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domenica 12 febbraio 2023

SANREMO 2023, LA FINALISSIMA: PER MENGONI TRIONFO PREVISTO E MERITATO. LAZZA FARA' FAVILLE, L'ARISTON INCORONA ANCHE MADAME

 


Promosso a pieni voti dalla critica, osannato dal pubblico dei "consumatori di musica leggera", esaltato dagli spettatori dell'Ariston, fra standing ovation e canzone già mandata a memoria e intonata in coro nella notte della vittoria. La marcia trionfale di Mengoni, iniziata già prima del Festival, si è conclusa placidamente all'alba di domenica. Era già tutto previsto, avrebbe detto Cocciante, ma nel caso specifico non ci sono né scandali né maliziosi sospetti da avanzare: "Due vite" aveva, semplicemente, una marcia in più rispetto ai competitors, e mi riferisco al particolare contesto della competizione. Nel senso che si tratta di un brano confezionato per vincere, costruito con maestria, il miglior compromesso fra tradizione e modernità, impastato di classe sonora e testuale, impreziosito dalla magistrale capacità interpretativa di Marco. 

MENGONI E LAZZA PRONTI A PRENDERSI L'HIT PARADE - Verdetto atteso e ineccepibile, dunque, con le emozioni della gara che hanno riguardato più che altro le posizioni di rincalzo. Si pensava a un duello... all'ultima nota con Ultimo, che sarebbe partito comunque sfavorito, mentre alla fine hanno preso campo tre giovani rampanti della scena canora nostrana. Sacrosanta, nella fattispecie, la medaglia d'argento toccata a Lazza, che, l'abbiamo detto, ha portato a Sanremo '23 la proposta più contemporanea. Penso di essere facile profeta nel dire che la classifica festivaliera, relativamente ai primi due posti, troverà agevole conferma anche fuori dal teatro, coi due ragazzi che faranno il vuoto nelle chart, persino con un possibile sorpasso dell'ultimo arrivato il cui exploit, mi ripeto, non sorprende affatto, perché non si diventa campioni assoluti di vendita per caso. Lazza è arrivato in Riviera da big autentico ed è uno dei paradossi del mercato discografico d'oggidì: si possono collezionare dischi d'oro e di platino senza tuttavia essere conosciuti da alcune fasce di pubblico; una barriera che l'interprete di "Cenere" ha sicuramente abbattuto con questa sua fortunata partecipazione. 

PESO COMMERCIALE E  LIVELLO MEDIO-BUONO - Tornando al trionfatore, dire che fosse superiore al lotto dei contendenti non significa che il resto fosse robetta, altroché. Questo Festival ci ha mostrato del bello, e tuttavia, dopo anni di commenti e analisi dedicati alla rassegna ligure (questo blog se ne occupa dal 2012), sono giunto alla conclusione che sia inutile e fuorviante fare bilanci sul livello complessivo della proposta musicale "a botta calda". E' un tipo di valutazione che va fatta solo a distanza di tempo, e non per mancanza di coraggio, ma perché tira in ballo molteplici fattori, tante variabili non immediatamente percepibili. Qualche considerazione preliminare si può fare, senza pretesa di assolutismo: fermo restando che il miglior Sanremone di Amadeus, al momento, sembra destinato a rimanere quello, drammatico, del 2021, la sensazione è che questa sua quarta edizione (su cinque) avrà comunque un notevole peso a livello commerciale, con una manciata di dischi destinati a lasciare il segno. Siamo su standard fra il discreto e il buono, una gradevole medietà con qualche ottimo picco e poche proposte veramente insufficienti. 

EASY LISTENING NON IMMEDIATO - Sul piano tecnico, avevo scritto dopo la prima serata, e qui lo confermo, che il pacchetto-canzoni va inquadrato nell'ambito di una ricerca quasi spasmodica dell'orecchiabilità, senza astruserie, senza complessità. Il che non vuol dire istantaneità totale: ecco, ciò che ho percepito coi primissimi ascolti dei pezzi è stato un deciso easy listening, che però va a braccetto con una capacità di impatto non immediata: nel senso che è mancata la vorticosa forza del "Ciao ciao" o del "Dove si balla" di dodici mesi fa, abbiamo sentito composizioni bisognose di almeno tre ascolti per imprimersi nella testa e nel cuore, e ciò vale persino per l'opera vincitrice. Forse è meglio così: dovrebbe essere una garanzia della capacità di alcuni di questi pezzi di durare nel tempo, senza venire immediatamente fagocitati dalla produzione primaverile ed estiva. Niente prodotti usa e getta, insomma. 

LO STRANO SANREMO: RINGIOVANIMENTO E CLASSICISMO SPINTO - Altre due linee di tendenza artistiche ha espresso questo festival. La prima rimanda a quella curiosa "schizofrenia" del Sanremo targato Amadeus, cui ho fatto riferimento in questi giorni per il desiderio sfrenato di voler mettere tutto e il contrario di tutto nel calderone del maxishow. Ebbene, si prosegue sulla giusta strada di un complessivo svecchiamento del panorama canoro, con un cast zeppo di giovani ed emergenti, alcuni già validi e pronti per la grande ribalta, altri con evidenti limiti di maturità, ma non è questo il punto. Il fatto è che questo ringiovanimento procede di pari passo con una sempre più massiccia riscoperta e rivalutazione della più schietta tradizione melodica italiana. Già l'anno scorso fu il trionfo di un mood classico, ovviamente rivisitato in chiave attuale, col duello fra Elisa e Mahmood-Blanco. Oggi, la cinquina finale farebbe commuovere i protagonisti di certe edizioni anni Ottanta, da Cutugno a Christian ai Ricchi e Poveri. Non è una battuta: oltre a Mengoni, persino il rapper Mr. Rain ha puntato su toni soft, sull'abile uso degli archi e su un ritornello accattivante, con la ciliegina sulla torta del ricorso al coro di bambini, utile comunque a veicolare un messaggio profondo, il non vergognarsi a chiedere aiuto quando si è in difficoltà, qualsiasi tipo di difficoltà. E che dire di Tananai? Avevo inizialmente manifestato perplessità sulla sua svolta ultra-romantica, ma debbo dire che cammin facendo mi ha sostanzialmente convinto, e anzi, la sua "Tango" va considerata opera di notevole caratura, un mix riuscitissimo fra atmosfere retrò e poetica assolutamente in linea col linguaggio della generazione X. E, ebbene sì, pure Lazza ha stilemi di classicismo. Fateci caso: il suo pezzo, pur con quell'arrangiamento ipertecnologico, ha un'impalcatura strettamente fedele ai canoni compositivi più consolidati, con quasi tutte le energie concentrate su un inciso ficcante, ben congegnato, destinato a rimanere. 

FORTE INTROSPEZIONE - Seconda linea di tendenza: il lirismo introspettivo. Tante proposte, come mai in passato, che hanno portato on stage il vissuto dei cantanti, un vissuto quasi sempre drammatico, in certi casi non ancora del tutto risolto. Da Grignani ai Modà, dai Coma_Cose a Levante, dagli Articolo 31 allo stesso Mr. Rain e ad altri ancora, pur se in termini più sfumati. Nessuna furberia ma, anzi, si è percepito più realismo, più contatto con la vita vera, meno costruzioni a tavolino per lisciare il pelo ai compratori di dischi e ai... downloadatori. Chi sostiene che Sanremo viva in un mondo parallelo non sa quel che dice e, anzi, è forse lui stesso fuori dal mondo; casomai, sorprende trovare adesso questa necessità di mettersi a nudo, quando me la sarei aspettata maggiormente negli anni bui del lockdown e della pandemia, ma tant'è. 

MADAME, IL FUTURO - La classifica finale, come sempre del resto, ha penalizzato ingiustamente alcuni personaggi usciti comunque ingigantiti da questa esperienza. Madame meritava di entrare nei Top five, ieri sera è stata accolta con enorme calore e una lunga ovazione finale dal pubblico, portandola alla commozione. Ovazione meritata, per la perfezione della sua performance e per la qualità di "Il bene nel male": brano superiore alla pur bella "Voce" del 2021, con un refrain ossessivo che, paradossalmente, può persino nuocere al tutto, perché finisce per oscurare la pregevole, ricca varietà di scrittura e di struttura della canzone (anche con tracce ritmiche che rimandano ai Daft Punk, come detto nei giorni scorsi), lontana anni luce dalla prevedibilità e impreziosita dalla voce particolarissima di una cantautrice che ha le stimmate della fuoriclasse. Confermatisi su eccellenti livelli anche Colapesce e Dimartino, con una "Splash", lo ribadisco, che mi è parsa perfino più rigorosa del tormentone "Musica leggerissima", meno incline alla facile presa e più di stampo autorale ma comunque efficace, in cui elettronica e sound settantiano si fondono per creare quegli effetti evocativi che sono ormai il marchio di fabbrica del duo. 

