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martedì 14 novembre 2017

CLUB ITALIA SENZA MONDIALI: ADDIO RUSSIA 2018, UN DISASTRO NON SOLO SPORTIVO


Non è proprio il caso di minimizzare, di indorare la pillola. La mancata qualificazione dell'Italia a Russia 2018 è un evento disastroso, che solo i superficiali possono circoscrivere all'ambito prettamente sportivo. Non ha fallito solo una squadra, ma un intero movimento, con ricadute pesantissime su tutto un indotto che grazie al pallone vive e prospera. Restare fuori dal Mondiale causerà danni anche sul piano economico, in un campo di interessi vastissimo che va dai mancati introiti per sponsorizzazioni al calo di interesse del pubblico, fino alla diminuzione delle vendite di una stampa già di per sé agonizzante. Tutto questo per rendere bene un quadro che ancora non tutti hanno ben chiaro. 
ONTA - Per un Paese di grandi tradizioni calcistiche come il nostro (quattro titoli iridati, ricordiamolo), questa precoce eliminazione è una vergogna inammissibile, una macchia indelebile per un gruppo di calciatori, un allenatore, un presidente e la Federazione che tale presidente ha espresso. Certo, non è stato un fulmine a ciel sereno; possiamo anzi dire che sia la logica conclusione di almeno tre lustri di gestione sciagurata, fra vivai trascurati e uno spazio sempre più angusto concesso ai giovani di casa nostra per crescere, migliorarsi e apprendere in confronti di alto livello.
SERVIRA' A QUALCOSA? - Sono perfino stanco di scrivere cose che su questo blog sono di casa più o meno dalla sua nascita, nel 2011. E del resto le figuracce in Sudafrica e in Brasile avevano già chiaramente indicato la via: o riformare, o morire. Dopo le denunce e le polemiche a caldo, tutte le componenti del pallone italico hanno scelto la seconda via, e ora ne colgono i frutti. Nessuno è innocente, nemmeno i media, sempre poco critici nei confronti di un sistema che era chiaramente destinato a implodere. Le prospettive sono fosche: fossimo stati la Germania, o un altro Paese serio, avrei perfino messo la firma su una nostra eliminazione, che avrebbe rappresentato la garanzia dell'inizio di un processo di totale ricostruzione e moralizzazione dell'ambiente. Ma, ahimé, siamo in Italia, e temo che questa batosta lascerà troppe cose come stanno: la crisi strutturale del calcio italiano ha fondamenta solidissime e radici troppo profonde per essere estirpate in quattro e quattr'otto. Solo pochi giorni fa ho letto sul Guerin Sportivo, a firma Tucidide, di un endorsement da parte di Andrea Agnelli nei confronti di Tavecchio a prescindere dal risultato di questo drammatico playoff. E difatti le voci di corridoio parlano di un presidente federale non disposto a dimettersi, così come non si è ancora dimesso il cittì, che ha colto anche l'ultima occasione per mostrare tutta la sua inadeguatezza a un ruolo troppo più grande di lui. 
PROVA GAGLIARDA, MA IL GIOCO... - A questo punto occorre parlare di questioni strettamente "di campo", che peraltro allo stato attuale diventano un dettaglio del tutto secondario. Ventura si è giocato le sue ultime chances confermando il trend manifestatosi fin dall'inizio della stagione: smarrita del tutto la bussola tattica, smarrita anche la linea tecnica che aveva tracciato nella prima parte della sua gestione. Dopo aver aperto i cancelli di Coverciano a un gran numero di giovani virgulti (ricordo al proposito l'entusiasmo dei media a inizio 2017, laddove su queste pagine si manifestava una calibrata prudenza), ha chiuso la sua avventura aggrappandosi disperatamente al passato, a veterani in parabola discendente e a giocatori esperti che già avevano evidenziato ripetutamente la loro relativa caratura internazionale. La qualificazione è stata persa a Solna, con una gara deprimente e quasi irritante per povertà di gioco e di idee. Al Meazza, il Club Italia ha se non altro disputato un match gagliardo e volitivo, ma troppo poco lucido. L'aggressività dei nostri si è persa spesso nella prevedibilità della manovra e nell'ennesima scelta suicida: invece di tentare di forzare il bunker avversario con giocatori agili e sguscianti come Insigne, Bernardeschi ed El Shaarawy (questi ultimi due entrati troppo tardi), ci si è incaponiti nello sfruttamento delle fasce con immancabili cross alti nel mezzo dell'area, facili prede dei lungagnoni della difesa scandinava. 
