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sabato 30 marzo 2013

SANREMO 2013: NELLE CLASSIFICHE TRIONFANO MENGONI E GAZZE'

                                     Max Gazzè: "Sotto casa" fa il boom  nelle chart

Vi ricordate "Sanremo Top"? Era un'appendice televisiva del Festival di Sanremo, nata durante la prima "era Pippo Baudo", ossia nel 1994. Si trattava di una serata, in diretta su Rai Uno, che si svolgeva uno o due mesi dopo la conclusione della kermesse vera e propria, e alla quale partecipavano i cantanti, fra quelli  in gara al festivalone, che in quel lasso di tempo avevano ottenuto i migliori risultati sul piano delle vendite di dischi. In pratica, si riscriveva la classifica ufficiale della competizione canora sulla base dei gusti autentici dei consumatori di musica. L'iniziativa proseguì fino al 1998, poi Baudo la ripescò in occasione del suo ritorno sulla tolda di comando di Sanremo, nel 2002, e infine l'idea venne accantonata. Questo breve preambolo... nostalgico per dire che, a oltre un mese (ormai un mese e mezzo) dalla conclusione di Sanremo 2013, anche per noi è giunto il momento di celebrare il nostro... Sanremo Top. In parole povere: come stanno andando le canzoni  e i dischi del Festival nelle varie hit parade? 
Diciamo subito che i riscontri sono in linea di massima incoraggianti, pur senza far gridare al miracolo. Certo, ormai da anni non capita più di vedere, nelle settimane successive alla rassegna, i dischi di Sanremo invadere e affollare le classifiche. Ma c'è stato, di converso, anche un periodo in cui la produzione canzonettistica rivierasca proprio non riusciva a far breccia in maniera consistente nelle chart. Ebbene, si può dire che quella fase di crisi acuta, la fase in cui Sanremo era stato ridotto a spettacolo televisivo con la musica messa in un cantuccio, sia stata superata. Il "Festival dei Festival" da un po' di tempo è tornato a dire la sua, alcune canzoni si affermano in maniera sostanziosa fuori dal contesto della kermesse: personalmente ritengo che la qualità media del repertorio sanremese non sia mai venuta troppo meno neanche negli anni più difficili, ma forse ultimamente si è guadagnato in radiofonicità e contemporaneità dei pezzi proposti all'Ariston, due fattori che hanno incrementato l'appeal di tali brani sul pubblico più giovane, cioè quello che maggiormente acquista musica. 
FIMI - Il dato principale è che le chart stanno sostanzialmente confermando il verdetto delle giurie festivaliere, e la cosa non sempre si è verificata in passato, anzi. Così, nella classifica FIMI degli album aggiornata al 24 marzo, il nuovissimo Cd di Marco Mengoni," #prontoacorrere", ha fatto irruzione direttamente in prima posizione, e nella top ten sono ben messi anche "Gioia" dei Modà (quarto) ed "Happy Mistake" di Raphael Gualazzi (ottavo). Fra quelli che un tempo venivano definiti "Dischi caldi", ossia le posizioni dall'undicesima alla ventesima, troviamo "Sotto casa" di Max Gazzè quattordicesimo, e il reprint in versione sanremese dell'album autunnale di Malika Ayane, "Ricreazione", diciottesimo. Appena fuori dai primi venti, per la precisione ventunesima, Chiara Galiazzo con "Un posto nel mondo". 
"L'essenziale", il pezzo con cui Mengoni ha trionfato all'Ariston il 16 febbraio scorso, è da tempo in testa alla Top Digital Download della stessa Fimi (ultimo aggiornamento il 24 marzo), graduatoria in cui, fra i primi dieci, per la verità i brani sanremesi faticano un po' a trovare spazio: l'unico presente, a parte il vincitore, è "Sotto casa" di Gazzè, nono. Sempre gettonatissima la tradizionale compilation di Sanremo: quest'anno ne è uscita una sola, al contrario delle due del 2012, e pure in ritardo, perché vi sono stati inseriti, per i big, solo i pezzi giunti in finale. Tanto è bastato comunque, per lanciarla nelle posizioni di vertice dell'apposita graduatoria Fimi, dove occupa attualmente (al 24 marzo) la piazza d'onore. 
NIELSEN - Le tendenze sono grosso modo le stesse anche nelle classifiche Nielsen: al 22 marzo la Nielsen Music, che rileva i passaggi dei brani sulle radio e sui canali tv musicali, vede fra i primi dieci i pezzi che Mengoni (quarto) e Gazzè (terzo) hanno portato in finale a Sanremo. Nella Nielsen Download Chart del 28 marzo, il discorso non cambia di molto: qui "L'essenziale" è seconda, mentre "Sotto casa" è nona. 
ITUNES - Per quanto riguarda, infine, la classifica Top 10 Itunes Songs, la versione più aggiornata tratta dall'home page di Apple vede al terzo posto Mengoni e al sesto Gazzè, ma nelle settimane scorse hanno fatto la loro comparsa anche "Se si potesse non morire" dei Modà", "La canzone mononota" di Elio e le Storie tese, "E se poi" di Malika e "Mi servirebbe sapere" di Antonio Maggio, unico fra le "Nuove proposte" rivierasche a ritagliarsi un posto al sole della.... popolarità commerciale dopo il meritato trionfo festivaliero. 