BEL RITORNO DEI  MODA' - E ancora: meritavano di più i Modà, ricomparsi sui medesimi, ottimi standard sciorinati prima dell'eclissamento, uno stile unico, riconoscibilissimo, esaltato dal trasporto vocale di un Kekko fragile e forte allo stesso tempo. E forse proprio questa lunga assenza ha precluso alla band il raggiungimento di posizioni più elevate, perché la freschezza della loro proposta è intatta. E' cresciuta alla distanza Giorgia, la cui canzone ha il limite di non arrivare subito anche se poi, alla fine, il ritornello ti si appiccica addosso. "Parole dette male" è una produzione che avrebbe trovato forse più fortuna nei festival anni Novanta (ma anche prima: certe parti dell'arrangiamento hanno sapore eighties), non aggiunge molto alla carriera della cantante romana ma ha una sua precisa dignità e una certa raffinatezza, nonché un pregio innegabile: ce l'ha riportata in gara a  Sanremo, dopo un buco nero di ventidue anni (causa stress, come è parso di capire). Ora che ha ripreso confidenza con l'ambiente, speriamo di rivederla presto con un brano da vittoria. Ad ogni modo, poteva stare assolutamente fra i primi cinque come poteva starci Elodie, che è andata sul sicuro dosando sapientemente dance, soul, vocalità di spessore e padronanza assoluta del palco. Tutte proposte migliori, in ogni caso, della delicata "Alba" di Ultimo, con versi di struggente poesia e con l'immancabile esplosione finale, una canzone che tutto sommato emoziona ma che fatica a restare nelle orecchie, manderà in sollucchero lo zoccolo duro ma non era all'altezza, secondo me, di giocarsi il podio. 

COMA_COSE E LEO: PROMOSSI - Pollice in su anche per gli innamoratissimi Coma_Cose, con una ballad intimista, più riflessiva e meno gioiosa di "Fiamme negli occhi" e con una messa in scena da consumati professionisti dei palchi. E mi è piaciuto anche Leo Gassman, certo valorizzato dalla buona vena di Zanotti dei Pinguini, ma che da parte sua ha saputo rendere al meglio l'articolata costruzione di "Terzo cuore", fra parti sussurrate ed altre declamate a ugola spiegata, quindi con salti di tonalità non semplici. Tutto sommato da promuovere Rosa Chemical, più per il coraggio nel riscoprire sonorità agée che rimandano addirittura agli anni Trenta, che per lo spirito fortemente trasgressivo, che ci sta tutto anche se raggiunge alcuni picchi francamente evitabili, per questioni di buon gusto. La fluidità e la libertà sessuale si possono portare avanti anche con moderazione, e nel caso specifico erano più che espliciti il testo di "Made in Italy", che funzionerà in radio, e il look dell'artista: tutto il resto è inutile sovrastruttura. 

CHI SI SALVA FRA I GIOVANI - Del problema emergenti abbiamo già ampiamente parlato in questi giorni. I ragazzi di Sanremo Giovani hanno quasi totalmente steccato, e certo non li ha aiutati una collocazione in scaletta quasi sempre ad ora tardissima. Salvo comunque il pop adolescenziale di Gianmaria, le acrobazie vocali, con e senza autotune, di Olly, e il mood da boy band nineties dei Colla Zio, peraltro ieri artefici di una prestazione mediocre. Shari è parsa più credibile di serata in serata, la malinconica "Egoista" non è nulla di nuovo ma ha una buona intensità e cantabilità, e quella voce un po' da "maschiaccio" può diventare un tratto distintivo; da rivedere il brioso Sethu e Will, quest'ultimo fra i cantanti che meno mi ha impressionato, assieme a LDA, con una proposta che scorre via senza lasciare grosse tracce, e a una Mara Sattei di cui alla vigilia si dicevano mirabilie ma che ha rischiato poco con un brano tradizionale ma senza particolari slanci che possano farlo ricordare. Pur senza strafare, ha invece portato a casa la pagnotta Ariete, col suo giovanilismo acqua e sapone da diario scolastico. 

GLI OVER 70: E' PROPRIO NECESSARIO? - Cosa rimarrà, per il resto, dell'interminabile finalissima? La magia creata in teatro dai Depeche Mode conferma, e non mi stancherò mai di ricordarlo, quanto sia importante per il Festival recuperare in futuro una congrua appendice internazionale. Discorso diverso per le ospitate degli over 70 nostrani. A rischio di apparire impopolare e, in qualche misura, cinico, arrivo a dire che c'è un tempo per tutto: gli evergreen emozionano sempre, ma le luci dei telefonini (come gli accendini in passato) si illuminerebbero anche se venissero mandate in onda le canzoni in playback. Voglio dire, nessuno nega la storicità di certi grandi artisti e del loro repertorio, ma a me personalmente non fa piacere, e anzi fa decisamente male, vedere questi mostri sacri arrancare sul palco con enormi difficoltà e, in certi casi, sproloquiare come è naturale a una certa età. No, non è stato un bello spettacolo, con la luminosa eccezione del trio prezzemolino Al Bano-Morandi-Ranieri, e pur considerando il fatto che la prova di Ornella Vanoni sia stata comunque apprezzabilissima: già il criterio di puntare, per gli ospiti italiani, solo sui super veterani è stato parzialmente tradito; se proprio lo si deve fare, che vengano scelti adeguatamente, usando più la testa e meno il cuore, cercando chi è ancora in grado di reggere l'impegno. Peppino Di Capri, persona che conserva una straordinaria lucidità, lo ha detto chiaramente, pur fra le righe, due sere fa: si aspettava questa chiamata e questa celebrazione ben prima, forse quando avrebbe potuto regalare al pubblico un recital ancora di alto livello. 

TUTTI (O QUASI) A SANREMO - Più in generale, una ulteriore annotazione sul format attuale della rassegna, i cui punti deboli ho evidenziato nelle scorse "puntate". In cinque sere, sono transitati sui tre palchi, fra gareggianti, duettanti e ospiti, circa settanta, e sottolineo settanta, artisti italiani. Ecco perché, ogni anno, le richieste di ammissione al concorso sono innumerevoli, e sempre più rari i musi lunghi per le tante forzate esclusioni in fase di selezione. Il Sanremo degli anni Venti garantisce comunque una larghissima partecipazione dei cantanti di casa nostra. Ovvio che una situazione del genere rappresenti l'ideale per tutti, in primis per l'industria discografica e tutti coloro che vi lavorano. Almeno fino a quando, come scritto ieri, vendite, streaming e audience continueranno a girare a mille. 

E LA PACE? - Il messaggio di Zelensky ha detto esattamente ciò che ci si aspettava: uniti verso la vittoria. E ribadisco che nulla di diverso poteva dire, il presidente ucraino fa esattamente ciò che deve fare e che chiunque farebbe al suo posto. Confermo però la mia amarezza per il fatto che il Festival, contenitore di molteplici istanze e proclami, persino per l'arruolamento nell'aeronautica (!) come accaduto ieri in apertura di finale, non ha pronunciato quasi nessuna parola per la pace, a parte il "No war" sul retro della camicia di Grignani, iniziativa isolata, da vera rockstar ribelle, ma francamente insufficiente. 

MASCHILISMO? - Dispiace, infine, l'assenza di voci femminili nel quintetto finale. Anche qui, ripeto quanto scritto poco sopra: potevano entrarci, senza scandalo, Madame soprattutto, poi Elodie e Giorgia, così come han fatto buonissima figura Levante e Paola e Chiara, con pezzi vigorosi ed energici che avranno lunga vita lontano dalla Riviera ligure. Già è montata la polemica, lo stesso Mengoni in sede di premiazione ha manifestato un certo disagio nel non vedere colleghe al suo fianco, ma le accuse di maschilismo mi sembrano onestamente esagerate: il cast dei concorrenti ha annoverato una decina di donne, ce n'erano grosso modo altrettante fra i "duettanti" del venerdì, tre fra gli ospiti (Vanoni, Annalisa, Rappresentante di Lista); a buon peso, la schieramento imponente delle co-presentatrici e quasi tutti gli invitati non cantanti in promozione televisiva: Elena Sofia Ricci, Carolina Crescentini coi ragazzi di Mare Fuori, Rocio Munoz Morales e ieri Luisa Ranieri. Amadeus ha la coscienza a posto, dopodiché, per la gara, decidono le giurie, che però non mi pare abbiano votato in maniera scandalosa: quasi tutti quelli che sono arrivati davanti meritano di essere lì, fra le ragazze solo Madame aveva un brano veramente da medaglia d'oro. A tal proposito, nel 2024 saranno dieci anni dall'ultima vittoria "in rosa", quella di Arisa nel 2014. Potrebbe essere l'occasione per chiudere il cerchio. Un nome? Annalisa. 

sabato 11 febbraio 2023

SANREMO 2023, LA SERATA COVER: FRA FURBERIE E RICERCA DALL'APPLAUSO FACILE, SI FA APPREZZARE CHI RISCHIA, E VINCE GIUSTAMENTE IL VIRTUOSO MENGONI. PASSAPORTO PER IL TRIONFO?


