro meno efficace dell'anno passato, come del resto tutta la Lazio, El Shaarawy che invece è nella seconda miglior fase della carriera dopo gli splendori giovanili, può offrire buoni scampoli e ha buona continuità di impiego nella Roma, e Zaniolo, sul quale Spalletti punta moltissimo ma che non riesce a ritagliarsi un ruolo da protagonista nell'Aston Villa. Come si vede, non c'è molto. 

GNONTO, LUCCA E IL MISTERO BELOTTI - Gnonto è in ripresa al Leeds (Serie B inglese) e, in autunno, l'abbiamo riscoperto goleador nell'Under 21, mentre a Udine sta trovando graduale confidenza con la rete Lucca. Ma si tratta di elementi che, nella migliore delle ipotesi, cioè se continueranno la loro progressione, potranno venire utili dopo l'estate. Belotti sarebbe ancora in età e non troppo tempo fa ha dato molto alla Nazionale, ma non riesce a ritrovarsi, qualche segnale incoraggiante sta arrivando dalla nuova avventura fiorentina, ma non basta: uno dei grandi misteri del calcio italiano dell'ultimo quinquennio, perché non stiamo parlando di una di quelle "teste calde" che si sono smarrite a causa delle loro mattane. Nell'attuale stagione, l'unico italiano, assieme a Orsolini, ad essere vicino alla doppia cifra è Pinamonti, una delle poche luci del Sassuolo in crisi, un ragazzo che era già stato gettato nella mischia in una delle ultime, a volte indecifrabili convocazioni del precedente cittì, ma onestamente non mi pare (ancora) avere lo spessore per reggere sulle ribalte internazionali. 

L'ITALIA DEL FUTURO - Insomma, davvero un bel rebus quello del reparto offensivo. Ci vorranno tutta l'arguzia e la pazienza di Spalletti per risolverlo, e non è detto che ci riesca, perlomeno entro la trasferta tedesca. E qui il cerchio si chiude, tornando al discorso di partenza: d'accordo l'Europeo, ma in questi mesi si fa anche l'Italia che non dovrà mancare al Mondiale 2026. Per cominciare a guardare al futuro prossimo, nell'imminente tournée sarebbe interessante vedere, almeno in una occasione, una Azzurra avveniristica, con in campo, ad esempio, Vicario, Buongiorno, Udogie, Fabbian e Retegui. 

mercoledì 14 febbraio 2024

FESTIVAL DI SANREMO, IL DOPO AMADEUS: ALCUNI NOMI PER IL FUTURO. CHI DIRIGERA'? CHI PRESENTERA'?

 


Diamo per assodata l'avvenuta conclusione del quinquennale ciclo sanremese di Amadeus, anche se l'amministratore delegato della Rai Roberto Sergio si è ripromesso di discuterne con l'interessato fra una quindicina di giorni, quando le emozioni della 74esima kermesse si saranno sopite. Ma l'anchorman è parso fermo nei suoi propositi, per quanto il mondo dello spettacolo ci abbia abituati a stravolgimenti e cambi di posizione repentini. Certo le pressioni nei suoi confronti  non sono lievi: come scrivevo nei giorni scorsi, si è mosso anche Enzo Mazza, CEO della Fimi, la "confindustria" della discografia italiana, chiedendo già prima di questa edizione una riconferma dell'attuale direttore artistico, alla luce dello straordinario impatto sul mercato musicale prodotto dai suoi festival. E Mazza ieri è tornato sull'argomento, chiarendo comunque che da questo modello di Sanremo non si potrà più tornare indietro.

SANREMO DI NUOVO CENTRALE - Per ora, si può considerare aperta la fase di successione. Una successione che non sarà indolore. Chi assumerà le redini vivrà  col peso di una enorme responsabilità, quella di dover quantomeno essere all'altezza dei tanti primati raggiunti e battuti dalla gestione che si è appena chiusa. E questo sarebbe già un grosso errore, che spero la dirigenza Rai non commetta: certi risultati non sono ripetibili come se fossero una routine. Mi riferisco soprattutto al discorso audience, mentre potrebbe essere più facile confermare l'ottimo trend commerciale della gara, ma ci arriviamo fra poco. Riguardo agli ascolti, quanto è accaduto quest'anno ha del miracoloso: cifre quasi da festival baudiani, nonostante dagli anni Ottanta e Novanta il panorama televisivo sia radicalmente cambiato, con la parcellizzazione della platea dovuta al moltiplicarsi di canali e piattaforme web. Dati del genere dicono che la rassegna ligure ha definitivamente riacquistato in toto la propria centralità nelle dinamiche mediatiche, musicali, di costume e, ebbene sì, sociali del paese. Una centralità che non è nata per caso, ma che è il frutto del mastodontico lavoro di rinnovamento della kermesse, in tutte le sue componenti, attuato da Amadeus e dai suoi collaboratori. Un restyling che ha avuto un merito enorme, il vero investimento sul futuro: Sanremo è tornato ad appassionare le nuove generazioni in modo totale, come forse non accadeva dall'età dell'oro degli anni Sessanta, coinvolgendole e affascinandole, ma non ha rinnegato alcuni elementi classici dell'evento, garantendosi la continuità di attenzione del pubblico più tradizionalista. Un'opera di ammodernamento che, lo si è detto più volte in questi giorni, ha riportato con  autorevolezza la kermesse nell'attualità del mondo musicale italiano, cogliendo e amplificando le tendenze e i sound più à la page. 