                               Antonio Maggio: anche per lui discreta gloria nelle classifiche

CONSIDERAZIONI - Dalla lettura di queste chart, emergono sostanzialmente tre dati. 1) Mengoni ha messo d'accordo tutti, durante e dopo Sanremo, e forse non ci avevo visto male quando avevo parlato, per il suo pezzo, di "vittoria logica", viste le caratteristiche di una canzone che sapeva fondere buon livello artistico e orecchiabilità, tradizione e modernità di scrittura, più di tutte le altre giunte all'atto conclusivo. Accanto al buon Marco, l'altro, del tutto inatteso, trionfatore del Sanremo targa 2013 risulta Max Gazzè. Si erano intuite le potenzialità del suo pezzo, che ne sanciva il felice ritorno alle sonorità e agli stilemi con cui si era affermato a fine anni Novanta ("Una musica può fare" e simili), ma sinceramente era difficile aspettarsi un exploit così fragoroso sul mercato. Certo le sue performance all'Ariston, soprattutto quella della serata finale, sono state di forte impatto scenico, ma non basta certo saper bucare il video per vendere dischi. Onore a Max, bravo a  ritrovare il filo del successo: Sanremo serve anche a questo. 
2) I riscontri delle hit parade sono buoni, ma, come detto all'inizio, non tali da esaltare. Soprattutto se si pensa allo strombazzamento mediatico in positivo di cui ha goduto quest'ultima edizione del Festival, con tanti bei discorsi sulla qualità musicale, discorsi sui quali mi ero permesso, perlomeno parzialmente, di eccepire qui sul blog. Le canzoni sanremesi ci sono eccome, in classifica, ma era lecito attendersi qualche presenza in più e una maggiore tenuta sulla distanza. E' anche vero che ciò che conta maggiormente, per gli artisti e per le case discografiche, è la resa commerciale degli album, e da questo punto di vista la classifica Fimi vista prima è tutto sommato incoraggiante. 
3) A parte la discreta affermazione di Antonio Maggio, al quale occorreranno comunque ulteriori conferme, la sezione giovani, per il secondo anno consecutivo, ha rappresentato l'anello debole dell'imponente macchina festivaliera. Certo, peggio ancora andò dodici mesi fa, quando nemmeno i più meritevoli fra gli esordienti, penso a Erica Mou, Marco Guazzone e Celeste Gaia, riuscirono a far breccia nel cuore del pubblico, ma è un fatto che nemmeno il "Sanremo con la musica al centro" voluto da Fabio Fazio e Mauro Pagani sia riuscito a restituire dignità alla gara delle nuove leve, che non godono più di una ribalta degna di questo nome dalla splendida edizione del 2009, quella che, anche grazie all'idea azzeccata dei duetti coi superbig, diede visibilità enorme ai partecipanti, e non a caso quell'anno vennero fuori Arisa, Malika, Irene Fornaciari, Simona Molinari e Karima. Questo è il punto dal quale si dovrà partire al momento di imbastire l'edizione 2014 della rassegna: perché senza un adeguato vivaio Sanremo non può reggere ad alti livelli, e non sempre capita che una Nina Zilli o un Gualazzi riescano a emergere da gare semiclandestine come quelle andate in scena nel 2010 o nel 2011. 