 La serata sanremese delle cover è ormai diventata la fiera dei furbetti. Senza ritegno, o quasi. Un'orgia di citazioni e autocitazioni, medley e pout pourri, compilation in stile Migliori anni o Arena Suzuki. Cosa tutto questo c'entri con la gara d'inediti che è il pilastro fondante del Festival, ancora non sono riuscito a capirlo. Probabilmente perché non c'entra proprio nulla, e sarà sempre troppo tardi quando questo evento nell'evento verrà ripensato e ristrutturato su basi diverse e più aderenti all'idea da cui nacque il tutto, ossia un'occasione per mettere alla prova gli artisti in concorso con pezzi non del loro repertorio, da scegliere però secondo criteri rigorosi e senza percorrere facili autostrade per migliorare la propria posizione in classifica, strizzando l'occhio ai classici più amati, gettonati, inflazionati. Già l'anno scorso ci aveva provato Morandi e gli era andata più che bene, grazie all'appoggio dell'amico Jovanotti, ma questa volta si è letteralmente debordato. 

GLI AUTOMEDLEY - Senza vergogna, appunto. Il greatest hits di Ramazzotti, quello di Antonacci e quello di Edoardo Bennato, l'automedley degli Articolo 31 e di Paola e Chiara. Stesso discorso per la Oxa con "Un'emozione da poco" e per Grignani, ma in quest'ultimo caso il gioco non è riuscito perché la povera Arisa, pur impegnandosi allo stremo, non è riuscita a stare dietro alle spericolatezze esecutive del collega. Più accettabile, ma siamo proprio al limite, lo scambio di gemme canore fra Giorgia ed Elisa, nel ricordo della splendida accoppiata di canzoni piazzatasi in testa al Sanremo 2001, uniche gemme di un'edizione che fu grigia e piatta sotto molti punti di vista. E tollerabili, tutto sommato, gli omaggi che alcuni concorrenti hanno riservato ai loro ospiti, limitandosi però a una singola hit (ad esempio, i Modà con "Vieni da me" delle Vibrazioni), ma il vero spirito originario del format era un altro, e per fortuna qualcuno riesce ancora a recepirlo senza cedere alle scorciatoie e al facile applauso.

VIVA I CORAGGIOSI - Così, è stato in fin dei conti sacrosanto che a vincere, consolidando la sua posizione di leader, sia stato Marco Mengoni che, col Kingdom Choir, ha fornito una superba rivisitazione vocale di Let it be, pietra miliare del pop internazionale. E meritano l'elogio pieno quelli che si sono incamminati sullo stesso, arduo sentiero, pur compiendo le più disparate scelte artistiche. Coraggiosa, ad esempio, la rilettura in chiave rap moderno dell'eterna "La notte vola" di Lorella Cuccarini, di grande impatto sonoro e scenico "American woman" a cura di Elodie e dell'emergente BigMama, che avevo apprezzato in una sua ospitata nella trasmissione mattutina di Luca Barbarossa. 

POLLICE IN SU PER LAZZA E GIANMARIA - Giustamente premiato anche Lazza, che con spirito giovane e anticonformista ha scelto un successo relativamente recente ma non ancora entrato nel novero degli evergreen italiani, "La fine" di Nesli, in una impeccabile e intensa interpretazione accanto a una sempre ottima Emma e alla violinista Laura Marzadori. Ecco, è questo il tipo di cover che vorrei sempre ascoltare, se proprio questa serata "né carne né pesce" deve continuare ad esistere. Da salvare anche il duetto, carico di suggestione, fra Gianmaria e Manuel Agnelli in "Quello che non c'è", e l'arricchimento testuale operato da Mr. Rain, in collaborazione con Fasma, su "C'è qualcosa di grande". Apprezzabile Madame per la coerenza nelle scelte artistiche e per una maturità "on stage" sempre più spiccata, oltre a uno stile ormai riconoscibilissimo, ma in "Via del campo" avrebbe potuto tranquillamente fare a meno di Izi, che non ha portato alcun valore aggiunto. 

NULLA DI MEMORABILE - Per il resto, poco da segnalare, con molte cover costruite all'insegna della prudenza e della misura, penso a "Sarà perché ti amo" by Coma_Cose e Baustelle, o "Azzurro" di Colapesce-Dimartino con la presenza sommessa e discreta di Carla Bruni. Nulla che mi abbia particolarmente colpito, se non, in negativo, il vuoto di memoria di Ramazzotti nel cantare alcuni versi di una delle sue maggiori hit, "Un'emozione per sempre". E' un peccato perché, come già sottolineato ieri, il cast messo insieme da Amadeus e dalle case discografiche per l'occasione è stato di livello assoluto, una sezione Big parallela a quella ufficiale, che non a caso ha sbancato l'Auditel oltre ogni aspettativa, pur marciando, in buona sostanza, col pilota automatico innestato. Cosa potrebbe diventare, un happening del genere, se venisse impostato in maniera più rigorosa, relativamente al bacino in cui pescare i pezzi da coverizzare e ai criteri da seguire in queste rivisitazioni? Temo non lo sapremo mai perché ormai il canovaccio è questo, e tale rimarrà fino a quando l'attuale direttore artistico resterà in carica. Anche qui, poca voglia di rischiare da parte di "Ama", che però perdoniamo perché i suoi rischi se li è invece ampiamente presi nella scelta dei cantanti in concorso. Tornando al cast di ieri, chissà che la presenza sul palco non sia il prologo a un prossimo debutto o ritorno alla competizione, parlo di Baustelle e Bennato così come di Antonacci e di Eros. Idea meno pazza di quanto si possa pensare. 

FRANCINI, UN'OPZIONE PER IL FUTURO - E il resto della "quarta puntata"? C'è stato il recupero dell'omaggio a Peppino Di Capri, saltato il giorno precedente. Un Peppino non in forma smagliante (più che normale, vista l'età) ma ancora brillante e pronto alla battuta, con la salace sottolineatura della lunga attesa per un premio che, senza falsa modestia, riteneva giustamente di meritare da tempo. Peppino è un grandissimo della canzone italiana, un totem: se ne avesse avute le possibilità vocali, avrebbe meritato uno spazio ben più ampio, per un minishow come quello riservato ai veterani che l'hanno preceduto su quel palco in settimana. Chiara Francini ha vinto la sfida a distanza con le altre co-presentatrici: sinuosa erede delle italiche maggiorate anni Cinquanta, ha sfoderato le sue armi migliori, quelle della professionalità, dell'ironia e del piglio attoriale, ma anche della capacità di cambiare registro, con quel superbo monologo sulla maternità mancata e/o dilazionata. Da prendere seriamente in considerazione per conduzioni future del festivalone anche da principale padrona di casa, lei come altre autorevoli candidate donne, in primis Serena Rossi, ma anche Andrea Delogu. 

Ora non resta che attendere la chiusura della gara: non credo ci saranno enormi sconvolgimenti, Madame forse guadagnerà qualche posizione, Lazza si consoliderà perché è la realtà nuova di maggior spessore uscita da questo Sanremo 73 (del resto le classifiche di vendita non mentono, quando la messe di successi e allori è così imponente come quella raccolta dal ragazzo nei mesi scorsi), ma saranno dettagli. Si gioca tutto fra Mengoni e un Ultimo poderosamente sospinto dal voto popolare ma la cui canzone, a mio parere, non ha il piglio immediato e le stimmate di gioiello contemporaneo di quella del fiero rivale, in assoluto stato di grazia. Ecco, la mia preferenza l'ho espressa e ribadita, ma tutto può accadere. 


venerdì 10 febbraio 2023

SANREMO 2023, LA TERZA SERATA: LUNGHEZZA DEVASTANTE E PARENTESI EVITABILI MORTIFICANO LO SPETTACOLO. ULTIMO A CACCIA DEL PRIMATO, MA IL MIGLIORE E' MENGONI


Negli anni passati sono sempre stato un fautore, e il blog me ne è testimone, del progressivo aumento del numero di Big da ammettere alla tenzone sanremese. E sono ancora favorevole a un cast di concorrenti che sia il più ampio possibile, ma non a queste condizioni. I 28 partecipanti del 2023 sono tanti, ma non tantissimi, se andiamo a vedere la storia della rassegna. Rappresentano però un’enormità insostenibile per uno show con il format adottato e istituzionalizzato da Amadeus. Uno show dilatato all’inverosimile, con sovrastrutture extra gara di dubbia o nulla utilità. Una maratona che impedisce di apprezzare al meglio pregi e difetti dei brani in concorso, e che, credo, produce più scontenti che contenti, anche fra chi del carrozzone festivaliero è protagonista. Non parlo solo dei cantanti: il siparietto comico-promozionale di Alessandro Siani relegato alle soglie delle due di notte è ai limiti dell’offensivo, così come denota scarso tatto l’omaggio a Burt Bacharach anch'esso in orario da vampiri. 