LE BASI SOLIDE LASCIATE DA AMA - Un patrimonio di ritrovata rilevanza, affetto popolare e credibilità canora che rappresenta una solidissima polizza a garanzia dell'avvenire della manifestazione. Che continuerà a registrare periodiche, inevitabili oscillazioni nel gradimento popolare televisivo e nella quantità di dischi d'oro e di platino che potrà portare ai partecipanti, ma che comunque può ora contare su fondamenta granitiche. Insomma, bisognerà proprio mettersi d'impegno per smontare un congegno così ben funzionante. Ciò non toglie, e torniamo al punto di partenza, che il confronto con Amadeus non potrà non esserci, situazione non nuova del resto, perché negli ultimi anni, a parte Fazio, tutti hanno avuto l'accortezza di lasciare all'apice della gloria e del successo, chiamando i successori a sforzi immani. Ed eccoci dunque al cuore della questione: chi dopo Ama? I nomi circolati negli ultimi giorni sono quelli più scontati e banali, il che non vuol dire che siano anche i più probabili. Facciamo un breve giro d'orizzonte, al momento forzatamente parziale, e in ordine sparso, senza dare percentuali di probabilità. 

CARLO CONTI: la sicurezza assoluta. Con lui è cominciato il riavvicinamento del Festivalone alla musica che si ascolta oggi, il ritorno alla realtà. Le sue tre edizioni hanno avuto ottimi esiti in termini di ascolti, buone canzoni, il lancio di emergenti poi divenuti big veri, su tutti Gabbani e Meta. Gli è mancato forse un pizzico di coraggio in più nell'andare a cercare nomi interessanti  e poco noti nel mondo indie; si è insomma collocato a metà strada fra la prudenza ecumenica di Baudo e gli istinti rivoluzionari di Amadeus. Però ha dimostrato di sapere fare il mestiere di gestore del Festival: tornasse, dovrebbe solo lasciare da parte la prudenza di cui si è detto e "buttarsi" maggiormente. 

CLAUDIO BAGLIONI: Sembra difficile, ma al momento di terminare il suo biennio festivaliero non chiuse totalmente le porta a un eventuale terzo impegno. In questi anni che lo separano dall'annunciato ritiro dalle scene, potrebbe tornare a dare una mano in Riviera. I suoi Sanremo, soprattutto il secondo, hanno rappresentato l'apripista ideale per l'avvento di "Ama", con nomi mainstream affiancati a un drappello di personaggi di nicchia portati per la prima volta alla ribalta generalista, da Motta agli Ex Otago a Ghemon. 

FIORELLA MANNOIA: è una candidatura che ho lanciato io, e credo io solo, quindi è un'idea che difficilmente si concretizzerà. Però si tratta di un'artista fra le più esperte e preparate della scena musicale italiana, un mostro sacro che ormai, a livello discografico, non ha più nulla da dimostrare, e potrebbe mettere la sua competenza al servizio di una rassegna che le ha dato tantissimo, anche se il suo percorso professionale si è sviluppato ampiamente anche lontano dall'Ariston. La sua sensibilità le permetterebbe di guardare con una certa attenzione a quel mondo cantautorale che negli ultimi tempi è stato un po' lasciato da parte, la sua intelligenza la porterebbe comunque a tenere nella massima considerazione i criteri di scelta schiettamente pop, e vincenti, adottati dal direttore uscente. 

LAURA PAUSINI: un altro nome forte, anzi fortissimo, della discografia italiana, che invece sta girando parecchio in questi giorni. Rispetto a Baglioni e Mannoia, paga il fatto di essere ancora parte più che mai attiva del mercato musicale nazionale e internazionale, nel pieno della carriera, e insomma, ricordiamo cosa avvenne ai tempi della direzione del cantautore romano, allorché si parlò neanche troppo velatamente di conflitto d'interessi. Ma Laura avrebbe comunque tutte le carte in regola per costruire un cast musicale e spettacolare di prim'ordine, anche per i suoi contatti nel mondo dello showbusiness planetario, e per la diretta conoscenza delle nuove tendenze sonore che stanno facendosi largo anche al di fuori dei nostri confini. 

MIKA: e già. Perché no? Cantante e musicista di spessore, innamorato dell'Italia, già protagonista di show televisivi in Rai, dotato di indubbia fantasia e sensibilità artistica. Certo mettendosi nelle sue mani si "rischierebbe" un Sanremo fuori dagli schemi, ma opportunamente spalleggiato potrebbe anche stupire.

ALESSANDRO CATTELAN: eternamente avvicinato alla kermesse sanremese, eternamente lontano da essa. La Rai lo sta sperimentando in vari modi; col programma in prime time, pur godibile, non è andata benissimo, in seconda serata ha la sua comfort zone, ma sarebbe giunto il momento di alzare il tiro. Cresciuto nel mondo delle radio e della musica in tv, conosce il panorama canoro nostrano in maniera sufficientemente ampia, credo, per potersela sbrigare sia come conduttore che come organizzatore dello spettacolo nel suo complesso. Del resto, lo abbiamo già visto alla guida del nostro Eurovision, proprio con la Pausini e con Mika, fra l'altro. Certo, sarebbe un piccolo azzardo per Sanremo, una novità, ma qui dipende dalla Rai, perché dopo il quinquennio d'oro degli "Amarello" le strade sono due: o la continuità o l'innovazione ulteriore. Credo comunque che, come orientamenti musicali, Cattelan si avvicinerebbe molto a quelli di Ama. 

 GIANMARCO MAZZI: ipotesi per il momento abbastanza lunare, ma neanche tanto. Chiaro che qui si sconfina in ambito politico: Mazzi è attualmente sottosegretario alla Cultura, ed è stato eletto alla Camera nelle file di Fratelli d'Italia. Ha però ricoperto il ruolo di direttore artistico (o direttore artistico musicale) in ben sei Festival, 2005, 2006 e dal 2009 al 2012. Furono edizioni importanti, significative: sia nel 2005 che nel 2009, la sua direzione letteralmente salvò il Sanremone, reduce da annate critiche e, si diceva da più parti, ormai destinato a rapida estinzione. Soprattutto nel suo ultimo quadriennio, ebbe il grande merito di riavvicinare la platea dei giovani alla manifestazione, anche se lo fece in maniera meno strutturata e più immediata rispetto ad Amadeus, cioè grazie al ricorso massiccio ai cantanti dei talent e al televoto. Però seppe anche dare un contributo fondamentale allo svecchiamento del carrozzone festivaliero, che non riusciva a slegarsi dai soliti, datati totem della canzone tricolore: con lui, nel cast entrarono massicciamente i nomi nuovi di allora, Arisa e Malika Ayane, Cristicchi e Noemi, Emma e Dolcenera, per citarne solo alcuni. Certo quei festival avevano anche un meccanismo di gara e una formula di spettacolo che oggi sarebbe, giustamente, improponibile, con eliminazioni a go go anche per i big e con finali a cui partecipava solo una decina di artisti. 

