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giovedì 30 gennaio 2014

APPUNTI PERSONALI: LA GIOIA DEL LAVORO GRATIS E LA GRANDE CASA EDITRICE


Essere pagati dopo oltre un anno dalla conclusione di un lavoro significa, per quanto mi riguarda, lavorare gratis, né più né meno. Può succedere anche questo, nel rutilante mondo del giornalismo e dell'editoria nostrani. E' capitato, sta capitando a me, ma non escludo, e anzi ritengo assai probabile, che accada sistematicamente a molti altri sfortunati colleghi. E' così: una "prestigiosa" casa editrice deve ancora saldarmi oltre il 60 per cento del compenso che mi spetta per aver collaborato, da ottobre 2012 a gennaio 2013, alla realizzazione (ricerca di contatti, interviste telefoniche e de visu, stesura articoli) di un popolare vademecum a cadenza annuale, dedicato alle aziende operanti nei più svariati settori, dal commercio all'arte e al turismo. 
Un anno: nella speranza che in questi giorni, in seguito all'ennesimo e vagamente iracondo sollecito da me inoltrato a chi di dovere, finalmente giunga nel mio portafoglio quanto mi spetta, tengo a sottolineare che la sostanza del discorso non cambierebbe assolutamente. Ribadisco: essere pagati dopo più di un anno significa, semplicemente, lavorare a titolo gratuito. Perché in un anno può succedere di tutto, si fa in tempo a morire e, a seconda delle credenze e della fede di ciascuno di noi, persino a reincarnarsi... I pagamenti dilazionati in uso in Italia in questi avventurati anni di crisi sono una cosa odiosa a prescindere, ma dodici mesi e passa no, non è accettabile. Del resto, in ambito giornalistico il quadro in proposito è scoraggiante: cerchi offerte di lavoro in giro per il web, e le poche che riguardano questo settore professionale tengono quasi sempre a sottolineare che, per carità, "la collaborazione si intende a titolo gratuito", ma, valà, vuoi mettere l'onore di scrivere articoli  e di avere una firma riconoscibile e "famosa"? 
Onore del cavolo, mi permetto. Perché se uno vuol scrivere per il piacere di scrivere, si apre un blog, come ho fatto io, ma il lavoro è una cosa diversa. Se un'azienda o testata offre un lavoro, ebbene, il lavoro va retribuito. E se non hai i soldi per pagare chi si sbatte per te, non apri una testata giornalistica o una casa editrice, o se proprio vuoi aprirla, beh, caro mio, fai tutto da solo, senza chiedere a giovani (e meno giovani) speranzosi una serie di sacrifici che poi non verranno in alcun modo compensati. Anni fa, con altri colleghi, aprii una testata editoriale web: di soldi ne giravano pochini, ma i collaboratori esterni li pagavamo sempre, regolarmente, anche a costo di non prenderne noi, di compensi: fu un periodo duro sul piano economico, ma moralmente posso dire di esserne uscito a testa alta, con la coscienza a posto.
Queste aziende, soprattutto le più grosse, si fanno forti di un assunto: se tu non vuoi scrivere per me, ne trovo altri più volenterosi e desiderosi di occupare il tuo posto, perché c'è la fila, là fuori. Ecco, questo è un grande equivoco di fondo, che è bene che tutti gli aspiranti "scribacchini" si mettano in testa: il curriculum di ciascuno di noi non acquisisce alcun surplus di prestigio e appetibilità da una collaborazione con una azienda che con così grosso ritardo tiene fede ai propri doveri retributivi, e anzi, bisognerebbe cominciare ad avere il coraggio di rifiutare di lavorare per chi paga in ritardo o non paga proprio. 
Tornando alla mia situazione, è opportuno precisare che la mia collaborazione con questa testata dura da ormai nove anni. Sono dunque un collaboratore "storico" di questa guida (non c'è alcun vanto nella parola "storico", è meramente un dato di fatto derivante dalla prolungata "milizia"), alla cui ultima edizione ho dato il mio consueto apporto in un momento personale molto difficile: nell'autunno - inverno 2012 - 2013 ho trascorso infatti più tempo in ospedale che a casa, per motivi che i miei lettori più affezionati conoscono, eppure ho voluto onorare l'impegno assunto, per necessità pecuniarie e per riconoscenza nei confronti del prestigioso giornalista che è il deus ex machina del progetto, e che anni fa mi aveva coinvolto nella stesura di quest'opera annuale, dandomi una importante opportunità di crescita professionale e un piccolo ma significativo guadagno (perché allora i pagamenti arrivavano in orario...). Il ringraziamento? Oltre al ritardo di cui si è detto, non mi è stata tuttora fornita alcuna informazione circa la realizzazione o meno di una eventuale edizione 2014 dell'opera. 
Precisiamo: nel caso si facesse, io me ne chiamerei fuori, perché di lavorare gratis ne ho fin sopra i capelli e perché quando viene a mancare il rispetto (pagare un lavoro è "rispetto") la risposta da dare è una sola; però, in quanto collaboratore "anziano", avrei meritato maggiore considerazione. E mi dispiace anche per il suddetto giornalista, che in tutta sincerità non ne esce molto bene in quanto a credibilità, anche se a saperlo siamo solo io, lui e pochi altri (gli altri collaboratori della guida). Riguardo alla popolare casa editrice, mi sfuggono i motivi del prestigio di cui continua a godere. Per quanto mi riguarda, una volta avuti i miei soldi (che reclamerò fino alla nausea, anche a costo di presentarmi nella loro sede con un avvocato e con un Carabiniere), dopo non mi vedranno più.  

mercoledì 29 gennaio 2014

TKC TEATRO DELLA GIOVENTU', IL CARTELLONE DEL 2014 FRA LEGGEREZZA, CORAGGIO E SPERIMENTAZIONE

               "Rumori fuori scena", uno degli spettacoli cult della TKC, tornerà in scena anche nel 2014