POCO RISPETTO - E’ un andazzo poco rispettoso anche di chi viene dopo in palinsesto, ossia del dopofestival, di cui Fiorello sta offrendo una versione riuscitissima, divertente e gradevole, fra le migliori di sempre, che meriterebbe una collocazione più a portata di essere umano. Poi, certo, c’è Raiplay, c’è la possibilità di rivedere con calma il tutto o solo le parti che interessano, ma c’è anche chi, per esigenze personali, avrebbe piacere e necessità di gustarsi lo spettacolo solo in presa diretta, come ai vecchi tempi. Capisco anche che tale formula trovi giustificazione nelle dinamiche legate all'Auditel e agli spazi promozionali, tuttavia la macchina Festival ha incassato molto e fatto registrare ottimi ascolti anche in versioni più snelle nella durata e nei contenuti. 

AFFONDANO LE NUOVE PROPOSTE - Era una premessa doverosa, perché l’allungamento del brodo, è evidente, nuoce soprattutto a chi il Sanremone lo interpreta ancora secondo lo spirito originario dell’evento, ossia vetrina per far conoscere la propria nuova produzione canora. E Amadeus, così abile a rinnovare il volto musicale della kermesse, dando ampio spazio alle nuove tendenze giovanili e ad artisti emergenti che fino a un lustro fa godevano di scarsissima visibilità, non deve commettere questo clamoroso autogol, castrando lo splendido lavoro da lui stesso compiuto. In quest’ottica, va presa nella massima considerazione, da parte della direzione artistica, la classifica provvisoria scaturita dalla terza serata, che vede nelle posizioni di coda quasi tutti i ragazzi usciti dall'ultima edizione di Sanremo Giovani. Si può disquisire all'infinito sul talento in possesso di questi virgulti, e solo il tempo dirà quanto e se valgano realmente, ma si conferma quanto in molti, me compreso, sostengono dal momento in cui "Ama" ha scelto di ripristinare la formula del girone unico, in cui innestare i migliori "pulcini" prodotti dal vivaio festivaliero. 

I vari Olly e Sethu rischiano di venir cannibalizzati e sommersi, musicalmente e mediaticamente, dall'ampia schiera di veri big con cui sono chiamati a confrontarsi. Casi come quello di Mahmood, o per andare più indietro nel tempo di Giorgia o di Gigliola Cinquetti, vengono ricordati da tutti proprio perché sono episodi più unici che rari. Buttare subito allo sbaraglio degli esordienti privi della perizia professionale e della malizia dei colleghi "adulti", li può aiutare a crescere sul lungo periodo ma, sul momento, non produce risultati apprezzabili e ne rende quasi invisibile la presenza sulla ribalta più prestigiosa, relegandoli in una sorta di limbo. Torno a ripetere: sarà inevitabile, nei prossimi anni, il ripristino della categoria Nuove Proposte, che faccia corsa a sé anche a febbraio e non solo nella selezione autunnale. Se ne parlerà semmai con la nuova direzione artistica: difficilmente Amadeus tornerà indietro, ma per il suo Sanremo 2024 lo inviterei comunque a ridurre il contingente di giovani da immettere nel listone unificato: sei sono davvero troppi, soprattutto se, come quest'anno, si dimostrano quasi tutti estremamente acerbi. 

OCCHIO A ULTIMO, SPALLEGGIATO DA EROS - A proposito di classifica, le sorprese non sono mancate, e altre ne potrebbero arrivare da qui a sabato notte. Perché fino a metà della serata di ieri Mengoni pareva destinato a una placida navigazione verso la medaglia d'oro, con tanto di standing ovation del pubblico di fronte all'ennesima prova vocale superlativa. Poi, però, l'entrata in scena delle giurie popolari ha parzialmente sparigliato le carte. Ieri avevo pronosticato una ovvia crescita dei consensi per Modà, Giorgia e Ultimo. L'impresa non è riuscita ai primi due, mentre l'artista romano riempi-stadi ha compiuto un enorme balzo in avanti. "Alba" è una canzone old style, che evidenzia l'ottima vena poetica del ragazzo (sicuramente il miglior cantautore dell'ultima generazione) innestata su una melodia tradizionale con crescendo e lungo finale a pieni polmoni, per uno di quei pezzi che, da sempre, fanno "venire giù" il teatro; ma l'impatto non è immediatamente coinvolgente. Probabile che il duello finale per il trionfo sia proprio fra il polemico secondo dell'edizione 2019 e il sopracitato Mengoni, che però al momento si fa comunque preferire, perché nel suo "Due vite" riesce a sposare classicismo della canzone all'italiana e modernità nella struttura dell'opera. Peseranno, purtroppo, anche le cover di questa sera, che nulla dovrebbero avere a che fare con una gara di inediti, ma tant'è. Qui Ultimo ha giocato pesante, schierando nientepopodimeno che Eros Ramazzotti (che la sua presenza sia il preludio a un prossimo ritorno in competizione, nome boom per l'ultimo Sanremo di Amadeus?), mentre Marco punta "semplicemente" su un coro gospel e per prevalere dovrà fornire una performance di altissimo livello, impresa peraltro nelle sue corde. 

DA MADAME A LEO, SPICCANO LE SCOPERTE DI "AMA" - Il secondo ascolto live permette di esprimere pareri un tantino più approfonditi sul pacchetto-canzoni di questo 73esimo festivalone: conferma per il pregio delle proposte di Colapesce-Dimartino e Madame, che possono piazzarsi ma non vincere e che comunque troveranno ampia soddisfazione fuori dall'Ariston, in crescita la trascinante Levante col suo inno alla positività e alla gioia erotica, orami assestatisi su buonissimi livelli i Coma_Cose, con la... seconda puntata, più sofferta, introspettiva e meno solare, di "Fiamme negli occhi" del 2021 e con il valore aggiunto di una performance ben congegnata, con tratti di studiata teatralità. Di ottimo piglio radiofonico il "Terzo cuore" griffato Zanotti dei Pinguini, con un Leo Gassman che si destreggia in un cantato non facile, passando dal sussurrato all'improvvisa esplosione di una voce nitida e promettente. Sempre più credibile Tananai, che, come scritto, ieri, mi ha spiazzato con questa virata verso il totally romantic, ma che nella sua ballad mischia con perizia linguaggio giovane, ruvido e moderno con uno stile musicale agé. E fra le nuove leve più interessanti, ci sta il tocco di colore e di (moderatissima) trasgressione di Rosa Chemical, che sconterà forse il fatto di arrivare all'Ariston dopo Achille Lauro ma che in compenso ha fra le mani un potenziale tormentone che,  oltretutto, omaggia generi musicali più di nicchia e d'antan come lo swing anni Trenta, ed è fra i pochissimi a farlo. 

CRESCONO I CUGINI, LAZZA DA PLATINO - Assolutamente sul pezzo Paola e Chiara, che hanno ritrovato intatta la loro attitudine dancereccia alla base di tanti successi in curriculum, con una vaga vena malinconica subito spazzata via dalla voglia di vita e di divertimento, in linea con il messaggio al centro di "Furore", evocativa fin dal titolo. Abile, furbetto e orecchiabilissimo Mr. Rain con suo coro di fanciulli, un'operazione che però non credevo potesse colpire così tanto tutte le giurie e che perciò rappresenta una pericolosa mina vagante per i favoriti, persino con possibilità di podio. Elodie con pilota automatico (giustamente continua a sfruttare il filone che  ne ha decretato il boom, nulla di male) e destinata a ottimi riscontri di streaming e vendite, così come Lazza, ultracontemporaneo con un brano dall'impalcatura tradizionale (il refrain è assolutamente centrale per il funzionamento del tutto) ma con versi da "Z generation" e arrangiamento ipnotico, con quelle voci distorte che sottolineano varie parti del pezzo (Dardust se ne inventa sempre una e, diciamolo, non sbaglia un colpo). Tutto sommato, non sembra male nemmeno il nostalgico viaggio fra Settanta e Novanta che La Rappresentante di Lista ha confezionato per i Cugini di Campagna, che hanno un Nick Luciani in splendida forma e finalmente un nuovo brano da inserire in un repertorio da troppo tempo statico. 