Il discorso su Mazzi ci porta direttamente nell'area presentatori, perché non è detto che un direttore artistico sia poi anche in grado di ricoprire il ruolo di padrone di casa, e viceversa: e con Mazzi, due Festival li ha condotti PAOLO BONOLIS, una candidatura che al momento mi lascia perplesso, sia perché l'anchorman si è ormai focalizzato su una serie di varietà e quiz di matrice schiettamente popolaresca a cui da anni sta dedicando anima e corpo, sia perché, in tempi recenti, aveva dichiarato possibile un suo ritorno al Festival solo se, nel frattempo, fosse stato garantito alla rassegna un palcoscenico più ampio e avveniristico rispetto al Teatro Ariston, un'arena che consentisse all'evento di avvicinarsi agli standard spettacolari dell'Eurovision. La cosa non è successa e mi pare che non si intraveda nemmeno all'orizzonte. Anche in uscite più recenti, del resto, non è parso particolarmente entusiasta all'idea di una "terza volta". 

Si è fatto il nome di ANTONELLA CLERICI, che il suo Sanremo in solitaria (2010) lo fece bene e con buoni esiti di audience, ma che da troppo tempo non si cimenta con eventi di tale portata. Se si parla di donne, il mio pallino, chi mi conosce lo sa, è SERENA ROSSI, che ha dimostrato un talento poliedrico, sa cantare, recitare e intrattenere, solo che negli ultimi tempi le sue presenze sul piccolo schermo si sono diradate. In tal senso, una garanzia sarebbe rappresentata da MICHELLE HUNZIKER, a suo agio nell'ultimo Festival presentato (2018) e poi ulteriormente perfezionatasi nella conduzione di show kolossal col suo "Michelle impossible" su Canale 5. Ma, appunto, è un personaggio strettamente Mediaset, così come GERRY SCOTTI, un altro che un Sanremo nella vita lo meriterebbe e che potrebbe ricoprire il duplice ruolo di organizzatore e padrone di casa; anche lui, però, da lustri bazzica più il mondo dei quiz che quello della musica. Sarebbe un rischio insomma, mentre stuzzica il nome di STEFANO DE MARTINO, uno dei pochi volti nuovi a disposizione della Rai, che su di lui sta puntando in maniera sempre più massiccia. E c'è da dire che il ragazzo mostra assoluta disinvoltura, innata simpatia e capacità di creare feeling coi suoi ospiti e col pubblico. Senza dimenticare l'opzione MARCO LIORNI, una vita da conduttore low profile ma da qualche tempo iper-impiegato da parte della Rai (dal quiz estivo Reazione a catena all'Eredità senza fermarsi un attimo), senza contare che da anni è presente a Sanremo nei giorni del Festival col suo pomeridiano "Italia sì", trasmissione che, all'epoca della prima edizione targata Amadeus, ospitò le selezioni delle Nuove proposte; insomma, un curriculum in vorticoso sviluppo, e una serie di segnali che, in casa della tv pubblica, hanno sempre un peso significativo. Il limite, non da poco: pochissima esperienza a livello di grossi eventi e di spettacoli di prima serata. 

domenica 11 febbraio 2024

SANREMO 2024: ANGELINA MANGO VINCE UNA GARA MOZZAFIATO, LA PIU' INCERTA DEGLI ULTIMI ANNI. NESSUN PICCO CANORO EPOCALE MA TANTI PEZZI DA HIT PARADE. GHALI E' ORA UN BIG PER TUTTI


E' caduta (letteralmente), si è rialzata, ha trionfato. La serata di Angelina Mango è stata un caleidoscopio di emozioni fortissime: prima il capitombolo in chiusura di esibizione, dovuto al grande trasporto con cui sempre interpreta "La noia" (e la mente è subito andata a un analogo patatrac che vide protagonista Loredana Bertè in un altro momento felice, quando si aggiudicò il Festivalbar '82), poi, a notte fonda, il traguardo tagliato per prima, un risultato da molti atteso ma tutt'altro che scontato, anzi. E così, si può proprio dire che la figlia d'arte sia passata in poche ore dal... tonfo al trionfo, e mi sarà permesso di scherzarci su, visto che la ragazza non si è fatta assolutamente nulla. 

ANGELINA, PERSONALITA' E NUOVO SOUND - Una vittoria significativa, sotto molti punti di vista. In primis, perché segna il decollo di un astro nascente della musica italiana, un talento puro che, personalmente, "inquadrai" per bene già nell'agosto scorso, in sede di commento qui sul blog della finalissima di Power Hits, la rassegna estiva di RTL 102.5: già allora, scrissi che la sua "Ci pensiamo domani" era per me il vero tormentone balneare, più della decoratissima "Italodisco". Da lì in poi, ho sempre data per certa la partecipazione di Angelina a questa edizione del Festival, ma non pensavo che potesse già arrivare a conquistare la medaglia più pregiata. Aggiudicarsi Sanremo così presto è sempre un rischio, un'arma a doppio taglio: solo il tempo ci dirà se sia stato un bene; oggi, all'indomani dell'evento, posso solo riconoscere l'indubbia unicità artistica di questa fanciulla. E qui veniamo a un altro aspetto rilevante del risultato di poche ore fa: Angelina, ben spalleggiata da un team di autori di prim'ordine, ha portato in gara un pezzo totalmente fuori dagli schemi festivalieri, ma anche non propriamente in linea con certe tendenze radiofoniche, perché la cumbia, per quanto adattata a certi stilemi contemporanei, non è il genere che va per la maggiore nel nostro Paese. E però funziona, è di impatto, grazie a una scrittura astuta, a un sound vivace e dai colori mediterranei e arabeggianti, e, torniamo al punto di partenza, alle doti performanti della cantante, che riesce a dare un'anima genuina e spontanea alle sue canzoni, e le "porge" con energia, aggressività positiva, personalità da autentico animale da palcoscenico e voce tutt'altro che anonima. 