mercoledì 27 marzo 2013

L'ITALIA DOPO MALTA: L'ENNESIMA GOLEADA MANCATA E LA SUGGESTIONE TOTTI

                                                   Esultanza azzurra a Malta

Fino agli anni Novanta, un risultato e una prestazione della Nazionale come quelli di ieri sera a Malta avrebbero destato scandalo e indignazione, presso la stampa specializzata. I lettori più... anziani ricorderanno l'impressionante coro di critiche che si sollevò dopo una vittoria, identica nel punteggio, del non ancora leggendario team di Bearzot in Lussemburgo nel 1980, e quello ancor più virulento in seguito a uno striminzitissimo 2 a 1 colto proprio a Malta a fine 1992 dagli uomini di Arrigo Sacchi. Altri tempi, davvero. Del resto, io stesso avevo intitolato uno dei primissimi articoli di questo blog "Le goleade non fanno per noi": mi riferii, all'epoca, al deludente, e per certi versi imbarazzante, 1 a 0 firmato da Cassano (oltretutto in dubbio offside) sul terreno dei semidilettanti delle isole Far Oer. 
IDIOSINCRASIA - Quel post lo potrei riscrivere oggi, pressoché identico. E' ormai acclarato che la nostra massima rappresentativa abbia una naturale idiosincrasia alle vendemmiate contro le compagini di basso livello. Quasi una tara ereditaria. Mentre le altre grandi d'Europa non perdono occasione, giustissimamente, per infierire su avversarie tecnicamente in ambasce (ultimo esempio, l'8 a 0 dell'Inghilterra a San Marino), i nostri prodi si limitano al compitino, allo stretto indispensabile per portar via i tre punti e, nella fattispecie, proseguire relativamente tranquilli la marcia di avvicinamento al Mondiale brasiliano. 
L'Italia, negli ultimi vent'anni, ne ha giocate un'infinità di partite del genere, contro formazioni modestissime. I critici si sono rassegnati e prendono atto, accettando persino dichiarazioni oltremodo discutibili come quelle che il cittì Prandelli rilasciò alla vigilia del match di andata coi maltesi a Modena (guarda caso, altro risicato 2 a 0): "Fare tanti gol non mi è mai piaciuto: preferisco vincere segnando poche reti, ma giocando bene". Quasi una giustificazione preventiva alla cronica incapacità dei nostri di far breccia nelle maglie, serrate quanto si vuole ma non certo insuperabili, di queste generose rappresentative che, nonostante gli innegabili progressi tecnici e soprattutto tattici, rimangono sostanzialmente impresentabili ad alto livello internazionale. 
NULLA OFFENSIVO - Il problema è che l'Italia non solo non riesce a goleare, ma nemmeno a giocar bene. E' vero che sfoderare del buon calcio è difficile contro compagini toste e copertissime, ma stiamo parlando di Malta, con tutto il rispetto. La prova dei nostri al Ta' Qali è stata di una povertà tale da doverci far arrossire. Lentezza esasperante nella manovra (emblematico l'atteggiamento di Pirlo che, nonostante il controllo non proprio asfissiante dei rivali, non ha saputo regalare una verticalizzazione o un passaggio illuminante degno della sua fama), a tratti permeata di una insopportabile sufficienza, errori banali in appoggio, scarsa o nulla incisività in avanti. Due gol e un paio di buone occasioni (sinistro dalla distanza di Balotelli, incursione di Montolivo con pallonetto sopra la traversa) nella prima frazione, il vuoto spinto o quasi nella ripresa, eccezion fatta per una bella progressione di Abate chiusa però con un cross fiacco. E produrre il nulla in attacco in 45 minuti, contro una squadra come quella di Pietro Ghedin, è francamente roba da far accapponare la pelle, così come rischiare l'inverosimile nelle prime battute, dal rigore neutralizzato da Buffon alla traversa, entrambe le occasioni firmate da Mifsud. 
COMPITINO - Queste cose penso di poterle dire in tutta libertà, perché "Note d'azzurro" è sempre stato vicino alla Nazionale di Prandelli, sottolineandone in tempi non sospetti i progressi, le belle prove, le qualità che in molti hanno scoperto in colpevole ritardo. Una prestazione come quella di poche ore fa sarebbe allarmante, ma in questo caso credo che le preoccupazioni vadano un po' stemperate. Si è visto infatti, in maniera piuttosto palese, che le difficoltà di manovra dei nostri sono state indotte da un approccio mentale totalmente sbagliato, e non da limiti di gioco. In parole povere, mi è parso di cogliere la palese volontà di non strafare, di limitarsi al compitino: pesava ancora lo stress mentale e atletico del durissimo, e gratificante, impegno col Brasile, mentre già bussa alle porte il turno di campionato anticipato al sabato di Pasqua. Non è il massimo della maturità, ma nel serratissimo calcio di oggi è diventato un atteggiamento comprensibile, e allora via così: sappiano però, gli azzurri, che non sempre ti gira bene, non sempre i rigori si riescono a neutralizzare anche se ci si chiama Buffon e non sempre ci sarà un Balotelli in stato di grazia, capace di trasformare in gol la quasi totalità dei pochi palloni che gli capitano sui piedi. 
DA GINEVRA LA SQUADRA DEL FUTURO - Questa settimana azzurra lascia comunque frutti importanti: il più concreto è rappresentato dai tre punti maltesi, buonissimi per la classifica nel girone. E tuttavia, sono i paradossi del calcio, la sfida più importante tra le due affrontate è risultata quella senza alcuna posta in palio. Non era scontato, nonostante l'avversaria fosse il Brasile: i nostri erano infatti reduci da un'altra amichevole di lusso, quella contro l'Olanda, affrontata con ben altro spirito, e che su queste pagine non mi astenni dal condannare. Contro la Seleçao è stata invece gara vera, senza ritrosie e calcoli al risparmio che spesso emergono, più o meno inconsciamente, in partite di questa natura. E i nostri, l'abbiam già scritto qui, hanno superato l'esame più terribile a pieni voti, mostrando gioco, atteggiamento, personalità e mentalità da grande squadra, consacrando il talento di Supermario e lasciando intravedere le notevoli potenzialità di De Sciglio e Cerci. Un ricordo che non verrà certo annacquato dalla scialba prova della Valletta.