Leggerezza, coraggio, sperimentazione. Tre parole per descrivere la stagione 2014 del TKC Teatro della Gioventù di Genova, finalmente varata nei giorni scorsi dopo un laborioso e sofferto allestimento. Sofferto soprattutto per una sorta di pudore, di scrupolo morale nei confronti del pubblico: "Siamo reduci - spiega in proposito Massimo Chiesa, il direttore artistico del teatro - da due anni di attività che sono stati confortati da una crescita costante di spettatori: pensate che da poco abbiamo superato le 100mila presenze totali a far data dalla partenza di questa nuova gestione. Una grande soddisfazione ma anche un peso, una responsabilità: c'era il timore di commettere passi falsi o fare scelte sbagliate, di deludere chi ci segue con costanza e con affetto ma anche chi vorrà avvicinarsi per la prima volta alla nostra realtà, e ci siamo quindi presi tutto il tempo che ci serviva per riflettere sulla messa a punto del cartellone". 
RISATE D'AUTORE - Superate le riserve psicologiche, dunque, è tempo di ripartire. Si fa per dire, perché il TKC in questi mesi non si è praticamente mai fermato: nelle prime settimane di gennaio, ad esempio, hanno continuato a tenere banco due pezzi forti del repertorio della giovane compagnia, "Amici assenti" di Alan Ayckbourn e "La cena dei cretini" di Francis Veber: le repliche di quest'ultima commedia, fra l'altro, continueranno fino al 16 febbraio, toccando quota 69 rappresentazioni. Ma si diceva delle tre "parole magiche" che contraddistingueranno la nuova serie di spettacoli: leggerezza in primis, perché il Teatro della Gioventù si mantiene fedele alla linea artistico - editoriale proposta e portata avanti con successo sin qui: quella delle commedie brillanti e di una comicità non sguaiata e volgare, ma garbata e d'autore: una comicità internazionale, diremmo, visto che i ragazzi della Kitchen Company continuano ad esplorare le varie... nazionalità del sorriso: non a caso i primi due appuntamenti in calendario, da febbraio ad aprile, sono il ritorno, gettonatissimo, di un successo già storico del Teatro della Gioventù, ovvero la trilogia "Le conquiste di Norman" di Ayckbourn, e "Le cognate", del tunisino ma francese di adozione Eric Assous: tre cognate, tre fratelli e una segretaria mozzafiato per un susseguirsi di gag all'insegna di un umorismo graffiante.  
LA RISCOPERTA DI CAMPANILE - Coraggio e sperimentazione vanno a braccetto nella scelta di inserire in cartellone, da aprile a giugno, "Centocinquanta la gallina canta", un'opera di Achille Campanile. Per Massimo Chiesa "un monumento autentico, il papà della satira e dell'umorismo in Italia", dove tuttavia non è ricordato e valorizzato come meriterebbe. La messa in scena di un suo testo (che verrà arricchita da incursioni in altri scritti del celebre scrittore, drammaturgo e giornalista) è un coraggioso tentativo di offrire al pubblico un autore non da tutti conosciuto, specie dalle nuove generazioni, e per questo rischioso: un genio che, con arguzia e leggera ironia, ha saputo dipingere suggestivi affreschi del costume e della società italiane del suo tempo. Lo spettacolo ha ricevuto il beneplacito del figlio di Campanile, Gaetano: è nei voti della TKC poterne fare una pièce di spessore internazionale, con possibilità di lanciarla anche all'estero. In contemporanea ci sarà "Terapia di gruppo" di Christopher Durang, un testo "folle", fra psicanalisi e plurisessualità, satira portata all'esasperazione comica, un'ironia intelligente e surreale. 
In estate, col ritorno di "Rumori fuori scena", altro cult del teatro di via Cesarea (nei due cicli precedenti, 28mila spettatori in 140 repliche), approderà a Genova, e probabilmente per la prima volta sulla scena teatrale nostrana, "Disaster comedy" di Henry Lewis, Jonathan Sayer e Henry Shields, storia di una raffazzonata compagnia teatrale alle prese con l'accidentata rappresentazione di uno spettacolo: una commedia dentro la commedia, che lascia agli attori ampio spazio per l'inventiva e l'improvvisazione, "a patto poi - precisa Massimo Chiesa - di essere rigorosissimi nell'esecuzione davanti al pubblico". Entrambi gli spettacoli verranno replicati anche a settembre e ottobre, alla ripresa dell'attività dopo la breve chiusura estiva. 
MISTERO WOODY - Ottobre e novembre hanno finora una sola certezza: "Il rompiballe" di Francis Veber, col personaggio di François Pignon che questa volta diventa fotoreporter e con le sue gesta farà ammattire un killer, nientemeno; l'incertezza riguarda "Provaci ancora Sam": l'ufficio legale di Woody Allen non ha ancora dato l'autorizzazione per la messa in scena, e c'è da dire che alla TKC serpeggia al momento un certo scetticismo in merito. Il fatto è che da anni Woody non  concedere diritti per la rappresentazione di questo suo testo in Italia, pare scottato da alcuni allestimenti del passato da lui ritenuti non particolarmente felici. Speriamo che nella circostanza cambi idea, i giovani attori di Chiesa e di Eleonora D'Urso meritano fiducia. Chiusura d'anno con un tris firmato da Georges Feydeau, dopo il boom di "La pulce nell'orecchio": in scena "L'albergo del libero scambio", "Non andare in giro tutta nuda" e "Pupo prende il purgante". 
DUE VOLTE AL GIORNO - Per il 2014, il Teatro della Gioventù continua a puntare sulla doppia rappresentazione quotidiana, varata nei mesi scorsi con un consenso andato al di là delle aspettative: quasi tutti i giorni andranno dunque in scena due spettacoli, alle 19 e alle 21, e la domenica ci sarà l'aggiunta della recita delle 15 e 30; qualcosa come quindici rappresentazioni settimanali, con conseguente cancellazione del giorno di chiusura, se non nei momenti in cui sarà necessario allestire le pièces. Anche questo, a ben vedere, è un atto di coraggio: uno sforzo enorme, che verrà sostenuto anche grazie all'ingresso in compagnia, al fianco del nucleo "storico", di nuovi giovani attori, tutti provenienti da "scuole" di alto livello. E ovviamente si continuerà con l'apprezzatissima apertura estiva, fino al 3 agosto. Anche i prezzi sono rimasti invariati rispetto alla stagione 2013, con in più la novità Card Abbonamento, che darà la possibilità di assistere a 6, 8 o 10 spettacoli a soli 9 euro cadauno per gli over 30 e 6 euro cadauno per gli under 30. Ma per tutte le informazioni dettagliate relative a cartellone, calendario degli spettacoli e prezzi rinviamo al sito web del teatro: www.tkcteatrodellagioventu.it. 

mercoledì 22 gennaio 2014

RECENSIONI DAL TEATRO: AMBRA MATTATRICE IN "LA MISTERIOSA SCOMPARSA DI W"