ANNALISA POTEVA VINCERE DEGNAMENTE - In ogni caso, una vincitrice degna, il che non esclude un'altra considerazione: in misura diversa, molti altri avrebbero avuto titolo per occupare il gradino più alto del podio. Limitandoci alla cinquina finale, forse a mettere d'accordo tutti, o quasi, poteva essere Annalisa, che personalmente ritenevo la più meritevole, sia pur di un'incollatura, per titoli acquisiti in quasi quindici anni di carriera, per mole di consensi recenti e per abilità di un pezzo che, alla fine, rinnova con successo il filone inaugurato con  "Bellissima" e ne consolida la posizione di diva pop glamour del momento. E se Irama si è confermato uno splendido cantore moderno di atmosfere romantiche retrò eppure sempre di moda, con il suo struggente urlo d'amore, Ghali si è ripresentato al grande pubblico vincendo la sua sfida e guadagnando una credibilità che va oltre il suo consueto bacino di fruitori, abbattendo il muro del residuo scetticismo: "Casa mia" è una proposta fresca per eccellente grado di cantabilità in ogni sua parte, giusto compromesso fra lo stile ruvido di certa sua produzione passata e una maggiore immediatezza elettropop, e contiene un importante e ben chiaro messaggio pacifista, ribadito anche ieri sera in chiusura di esibizione con uno "stop al genocidio" che finalmente, dopo tante remore e timidezze, alla lunga ha fatto almeno parzialmente breccia sul palco dell'Ariston. 

GEOLIER E IL REGOLAMENTO - Discorso a parte per Geolier, sul quale comunque mi confermo: sul piano prettamente musicale, una sua affermazione non sarebbe stata scandalosa, anche se mi avrebbe lasciato un po' di amaro in bocca. Una trap urban ammorbidita con accenti  da neomelodico napoletano e un refrain ficcante, ossessionante. Il punto è che la sua ammissione in gara è frutto di un'interpretazione del regolamento assolutamente lecita (ci mancherebbe) ma attuata sul filo del rasoio e dell'equilibrio; nelle "tavole della legge" rivierasche, al paragrafo A del capitolo "Canzoni", si legge che il testo delle suddette "dovrà essere in lingua italiana. Si considera in lingua italiana anche il testo che contenga parole e/o locuzioni e/o brevi frasi in lingua dialettale e/o straniera (o di neo-idiomi o locuzioni verbali non aventi alcun significato letterale/linguistico), purché tali da non snaturarne il complessivo carattere italiano, sulla base delle valutazioni artistiche/editoriali del Direttore Artistico". Ecco, quest'ultima frase salva capra e cavoli, attribuendo peso dirimente alla sensibilità, al sentire e alla linea del responsabile massimo della manifestazione, ma è chiaro che, appunto, si ricama in punto di diritto, ed è ovvio che, dopo la vicenda che ha coinvolto il giovane partenopeo, il regolamento dell'anno prossimo dovrà essere adeguatamente aggiornato. 

INUTILE SCAGLIARSI CONTRO LE GIURIE - Sempre a proposito di Geolier, che come si vede ha catalizzato le poche polemiche di questa edizione relativamente alla gara, trovo tutto sommato stucchevoli le grida di dolore per il rovesciamento del verdetto del televoto da parte di sala stampa e radio: si è giunti a questo complesso sistema di "bilanciamento fra giurie" negli ultimi lustri, proprio per attutire l'impatto devastante e non sempre positivo che il voto tramite sms ebbe nei primi anni della sua introduzione, decretando vincitori senza grossi meriti e rivelatisi spesso effimeri. E' così da tempo, c'è un regolamento che cantanti, management e discografici leggono e accettano prima di affrontare la tenzone, e che, dai primi anni di questo secolo, la Rai mette giustamente on line, rendendone disponibile la consultazione a chiunque; cadere oggi dal pero e fare gli scandalizzati è fuori dal mondo. Insomma, questo meccanismo di riequilibrio è nei poteri delle giurie presenti in loco (in tempi più lontani se ne avvalse con disinvoltura anche la giuria di qualità, oggi non più esistente), a volte può avere esiti apprezzabili, altri più infelici, ma, insomma, fa legalmente parte del gioco. 

SANREMO THRILLING - E così, a notte fonda si è chiuso uno dei Festival più incerti e combattuti di sempre. Del resto, l'avevamo detto alla vigilia: almeno la metà dei concorrenti poteva legittimamente ambire a centrare il bersaglio grosso, sia pur con argomenti diversi e di diversa consistenza. Amadeus aveva allestito quest'anno un cast ricco di nomi di primissimo piano, soprattutto di big del momento, assolutamente sulla cresta dell'onda, nel cuore degli appassionati. Cast del genere danno prestigio all'evento e, indubbiamente, moltiplicano il loro potere promozionale a favore dei partecipanti, ma hanno anche il rovescio della medaglia, ossia che, in un mare immenso di proposte, fatalmente anche delle opere di pregio rischiano di perdersi e di scomparire nella massa. Ed ecco quindi che la melodia tradizionale a pieni polmoni del Volo, ariosa e d'impatto, non è mai riuscita a entrare nei giochi di alta classifica, clamoroso se si pensa alla popolarità internazionale del trio e ai risultati colti dallo stesso nelle due precedenti partecipazioni. E ancor più clamoroso è stato il buco nell'acqua in graduatoria dei Negramaro, il nome di spicco che il direttore aveva estratto quest'anno dal cilindro, sulla scia dei grandi ritorni recenti dei grossi calibri dell'ultimo ventennio, pensiamo a Elisa (2022) e Giorgia (2023). Erano nel lotto dei papabili, sono finiti nelle retrovie, colpa di una "Ricominciamo tutto" raffinata e complessa, non facile all'ascolto, che è salita di tono nel corso delle serate ma non abbastanza per tornare in lizza; una composizione di cui comunque torno a sottolineare le buone qualità, con il tocco di quell'omaggio al Dalla di fine Settanta - primi Ottanta, di cui non era facile riprodurre le atmosfere evocative e nostalgiche. 