                                 Totti con Del Piero: coppia d'oro azzurra del passato                                         

TOTTI? PENSIAMOCI BENE... - La Nazionale del futuro è quella di Ginevra, e non ha certo bisogno di aggrapparsi alle suggestioni di un malinconico ripescaggio di Totti. Che in Brasile arriverebbe a 38 anni suonati, carico di usura e di acciacchi pregressi, un giocatore che non è quasi mai stato autenticamente decisivo per le sorti azzurre neppure nel suo periodo di maggior fulgore agonistico, ossia nella prima metà del decennio scorso, con la sola luminosa eccezione del'ottimo Europeo del 2000, roba che ormai si perde nella notte dei tempi dei ricordi. Un giocatore di valore assoluto ma sostanzialmente sopravvalutato: gli unici anni in cui ha goduto di autentica considerazione internazionale sono stati proprio quelli compresi fra il 2000 e il 2004: nel frattempo, però, era già arrivato il deludente Mondiale coreano, seguito dall'orrido Euro 2004, gettato via con lo sputo a Poulsen. Da allora, tante prodezze nel cortiletto di casa, ossia in un campionato italiano sempre meno competitivo, e sostanziale calma piatta fuori dei confini. In più, tanti gesti discutibili che non rientrano propriamente nel cliché del campione immenso ammannitoci nelle ultime settimane dalla stampa, anche da quella più insospettabile, come lo stimatissimo Guerin Sportivo. 
Oltre a questo, Totti è uscito volontariamente dal giro della Nazionale, più o meno sei anni fa: non è un reato e verosimilmente in quel momento aveva i suoi buoni motivi per fare delle scelte: era reduce da un infortunio gravissimo, che superò a malapena poco prima del vittorioso Mondiale in Germania, e gli va senz'altro riconosciuto che all'epoca forzò i tempi di recupero proprio per non mancare l'appuntamento con la kermesse iridata; ma la Nazionale mantiene ancora un valore che va al di là, molto al di là di quello di una normale squadra di club, e da essa non dovrebbe essere concesso fare dentro e fuori secondo le proprie esigenze. Rifletta su questo Prandelli, ricordandosi che nel suo gruppo esistono già le risorse offensive per fare un torneo più che dignitoso in Sudamerica, e ricordando che proprio questo nostalgismo a oltranza, questo voler ritornare costantemente sui miti del passato, sull'usato neppure più tanto sicuro oltreché bolso, ha rappresentato per anni un freno enorme alla crescita della Nazionale. Un immobilismo che proprio la brillante e futuribile gestione azzurra dell'ex tecnico fiorentino ha spazzato via con ottimi risultati. Tornare al passato, in questo caso, non sarebbe affatto un progresso, oltre a rappresentare una contraddizione programmatica. 