Ambra Angiolini è cresciuta. Lo so, non è una grossa novità per chi, in questi ultimi anni, ha avuto modo di ammirarla in certe sue performance cinematografiche e teatrali (mentre dalla tv pare essersi defilata, almeno per il momento). Ma godere dal vivo, a pochi centimetri di distanza, dei frutti di una maturazione così sorprendente fa tutto un altro effetto. Sì, Ambra è cresciuta, e il testo di Stefano Benni, "La misteriosa scomparsa di W", andato in scena nei giorni scorsi al Teatro dell'Archivolto di Genova, ne ha esaltato i magnifici progressi artistici e di personalità. 
I CONTROVERSI ESORDI - Maturazione sorprendente, si è detto. Beninteso, non per mancanza di fiducia nel talento della ex ragazzina prodigio di "Non è la Rai", quanto perché il passaggio da ciò che Ambra è stata e ciò che è diventata adesso risulta perfino spiazzante, tanta è la distanza fra le due fasi della sua carriera. Ma forse per troppo tempo si è dato peso eccessivo a quel lontano e controverso debutto nel mondo dello spettacolo, al personaggio dell'adolescente frivola e un po' petulante cucitole addosso da Gianni Boncompagni. Per anni si è parlato con sufficienza della subrettina in erba che pilotava il celebre programma pomeridiano "imbeccata" dallo stesso Boncompagni tramite auricolare (pare che andasse veramente così, e ci sono video sul web che lo dimostrerebbero, nonostante Gigi Vesigna, in un suo recente libro sul Festival di Sanremo, abbia sostenuto che fosse tutta una montatura, che Ambra facesse da sola: ma il deludente volume dell'ex direttore di Sorrisi è pieno di strafalcioni, e non mi sorprenderebbe che anche in questo caso abbia preso un granchio clamoroso ...). Già fin dalla spigliata conduzione del Dopofestival 1996, quando seppe tener testa autorevolmente a un Pippo Baudo nervoso oltre il livello di guardia, si capì che, sotto la scorza della fanciulla ilare a uso e consumo della tv commerciale c'era qualcosa di più, del "materiale" su cui lavorare con buone speranze. 
IL TESTO DI BENNI - Così, vent'anni o giù di lì dopo "Non è la Rai", ecco la nuova Angiolini. Classe pura, certo, ma anche applicazione, studio, voglia di migliorarsi, doti che non tutti posseggono e senza le quali è impossibile sfondare, anche se madre natura ti ha fatto dono di tutto il talento di questa terra. "La misteriosa scomparsa di W" è un'opera che, nella sua resa teatrale, guadagna in misura esponenziale dalla performance di Ambra, sola sul palco ma abilissima a "riempire" la scena. "V" è il nome della problematica donna protagonista dello spettacolo: un nome criptico ma neppure tanto, perché "V" è alla ricerca di "W", ossia del suo completamento. Una donna incompiuta, quindi, insoddisfatta e tormentata, che sul palco si racconta, mettendo a nudo una vita variopinta e accidentata, a tratti improbabile e immaginifica, in cui il suo cammino si è sempre fermato a un passo dalla felicità, deragliando costantemente verso la sofferenza. C'è di tutto nel percorso di questa ragazza: il disincanto verso la realtà e gli uomini che la popolano, disincanto che compare già poche ore dopo esser stata messa al mondo, gli psicofarmaci come sostegno e come prigione, amicizie e amori che finiscono in maniera traumatica, ma anche il confronto, fra sarcasmo e paradosso, coi grandi temi sociali, dal razzismo alla guerra. 
MATTATRICE - Un racconto di vita ma anche un viaggio nei più complicati meandri della psiche, tratteggiato con l'arguzia di Benni. Un viaggio che, pur dipanandosi in buon equilibrio fra leggerezza ed elaborata raffinatezza narrativa, a tratti, e soprattutto nel finale, inciampa in una complessità che rende il testo non propriamente alla portata di tutti. Ma ci pensa Ambra a "domarlo", donandogli un surplus di godibilità e intensità; è quasi un one woman show, in cui l'attrice romana mostra di saper frequentare con eguale efficacia tutti i registri: passa con disinvoltura dal comico al drammatico, sa regalare momenti di autentica ilarità, sostenuta da mimica e gestualità convincenti (ma non invasive) ma anche commuovere, con assoluta padronanza dei tempi recitativi. Insomma, "La misteriosa scomparsa di W" è soprattutto lei, la ragazzina "made in Fininvest" oggi artista a tutto tondo, che, ne sono sicuro, "deflagrerebbe" con ancor più energia in un monologo più "nazionalpopolare", regalandoci magari una nuova mattatrice buona per tutti i palchi e tutti gli schermi, grandi e piccoli. 