DANCE, BALLAD E IMPEGNO - Dovrei citare molti altri artisti, fra chi ha raccolto meno di quanto seminato, ma per i dettagli rimando al pagellone audiovideo realizzato con Markus del canale You Tube "Profumo di Sanremo e non solo". Accenno solo alla sofisticata architettura sonora dei Santi Francesi, a cavallo fra attualità e riscoperta del passato con quel bel sintetizzatore eighties, la dance sostenuta in salsa Lazza, ma con una propria originalità, della bravissima Clara, il sound estivo di Emma, la cui "Apnea" potrebbe diventare un tormentone balneare, se riuscirà ad arrivare ai mesi caldi senza essere travolta dai tanti nuovi dischi che usciranno nel frattempo; e ancora la ballad di pregio di Maninni, che ha appreso, con intelligenza, le lezioni di tanti habitué del genere, Il Tre con un'altra operazione nostalgia rivolta in questo caso al sapore di rap-pop in salsa novantiana, e aggiungiamoci l'azzardata operazione di Dargen D'Amico, che per lanciare un importante messaggio di pace ha optato per un pezzo nelle sue corde, fatto di ritmi martellanti e massima orecchiabilità che rischiano di sommergere e far passare in secondo piano il significato del testo. Ad ogni modo, Dargen è stato il primo, martedì notte, a esporsi nella sua richiesta di cessate il fuoco, e con il passare delle serate qualcuno si è fatto avanti con coraggio, ma, dicevo, sempre troppo pochi, con il picco dello "stop al genocidio" invocato da Ghali. 

BUON LIVELLO MEDIO, TANTE HIT IN PECTORE, RISCHIO OMOLOGAZIONE - Ho citato tante canzoni, e altre ancora avrei potuto citarne (penso a quelle di Mahmood, Mr. Rain e Diodato, sulle quali mi ero comunque espresso positivamente nei giorni scorsi), ma, nel mio proverbiale ottimismo, credo di avere individuato un buon livello medio della proposta festivaliera appena ascoltata. Senza picchi come in anni passati, penso al Mengoni pigliatutto, ma con tante canzoni costruite con  astuzia, ben confezionate, con tutti i crismi per "spaccare" in radio, nelle charts, in streaming. Capolavori? A naso direi di no, ma brani con una loro precisa dignità e con la possibilità di farsi ricordare. Non vi piace un Sanremo così? Ci sarà modo di parlarne nel dettaglio. Troppa dance, si era detto quest'anno, e poi abbiamo visto che le proposte classiche, le melodie, le ballate hanno comunque avuto il loro vasto spazio. Poco spazio per certi generi più di nicchia, e su questo si può essere anche d'accordo, è uno degli aspetti su cui maggiormente si dovrà lavorare in futuro per non offrire una produzione troppo omologata. In questo senso, è balzata agli occhi la presenza massiccia di un ristretto numero di autori a firmare un elevato numero di canzoni; non è una novità, certi nomi che ricorrevano con costanza sono stati una caratteristica anche di Festival molto lontani nel tempo, forse nel 2024 si è un tantinello esagerato, ecco. Senza entrare in meccanismi di management, collaborazioni e rapporti professionali che non mi appartengono e che non conosco, penso sia normale che un interprete si affidi ai compositori più in voga, i re Mida della canzonetta che trasformano in oro tutto quel che scrivono; casomai posso rimproverare loro scarso coraggio nel non affidarsi anche a qualche autore emergente o comunque meno "sfruttato".

FESTIVAL COMMERCIALE, COME SEMPRE - Ma molti sembrano dimenticare cosa sia davvero Sanremo: una rassegna a carattere commerciale, che deve offrire essenzialmente (non esclusivamente) musica da classifica, "da canticchiare", composizioni che fanno vendere, che danno popolarità e riscontri economici ai cantanti e che quindi aiutano l'industria discografica a girare e a poter investire denaro su nuove produzioni e, si spera, su sempre più emergenti. E' sempre stato così, il Festivalone non è né il Tenco né Musicultura. Del resto, proprio sul piano discografico, gli esiti dei cinque anni di gestione Amadeus sono stati un crescendo rossiniano di certificazioni oro e platino; i cantanti fanno la fila sempre più numerosi per entrare nel cast, che dal 2020 si è allargato a dismisura anche per fare il minor numero di scontenti possibile; e qualche settimana fa Enzo Mazza, il presidente della Fimi, colui che a fine anni zero aveva pronosticato l'estinzione del Festival nel giro di poco tempo, ha chiesto a gran voce la riconferma di "Ama" alla luce degli straordinari risultati conseguiti. Questi sono dati oggettivi, che dimostrano come la gestione appena conclusasi, la linea editoriale emersa, pur con tutti i suoi limiti, era e rimane una delle migliori per la salute dell'universo canoro nostrano. 