venerdì 22 marzo 2013

RECENSIONI DAL TEATRO: "SCUSA, SONO IN RIUNIONE, TI POSSO RICHIAMARE?", DI GABRIELE PIGNOTTA

Giovani comici crescono. E crescono molto bene, a giudicare dall'ultimo exploit creativo della "premiata ditta" Gabriele Pignotta e Fabio Avaro. "Scusa, sono in riunione, ti posso richiamare?", commedia scritta e diretta da Pignotta e andata in scena nelle settimane scorse al teatro San Babila di Milano, prosegue nel solco tracciato dalla precedente "Ti sposo ma non troppo" (già positivamente recensita su questo blog, qui), e anzi lo allarga, salendo un ulteriore gradino nella scala della vis comica. Comicità 2.0, quella di Pignotta, Avaro e compagnia recitante, in quanto del tutto immersa nella contemporaneità, pur senza tradire le radici più nobili dell'antica, e complessissima, arte del far ridere.
"Scusa, sono in riunione..." è una bella lezione di stile per chi crede che, nel ventunesimo secolo, l'unica strada alla risata sia quella dei tormentoni in formato televisivo. Non è così, naturalmente, e questo spettacolo lo afferma a chiare lettere, financo in maniera esplosiva. La storia è quella di cinque neo laureati che, dopo aver seguito percorsi di vita e professionali del tutto diversi ma ugualmente stressanti, si ritrovano ad anni di distanza in una circostanza all'apparenza tragica, in realtà surreale: uno di loro, diventato autore televisivo, si fa credere morto e, trovando la complicità di uno dei sopra citati ex compagni di Università, coinvolge gli altri tre in un reality show dagli imprevedibili sviluppi.
CONTEMPORANEITA' - E' l'uovo di Colombo: rinnovarsi nella tradizione, nella fattispecie suscitare l'ilarità dello spettatore utilizzando gli schemi più ampiamente collaudati della commedia teatrale ma applicandoli, intelligentemente e con trovate di assoluta originalità, alle situazioni offerte dal mondo di oggi. Ecco dunque alla berlina l'usura da superlavoro che porta a trascurare gli affetti e a logorare fisico e anima, fino all'abuso di stupefacenti nell'illusione che questi servano a sostenere i ritmi imposti dalla professione, ecco l'utilizzo esasperato delle nuove tecnologie (i telefonini in primis) che occupano sempre più spazio del nostro tempo accrescendo l'incomunicabilità nella vita reale; ecco la fragilità psicologica e la conseguente necessità di ricorrere allo psicanalista; ed ecco, in primo piano, la moderna deriva della televisione, l'orrida innovazione degli anni Novanta, la malsana idea di far diventare la "gente comune" protagonista quasi assoluta del piccolo schermo, fino a inserirla in quegli spaventosi mondi paralleli rappresentati dai reality show in stile Grande Fratello, che se mal gestiti o costruiti in maniera troppo audace possono condurre a conseguenze inattese e persin poco piacevoli.
SCHEMI CLASSICI - Uno sguardo all'oggi e alle sue storture, efficace ma senza pretese di troppo approfondite analisi sociologiche, bensì con la voglia di smitizzare e dissacrare. E qui si colloca il ritorno ai canovacci tipici dell'arte comica: i classici intrecci di equivoci, malintesi, pruderie sessuali, sempre più incalzanti col progredir dello spettacolo, applicati a un racconto attuale, contemporaneo. Certo, ci vuole anche una forte capacità di saper leggere tali nuove situazioni e di dare ad esse il giusto taglio ironico: e in questo Pignotta e Avaro si stanno dimostrando dei maestri. La commedia, dopo una partenza quasi in punta di piedi, finisce col regalare momenti di intensità comica che potremmo definire... parossistica: ebbene sì, si ride a volte fino alle lacrime, e non può esservi gratificazione maggiore per un attore del Duemila, in un'epoca in cui strappare un sorriso, lo si diceva all'inizio, pare esser diventata impresa a tratti titanica.
SLIDING DOORS - Ma non solo: in "Scusa sono in riunione..." c'è qualcos'altro: c'è la raffinatezza di una chiave di lettura un po' in stile "Sliding doors": cosa succede se un dato momento della vita va in un certo modo, cosa sarebbe successo se quel momento si fosse sviluppato in maniera diversa: quale sia, poi, la versione reale dei fatti, ossia quella effettivamente concretizzatasi, nel caso specifico sta alla sensibilità dello spettatore capirlo o immaginarlo e desiderarlo. L'opera, in fondo, ruota tutta attorno a questo elemento base: se uno dei quattro studenti avesse rifiutato la convocazione per un colloquio di lavoro, da parte di un importante produttore televisivo, non tradendo l'impegno assunto coi compagni di partecipare quello stesso giorno alla festa di laurea... Ma come avrebbe potuto, di grazia? Ecco un'altra chiave di lettura: il valore dell'amicizia e, sull'altro piatto della bilancia, il rischio di dover rifiutare un'opportunità che potrebbe cambiare volto alla tua vita. Un contrasto terribile, che lo spettacolo risolve in modo tutto sommato geniale, aggiungendo un quid in più alla bontà e, ebbene sì, alla profondità di questa commedia.
CRISTINA E SIDDHARTHA, BRAVISSIME - Dei due protagonisti assoluti si è detto: ispirato Pignotta, eccellente Avaro nel saper passare dal registro comico a quello più serioso, grazie anche a una maschera ad hoc. Presente "sul pezzo" Nick Nicolosi, ma splendide soprattutto le due presenze femminili: di Cristina Odasso avevo già ben parlato nella mia recensione al film "E' nata una star?", e sui tavoli del palco ha confermato lo spessore di artista completa, perfettamente a suo agio nelle diverse situazioni proposte dalla struttura della piéce. Addirittura debordante Siddhartha Prestinari, un uragano di simpatia, dalla mimica variopinta, un mix di fascino, energia e contagiosa verve. Rimane il  fatto che la notorietà del duo Pignotta e Avaro non sia ancora giunta a coprire l'intera penisola, e  tuttavia dove va in scena riempie puntualmente i teatri. Prima o poi li scopriranno tutti, è solo questione di tempo... 