martedì 14 gennaio 2014

FESTIVAL DI SANREMO 2014: UN PRIMO GIUDIZIO SUI BRANI DELLE NUOVE PROPOSTE, ZIBBA E THE NIRO DAVANTI A TUTTI



Poco più di un mese al Festival di Sanremo numero 64 (si parte il 18 febbraio), ed è dunque tempo di iniziare a scaldare i motori. Breve focus sulle Nuove proposte, dal momento che, come capita ormai da alcuni anni, con discreto anticipo la Rai ha offerto la possibilità di ascoltare per intero, on line, i brani degli otto giovani ammessi alla tenzone rivierasca. E dunque, cosa bolle nella pentola del più prestigioso "vivaio" della musica leggera nostrana? 
Diciamo subito che, dopo i primi ascolti, il livello qualitativo della categoria parrebbe grosso modo sulla stessa linea degli ultimi due anni, ossia discreto, dignitosissimo, senza far gridare al miracolo. Ci sono tre - quattro nomi in grado non dico di sfondare, ma comunque di gettare buone basi per tentar di conquistare un posticino al sole, e, del resto, per una mera questione statistica difficilmente potrebbero essere di più, visti i "minimi termini" a cui la sezione esordienti è stata ridotta. Scegliere appena otto ragazzi sui tantissimi che hanno fatto domanda non implica affatto che i "sopravvissuti" alla dura selezione siano dei fuoriclasse delle sette note, come del resto la storia delle ultime edizioni ampiamente dimostra: è soltanto una scelta editoriale che, non è dato sapere per quali motivi, ha imposto un taglio drastico dei posti a disposizione delle nuove leve. 
Comunque, lo ripeto, qualcosa di decente c'è: che poi le promesse e le premesse possano tramutarsi in realtà è tutto da dimostrare, perché questi ragazzi dovranno scontrarsi con una realtà, quella del mercato discografico italiano, che definire drammatica è riduttivo. La mente corre a certi personaggi interessantissimi passati negli ultimi anni dal palco del'Ariston e che, per un motivo o per l'altro, ancora non sono riusciti a consacrarsi: su tutti Erica Mou, il cui definitivo decollo è forse finalmente iniziato nel 2013 grazie alla colonna sonora del film di Rocco Papaleo "Una piccola impresa meridionale",  ma anche Il Cile, Marco Guazzone, Celeste Gaia, Jacopo Ratini (bocciato nelle eliminatorie di quest'anno): gente di talento, ma che sta faticando terribilmente ad emergere. 
Speriamo vada meglio quest'anno, ma chi vive sperando... Il presupposto fondamentale sarebbe, in sede di serate televisive del Festival di Sanremo, riservare un trattamento più degno alla categoria: confinarla a tarda sera, o inserirla di straforo tra l'esibizione di un grosso ospite e l'altra, chiaramente non aiuta, e va detto che su questo delicatissimo punto nemmeno la fin troppo strombazzata formula innovatrice di Fazio e compagnia ha portato miglioramenti nel 2013. Detto questo, parliamo invece dei "ragazzi del 2014": in una ipotetica e personalissima griglia di partenza, metterei in prima fila Zibba e The Niro, in seconda Diodato e Filippo Graziani, Bianca possibile outsider e gli altri tre, ossia Veronica De Simone, Rocco Hunt e Vadim, decisamente staccati. Questo su un piano meramente qualitativo: sul palco della kermesse, l'interpretazione dal vivo (e ciò è positivo) e la reazione del pubblico a certe proposte fin troppo facili (e questo è invece altamente negativo) potrebbero sparigliare le carte e, ad esempio, portare in cielo le canzoni di Veronica o di Hunt. Vediamo nel dettaglio un sintetico panorama della categoria, ribadendo che il giudizio arriva dopo i primi ascolti dei motivi in gara e va dunque preso per quello che è.
ZIBBA - SENZA DI TE: è il brano che potrebbe mettere d'accordo tutti, coniugando raffinatezza, qualità e orecchiabilità. C'è un testo poetico e non banale ma di facile comprensione, che tocca le corde più sensibili dell'anima; c'è una certa ricercatezza nelle musiche e negli arrangiamenti. C'è, insomma, un deciso piglio cantautoriale, ma il pezzo "arriva" subito grazie a un ritornello ben costruito. Tutto questo sorvolando sul fatto che, secondo molti addetti ai lavori, uno col percorso artistico di Zibba avrebbe meritato di essere iscritto fra i Big, ma capita spesso che, in quel di Sanremo, le differenze fra le due categorie siano piuttosto aleatorie... Con lui all'Ariston, secondo quanto dichiarato dallo stesso cantante, ci saranno anche i fedelissimi Almalibre, non iscritti alle selezioni per motivi di... anzianità.
THE NIRO - 1969: probabilmente il pezzo più contemporaneo della categoria, per stile di scrittura e per impianto musicale. Non c'è nemmeno il classico refrain che "spacca", è tutto il brano a coinvolgere, per intensità, ispirazione e originalità, in particolare con un arrangiamento di caratura internazionale. Impatto non immediato, ma grana finissima. 
DIODATO - BABILONIA: anche in questo caso, buon livello di contemporaneità (parola d'ordine di Fazio per il Sanremo 2014), anche se in un giusto compromesso con i classici stilemi della tradizione italiana: testo a tratti persino complesso, nel suo raccontare l'amore in maniera "cerebrale", senza struggimenti e mielosità, impianto musicale essenziale,  pop con venature di soft rock, discreto crescendo finale, buon eclettismo vocale. 
FILIPPO GRAZIANI - LE COSE BELLE: l'impronta paterna è largamente percettibile nella voce, che comunque mantiene una sua originalità, e nello stile compositivo. Canzone musicalmente vivace, senza cedimenti, facile da ricordare eppure non banale, un esempio di come si possa parlare dei problemi di una generazione senza scadere nella retorica e nel già sentito. Potrebbe essere la variabile impazzita della gara, non è escluso un clamoroso exploit. 
BIANCA - SAPRAI: a volte ritornano, le classiche canzoni da Sanremo anni Novanta: splendida voce femminile, melodia a vele spiegate, una certa vena malinconica di fondo. Però si tratta di un pezzo tutto sommato ben costruito, impreziosito da una vocalità originale, una canzone che onora con dignità la tradizione melodica nostrana, il che non è un reato, anzi. Potrebbe anche fare breccia nella parte tradizionalista del pubblico sanremese, ossia nella parte dominante. 
VERONICA DE SIMONE - NUVOLE CHE PASSANO: anche qui siamo nel solco del Sanremo classic. Di giovani voci femminili da usignolo il Festivalone ce ne ha proposte tantissime, soprattutto dagli anni Novanta in poi, con particolare riferimento alle gestioni di Baudo, ma non basta saper cantare bene per lasciare un segno nella storia della musica. Ecco, Veronica ha voce limpida e senza incrinature, a giudicare dal videoclip pare anche in possesso di buone doti sceniche, ma non è adeguatamente servita da una canzone che ha ben poco di originale, e che personalmente mi ricorda certe ultime uscite rivierasche di Noemi e di Arisa. 
ROCCO HUNT - NU JUORNO BUONO: francamente, speravo che i tempi di operazioni in stile "Gigi Finizio e i Ragazzi di Scampia" fossero passati. E mi aspettavo anche che il rap all'italiana, protagonista delle classifiche del 2013, trovasse a Sanremo una più qualificata rappresentanza. La canzone napoletana continua ancora oggi ad offrire voci e produzioni di altissimo spessore, sia nell'alveo della tradizione che in quello della modernità. Non è il caso di questo stanco rap all'acqua di rose, che con retorica e senza un pizzico di inventiva canta del disagio della società napoletana e della voglia di superare i tempi duri. 
VADIM - LA MODERNITA': in molti sul web l'hanno massacrato. Ecco, diciamo che ad Area Sanremo potevano scegliere di meglio, ma non drammatizzerei più di tanto. Il testo è a tratti sconcertante per banalità, il pregio è nell'arrangiamento in larga parte monocorde, quindi straniante  e per questo un tantinello originale. 