E IL FUTURO? - Per tutto questo, l'abbandono ormai quasi sicuro dell'attuale responsabile (ma i vertici Rai sperano ancora di convincerlo a tornare sui suoi passi) apre problematiche non di poco conto. Innanzitutto perché non è facile scegliere un successore credibile (il ritorno della sicurezza Conti? Il clamoroso ripescaggio di Baglioni prima dell'annunciato ritiro? L'idea da me lanciata di Fiorella Mannoia? Una Pausini però ancora in piena attività, fra dischi e live?), e perché chi verrà dovrà ovviamente avere liberta di scelta e di realizzazione della sua idea di Festival, ma anche l'estrema umiltà, e direi l'intelligenza, di non toccare alcuni meccanismi e alcuni criteri di selezione messi a punto da Amadeus, che ha allineato Sanremo alla realtà musicale del nostro Paese come era riuscito a pochissimi prima di lui . E' di nuovo l'appuntamento più ambito da tutti, e chi ci va, soprattutto se nome di primo piano, lo fa con brani di spessore, mentre in epoche passate accadeva spesso che i big arrivassero con produzione di seconda scelta, riservandosi il meglio per altre occasioni. Si apre una successione difficile, insomma, forse la più difficile, perché l'anchorman siciliano non è stato il primo a sbancare l'Auditel (certo, questi livelli non si raggiungevano dai tempi del miglior Baudo), ma l'eredità principale del suo operato è appunto l'aver ridato all'evento assoluta centralità nell'andamento del mercato musicale. 

sabato 10 febbraio 2024

SANREMO 2024: LA SOLITA SERATA COVER, POCHI PICCHI DI BELLEZZA E TROPPE CONCESSIONI AL FACILE CONSENSO. ANNALISA E ANGELINA IL TOP CON VOLO E SANTI FRANCESI, NON SCANDALOSO IL PRIMATO DI GEOLIER

 


Lo scrivo e lo dico da anni: la serata cover è il più grande "buco nero" della gestione festivaliera targata Amadeus. Soprattutto perché è musicalmente un corpo estraneo alla gara di inediti, e però finisce con l'incidere tecnicamente sull'esito della gara stessa, una distorsione regolamentare a cui nessuno è mai riuscito a fornire una spiegazione artisticamente accettabile, semplicemente perché non ne esiste alcuna. Ma non è solo questo: c'è la sensazione che questo happening di indubbio fascino si muova all'interno di schemi fin troppo elastici, in cui tutto è consentito, con lacci e lacciuoli normativi ridotti al minimo sindacale. Il che sarebbe anche accettabile se, ripeto, rimanesse un concorso a sé stante, che esaurisce la sua funzione nella notte del venerdì (o del giovedì, come è successo in altre edizioni). 

Sul piano squisitamente musical-spettacolare, questa kermesse nella kermesse ha confermato tutti i suoi pochi pregi e i tanti difetti. Un kolossal animato da circa settanta fra cantanti e musicisti, con alcuni indubbi picchi di bellezza ma anche performance banali e dimenticabili e qualche furberia di troppo. Mi si dirà: ma è esattamente ciò che avviene, sempre, al Festival di Sanremo nel suo complesso. Vero solo in parte, perché almeno nel concorso canoro tutti partono più o meno alla pari, vale a dire con una canzone nuova di zecca e sconosciuta, che è ciò che conta nella tenzone ligure. Quando scatta il momento delle cover, invece, c'è chi rischia e si mette alla prova e chi va sul sicuro ammiccando eccessivamente al pubblico e, di conseguenza, ai votanti. 

Alle corte: veramente discutibile il karaoke simil Arena Suzuki con medley e pout pourri assortiti, ai limiti dell'inaccettabile l'autocelebrazione. Lo ripeterò allo sfinimento: è veramente grottesco che evergreen del pop italiano e internazionale vadano a incidere sul verdetto finale del Festivalone. Questo è il vero scandalo, non la vittoria di tappa di Geolier, che può essere discutibile come tanti altri primi posti nella storia della manifestazione, ma che rientra nel gioco spesso imperscrutabile delle giurie. Del resto il ragazzo di Secondigliano ha presentato, per la specifica occasione, un progetto dignitoso e con una linea ben precisa, un rapido excursus lungo i sentieri della trap e delle nuove frontiere sonore partenopee. Avrei preferito un'altra medaglia d'oro, ma meglio questo ensemble napoletano del best of di Renga e Nek, o di Sangiovanni che addirittura ha riproposto il suo precedente successo sanremese, "Farfalle", in versione spagnola (mai tante "mariposas" all'Ariston come quest'anno). E spiace che Geolier se la sia presa per i fischi, perché anch'essi vanno messi in preventivo in circostanze simili: non è che il pubblico in sala debba sempre e costantemente accettare pacificamente tutto, e il fischio è il modo più classico per manifestare il proprio disaccordo, da che mondo è mondo. Sennò certi atleti dovrebbero passare la vita a piangere, e del resto è accaduto, spesso e volentieri, anche nei teatri lirici, contro autentici mostri sacri del canto.

Senza sale gli omaggi di Rose Villain e The Kolors ai loro partners Gianna Nannini e Umberto Tozzi; meglio, per intensità, il duetto Vecchioni-Alfa in "Sogna ragazzo sogna", scelta azzeccata perché è un brano che, fin dal titolo, sa tanto di passaggio di consegne fra vecchia e nuova generazione canora. Il ragazzino genovese ha chiuso il pezzo con una strofa rappata scritta di suo pugno, una soluzione che è stata spesso praticata in questi anni di cover rivierasche e che personalmente trovo originale e azzeccata: lo stesso ieri, hanno (ben) fatto i Bnkr44 per dare una veste nuova a "Ma quale idea" di Pino D'Angiò,  rivisto con piacere a proprio agio sul palco, nonostante le difficoltà vocali. Personalmente, pur senza delirare per l'entusiasmo, ho apprezzato la rilettura sommessa e intimista di "Notte prima degli esami" da parte di Gazzelle e del bravo Fulminacci, che spero di rivedere in gara quanto prima, e anche il delicato omaggio di Mahmood a Dalla in "Com'è profondo il mare". Tutto sommato gradevole anche il duo Emma-Bresh, rispettoso del Tiziano Ferro originale, e all'insegna della totale spensieratezza la rimpatriata sanremese Gabbani-Mannoia, con lei che guardava lui con aria scettica mentre intonava "Occidentali's karma", reo di averle "soffiato" la medaglia d'oro nel 2017. 