ITALIA, LA CRESCITA CONTINUA: ESAME BRASILE SUPERATO A PIENI VOTI

                                             Balotelli: ha dato il pari all'Italia

Italia - Brasile di ieri sera è stata, forse, la partita - manifesto più emblematica della filosofia ispiratrice della gestione azzurra targata Prandelli. Praticare un calcio d'iniziativa, produrre una consistente mole di gioco, cercare sempre, per quanto possibile, di aggredire l'avversario, di tenere pallino. Lo abbiamo visto fare tante volte, dal 2010 in poi, alla nostra Nazionale, ma, certo, riuscirci contro la mitologica Seleçao ti lascia in bocca un sapore particolare. Dolce, dolcissimo, inutile dirlo. Lo si è scritto tante volte, su questo blog: la crescita, la maturazione di una squadra che aspira a diventare grande, passa anche attraverso certi test amichevoli, a dispetto di chi è sempre più fermamente convinto che, nel calcio d'oggidì, i match senza punti in palio non abbiano alcuna attendibilità tecnica. 
ESAMI IMPORTANTI - Nossignori: se l'Italia uscita a pezzi dal Mondiale sudafricano è riuscita ad arrampicarsi fino all'argento europeo, nel luglio scorso, lo deve anche al brillante superamento di impegni amichevoli di alto spessore, come le sfide con Germania (febbraio 2011) e Spagna (agosto dello stesso anno), citate innumerevoli volte da queste parti. E ora, l'ottima prestazione di Ginevra contro i pentacampeon può, deve rappresentare un ulteriore passo, forse il più consistente, nel cammino verso l'acquisizione di una dimensione da "potenza mondiale" del football. 
E' vero, al momento quella di Scolari non pare una rappresentativa all'altezza di tante illustrissime antenate (compresa quella che lo stesso Felipao guidò, quasi contro ogni pronostico, al trionfo iridato del 2002). Ma è compagine che ha ampi margini di miglioramento e che può comunque contare su elementi di spessore assoluto. E' squadra di rango (anche se al momento il solo Neymar può considerarsi un fuoriclasse in pectore), che anche nelle serate meno felici sa trovare il modo di ferire l'avversario, se è vero che in Svizzera, contro di noi, ha concretizzato la quasi totalità delle palle gol costruite. 
SPAVALDERIA AZZURRA - La prova, tanto severa, è stata superata dai nostri in primis sotto il profilo della personalità. Era forse dalla leggendaria partita del Sarrià, nel 1982, che non si vedeva una selezione italiana affrontare il rivale più temuto al mondo con tanta spavalderia, senza alcun timore reverenziale, con la voglia evidente di fare risultato pieno. Dopo quell'epico Mundial spagnolo ci sono stati altri confronti, ma nella maggior parte di essi, penso soprattutto ai due affrontati dalla decadente Italia lippiana nel 2009, aveva prevalso un atteggiamento prudente quando non tremebondo, con esiti sconfortanti che sono ancora nella nostra memoria. Nemmeno il famoso 3-3 del '97, al Torneo di Francia, può essere messo sullo stesso piano del 2-2 di poche ore fa: è vero, fu una gara affrontata con buonissimo piglio dalla formazione di Cesare Maldini, ma a tenere in mano le redini del gioco fu, per larga parte del confronto, il Brasile, che creò tantissimo e ci mise ripetutamente in difficoltà, lasciando comunque intravedere, pur fra qualche smagliatura, la sua superiorità nei confronti di Del Piero e compagni. 
ITALIA SUGLI SCUDI - Il canovaccio del match ginevrino è stato del tutto diverso: è stata l'Italia a tenere banco, quasi dall'inizio alla fine. Ha avuto occasioni nel primo tempo come nel secondo, inizialmente ha optato per una manovra più elaborata, per una tessitura di centrocampo quasi "spagnola", è stata scossa dall'immeritato uno - due brasiliano ma non è crollata, e nella ripresa ha addirittura alzato il ritmo, sveltendo la manovra e trovando quella concretezza sotto porta che nelle ultime uscite (soprattutto quella parmense con la Francia) era apparsa un po' annacquata. E' vero, gli auriverdes hanno comunque trovato il modo di farci tremare, ma solo perché, soprattutto nella prima frazione, hanno avuto la possibilità di liberare la loro classe, la loro corsa, la loro rapidità di esecuzione negli ampi spazi che i nostri un po' avventatamente lasciavano loro, traditi dalla voglia di strafare, di sfatare finalmente la lunga tradizione negativa. In parole povere, un Brasile costretto ad agire quasi esclusivamente in contropiede, contro un'Italia arrembante: il capovolgimento totale di tradizioni tattiche storicamente cristallizzate ma, per la verità, un po' impolverate e legate ormai a vieti luoghi comuni, se è vero che dai tempi dell'era Bearzot l'Italia non ha quasi mai più giocato un calcio prettamente difensivo (eccezion fatta per il già citato interregno maldiniano), mentre i maestri del Sudamerica hanno spesso mietuto successi mettendo da parte il fioretto e facendosi meno belli a vedersi  e più "ispidi", come nel 1994 negli Stati Uniti. 