domenica 12 gennaio 2014

LE MIE RECENSIONI: "INDOVINA CHI VIENE A NATALE?", UN'ALTRA INCOMPIUTA PER IL CINEMA ITALIANO


Film come "Indovina chi viene a Natale?" lasciano l'amaro in bocca e un vago senso di incompiutezza, di insoddisfazione. Persino di rabbia, mi verrebbe da dire. Sì, rabbia, perché certe pellicole sono emblematiche di quella sindrome da "vorrei ma non posso" che attanaglia una troppo larga fetta del cinema italiano d'oggidì:  la sensazione che ci sarebbero i mezzi e le idee per costruire qualcosa di non convenzionale, di non scontato, ma quando si tratta di tirare le somme manca il coraggio di osare. Quasi un... coito interrotto, il film di Fausto Brizzi, per usare una metafora un tantinello ardita. In parole povere, un'opera che tanto prometteva e che poco mantiene. E non si trattava di promesse di poco conto: per lunghi minuti, il film lascia infatti balenare l'illusione di trovarci davanti a un qualcosa di diverso dall'ennesima rimasticatura del più scontato dei prodotti natalizi da grande schermo. 
COMMEDIA CORALE - Dopo i titoli di testa, sembra sbocciare una gradevole commedia corale, mai banale, con attori e ruoli azzeccati. Non è originale la collocazione spazio - temporale natalizia, ma lo è, quantomeno per il cinema nostrano, la situazione nella quale la vicenda va a svilupparsi: il ritrovo di parenti, naturali e acquisiti, presso la dimora dell'anziano (e da poco trapassato) capofamiglia, un grande cantante di successo nei decenni precedenti: una casa in montagna piena degli allori conquistati dall'artista, fra i quali, curiosità, spicca anche il celeberrimo leone rampante appoggiato alla palma, il trofeo assegnato ai vincitori del Festival di Sanremo. 
C'è un colorato e riuscito affresco di personalità e di storie: la famiglia meridionale (Carlo Buccirosso e Rosalia Porcaro) che adora il Natale e tutti i riti, religiosi e pagani, che ne accompagnano le celebrazioni; c'è la coppia di industriali del ramo dolciario (Diego Abatantuono e Angela Finocchiaro) soddisfatta perché, in tempi di crisi, è appena riuscita a dare una gratificazione economica supplementare ai dipendenti, e c'è la loro figlia (Cristiana Capotondi) che, a sorpresa, si presenta in vacanza con un fidanzato (Raul Bova) disabile, in quanto privo degli arti superiori a causa di un misterioso incidente... E c'è anche, dulcis in fundo, una Claudia Gerini sentimentalmente tormentata, i cui due figlioletti bersagliano di scherzi da riformatorio il malcapitato nuovo compagno di lei, Claudio Bisio. 
CROLLO... NELLA RIPRESA - Le diverse vicende personali sembrano ben intrecciarsi e fondersi in maniera armoniosa, i vari personaggi sono quasi tutti tratteggiati in maniera convincente; e soprattutto, fondamentale per una commedia comunque brillante, leggera e "festiva", si ride, grazie a un copione ben scritto, a battute mai volgari, a una comicità lieve che permea fin qui la pellicola, senza mai scadere nel trivio. Ciò dura fino all'intervallo: dopo, riprende un film diverso, piegato al più bieco sentimentalismo, alla sdolcinatezza, alla rincorsa verso un finale alla "volemose bbene" prevedibile con largo anticipo sui titoli di coda. Incredibile: pareva, alla riaccensione delle luci in sala, d'aver assistito a due distinte opere. Ma a colpire negativamente è stato l'abbandono, improvviso e ingiustificato, del registro vivace e giocoso che aveva reso godibile la partenza, per virare verso un indigeribile zuccherificio. 
BUONI SENTIMENTI - Eccola, dunque, l'ennesima "incompiuta" del grande schermo italico: mancanza di coraggio, di voglia di osare, o, chissà, una improvvisa crisi di creatività che ha impedito di condurre fino in fondo una "linea editoriale" narrativa, ripiegando sul tarlo che sta minando tanto cinema ma anche tanta fiction televisiva nostrana: il dover esser sempre e comunque rassicuranti, regalare allo spettatore buoni sentimenti, baci e abbracci finali e ammore, tanto ammore, anche laddove si potrebbe costruire un prodotto dignitoso battendo strade diverse. L'unico accenno di voglia di andare controcorrente rimane il ritratto a due strati del disabile Raul Bova: da una parte un messaggio che invita alla naturale accettazione di chi è stato più sfortunato, con l'esaltazione delle "diverse abilità" del ragazzo, dall'altra un'esasperazione del personaggio (lo si fa addirittura guidare un'auto coi piedi) e la sua "smitizzazione" conclusiva, allorquando ne vengono smascherate alcune bugie... Un racconto poco politically correct, ma è, lo ripetiamo, l'unico sussulto di ribellione in un'opera che scolora col passare dei minuti. 
PORCARO NON VALORIZZATA - Poco altro c'è da dire, se non sottolineare le varie prove d'attore: detto del bel Raul, sufficientemente credibile, assolutamente censurabile lo scarsissimo spazio riservato a Rosalia Porcaro, che ricordiamo briosa protagonista negli ultimi contenitori comici di successo prodotti dalla Rai, i vari "Convension" e derivati dei primi anni Duemila. Fra i "mostri sacri" di celluloide qui presenti, Claudio Bisio è di certo il più in palla e salva a più riprese il film nella sua impari lotta coi terribili figli di Claudia Gerini, dal canto loro appesantiti da un copione che non si accontenta di renderli antipatici: ben lungi dal suscitare ilarità, i loro tiri mancini hanno dentro qualcosa di odioso, e per di più la loro battaglia contro Bisio viene tirata troppo alle lunghe, finendo col nuocere ulteriormente all'opera di Brizzi. 
La stessa Gerini, la Finocchiaro e Buccirosso se la cavano con mestiere ma senza incantare, Abatantuono continua ad annaspare all'inseguimento di una verve che non ha più da tempo e che cerca di riprodurre con esiti modestissimi, la Capotondi inanella un'altra prestazione da buon mediano, un 6 e mezzo che non la lancerà nell'Olimpo delle nostre attrici ma che ne certifica comunque una discreta crescita professionale; superflua la comparsata di Massimo Ghini. Un piacere rivedere Isa Barzizza, "eroina" del cinema leggero anni Cinquanta, mentre Gigi Proietti, il divo delle sette note già defunto e che compare solo con una videoregistrazione postuma, regala un cameo garbato e ben riuscito. Poteva e doveva essere, la sua, l'unica parentesi strappalacrime di "Indovina chi viene a Natale?", invece, come detto, a lungo andare il "volemose bbene" ha dilagato. Peccato. 