L'INTENSITA' DI GRIGNANI - Lentamente, migliora il livello vocale di Grignani, che ha difficoltà ma, ricordiamolo, in ambito live non è mai stato impeccabile, e nemmeno doveva esserlo visto il tipo di produzione, sofferta e vissuta, che da sempre rappresenta il fiore all'occhiello fra le tante sue opere. "Quando ti manca il fiato" sta emergendo come una signora canzone, con un testo profondo e intenso, una orchestrazione forse troppo pomposa ma una interpretazione drammatica, sentita fin dentro l'anima, che sta facendo breccia nel cuore di chi ascolta. E, al di fuori dell'aspetto artistico, apprezzabile anche la scritta "No war"  mostrata sulla schiena in chiusura di esibizione, un grido che, fra mille istanze, finora si è sentito troppo poco in questo Festival e in altre trasmissioni tv schierate in prima linea. 

CHI SI SALVA FRA I GIOVANI - Tornando ai giovani, tallone d'Achille di questa kermesse, da salvare comunque l'orecchiabilità acqua e sapone di Ariete e, riguardo al vivaio sanremese, il mood adolescenziale di Gianmaria, nonché il curioso stile dei Colla Zio, che tentano di riportare in auge sound e movenze sceniche delle boy band anni Novanta. Non male anche le acrobazie vocali, con e senza autotune, di Olly, che si arrampica sulle note di un brano al passo coi tempi ma anche sottilmente retrò, nella citazione dei Coldplay. Rimane però il discorso di fondo: tutti questi artisti in erba avrebbero avuto migliore visibilità gareggiando in una categoria su misura, quella categoria che, dagli anni Ottanta in poi, ha contribuito massicciamente al rilancio grandioso di un Festival reduce da una profondissima crisi, e che non può essere rottamata senza rimpianti, se i risultati sono questi. 

BRAVA ANNALISA, BRAVISSIMA EGONU - Poco altro ha lasciato la serata, a conferma di quanto le sovrastrutture siano in larga parte superflue. Di prestigio, ma ripetitiva, l'ennesima ospitata dei Maneskin, fuori luogo la promozione della nuova canzone di Ranieri: per lui vale lo stesso discorso fatto per Blanco, ebbene sì. Splendida la performance esterna di Annalisa, che ha cantato dal vivo il suo ormai stranoto successo autunnale e che aspettiamo in concorso l'anno prossimo, per puntare finalmente alla vittoria e alla definitiva consacrazione. Detto dell'ingiusta collocazione di Siani a notte fonda, Paola Egonu ha sfruttato con intelligenza la sua co-conduzione. Discretamente a suo agio pur se eccessivamente legata al gobbo, comunque spigliata, affascinante e sensuale oltre le aspettative, ha saputo anche affrontare con saggezza tutte le polemiche che hanno accompagnato le sue recenti esternazioni. Una delicatezza e un'eleganza, nel suo intervento, che avrebbero dovuto accompagnare anche certi infelici monologhi degli anni passati. Meglio on stage la Paola, dunque, che in conferenza stampa: perché nessuno nega che in Italia ci sia razzismo, anzi, ci sono sacche di intolleranza odiose e inaccettabili, purtroppo tollerate anche ad alti livelli. Ma l'invito è a non considerare gli ultras degli stadi e dei palazzetti, o i minus habens dei social, come cartina tornasole della società nazionale: lì c'è il peggio del peggio, c'è la cloaca, ma è solo uno spaccato, pur se reale, della nostra società, che ha anche tanti comparti di solidarietà, accoglienza, apertura, vicinanza, così come le scuole multietniche di oggi promettono un'Italia ancora più libera e vivibile, nonostante i residui di somma ignoranza. 

PER I DUETTI UN CAST DA URLO - Tornando allo spettacolo, la serata delle cover, tradizionalmente abbastanza fiacca e quasi mai memorabile, questa volta potrebbe essere più vivace del solito. Il cartellone messo insieme è di primissimo livello: abbiamo detto di Ramazzotti, ma ci sarà anche Edoardo Bennato, tornerà Elisa, e poi ancora Arisa, Emma, Baustelle, Fasma, Ditonellapiaga, Paolo Vallesi, Alex Britti, Sangiovanni (già visto ieri nel gustoso duetto con Morandi, foriero di sviluppi futuri), Zarrillo, Cuccarini e altri ancora. In pratica un lussuoso cast parallelo, con Big che potevano essere in concorso e che, verosimilmente, torneranno a esserlo presto. 


giovedì 9 febbraio 2023

SANREMO 2023, LA SECONDA SERATA: FRA GRANDI RITORNI E TURPILOQUIO, SVETTANO MADAME E COLAPESCE-DIMARTINO. EMOZIONE PER ARTICOLO 31, MODA', PAOLA E CHIARA

 


E' stata la serata dei grandi ritorni. Ritorni di eroi pop amatissimi dal pubblico anni Novanta e inizio secolo, ritorno di ospiti stranieri, dopo il vuoto delle ultime edizioni del Festival. Ritorni unici, veri e attesi, laddove quelli di Al Bano e Ranieri, pur nella versione inedita in trio con Morandi, sono stati sono l'ennesima ricomparsa per ricantare sempre i soliti, graditissimi successi. Ma è stata anche la serata del turpiloquio, presente in abbondanza nei testi delle canzoni in gara e fuori gara così come nell'appendice comica, nel segno di uno sdoganamento fisiologico ma forse eccessivo, perché l'evoluzione della lingua italiana non implica libertà assoluta di attingere al fondo del barile dei vocaboli. 

EMOZIONE ARTICOLO 31, GIOIA DI VIVERE PER LE SORELLE - Il discorso sui ritorni ci porta immediatamente nel cuore della gara, che ieri si è ripresa quasi totalmente la ribalta, dopo i troppi extra del vernissage di martedì. Si è confermata una linea di tendenza, quella di una generale orecchiabilità, senza imbarcarsi in percorsi sonori troppo complessi e ricercati. Il blocco dei primi 14 Big si era presentato però più omogeneo, riguardo al livello qualitativo delle proposte, laddove ieri si sono avuti picchi notevoli ma anche parziali delusioni. Ma partiamo dai ritorni di cui si diceva: due sospirate reunion, questi sì eventi del tutto inediti, col debutto sanremese degli Articolo 31 che mi hanno quasi commosso, grazie a un brano che si consegna senza remore alla nostalgia e al racconto di un rapporto di amicizia tormentato oltre ogni limite. Invece Paola e Chiara, che mancavano dalla competizione dal 2005, non hanno concesso nulla alla malinconia, riappropriandosi felicemente delle misure dance che ne avevano decretato il successo discografico da Vamos a Bailar in poi, ritrovando il loro stile e contaminandolo leggermente con qualche vaga sonorità in salsa disco settantiana. Una rentrée tutt'altro che in tono minore, peccato per il profluvio abnorme di brillantini che ha quasi azzerato la grazia ancora intatta dei loro lineamenti. 

SANREMO AUTOBIOGRAFICO - Ricomparsa all'altezza delle aspettative anche quella dei Modà, all'insegna della continuità più assoluta con lo stile dei loro tempi migliori e con un'interpretazione ancor più accorata da parte di Kekko Silvestre, che in questa "Lasciami" ha riversato un vissuto recente piuttosto doloroso. Il che è una delle caratteristiche salienti del pacchetto-canzoni di questo Sanremo 2023: profondo lirismo autobiografico, dai citati Modà e Articolo 31 al Grignani di ieri, e a Levante, che fugge dal lacrimevole e canta il suo difficile percorso post parto con un ritmato ed energico inno alla positività. 

GIORGIA NON IMMEDIATA - Il ritorno più significativo, quantomeno in relazione alla storia e all'albo d'oro del Festival, era probabilmente quello di Giorgia, bellissima come e più di sempre, con una "Parole dette male" che ci immerge totalmente nelle atmosfere della melodia anni Ottanta e Novanta. Una canzone d'amore classica, raffinata, ben congegnata ma non da primo ascolto, e questo spiega la posizione penalizzante nella classifica della sala stampa. Classifica che era peraltro in larga parte prevedibile, per chi avesse avuto la pazienza di leggersi, nelle settimane scorse, le recensioni pubblicate su giornali e siti web dopo l'ascolto dei pezzi in anteprima offerto dalla Rai ai media: recensioni che non si esprimevano in termini totalmente lusinghieri nei confronti della stessa Giorgia, dei Modà e di Ultimo. Tre artisti che, ne sono sicuro, prenderanno quota nelle ultime tre sere grazie ai voti popolari, anche se non credo che ciò consentirà loro di lottare per la medaglia d'oro. 