                                            Ottimo esordio per il granata Cerci
                               
DE ROSSI BANDIERA - Intendiamoci: nessuna esaltazione assoluta, perché malgrado tutto l'Italia di Ginevra non è stata perfetta, limitatamente ai primi 45 minuti. Lo si è detto, troppo esitante nel verticalizzare, e troppo farfallona in retroguardia. Ma altrettanto onestamente va riconosciuto che i "più" hanno superato abbondantemente i "meno". In difesa la conferma dell'assoluta statura internazionale di Barzagli, più affidabile oggi di quando è diventato campione del mondo, sette anni fa: sicuro, tempista, abile nel rilanciare. De Sciglio, pur fra qualche inevitabile sbavatura, ha mostrato di poter essere un prospetto su cui contare a occhi chiusi, per carattere e concentrazione. E Bonucci si è confermato efficacissimo nelle sue... apparizioni offensive, andando a un passo dal gol del 3 a 2.  
Solo conferme dalla zona nevralgica, dove semmai si è visto un Montolivo un po' più timido rispetto alle ultime convincenti prestazioni, più faticatore che tessitore e incursore, mentre Giaccherini ha regalato il consueto fervore e l'intraprendenza negli inserimenti che ne stanno caratterizzando buona parte di questa stagione, anche in bianconero. Discorso a parte per Daniele De Rossi, destinato comunque a entrare nella storia del calcio nostrano come una delle bandiere più rappresentative di un'epoca: 13 gol in quasi dieci anni (il quattordicesimo che gli viene attribuito, quello del 2 a 0 alla Francia a Euro 2008, fu in realtà una netta autorete) sono una cifra d'altri tempi per un centrocampista; aggiungiamoci il suo rendimento quasi sempre elevato, anche più che in maglia romanista, quelle sue fasi di gioco micidiali per tempra, aggressività, lucidità, capacità di trascinare i compagni, di cui anche ieri sera ci ha fornito un impeccabile saggio, e avremo il ritratto dell'azzurro perfetto. 
SUPERMARIO, CERCI E GLI ALTRI - In avanti, nulla che già non si sapesse su Balotelli: chi continua ancora a metterne in dubbio la caratura dovrebbe forse farsi un esamino di coscienza. E, come era prevedibile, il suo ritorno in Italia, la possibilità di giocare e allenarsi quotidianamente con altri compagni di Nazionale (con uno, soprattutto, il "gemello" El Shaarawy) lo ha ritemprato, restituendogli l'inesorabilità vista all'ultimo Europeo, il gusto per la giocata da urlo eppure mai fine a se stessa. Riguardo ai gol sbagliati, al momento restano un dettaglio, sul quale il giovanissimo Mario ha tempo per lavorare e aggiustare la mira. Degli altri, più del Faraone, comunque ben disposto al sacrificio e utile nei rientri, è assai piaciuto un Cerci che non mi aspettavo così incisivo, così nel vivo del gioco, al suo debutto in azzurro. Un'arma tattica importante in più per il domani, anche se resta più che altro un'alternativa a un reparto che ha già tante efficaci frecce al proprio arco. E, a proposito di alternative, persino le fugaci apparizioni di Poli e Antonelli possono fare ben sperare, per voglia, applicazione e intraprendenza; e, in questa fase, è anche importante che la famiglia azzurra si allarghi; più alternative plausibili ci sono al blocco dei titolari, più vi è la possibilità di andar lontano. E anche questa, a bene vedere, è una vittoria di Prandelli: aver creato un gruppo ampio e pieno di "benzina verde", in una fase congiunturale in cui lanciare nuove leve, ai massimi livelli del nostro football, pareva diventata impresa impossibile. Invece, i nostri giovanotti ci sono, e non tremano nemmeno di fronte al mito brasiliano. 