giovedì 9 gennaio 2014

60 ANNI DI RAI TV: LETTERA APERTA A BARBARA SCARAMUCCI, DIRETTRICE DELLE TECHE


Gentile Barbara Scaramucci, 

in occasione delle celebrazioni per i 60 anni della Rai tv, ritengo doveroso inviarle questa lettera aperta. Per esprimerle la mia riconoscenza, innanzitutto. Perché è soprattutto grazie a lei (e al suo staff, beninteso) che di questi 60 anni di televisione italiana oggi possiamo ancora godere, emozionandoci e lasciandoci piacevolmente travolgere da ondate di nostalgia. Mettere in piedi un progetto come quello delle Teche era doveroso, forse scontato, per salvaguardare l'immenso patrimonio d'archivio di quella che, secondo molti, è ancora la "principale azienda culturale del Paese". Eppure si sono dovuti aspettare anni prima che qualcuno vi ponesse concretamente mano. 
Le Teche Rai, il cui percorso è iniziato a metà degli anni Novanta, hanno fatto passi da gigante. Il lavoro di ritrovamento, restauro e, soprattutto, riorganizzazione della ciclopica mole di reperti video, audio e cartacei ha dato risultati tangibili. Del resto, non valorizzare compiutamente una "banca dati" come quella dell'ente radiotelevisivo di Stato sarebbe stato delittuoso: perché questo passato catodico non è solo un contenitore di ricordi dal quale pescare a piene mani, per commuoversi e lasciarsi cullare dal rimpianto per il tempo che fu, non è solo (e già sarebbe tanto) un pezzo di storia d'Italia, ma può, deve essere anche una fonte alla quale abbeverarsi per rigenerare la Rai di oggi e preparare quella di domani. 
DAL PASSATO AL FUTURO - Una sfida che, nei giorni del sessantennale, non può non essere raccolta. Guardare al passato non nel segno di un vuoto nostalgismo fine a se stesso, ma per trarre ispirazione, ripescare idee vecchie ma sempre valide e magari rielaborarle in base ai mutamenti del tempo e del gusto, pur senza snaturarle. Non solo: l'archivio Rai è una enciclopedia del talento e della creatività italiane. E' mio parere personale che, oggi, l'uno e l'altra manchino un po' nelle più recenti produzioni dell'azienda: servono nuovi autori con idee originali, servono personaggi artisticamente e tecnicamente preparati che possano raccogliere l'eredità dei mostri sacri di ieri e di oggi, perché ho la sgradevole sensazione che dietro i bravissimi Carlo Conti, Fabrizio Frizzi, Antonella Clerici, Milly Carlucci e mi scuso se dimentico qualcuno, stia nascendo ben poco, che l'opera di scouting, di ricerca di giovani virtuosi non sia ancora all'altezza di un ente di tale importanza e rilievo. 
RADIOCORRIERE - Ma questo è un discorso che mi porterebbe troppo lontano e per il quale non ho di certo l'adeguata preparazione specifica. In altre parole, non voglio insegnare niente a nessuno, mi limito solo a qualche osservazione personale da semplice e fedele spettatore. Torniamo ai ringraziamenti: la messa on line dell'intero archivio del Radiocorriere Tv è stata la splendida sorpresa di inizio 2014. Un'immensa mole di informazioni, dati, approfondimenti su fatti, eventi e personaggi di settant'anni di produzione radiofonica e televisiva. Una manna, tanto che si può tranquillamente perdonare la digitalizzazione in bianco e nero di tutte le pagine: questioni di tempo e di costi, immagino, oltre al fatto che i pdf sono già pesanti così e il colore li avrebbe resi di dimensioni insostenibili. 
TECA APERTA - Il sottoscritto, e altri "cultori" del passato Rai, auspichiamo che, presto, un passo simile possa essere operato anche nel senso di una apertura al pubblico dell'archivio audio e video. E' vero, da qualche anno esiste il servizio "Teca aperta", che permette, presso le sedi regionali dell'azienda e altri siti "esterni" (a Milano, ad esempio, la Mediateca Santa Teresa) di visionare una parte del catalogo multimediale delle Teche tramite un semplice terminale. Ma non ha idea, Barbara, di quante persone gradirebbero che tale opportunità fosse fruibile direttamente dal pc di casa: anche pagando, ebbene sì, un abbonamento annuale. E magari, visto che ho avuto modo più volte di accedere a questo servizio, a Genova e a Milano, sarebbe bello se ogni tanto la mole di materiale d'archivio consultabile fosse incrementata. Io, ad esempio, sono un grande appassionato di rassegne canore, e nelle mie già numerose incursioni in "Teca aperta" ho notato l'assenza delle registrazioni di svariate serate del Festival di Sanremo, del Disco per l'estate, del Festivalbar, tutti eventi che pure avete "a magazzino", come dimostrano gli spezzoni spesso inseriti nelle vostre trasmissioni di repertorio, da "Techetecheté" a "Da da da". 
I SANREMO PERDUTI - A proposito di Festival di Sanremo: è noto da anni, quantomeno a noi "fans" della celeberrima manifestazione, che nell'archivio della Rai non sono più rintracciabili le registrazioni di alcune edizioni: segnatamente quelle del 1967, 1973, 1974 e 1975, mentre so che la finale del 1976 è spuntata fuori solamente grazie a una replica trasmessa di recente da una emittente spagnola. Ecco: in occasione di una scadenza importante come quella dei 60 anni di Rai, e visto che di questi 60 anni "il Sanremo" è stato uno dei pilastri, formidabile macchina "cattura ascolti", vetrina imprescindibile per la discografia nostrana, evento entrato addirittura nel costume e nella cultura popolare del Paese, sarebbe auspicabile intensificare le ricerche di questi reperti scomparsi. Ne ho sentite di tutti i colori: chi parla di bobine andate distrutte in un incendio, chi dice che addirittura siano state cancellate per registrarvi sopra (!), chi, infine, sostiene che i video ci siano ma non siano ancora catalogati e chissà in quale oscuro scantinato sono finiti... Rivedere quei Festival perduti è un desiderio di tanti, chissà che lei e le sue Teche non riescano anche in questa impresa!

La ringrazio per l'attenzione e mi scuso per il disturbo. 

Carlo Calabrò

mercoledì 8 gennaio 2014

1954 - 2014: LA RAI HA SESSANT'ANNI. PENSIERI IN LIBERTA' FRA RICORDI E SPUNTI PER IL FUTURO...