MADAME E COLAPESCE-DIMARTINO, LIVELLI D'ECCELLENZA - A tal proposito, mi riconosco al 99 per cento nella Top five espressa dalla prima giuria. Perché insomma, che il brano di Mengoni abbia una marcia in più è evidente a tutti, mente le proposte di Madame e Colapesce-Dimartino sono state indubbiamente le migliori fra quelle ascoltate ieri. Madame è ulteriormente cresciuta sul piano compositivo e ora le sue parole giungono chiare al pubblico, pur senza rinunciare a quel particolare modo di cantare un po' "strascicato" che però non tocca gli abissi di giovanilismo di tanti suoi colleghi esordienti; e in più, "Il bene nel male" offre anche una spruzzata di sound in stile Daft Punk, che accresce l'appeal del pezzo, così come il refrain martellante. Colapesce e Dimartino forse si sono addirittura superati, rispetto a "Musica leggerissima", e mi riferisco nello specifico al processo creativo di costruzione dell'opera: quella era una composizione geniale ma anche furbetta nel suo strizzare l'occhio ad atmosfere retrò, e del resto i tormentoni si costruiscono anche così, mentre questa "Splash" è persino rigorosa, senza trovatine accalappia-pubblico, eppure di grande efficacia testuale, ricchezza musicale e con un ritornello che funziona. Anche se, probabilmente, la resa in termini commerciali sarà decisamente inferiore. 

LAZZA DA CHART - Non mi aspettavo invece il mini exploit di Tananai, che credevo fedele alla scia scanzonata che ne ha decretato il successo 2022, fra Sanremo ed estate. La mia sensazione è che in questa versione "istituzionalizzata" perda un po' in freschezza e capacità d'impatto, senza nulla togliere al brano che è festivaliero fino al midollo e non privo di una certa eleganza; ma sono metamorfosi che mi lasciano perplesso. Così come mi hanno lasciato perplesso alcuni dei giovani ascoltati ieri: da risentire Shari e Will, leggerino LDA, più originale e brioso Sethu. Su tutti Lazza, che ci ha fatto capire perché sia campione assoluto di vendite e, secondo una mentalità fortunatamente superata, "non avrebbe avuto bisogno di Sanremo": "Cenere" è la canzone probabilmente più contemporanea fra le 28 in concorso, con un arrangiamento straniante e ipnotico. Sopra le righe ma divertente e gioioso Rosa Chemical, con un ballabile stile anni Trenta innaffiato da un pizzico di charleston. Non male. 

LE STILETTATE DI FEDEZ E LO STRANO RIBELLISMO DI DURO - E il resto della serata? Detto dello spazio "Migliori anni" col trio prezzemolino Morandi-Al Bano-Ranieri, sullo stesso versante si è fatta preferire l'accoppiata Renga-Nek, che si scambiano i loro successi e che magari l'anno prossimo troveremo in concorso, dove è giusto che stiano. Lì per lì è passata quasi inosservata la performance in nave di Fedez, che invece ha picchiato duro contro il viceministro Bignami, contro le interrogazioni parlamentari assurde su Rosa Chemical (ne avevo fatto cenno nel mio pezzo di presentazione del Festival) e, a buon peso, contro il Codacons, assumendosi poi in toto la responsabilità di quanto aveva rappato. Di certo un intervento più puntuto di quello del comico Angelo Duro. Strano, però, il pubblico dell'Ariston: si scandalizza, giustamente, per la furia devastatrice di Blanco (di cui però ieri credo di aver spiegato bene i retroscena) e poi non si scandalizza per la volgarità del siciliano. Non si scandalizza e però ride anche poco, va detto, anzi, si limita a sorridere. Poi va bene tutto, la comicità è anche questa, soprattutto in tempi di stand up comedy (ma i fuoriclasse del genere sono altri, una soprattutto; Michela Giraud), però c'è anche la conferma della schizofrenia del Festival, che si inserisce nella sacrosanta battaglia contro la violenza sulle donne, contro le discriminazioni e per la parità di genere, e poi lascia che si monologhi sul tradire il partner andando a prostitute come salvezza per il matrimonio; un festival che si batte contro il bullismo e poi lascia che si bollino come falliti i laureati costretti a lavorare la terra. Bah. Una cosa sola ho condiviso di quanto detto a notte fonda dal comico emergente: i veri ribelli, oggi, sono quelli che non "indossano" tatuaggi. Sulla qualità complessiva dello sketch, dai contenuti piuttosto banali, lascio giudicare gli esperti. 

BLACK EYED PEAS SUGLI SCUDI - Meglio tornare, e chiudere, con la musica, e col ripristino della parentesi internazionale che era un must dei Sanremo d'antan. I Black Eyed Peas hanno onorato la loro partecipazione con un lungo minishow, fra passato e presente, e con la capacità di coinvolgere la platea. Quando parlo della necessità di tornare a investire sull'estero, a questo mi riferisco: non le ammucchiate di ospiti stranieri degli anni Ottanta, ma pochi nomi selezionati che possano offrire uno spettacolo nello spettacolo, non limitandosi alla bieca promozione del singolo in uscita. 

mercoledì 8 febbraio 2023

SANREMO 2023, LA PRIMA SERATA: MENGONI GIA' IN POLE, EXPLOIT PER COMA_COSE E GASSMAN. IL MEGLIO E IL PEGGIO DEL FESTIVAL CONTENITORE: DA MATTARELLA ALLE... MATTANE DI BLANCO


 In una sola serata, il vertice e l'abisso del Sanremo show (che è cosa ben diversa dal Sanremo gara). La dimostrazione, l'ennesima, di cosa sia diventato il Festival, più o meno a partire dagli anni a cavallo fra i due secoli, dallo sciagurato happening messo in piedi da Fazio nel '99: un contenitore di qualsiasi cosa più o meno artistica, sociale, spesso purtroppo anche politica, e di piazzate che mandano in tilt l'Auditel ma mettono in secondo piano ciò per cui la rassegna è nata ed è vissuta in buona salute fino ad oggi, ossia cantanti e canzoni in competizione. E' così da lustri, ripeto, ma ancora non riesco a farmene una ragione: c'è un po' di schizofrenia televisiva nel passare, nel volgere di circa tre ore, dal monologo di Benigni che esalta la Costituzione di fronte al Capo dello Stato alla surreale, brutta ma anche parzialmente incompresa sceneggiata di Blanco. 

BLANCO NON DOVEVA ESSERE LI' - Togliamoci subito il dente, cominciando da quest'ultima. Con una premessa: Blanco non doveva essere lì, da solo, a quell'ora, per promuovere il suo nuovo brano. Ieri avevo scritto che, nella marea di ospitate di italiani in passerella senza rischi, quella dei vincitori del 2022 era una delle poche accettabili, proprio per il valore simbolico di omaggio e di passaggio di consegne ai pretendenti di questa edizione. E lì ci si doveva fermare. Ma la promozione fuori concorso, inserita oltretutto fra un cantante in competizione e l'altro, rimane una stortura per me inaccettabile. Precisato questo, e data un'occhiata al videoclip di "L'isola delle rose", cerchiamo di mettere alcuni punti fermi: 1) I fiori facevano parte della coreografia della canzone, non della scenografia dello spettacolo; 2) Nel videoclip Blanco maltratta "leggermente" i fiori, e quindi qualcosa del genere avrebbe sicuramente fatto anche on stage, come lo stesso Amadeus ha ammesso nottetempo nel dopo-festival di Fiorello; per questo, sarebbe stato opportuno spiegare prima dell'esibizione, da parte del presentatore o dello stesso cantante, che sarebbe successo qualcosa di vagamente movimentato; 3) Dopodiché, l'inconveniente tecnico gli ha fatto partire la brocca ed è andato palesemente oltre nel trattamento da riservare ai fiori; una arrabbiatura del tutto ingiustificata, per un piccolo problema facilmente risolvibile: avrebbe potuto tranquillamente fermare l'esibizione per poi ripartire daccapo, come fatto da numerosi cantanti prima di lui nella storia della kermesse, da Ruggeri a Gazzè e ad altri ancora; 4) Pur se parzialmente in copione, l'atto di distruggere i fiori nella città dei fiori non mi pare in sé una grande genialata creativa; non sei il Grillo dell'88 che poteva permettersi di dire, oltretutto in un quadro chiaramente ironico, "I fiori di Sanremo puzzano!"; 5) Era da evitare anche per il contesto di pubblico in cui Blanco si trovava, e che dovrebbe conoscere bene; il pubblico dell'Ariston non è pronto e non lo sarà mai per queste alzate di cresta, e del resto sarà sempre troppo tardi quando il Festival verrà dotato di una casa adeguata ai tempi e aperta veramente a tutti. Insomma, un peccato, perché oltretutto la canzone non è nemmeno brutta e conferma il buon talento del ragazzo, che ha però mostrato totale immaturità nel gestire questo momento di grande popolarità. E diciamo che un campione in carica avrebbe dovuto muoversi sul palco con maggior senso di responsabilità e più tatto, a maggior ragione in una serata aperta con stili e registri ben diversi. 