sabato 9 marzo 2013

IL CALCIO DELLA CASTA: LA FARSA GENOA - MILAN E' SOLO LA PUNTA DELL'ICEBERG

                                   Ballardini, trainer di un Genoa tartassato dagli arbitri

Chissà se e quando arriverà il giorno in cui, finalmente, il tifoso italiano medio troverà il coraggio di porsi la fatidica domanda: vale ancora la pena seguire un campionato - farsa? Perché oggi sta toccando al povero Genoa, ma la ruota della persecuzione, prima o poi, gira per tutte le squadre: beninteso, tutte le squadre medio - piccole. In questo, la nostra Serie A rappresenta lo specchio più tristemente fedele di un Paese in sfacelo materiale e morale, raso al suolo dall'inettitudine e dall'arroganza di una casta di pochi eletti, un'oligarchia che si è arricchita alle spalle di un popolo sempre più povero, sempre più in difficoltà, privato di qualsiasi speranza in un futuro migliore. Fateci caso, un quadro desolante applicabile in tutto e per tutto anche all'italico football: c'è una casta formata dalle cinque squadre metropolitane, le milanesi, le romane e la Juve, a cui tutto è concesso e a cui la strada è sempre e comunque spianata, e c'è il popolo dei piccoli club sempre più distante dai "ricchi" per potenzialità economiche, sempre più tartassato, sempre più ridotto al ruolo di fastidiosa comparsa. E, per continuare a esercitare il proprio predominio senza fastidi, questa odiosa élite si avvale della premurosa collaborazione di una classe arbitrale avvilente, nella sua crassa inadeguatezza tecnica e di personalità. 
GIA' DA PECHINO... - Ripeto: non è una questione di vittimismo tifoideo. Perché se oggi nell'occhio del ciclone c'è il bel Genoa di Ballardini, nel passato è toccato a qualcun altro e domani toccherà ad altri ancora. Personalmente, su questo blog avevo denunciato l'esistenza di un problema arbitrale ormai fuori controllo in tempi assolutamente non sospetti: quest'estate, dopo l'orrido spettacolo in Mondovisione fornito dalle nostre "giacchette nere" in occasione della Supercoppa fra Napoli e Juventus, in quel di Pechino. Mentre tutti i media, o quasi, spararono a zero sui partenopei, rei di avere antisportivamente disertato la premiazione, io preferii concentrarmi su una gestione arbitrale assolutamente inaccettabile, che aveva chiaramente indirizzato l'esito del match mettendo i bianconeri in posizione di favore. Qualcuno mi diede persino del "becero", sulla base dell'ottuso dogma per cui le giacchette nere non vanno toccate in quanto rappresentano comunque la componente più sana del sistema, mentre le magagne sono altre. Già all'epoca specificai di non avercela con la Juventus in particolare, poiché la sudditanza psicologica va  a vantaggio, a turno, di tutte le grandi, nessuna esclusa. Ciò che è accaduto in quest'ultima settimana lo dimostra in maniera fin troppo cruda. 
GENOA TARTASSATO - Fino a qualche mese fa, il Genoa era la squadra zimbello del nostro campionato: perdeva, meritatamente, partite in serie, giocando un calcio di infima qualità e facendo sembrare dei colossi anche compagini di totale modestia tecnica, come il Chievo, che sbancò Marassi con irrisoria facilità, o la Samp di Ferrara, che si aggiudicò un derby inguardabile, o il Cagliari, che era in caduta libera e che invece proprio dal successo in rimonta sui liguri trasse linfa per risalire la classifica fino a mettersi nell'attuale posizione di relativa tranquillità. Poi, è successo che il Grifone si sia poderosamente rinforzato nel mercato di gennaio, abbia cambiato provvidenzialmente guida tecnica e sia quindi diventato, finalmente, una squadra di calcio, un gruppo compatto capace di giocare un football quantomeno discreto, di battersi col furore agonistico necessario per le lotte nei bassifondi, di sfoderare una concretezza che gli ha consentito di inanellare una bella striscia di risultati positivi. Ebbene, come era giusto riconoscere l'ineccepibilità dei continui rovesci rossoblù fino alla fine della gestione Del Neri, oggi non si possono chiudere gli occhi sugli scempi arbitrali che hanno costretto Borriello e compagni ad uscire a mani vuote da due partite giocate largamente meglio degli illustri avversari, Roma e Milan. 
ARBITRAGGI DA MATITA BLU - Quella dell'Olimpico, domenica sera, doveva essere la partita di Totti che raggiungeva Nordahl, e c'è da dire che il direttore di gara, Gervasoni, nulla ha fatto per impedirglielo: il rigore con cui il Pupone ha potuto celebrare il suo record di cartapesta dovrebbe essere proiettato nei corsi di formazione per arbitri, come esempio lampante di errore da matita blu. Di contorno, altre decisioni sesquipedali, dall'espulsione burla di Ballardini a quella eccessiva di Kucka, la cui sola colpa è stata quella di reagire alla provocazione del solito Totti, campione sopravvalutatissimo, perché per essere fuoriclasse veri occorre anche essere irreprensibili sul campo, e la carriera del 10 romanista è piena di episodi non proprio edificanti, dallo sputo a Poulsen al fallaccio su Balotelli in una finale di Coppa Italia. 
A seguire, poche ore fa, la farsa del Ferraris: quando ci si vede negare  almeno tre rigori solari, diventa totalmente inutile qualsiasi disquisizione tecnica. E qui una fetta significativa di colpa l'hanno anche i media: perché parlare della concretezza del Milan sotto porta e della scarsa incisività del Genoa, delle belle parate di Abbiati, del palo Di Bovo, di Pazzini che segna con una gamba sola, insomma raccontare la partita come se fosse stata "normale", significa nascondere la realtà di un match che, ancora una volta, è stato deciso dall'arbitro, nella circostanza il signor Damato, e non dai giocatori. Un match falsato, con una delle due contendenti che non è stata messa in grado di giocarsi le proprie chance alla pari con gli avversari. 
PROBLEMA ARBITRALE - Ripeto, non parlo di congiure: il Genoa è solo la vittima occasionale, ma non si può continuare a chiudere occhi e cervello sul fatto che, fra le innumerevoli magagne del football tricolore, ci sia anche una "squadra" di fischietti totalmente inadeguata. Attenzione, non adombrerò mai alcun tipo di sospetto sulla presunta malafede di questi signori, perché non sono abituato a parlare senza prove concrete e schiaccianti: ma una certezza c'è, granitica, ed è rappresentata dal livello bassissimo dei nostri arbitri, anche se qualcuno continua ancora oggi a propalare la favoletta dei "fischietti italiani migliori al mondo", uno dei tanti stupidi mantra inculcatici fin da bambini, come quello, risibile, del "i torti e i favori a fine stagione si compensano per tutti". 
I nostri arbitri sono impreparati tecnicamente (certo, non li aiuta un regolamento sempre più intricato, ma c'è da dire che è il loro lavoro, sono pagati per quello, per studiarlo per benino e applicarlo di conseguenza in campo...) e soprattutto impreparati psicologicamente: incapaci di reggere alla pressione, odiosamente esercitata anche attraverso i media, dei club più potenti, oppure affetti da inguaribile protagonismo, spinti dall'irrefrenabile desiderio di salire in cattedra e di ergersi a primattori di una vicenda agonistica che dovrebbe vederli, invece, solo discreti ma equi custodi delle tavole della legge calcistica: in ogni caso,  sono dei deboli, e i deboli non devono avere la possibilità di gestire partite del campionato italiano di serie A. Ma finché si continuerà a glissare sull'argomento e a parlare del Genoa - Milan di turno come fosse stata una partita "ordinaria", decisa da prodezze ed errori dei giocatori, saremo sempre allo stesso punto. Intanto gli stadi si svuotano: credete davvero sia solo colpa della crisi economica o dell'inadeguatezza degli impianti? O non sarà che non ha più senso spendere soldi, tanti soldi, per assistere a spettacoli privi di qualsiasi credibilità regolamentare e in cui la legge non è più uguale per tutti?