Pollice in su per chi è stato coraggioso e non banale, si diceva. Il coraggio può essere declinato in tanti modi, a partire dalla scelta del brano da coverizzare fino al modo di metterlo in scena e di eseguirlo. Coraggio ha mostrato Ghali, che ha portato il suo universo musicale ricco di contaminazioni, il suo essere cittadino del mondo, con l'intro in lingua araba, ma anche profondamente italiano, con l'omaggio a Toto Cutugno. E coraggiosa è stata Angelina Mango, perché non è facile reinterpretare un evergreen di un padre prematuramente scomparso e amatissimo dagli appassionati: lei l'ha fatto riuscendo a dare di "La rondine" una lettura nuova, più delicata, di grande suggestione, impattante quanto l'originale. Probabilmente il top della serata, assieme ad altre tre performance che hanno raggiunto livelli di perfezione, forza emotiva e professionalità elevatissimi, ossia Annalisa e Rappresentante di lista in una "Sweet dreams" ricca di feeling, Il Volo con Stef Burns alle prese, nientemeno, con "Who wants to live forever", e i Santi Francesi, poco considerate rivelazioni di questa edizione, con una versione impeccabile dell'Hallelujah di Cohen, ben spalleggiati dalla sempreverde Skin. Di contro, assolutamente dimenticabile l'ennesima riproposizione, ad opera di Bigmama, Gaia, Sissi e La Nina, di una "Lady Marmalade" che negli ultimi vent'anni ci è stata propinata in tutte le salse in ogni tipo di trasmissione non solo Rai, una hit di grandissimo successo ma di cui mi sfugge il fascino talmente dirompente da imporne la necessità di inserirla nelle scalette di show, contenitori musicali e quant'altro, a ogni piè sospinto. 

In mezzo a una proposta così sovrabbondante, tutti gli elementi extra hanno avuto pochissimo spazio, ma merita la citazione una Arisa in superba forma fisica e soprattutto vocale, per la quale spero arrivino presto nuove canzoni in grado di valorizzarla e di riportarla al successo di qualche anno fa. Nessuna sorpresa per una Cuccarini a proprio agio nelle vesti di presentatrice che già tante volte ha indossato, anche all'Ariston, e che potrebbe essere un'idea per conduzioni future del Sanremone, chissà. Per i Jalisse è arrivato infine il ritorno all'Ariston, ma solo come contentino. E contenti loro, contenti tutti, ma diciamo che per ripartire davvero serve qualcosa di più. Non credo ai complotti contro di loro, e non credo nemmeno che dal '98 a oggi abbiano presentato solo brutte canzoni; bisogna che ci sia davvero l'occasione, il momento giusto per il rilancio, e non è facile individuarlo e intercettarlo, questo magic moment, soprattutto per chi è fuori dal grande giro discografico da tempo. Guardate quanto tempo hanno dovuto attendere Paola e Chiara... E stasera? Sarà difficile non trovare nella cinquina finale Geolier, Annalisa e Angelina, ma a notte fonda tutto si azzererà e molto potrà ancora accadere, anche se il consiglio, a chi non lo conosce, è di... cominciare a imparare il napoletano.

venerdì 9 febbraio 2024

SANREMO '24, LA TERZA SERATA: PICCOLA RIVINCITA PER BALLAD E MELODIE TRADIZIONALI. ANGELINA LANCIATISSIMA, MR. RAIN AL CULMINE DELL'ISPIRAZIONE, BENE CROWE E MANNINO

 


E' un Sanremo dance, si dice. Beh, è vero, ma solo in parte. La serata di ieri, con il riascolto del secondo gruppo di canzoni, ci ha un po' riportati indietro nel tempo, nel solco della tradizione festivaliera propriamente detta. I riflettori si sono accesi su quello che quest'anno è considerato il lato oscuro della rassegna, un mondo canoro mediaticamente sommerso, popolato dagli irriducibili delle ballad e dell'amore romantico declamato a ugole spiegate, del profluvio di archi e pianoforte. 

E sì, Sanremo '24 è anche questo, ed è quasi sempre un buon sentire. Poi, certo, le opere ad alto tasso di ballabilità sono preponderanti come forse mai da queste parti, ma non c'è nulla di male perché, come ho già scritto nel pezzo di presentazione, in epoche nemmeno troppo lontane si era esagerato nel senso opposto, con un'offerta eccedente di ipermelodici che avevano allontanato la kermesse ligure dalla realtà discografica nostrana, dalle nuove tendenze all'epoca à la page. E tuttavia, almeno per una sera è tornata a dominare la dolcezza canora: ed ecco quindi la melodia un po' convenzionale di Alessandra Amoroso, ma anche la struggente, soffusa delicatezza  delle "Due altalene" di Mr. Rain, al vertice della vena ispiratrice nella capacità di mettere in musica le esperienze di vita proprie e altrui. Nel suo cambiamento di registro, allontanandosi dalla giocosità delle prime hit come aveva fatto Arisa a suo tempo, Sangiovanni si propone in "Finiscimi" sul filo dei canoni tradizionali sanremesi riguardo all'architettura strumentale, aprendosi invece nelle liriche a un linguaggio giovanilistico più nelle sue corde, risultando comunque comprensibile a tutti. Ed è una bella sorpresa Maninni, che ha saputo far proprie le lezioni di tanti maghi del genere, da Meta a Zarrillo, da Renga a Ultimo, adattandole alla propria indole e producendo una "Spettacolare" di notevole impatto emozionale. 

In questa... isola perduta in mezzo al mare di radiofonicità martellante, i più ardimentosi sono stati, e la cosa non sorprende, i Negramaro, che potevano arrivare e vincere facile e invece hanno scelto la difficile strada della raffinatezza, di una canzone complessa e articolata, in crescendo, impreziosita da evocative pennellate di un Dalla fine Settanta - primi Ottanta, con la sola trovata infelice del countdown stile Cape Canaveral piazzato nel finale. "Ricominciamo tutto", fosse stata in gara nelle edizioni del '99 o del 2000, con la giuria di qualità a dettare legge o quasi, sarebbe stata probabilissima vincitrice. Ugualmente non banale ma più immediata l'incalzante ballata di Diodato, dalla splendida orchestrazione, un ricco tappeto di note che trasmette grande serenità, con l'usuale mix di malinconia e speranza che è parte irrinunciabile della sua cifra compositiva. 