Sessant'anni di Rai, sessant'anni di televisione in Italia. L'importante ricorrenza è stata festeggiata pochi giorni fa: il 3 gennaio del 1954, infatti, ebbero inizio le trasmissioni ufficiali dell'ente televisivo di Stato. Ma le celebrazioni continueranno ancora a lungo, ed è giusto così. Affrontare l'imponente argomento in un unico post mi è impossibile, così come non sta a me effettuare corposi excursus storici su origini, evoluzione e prospettive del piccolo schermo nostrano. Opto allora per un viaggio sul filo dei miei personalissimi ricordi catodici, con qualche breve nota a margine. 
IL COMPLEANNO DEL 1984 - Dei sessant'anni di tv il sottoscritto ne ha, in pratica, vissuti "in diretta" poco più della metà, diciamo a partire dagli Eighties. E scorrendo il mio libro della memoria, mi accorgo che, in fondo, alla Rai debbo dire grazie, perché attraverso i suoi programmi ho coltivato e alimentato alcune delle passioni che, ancora oggi, accompagnano la mia esistenza: sugli schermi della tv di Stato ho imparato a conoscere il calcio, mi sono innamorato del Festival di Sanremo, ho scoperto la struggente bellezza del varietà d'antan...
Ecco, a proposito di varietà: il primo compleanno televisivo di rilievo che io ricordi fu quello del 1984: la Rai diede il via ai festeggiamenti del suo trentennale con uno show del sabato sera in quattro puntate (tutte nel mese di gennaio)  intitolato, semplicemente, "Buon compleanno tv". Presentava Pippo Baudo, che proprio con quella trasmissione inaugurò un lungo periodo di massiccia presenza sui teleschermi: seguirono, infatti, varie edizioni di Sanremo, di Serata d'onore, di Fantastico, fermo restando l'impegno settimanale a Domenica in... Quello spettacolo era il classico varietà che per tanti anni ha dominato, con successo, le nostre serate: sfarzo e lustrini, grandi ospiti, tanto garbo e zero volgarità, attori e cantanti, e musica a volontà: si doveva eleggere, infatti, la più bella canzone italiana di quel primo trentennio di tv. 
IL VARIETA' E LO SCADIMENTO DEL GUSTO - Quanto detto induce già a una riflessione en passant su ciò che è stata, ciò che più non è e ciò che dovrebbe essere la tv italiana. Perché quello di "Buon compleanno tv" era il format perfetto dello spettacolo nazionalpopolare, e non è un caso che, con diverse variazioni sul medesimo tema, abbia attraversato lustri e decenni senza conoscere crisi, prima di essere bruscamente accantonato nel ventunesimo secolo.
Sono cambiati i gusti del pubblico, si è detto e scritto. Boh, secondo me i gusti del pubblico sono cambiati perché lo si è abituato al brutto, allo scadente: ai televoti, alle giurie di presunti esperti tuttologi, a un talento artistico sempre più scricchiolante, alla lacrima facile. Una volta c'erano Canzonissima e Fantastico, oppure gli one man show di Fiorello e Panariello, oggi ci sono Al Bano e Cristina Parodi: la differenza balza agli occhi e, no, non può essere solo una questione di gusti mutati. Non è un caso che l'unico spettacolo esistente costruito ancora sul modello del vecchio varietà, sia pur riadattato in chiave parzialmente contemporanea, ossia il "Tale e quale show" di Carlo Conti, rappresenti uno dei boom, in termini di ascolti e di gradimento, delle ultime stagioni. 
LA SPARIZIONE DELLA MUSICA - Ancora: quello show celebrativo dei primi trent'anni Rai, come detto, fu anche una gara per eleggere la canzone regina del periodo storico preso in esame: vinse, per la cronaca, "Il cielo in una stanza" di Gino Paoli. Più in generale, fino agli anni Ottanta, e all'epoca del trentennale in particolare, le trasmissioni televisive italiane, Rai e non solo, erano zeppe di musica leggera, di cantanti giovani e meno giovani che promuovevano le loro ultime fatiche discografiche o proponevano il loro repertorio. Erano ovunque, anche nei telequiz.
La tv ha perso anche questa buona abitudine: oggi, la musica è quasi bandita dal piccolo schermo (Sanremo è un evento particolare, anzi "l'evento", e in quanto tale fa storia a sé), se non da certe trasmissioni revival che propongono allo sfinimento sempre gli stessi brani (con una particolare e inquietante predilezione per "Lady Marmalade", ci avete fatto caso?). Oggi i cantanti devono trovarsi altre vie per promuovere i loro lavori: un controsenso, proprio nel periodo in cui la nostra industria discografica sta attraversando la sua crisi più grave, e dalla tv potrebbe trarre un aiuto fondamentale. In conclusione: senza varietà leggero, e senza musica pop, la televisione italiana è più povera, meno qualitativa e meno guardabile. In questo senso, studiare il passato, recuperarne il meglio e rivisitarlo con sguardo moderno, pur senza stravolgerlo, sarebbe un buon primo passo per impostare un più proficuo futuro catodico. Una lettura intelligente del passato, beninteso, non una mera operazione nostalgia.

                                  La copertina di Sorrisi per i 30 anni della Rai, nel 1984

IL COMPLEANNO DEL 2004 E LA RISCOPERTA DELL'ARCHIVIO - A proposito di recupero del passato: di diverso tono rispetto a vent'anni prima furono, nel 2004, le celebrazioni per il cinquantenario della tv. All'epoca, a partire da un'altra trasmissione di Baudo sul filo della nostalgia, "50", in onda fin dall'autunno 2003, si puntò con più decisione sul ripescaggio di materiale di repertorio, in linea con lo slogan adottato per i festeggiamenti: "Rai: 50 anni di successi". Non si trattò di una scelta casuale: da pochi anni era partito il progetto Teche, ossia una riorganizzazione in grande stile dell'immenso archivio Rai coordinata da Barbara Scaramucci, che merita solo ringraziamenti per aver messo mano a un'operazione autenticamente ciclopica e di inestimabile rilievo storico. Vennero così fuori interessanti trasmissioni di montaggio di reperti video: ne ricordo una, fra le tante, dedicata alle sigle che hanno fatto la storia di mamma Rai. 
DALLE TECHE AL FUTURO - Dieci anni dopo, per festeggiare il traguardo dei sessant'anni bisognerebbe insistere su questa strada: riscoprire il passato, valorizzare lo sterminato archivio della tv di Stato, ancora sfruttato solo in minima parte, e trarne spunto per impostare un futuro più brillante e vivo rispetto al vuoto di idee e di talento che caratterizza oggi gran parte dei palinsesti. Idee e talento: ciò che manca quasi in toto, ciò che invece sgorgava a piene mani dalla Rai di ieri, come la struggente bellezza del contenuto delle Teche testimonia.
Riscoprire il passato per costruire il futuro non vuol dire solo cogliere preziosi spunti dalla televisione che fu e rileggerli in chiave adatta ai tempi: di quel passato bisognerebbe recuperare i princìpi ispiratori, gli ideali. Creatività e talento: oggi latitano paurosamente autori validi, che sappiano ideare prodotti televisivi originali e sappiano "scriverli" con proprietà (troppo invasivo il ricorso a format esteri), e mancano figure di spessore che reggano le telecamere, il palcoscenico, e diano alle trasmissioni a loro affidate quel quid in più, la loro personale impronta vincente. C'è un pauroso vuoto generazionale di anchormen, per esempio: chi sta crescendo dietro i Conti e i Frizzi, le Clerici e le Carlucci? Mancano anche giovani attori validi, perché il panorama delle più recenti fiction targate Rai è desolante, quanto a livello recitativo. 
TECHE APERTE E DINTORNI - Di buono c'è che il progetto Teche nel frattempo è cresciuto, pur essendo lungi dall'essere perfetto: in questo inizio d'anno, ha regalato agli appassionati storiografi il lancio online dell'intera collezione del Radiocorriere tv: settant'anni di riviste digitalizzate pagina per pagina (peccato per il bianco e nero...) consultabili e scaricabili gratuitamente. Una manna, una miniera di informazioni direttamente sul pc di casa. Il prossimo passo dovrebbe essere una più agevole consultazione anche del materiale audio e video "a magazzino": esiste il servizio Teca aperta, che consente di visionare una parte dell'archivio delle Teche tramite terminale, presso le sedi Rai regionali e altri siti esterni (a Milano, la Mediateca Santa Teresa), ma è poco, in rapporto alle richieste sempre più numerose di poter accedere a trasmissioni storiche che da anni non vengono più trasmesse. Aprirsi maggiormente al pubblico e accettare compiutamente le sfide dell'era "2.0" è un altro obiettivo che la Rai dei... secondi sessant'anni deve perseguire, se non vuole essere fagocitata dai nuovi canali digitali e dal web. 