PILLOLA DI MATTARELLA - Basta così: di questa storia, probabilmente, già la settimana prossima non si parlerà più. Il vero evento del vernissage è stato rappresentato dalla presenza in teatro del Presidente della Repubblica, peraltro assai contenuta nei tempi: non più inquadrato dopo il monologo di Benigni, probabilmente andato via a stretto giro di posta, come era del resto ovvio e prevedibile. Spero peraltro che i cantanti fossero stati adeguatamente informati, in quanto ancora ieri pomeriggio molti giornalisti chiedevano loro dell'emozione che avrebbero provato esibendosi davanti a Mattarella.... Su questa augusta presenza, una postilla: gradita e significativa, ma non c'era bisogno del Capo dello Stato per certificare la rilevanza della manifestazione per la cultura popolare, la società e il costume italiani. E' un ruolo che il Festivalone si è ritagliato, ha perduto e poi riconquistato con le proprie forze, con la forza della musica e dello spettacolo, con la sua capacità di avvolgere e coinvolgere milioni di persone. Anzi, deve semmai stare attento a non "istituzionalizzarsi" troppo. Lo scopo era chiaramente quello di sottolineare, nel 75esimo anniversario, la bellezza e l'importanza della nostra Carta Costituzionale, ma rimane il dubbio che certe lezioni civiche, anche ben congegnate come quella di Benigni, siano destinate a perdere rapidamente consistenza, fagocitate e sommerse da altri momenti meno nobili di questi lunghi happenings. La Rai deve ritrovare il coraggio di ritagliare sempre più spazi ad hoc in palinsesto per certi scopi, come mirabilmente fatto con la bella trasmissione di Fazio e della senatrice Segre dal Binario 21 della Stazione di Milano, una serata evento costruita appositamente e che resterà nella storia del servizio pubblico tv. 

LA GARA: GRANDE ORECCHIABILITA'  - Ora spazio alla gara, vivaddio. Come da mia consuetudine, mi astengo da commenti approfonditi sui singoli brani, ascoltati per la prima volta, e volutamente non ancora risentiti attraverso Raiplay o altre piattaforme, perché voglio che a parlare sia la primissima impressione, quella scaturita ieri sera dalla visione in presa diretta. La sensazione generale è quella di una buona orecchiabilità complessiva, con diverse sfumature qualitative: com'era nei pronostici, Mengoni si è stagliato sopra tutti per classe, professionalità, abilità interpretativa, il tutto impreziosito dalle capacità di scrittura del suo team di autori; la corsa alla medaglia d'oro è iniziata, lo scomodo ruolo di favoritissimo è confermato, le minacce più serie dovrebbero arrivare soprattutto dagli artisti che ascolteremo questa sera. 

BENE COMA_COSE, LEO ED ELODIE - Dopo Marco, menzione d'onore per i Coma_Cose, che non hanno perso la freschezza e la spontaneità sfoderate due anni fa: un testo emozionante, un bell'arrangiamento, un'interpretazione intensa, vissuta e sincera: possono ottenere un piazzamento insperato, così come un Leo Gassman più moderno e convincente rispetto al suo esordio vittorioso del 2020, e non è un caso se in "Terzo cuore" si avverte prepotente la mano felice dei Pinguini Tattici Nucleari. Come Leo, anche Elodie ha portato un pezzo di grande efficacia "radiofonica", come si diceva in maniera financo ossessiva fino a qualche anno fa (cominciò Renis nel 2004 e poi non ce ne siamo più liberati). Elodie, per inciso, ha anche mostrato come si possa essere sensuali con eleganza, pensando al brutto abito "nudo" indossato da Chiara Ferragni a metà serata. Qualche perplessità momentanea su Ultimo, che fa un po' il verso a se stesso (nulla di male, il suo mood è quello) col solito pezzo in crescendo vocale che però non sembra avere il piglio immediato di "I tuoi particolari". 

FRA GIOVANILISMO E CLASSICISMO - Dalle nuove leve, easy listening e giovanilismo adolescenziale spinto, come è giusto che sia e con diversi gradi di complessità: acqua e sapone la proposta di Ariete, più brillante Gianmaria, mentre Olly si lancia in acrobazie vocali sostenute dal solito autotune e Mara Sattei si consegna mani e piedi alla più classica melodia, rielaborata in chiave contemporanea. Agli antipodi generazionali, Cugini di Campagna e Colla Zio giocano fra le sonorità di decenni diversi, più settantiani Michetti e compagnia, più novantiana la giovane band. Sconcertante, eppure maledettamente martellante, la "Supereroi" di Mr. Rain: sconcertante perché il rapper risulta alla fine fra i più sanremesi di tutti, persino col ripescaggio del coro di bambini che fa tanto Giuseppe Cionfoli '83. Resta da parlare di due veterani: molto articolata la struttura di "Sali" della Oxa (ma meno ostica di certe sue proposte passate), penalizzata però da una voce non al top, mentre Grignani potrebbe avere persino un buon pezzo, più nel testo che nella musica, ma ha avuto palesi difficoltà interpretative che hanno reso "Quando ti manca il fiato" di difficile comprensione da casa. 

POOH IN DECLINO - Stesse difficoltà palesate dai Pooh in versione reunion, ed era purtroppo prevedibile. Facchinetti non mi pare più proponibile a certi livelli, e lo dico con la morte nel cuore, anche Fogli è in declino vocale, un po' meglio gli altri, ma non c'è da stare allegri. Funzionano ancora bene nelle parti vocali, poi rimane l'ovvia emozione di tante evergreen e per l'omaggio ben costruito a Stefano D'Orazio, ma prevale la malinconia per ciò che non è più. Gustoso invece il siparietto sulle "brutte canzoni" di Morandi, evitabile il monologo di Ferragni, simile a quelli di tante non-presentatrici che l'hanno preceduta su quel palco durante la gestione Amadeus. Sarebbe bastata, per forza d'impatto senza fronzoli, la presenza delle signore in rappresentanza dell'associazione contro la violenza sulle donne. Tutto il resto, come già scritto ieri, è solo sovrastruttura strappalacrime e retorica che non porta alcun beneficio alla pur nobile causa. 

martedì 7 febbraio 2023

SANREMO 2023 AL VIA: ANCORA UNA VOLTA CI SALVERA' LA GARA, FRA INVASIONI DI CAMPO POLITICO-RETORICHE E OSPITATE PREVEDIBILI E RIPETITIVE

 


Le settimane di vigilia di Sanremo 2023 ci hanno riportato, da un certo punto di vista, agli anni più bui della kermesse, quelli in cui si parlava di tutto meno che di cantanti e di canzoni. La politica, in particolare, ha ammorbato l'aria mediatica intorno al 73esimo festivalone, prima con la discussa pseudo-partecipazione di Zelensky, poi con certe surreali interrogazioni parlamentari dedicate a Rosa Chemical, pensate un po'. Discorso a parte, ovviamente, per la notizia del giorno, ossia l'intervento al vernissage del Presidente della Repubblica Mattarella, prima assoluta di un Capo dello Stato alla manifestazione ligure e quindi, indubbiamente, fatto clamoroso che merita titoloni e prime pagine. Il succo, però, rimane: pur accettando la caratura di evento globale  e totalizzante assunta da Sanremo, rassegna canora che ha aperto le porte alle più svariate espressioni artistiche e anche ad istanze sociali, è assurdo che proprio in questa fase storica i riflettori indugino con minore entusiasmo sull'autentico piatto forte, ossia sul cast di concorrenti. 

SANREMO GRANDI FIRME - Dodici mesi fa avevo scritto, nel pezzo di presentazione di Sanremo '22, "il vero spettacolo sarà la gara, con tanti big veri che faranno ombra ad ospiti e superospiti". Ciò è tanto più vero quest'anno, perché Amadeus ha raggiunto la quadratura del cerchio, realizzando il Festival  che tanti illustri direttori artistici e patron suoi predecessori hanno solo potuto sognare: un Festival che mette in competizione grandi nomi, sulla cresta dell'onda, attuali, contemporanei, riempi-stadi e mattatori delle classifiche; il Festival di Mengoni (strafavorito), Giorgia e Ultimo, ma anche di Madame, Lazza, Elodie e Colapesce-Dimartino. Personaggi di primissimo piano che già da soli basterebbero a catalogare lo show al via stasera come "Sanremo grandi firme". Ma niente, nemmeno un cast stellare serve a distogliere l'attenzione dei media, o di quel che ne rimane, da "tutto il resto", dalla cornice. 