A metà del guado si posiziona Rose Villain, con una proposta spiazzante, da un lato furbetta perché tenta di intercettare fasce di pubblico agli antipodi, dall'altro comunque audace, proprio per la combinazione tra il genere lento nelle strofe, oltretutto eseguito con una voce di gran spessore, e il refrain ispido, duro, quasi di marca techno. Stesso discorso per i Santi Francesi, che però si muovono su stilemi sonori diversi: una via contemporanea al canto d'amore, con arrangiamento variegato e sofisticato e con la gradevole concessione al vintage rappresentato dal ricorso al sintetizzatore, che riproduce atmosfere "computerizzate" da primissimi anni Ottanta. 

Insomma, la "canzone da festival" non è del tutto scomparsa, ma sopravvive, e non è un male, seguendo spesso percorsi di costruzione più articolati e moderni, altre volte consegnandosi senza remore alla sicurezza dei canovacci old school. In questo contesto, stupisce che ad abbandonare le antiche certezze siano stati i Ricchi e Poveri, che nella nuova veste discoteca-style stanno piacendo a molti ma non a me, che li trovo un po' come pesci fuor d'acqua, non troppo credibili, oltre che, mi è parso, in difficoltà vocale in alcuni passaggi della performance. Possiamo parlare di richiami ai tempi che furono anche per due insospettabili: la rivelazione di serata, Il Tre, semplicemente perché ci ha riportati agli albori di certo rap italiano contaminato dal pop, quello acqua di rose che combinava piacevolezza del ritornello e strofe recitate, senza trascendere in versi troppo crudi, e anche i Bnkr44, i più sinceri portatori di una schietta voglia di gioventù, con la riscoperta di una struttura-canzone che ricorda in parte le boyband e più in generale  certi generi canori in voga  a cavallo dei due secoli. 

La serata ha decretato la conferma e il trionfo parziale di Angelina Mango, a questo punto quantomeno sicura piazzata. Convince perché portatrice di un genere raramente esplorato al Festival, e di un brano accattivante, coinvolgente e interpretato con personalità già in rilievo, con una vocalità intensa e sensuale, e con modalità esecutive uniche nel panorama italiano attuale, in cui quasi gigioneggia fra concessioni alla cadenza napoletana e gestualità da attrice. Apprezzabile "Casa mia" di Ghali, un pastiche di sonorità pop, dance ed elettronica decisamente efficace all'ascolto, e con un messaggio pacifista che davvero non guasta, in un Festival in cui sembra davvero un atto di coraggio riuscire a pronunciare qualche parola contro le guerre (è lontano il 2003, in cui i cantanti si presentavano con i colori della bandiera della pace). Non riesce a scalare posizioni Fiorella Mannoia, che non credo se ne adonterà, in quanto ciò che conta è la coerenza di un percorso artistico che la vede sempre su posizioni a favore delle donne, attraverso una canzone di taglio cantautorale vecchia maniera, con venature alla De Andrè, che sicuramente rimarrà nel suo repertorio, a prescindere da come andrà a finire sabato. I La Sad fanno i cattivi ragazzi negli atteggiamenti un po' sopra le righe (ma neanche tanto), ma di "Autodistruttivo" va salvato il messaggio positivo, la volontà di non rinunciare alla vita andando oltre ogni ostacolo, e nella struttura del pezzo il tocco e il piglio grintoso di Zanotti dei Pinguini si avvertono comunque nitidamente. 

Giusto dedicare gran parte dell'articolo alla gara, vera unica grande protagonista, lo ribadisco, del 74esimo festival, ma giusto anche dire che, dopo il clamoroso buco nell'acqua della presenza di John Travolta, ieri qualcosa di meglio si è visto, quanto agli elementi extra. Attorno a Russel Crowe è stato costruito un minishow dignitoso, con un'intervista fatta di poche ma interessanti domande (e altrettanto interessanti risposte), con l'esibizione canora dell'attore, con un clima generalmente più disteso e con una maggiore disponibilità della star, persino pronta a "perculare" Amadeus sul caso Qua qua dance. Conterà poco, ma questa ospitata era stata annunciata da tempo, al contrario di quella del divo di Pulp Fiction, e quindi preparata con cura e senza fretta, un dettaglio non da poco che mi ero permesso di sottolineare ieri. La vicenda legata a Travolta ha comunque aleggiato a lungo sull'Ariston: con l'intro di serata di Ama che ha rivendicato il carattere giocoso e leggero del siparietto, e con altre prese in giro bonarie, quelle di Eros Ramazzotti, al quale è stata concessa un fin troppo breve celebrazione di Terra promessa", eseguita, meraviglia delle meraviglie, con la stessa base del 1984, con quel sound che oggi sembra superato ma con cui noi ragazzi dei Settanta abbiamo convissuto a lungo in armonia e letizia.  

Promossa a pieni voti la co-co di turno Teresa Mannino, da me sempre apprezzata come performer comica: un vero peccato che negli ultimi anni abbia riservato le sue energie al solo teatro (con spettacoli comunque trasmessi anche sul piccolo schermo), limitando le sue apparizioni tv, dove avrebbe le potenzialità per condurre un one woman show cucitole addosso su misura. E, per noi genoani, commozione a go go grazie all'esibizione di Bresh, che ha lanciato in Eurovisione quella "Guasto d'amore" ormai divenuta inno ufficioso del club rossoblù. L'impegno sociale, che è comunque una delle colonne portanti della linea editoriale dei Sanremo targati Amadeus, ha portato sul palco il dramma delle morti sul lavoro, grazie alla struggente lettera di un padre al figlio che lo conoscerà solo tramite una foto, splendidamente interpretata da Stefano Massini, ormai una delle più importanti voci italiane del teatro di denuncia civile, con l'accompagnamento al piano di Paolo Jannacci.