martedì 7 gennaio 2014

DA PEPITO ROSSI A FRANCESCO LODI, STORIE AMARE DI INIZIO 2014

                                          Pepito Rossi: ancora guai fisici per lui

Un anno fa, più o meno di questi tempi, avevo scritto un post per celebrare il ritorno in Italia, grazie al fiuto della Fiorentina, di Giuseppe Rossi. Un acquisto in prospettiva, poiché Pepito era ancora ai box per smaltire gli ultimi, laboriosi postumi dell'ennesimo grave infortunio, ma non era necessario essere profeti per capire che, una volta rimesso a nuovo, lo sgusciante attaccante avrebbe impresso a chiare lettere il proprio marchio sulla nostra Serie A, come si è puntualmente verificato nella stagione in corso. Una stagione che ci ha fatto scoprire un Rossi nuovo, bomber persino più implacabile di quello che eravamo abituati a vedere: fromboliere inesorabile e puntuale, quasi volesse recuperare a suon di gol il troppo tempo perduto in giro per ospedali e infermerie. Oggi, a distanza di mesi, mi ritrovo a dover nuovamente scrivere del golden boy azzurro: è, dovendo far ricorso a un luogo comune fra i più abusati, il classico articolo "che non avrei mai voluto scrivere". 
LA SFORTUNA ESISTE... - Pepito è di nuovo ko, dopo l'intervento scomposto del livornese Rinaudo nel primo match del 2014. Sempre lo stesso ginocchio destro, martoriato già da due gravissimi infortuni. Uno schiaffo a chi si ostina a sostenere che no, fortuna e sfortuna non esistono, che ogni essere umano si crea da solo il proprio destino, bello o brutto che sia. Certo, come no: e torti e favori arbitrali a fine stagione si compensano, e gli asini volano, e via dicendo... Il fatto che non vi sia stata un'altra rottura dei legamenti è consolante soprattutto per le prospettive di carriera del ragazzo, che in caso contrario avrebbe davvero corso il rischio di vedere compromessa la sua futura attività agonistica. Le buone notizie però, a quanto pare, si fermano qui: lo stop sarà lungo, e così la Fiorentina, che in estate aveva messo in piedi un attacco monstre con lo stesso Rossi e con Mario Gomez, ora si ritrova di fatto... spuntata. Difficilmente il talento nato negli States potrà dare ancora un contributo significativo al team di Montella in questa stagione, mentre, ed è la cosa che più mi preme, diventa a rischio anche la partecipazione al Mundial brasiliano, proprio ora che Prandelli sembrava aver trovato la formula giusta per la prima linea, col viola affiancato a Balotelli. 
COME TOTTI O COME PABLITO? - In questi giorni un po' tutti provano a farsi coraggio, e a farlo a Giuseppe, ricordando un episodio in tutto e per tutto simile: il grave infortunio di Totti, in un match contro l'Empoli, pochi mesi prima di Germania 2006. Lippi lo aspettò e lo portò al Mondiale, dove il romanista arrivò al 30 - 40 per cento di forma e diede, in verità, un apporto assai limitato. La speranza è che Rossi in Brasile possa arrivarci al top della condizione o giù di lì, perché è un elemento fondamentale per la nostra Nazionale, più di quanto lo fosse il Pupone per la solida Italia poi trionfatrice a Berlino. E allora, un paragone di miglior auspicio potrebbe essere con l'altro Rossi "storico" del calcio azzurro, il Pablito che nel cuor ci sta: anche se per motivi radicalmente diversi (squalifica di due anni per il discusso coinvolgimento nel calcioscommesse) anche lui si rese disponibile per la squadra di Bearzot solo poche settimane prima del mondiale spagnolo del 1982. Aveva giocato soltanto le ultime tre partite di campionato con la Juventus, era ancora imballato, l'ombra dello spietato attaccante che fu, ma recuperò brillantezza in tempo per entrare nella leggenda del football planetario. Ecco, sarebbe bello che, "da Rossi a Rossi", Pepito seguisse in toto le orme di Pablito. In fondo, mancano quasi sei mesi, non è pochissimo. Ce la puoi fare, Giusé!
LODI, CHE DELUSIONE - Altra storia amara, per quanto radicalmente diversa, quella di Francesco Lodi. Chi segue "Note d'azzurro" sa quanta speranza io riponessi in lui: fin dall'estate scorsa, ho scritto che al Genoa era arrivato un campione autentico, uno che poteva far fare un salto di qualità importantissimo alla squadra e, con Gilardino, alzare l'asticella delle ambizioni del Grifone. L'inizio era stato pure incoraggiante, con quella splendida punizione a siglare il definitivo 3 a 0 nel derby: gol non decisivo, ma di quelli che comunque restano nella memoria collettiva. Ecco, di fatto quello è stato l'ultimo (l'unico?) atto di presenza di Lodi a Genova. Problemi di natura personale, forse sentimentale, si è detto e scritto: vox populi e tam tam fra i tifosi, ossia dicerie che possono anche essere vere ma alle quali mi dà sempre un po' fastidio dar credito, in quanto mai supportate da prove concrete e spessissimo, in altri casi del passato, rivelatesi del tutto prive di fondamento. E comunque non è compito mio, né dei giornalisti né dei tifosi, entrare nella sfera privata di un calciatore. 
APPORTO INCONSISTENTE - Io giudico solo ciò che vedo sul terreno di gioco: per quattro mesi, Lodi, colui che doveva prendere in mano le redini del gioco genoano, non si è di fatto mai visto. Per nulla incisivo in campo, e poi spesso relegato in panchina o in tribuna. Con Gasperini, il suo apporto era diventato del tutto ininfluente, il suo ritorno a Catania subito in avvio di calciomercato è parso quasi una liberazione sia per lui, sia per il Genoa. Attenzione però:  non siamo di fronte a uno dei tanti casi di giocatori validissimi che sotto la Lanterna, sponda rossoblù, non hanno reso anche per cause ambientali e per disagi tattici (da Veloso a Rafinha, da Toni al primo Gilardino, per citare esempi recentissimi,).
Nel caso di Lodi, mi sento di poter dire che la colpa sia stata solo sua, perché nel Genoa di quest'anno, più equilibrato  e meglio costruito rispetto al recente passato, le condizioni per un proficuo inserimento vi erano tutte, e perché altrimenti non si spiega la duplice metamorfosi: da potenziale Nazionale in quel di Catania a modesto mestierante a Genova, e di nuovo calciatore vero poche ore dopo il suo ritorno in terra etnea: ieri contro il Bologna, gara volitiva, assist gol per Bergessio e 2 a 0 siglato in prima persona su rigore. In pratica, in novanta minuti ha fatto più di quanto mostrato in quattro mesi in Liguria. E, dopo la rete, solito florilegio di baci a tatuaggi e canotte assortite, come se nulla fosse successo. Insomma, una delusione sotto tutti i punti di vista. Per essere campioni veri il talento non basta: ci vuole anche il carattere, la capacità di superare gli impacci psicologici e le difficoltà di ambientamento. Senza contare che, ormai, neppure i brasiliani soffrono più di saudade, i tempi di Eloi sono lontanissimi, per fortuna. Addio, senza rimpianti, da un ex estimatore.