CORNICE POCO INVOGLIANTE - Che è una cornice non esaltante, e questa, va detto, è una caratteristica ormai fissa delle edizioni targate Amadeus. Il quale ha giustamente compiuto una precisa scelta di campo, per convinzione e perché costretto dal budget a disposizione: puntare tutto sull'innalzamento del livello di cantanti e canzoni in gara, arricchendo poi lo spettacolo con ciò che di volta in volta passa il convento (con tutto il rispetto). Così, rieccoci a fare i conti con una povertà quasi drammatica di ospiti d'oltrefrontiera, un tempo ciliegine sulla torta ad accrescere il prestigio della kermesse. Ci siamo fermati a Black Eyed Peas e al ritorno dei Depeche Mode, ed è un peccato, perché pure in tempo di spending review, di tagli di risorse, di necessità assoluta di chiudere la partita con ricavi sempre più abbondanti, stento a credere che non fosse possibile investire su un altro paio di nomi internazionali di chiara fama. Che servono e serviranno sempre più in futuro: nessuno pretende le masse di 20-30 big stranieri che affollavano il Palarock negli anni Ottanta, ma, semplicemente, una manciata di vedettes che magari costano più degli italiani, ma fanno ulteriormente lievitare appeal e interesse attorno alla rassegna, perché onestamente non so quanto potrà durare l'entusiasmo per le ripetute apparizioni dei soliti ospiti di casa nostra. 

LE SOLITE FACCE - Già, gli ospiti italiani: è stato lasciato elegantemente scivolare fuori dal bagaglio dei buoni propositi quanto "Ama" aveva promesso in autunno: "I miei superospiti sono i cantanti in gara. fuori concorso avrò solo artisti che hanno compiuto i 70 anni d'età". Nobile intento, svanito probabilmente di fronte all'estrema difficoltà di portare volti esteri. E così, accanto alle giuste celebrazioni di Gino Paoli e Peppino Di Capri, alla reunion dei Pooh, all'ennesimo ritorno di Ornella Vanoni, Al Bano e Ranieri, rivedremo personaggi che potevano essere tranquillamente in concorso, che lo sono stati in passato e che lo saranno di certo in futuro, di nuovo o per la prima volta: dai Rappresentante di Lista ad Annalisa, da Achille Lauro (altro prezzemolino) al duo Renga-Nek, fino a  Salmo e a Guè. Certo, non possiamo mettere nel calderone Mahmood e Blanco, che da ultimi vincitori passeranno il testimone ai nuovi pretendenti al titolo, né i Maneskin in quanto fenomeno musicale e di immagine ormai di caratura mondiale e, tutto sommato, vanto per l'Italia e per lo stesso direttore artistico, che li ha scelti e lanciati nel 2021 quando erano già popolari ma lontani dalle vette in seguito raggiunte. Ma il resto è, davvero, la solita minestra, un deja vu che trasmette stanchezza alla sola lettura di questo elenco di vip quasi sempre uguale a se stesso. Il tutto è probabilmente anche frutto di un equilibrio di rapporti raggiunto con case discografiche, agenzie e management, una situazione che giova all'industria nazionale (fra cantanti in gara, ospiti e duettanti, una bella fetta di artisti italiani fa ogni anno passerella all'Ariston) e alla struttura Festival, ma che può reggere solo finché reggono gli ascolti tv e le vendite di dischi. 

LE BRUTTURE DEL MONDO AL FESTIVAL: E' PROPRIO NECESSARIO? - Il caso Zelensky si è fortunatamente ridimensionato: nessun intervento video registrato, solo un messaggio scritto che verrà letto dal padrone di casa. Le perplessità restano, non sul presidente dell'Ucraina che fa quello che deve fare e lo porta avanti in ogni maniera, anche con una presenza eccessiva persino sotto i riflettori più ameni come quelli dei festival canori, televisivi e cinematografici. I miei dubbi erano e sono di altra natura: se proprio si doveva affrontare il tema del conflitto nell'est europeo, ecco, mi sarebbe piaciuto sentire parlare di pace e non di guerra, considerazioni su sforzi diplomatici e tavoli di trattative da aprire, piuttosto che su invii di armi. E sottolineo, "se proprio se ne doveva parlare". E' vero che, soprattutto da una quarantina d'anni, il cosiddetto Paese Reale ha spesso fatto irruzione nella maxi bolla sanremese, ma a tutto c'è un limite. Perché se si può parlare delle istanze professionali degli operai dell'Italsider, del razzismo, della parità di genere, qui si arriva a toccare un tema davvero troppo complesso e drammatico per essere liquidato in due minuti fra una canzone e l'altra, su quella che nonostante tutto rimane la principale ribalta glamour e leggera dello spettacolo nazionale. Insomma, lodevole la voglia di non estraniarsi e rimanere coi piedi per terra, ma ad un certo punto bisognerebbe fermarsi. Ad ognuno il proprio mestiere.

SANREMO E LE POCHE ISOLE DI LEGGEREZZA - La tv italiana, ormai colma di talk show dedicati alla politica e alla cronaca nera, non può permettersi la contaminazione seriosa e cupa anche dei suoi pochi spazi di intrattenimento brillante. Il rischio pesantezza insopportabile, sperimentato ad esempio col Festival 2014, è sempre dietro l'angolo. E lo stesso discorso vale, in parte, per certe copresentatrici chiamate a portare istanze e denunce anche lodevoli ma spesso mal riuscite, per mediocre interpretazione sul palco o discutibile scrittura degli interventi. Sentiamo cosa ci diranno questa volta le varie Egonu e Fagnani, ma non è con la lacrimevole retorica di certe performance passate, oltretutto nel contesto meno adatto, che si possono scardinare certe barriere. E trovo insopportabile il fatto che si demandi ai vip dello sport o dello spettacolo un'opera educativa che invece dovrebbe partire dalle famiglie e dalla scuola, le agenzie sociali in cui si cominciano a sconfiggere bullismo e intolleranze. La lezioncina socio-morale inserita a un certo punto della scaletta di ogni show spensierato è diventata ormai quasi un format, e già come tale prevedibile e quindi quasi totalmente depotenziato, efficace sul momento e poi destinata al dimenticatoio. Più di certe mediocre canzoni sanremesi. 

CONCORRENZA POCO TEMIBILE - L'unica polemica non musicale di sostanza, in questa vigilia, è stata quella legata al ritorno della controprogrammazione da parte di Mediaset, dopo anni di vacanza televisiva e di via libera al Festivalone. La Rai deve tremare? A parer mio, il rischio c'è ma è minimo. La situazione è totalmente capovolta rispetto al primo decennio di questo secolo: all'epoca un Sanremo in difficoltà venne spesso messo alle corde (e in un paio di occasioni superato nell'audience) da una concorrenza che schierava i grossi calibri dell'epoca, Grande Fratello e Cesaroni. Oggi, ad essere una corazzata è proprio il Sanremone, mentre le tv berlusconiane puntano ancora su un GF ormai boccheggiante, sulle Iene non più centrali nel panorama informativo come lo erano fino a un lustro fa, e sulla solita sicurezza, la De Filippi di C'è posta per te, l'unica che potrebbe rosicchiare qualche punto di Auditel all'augusto rivale. Ma il fatto stesso che, per affrontare l'impari sfida, si mettano in campo prodotti televisivi ormai vecchi e ultrasfruttati, la dice lunga sulla povertà di idee che regna oggidì nella tv generalista, e ciò, beninteso, vale anche per la Rai, ancorata da tempo immemore a marchi come Ballando con le Stelle, Tale e Quale, Affari tuoi, Soliti ignoti e via ripetendo. 

LA GARA SI PRENDERA' LA RIBALTA - Torniamo alla gara, in chiusura. Concorso grandi firme, si diceva, e non solo per i superbig citati, che sono affiancati da giovani rampanti, in primis quelli lanciati da Amadeus nelle sue prime tre edizioni (Levante, Elodie, Colapesce-Dimartino, Madame, Coma_Cose, Leo Gassman, Tananai), da attesissimi ripescaggi illustri (Oxa, Grignani, Paola e Chiara, Modà fra gli altri), da qualche scelta ardita (non molte per la verità: diciamo Rosa Chemical), due debutti a scoppio ritardato (Cugini e Articolo 31) e nuove leve già amatissime e gettonatissime (Lazza su tutti, potrebbe essere il Blanco del 2023, ma anche Ariete e Mara Sattei). Mantengo le mie perplessità sul listone unico di concorrenti, coi giovani che rischiano di essere fagocitati dagli illustri colleghi (l'exploit di Tananai dell'anno scorso fu tutto sommato piuttosto casuale), ma credo che questo cast sia in grado di immettere sul mercato una manciata di canzoni destinate a sicuro successo. E si prenderà a forza la ribalta, alla faccia del pallido contorno di cui si è detto. Buon Festival a tutti.