SVEZIA MEDIOCRE E FORTUNATA - Abbiamo trovato un Jorginho capace di assumersi la responsabilità di pilotare la squadra nella zona nevralgica, ma il napoletano si è spento alla distanza, o forse hanno smesso di seguirlo i compagni, che nel secondo tempo sono tornati a percorrere le solite, infruttuose strade tattiche. Poi, certo, in queste ore può risultare impopolare scrivere che la Svezia la qualificazione se la sia ritrovata come un insperato dono dal cielo, più che meritarla, ma è così che sono andate le cose. Una Svezia fra le più modeste che io ricordi, senza alcun picco tecnico, che va in Russia grazie a un autogol e a una battaglia in trincea che, a Milano, ha fatto impallidire il catenaccio dei tempi d'oro.
Pur mostrando impacci e limiti evidenti nella capacità di produrre azioni lineari ed efficaci, i nostri ieri sera hanno costruito almeno otto palle gol nitide (due Immobile, due Parolo, due Florenzi, una a testa per Candreva ed El Shaarawy), da aggiungere alla tre dell'andata (Belotti, ancora Candreva e il palo di Darmian): almeno i supplementari sarebbero stati un giusto premio, ma quando si falliscono così tante occasioni occorre anche limitarsi nelle recriminazioni, senza però arrivare a dire che l'anticalcio dei nostri avversari abbia meritato di passare il turno: francamente, mi sembra eccessivo. Nonostante la buona volontà, nonostante il cuore gettato oltre l'ostacolo dei grossi limiti di una Nazionale sbagliata, non è arrivato il guizzo della squadra di grande tradizione, quel guizzo che, nello spareggio del '97, ci consentì di avere la meglio su una Russia più forte della Svezia attuale; quello che ha consentito di salvare la ghirba ad altre grandi "malate" coinvolte nei passati playoff mondiali o europei (a Francia, Spagna e Olanda è capitato più di una volta, la Germania ci passò nel 2001, e tutte alla fine centrarono l'obiettivo). 
LA NAZIONALE PRIMA DEI CLUB - L'ultimo triennio azzurro ha mostrato chiaramente quanto conti il trainer, per una squadra con tanti buoni giocatori ma nessun campione assoluto. Conte aveva portato una truppa discreta ma non irresistibile a sfiorare la semifinale di Euro 2016; per questo non bisogna avere remore nel dire che, pur fra i tanti mali che affliggono il nostro calcio, la responsabilità di Ventura in questa disfatta è altissima, direi svettante su altri fattori. Si deve ricominciare da un coach esperto a livello internazionale e carismatico; si deve tornare, possibilmente tramite una nuova presidenza federale, a ristabilire le gerarchie calcistiche nel Paese: la Nazionale viene prima dei club, è la vetrina di un movimento e la cartina di tornasole del suo stato di salute; da troppo tempo viene invece vissuta come un fastidio dagli addetti ai lavori e, ciò che è più grave, da molti tifosi. E i ragazzi emergenti, le promesse? Nel Club Italia, a questo punto, ci arriveranno per sfinimento: l'addio di Buffon, Barzagli e De Rossi ha chiuso definitivamente il capitolo di un titolo mondiale, quello del 2006, che rappresentava un patrimonio inestimabile su cui ricostruire un football minato da Calciopoli, e che invece è stato assurdamente archiviato e dimenticato con troppa fretta. Come chiocce per il gruppo bastano e avanzano Bonucci e Chiellini. Finalmente i Rugani e i Caldara, i Conti e i Cristante, i Benassi e i Bernardeschi avranno modo di giocare, sbagliare, imparare e migliorare.