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martedì 30 dicembre 2014

NOTE D'AZZURRO: BILANCIO AGRODOLCE DEL 2014


Meno di ventiquattr'ore a San Silvestro, ed è dunque giunto anche per il blog il momento del consuntivo annuale, che traccerò con la schiettezza di sempre. Del resto, non è mia abitudine vantare successi inesistenti, casomai mi piace gioire dei piccolissimi traguardi raggiunti con tempo, fatica e pazienza, e che in quasi tre anni e mezzo di cammino non sono mancati, tutto sommato. Il mio obiettivo più realista, per questo 2014 che se ne va, era tenere "Note d'azzurro" sugli stessi livelli dei dodici mesi precedenti, e il post che pubblicai nel dicembre scorso me ne è testimone; il sogno, talmente scontato da non dover nemmeno essere sottolineato, era quello di crescere e ampliare il cosiddetto "bacino d'utenza" di questo spazio semi - giornalistico. 
DIFENDERE LE POSIZIONI - Ecco, in tutta franchezza: se il primo traguardo è stato sostanzialmente raggiunto, pur se con una lieve tendenza al ribasso, il sogno di cui sopra è rimasto, per l'appunto, un sogno. Da gennaio ad oggi, il blog ha registrato circa 25mila visite, grosso modo quanto aveva messo insieme nel 2013 (per la verità leggermente meno, ma si tratta comunque di una oscillazione di scarso rilievo). Mi accontento perché di questi tempi è già tanto "tenere il mercato", stabilizzarsi, conservare uno zoccolo duro di aficionados e non rimetterci troppo nella forbice fra nuovi lettori e defezioni: in fondo, e dovrei ripetermelo più spesso, questo è solo uno spazio amatoriale, per quanto curato con scrupolo, amore, attenzione. Gli dedico il tempo che posso, e negli ultimi due mesi sono forse stato un po' meno assiduo, ma quando arriva un po' di lavoro in più (lavoro vero), pur se provvisorio, il tempo che rimane per le passioni cala enormemente, a meno di decidere di non dormire più (e già io a letto ci sto proprio lo stretto indispensabile...). A tal proposito, debbo scusarmi anche con i vari amici blogger ai quali negli ultimi tempi ho riservato meno attenzioni di un tempo, per i medesimi motivi: conto di rifarmi nei prossimi mesi. 
SANREMO E MONDIALI - Le suddette cifre un po' mi hanno stupito, perché una prima analisi aveva rivelato in realtà tendenze assai positive: i post sul Festival di Sanremo son stati gettonatissimi anche quest'anno, e l'evento traino del 2014, il Mondiale di calcio, pareva in effetti aver davvero spinto il blog, registrando un afflusso di lettori quasi commovente, anche grazie all'appoggio datomi dall'amico Ruggero, che mi ha concesso di pubblicare i miei pezzi sulla pagina Facebook del Guerin Sportivo. 
TRE POST IN TOP TEN, MA... - Evidentemente, sono venute meno altre fonti di pubblico: un po' deludenti i risultati delle recensioni cinematografiche, pochi exploit per quelle teatrali, come sempre a corrente alternata il seguito dei post calcistici extra Mondiali, pur se nel complesso discreto. Si è forse un po' esaurita la spinta di pezzi cult come quelli dedicati al defunto sito Pagine 70 (pezzi che però continuano comunque ad attrarre utenti), ma è anche vero che ben tre degli articoli di quest'anno sono entrati nella top ten dei più letti di sempre su NdA: la recensione alla piéce teatrale di Ambra Angiolini, il toto - cast dedicato al prossimo Sanremo e, cosa che non mi aspettavo, la celebrazione del ritorno in A del Palermo. Certo, occorrerebbero analisi più approfondite  dei flussi di visitatori, e decisamente non ho il tempo di farlo; forse, più semplicemente, blog come il mio oltre un certo livello non possono salire, anche se l'ambizione di alzare un po' l'asticella rimane. Del resto io vado avanti solo con le mie idee e le mie opinioni, e con pochissimi mezzi per fare promozione: ma preferisco così piuttosto che riempire la mia home page con gigantografie di ragazze discinte o con link a siti di scommesse online, roba che assicura boom di visite anche a blog e portali caratterizzati dal vuoto spinto, in fatto di contenuti. 
IL SOGNO DI UN RAGAZZINO - Pensiamo agli aspetti positivi. L'evento clou dell'anno, come detto, è stato Brasile 2014. Quando inaugurai il blog, nella lontana estate del 2011, mi posi fra gli obiettivi quello di accompagnare per mano la nostra Nazionale fino alla Coppa del Mondo, e  poi narrare day by day la kermesse iridata, come avevo sempre sognato fin da ragazzo. Beh, il mio sogno era in realtà quello di poterlo fare da giornalista inviato sul posto, e verosimilmente non lo potrò mai realizzare; l'ho fatto da blogger, ed è stato bello comunque, perché nella vita, a 40 anni, bisogna cominciare ad accontentarsi....  
Per un mese un post al giorno, a volte due: analisi di squadre e partite, critiche a volte feroci, soprattutto nei confronti degli spompatissimi azzurri, ma anche i giusti peana a una Germania che avevo intuito grandissima fin dalla gara del debutto; approfondimenti tattici nei limiti, preferendo una visione più nazionalpopolare e meno tecnicistica della manifestazione, linea editoriale che è stata comunque apprezzata. In genere non mi lascio andare ad autocelebrazioni, ma in quelle quattro settimane piene di football penso di aver fatto un buonissimo lavoro, e ne sono orgoglioso: mi inorgoglisce meno l'aver intuito, addirittura fin dall'estate precedente (brutta amichevole persa con l'Argentina) la pessima china che stava prendendo la squadra di Prandelli, senza poi lasciarmi troppo incantare dall'illusorio debutto vincente con l'Inghilterra, ma è inutile riaprire ferite ancora dolorose. 
DAL MONDIALE '34 A... LOCKE - I miei personalissimi pezzi "top" del 2014? Il dossier in due parti sui Mondiali del 1934 resterà a lungo un mio vanto, così come la lettera aperta a Balotelli, la presa di posizione contro l'ascesa dell'impresentabile Tavecchio ai vertici federali, le puntuali analisi delle partite dell'Italia e l'ancor più puntuale registrazione delle varie fasi di declino del nostro movimento calcistico; della sequela di post su Sanremo e World Cup ho già detto. Gli articoli più amari? L'addio a Boskov e Vilanova, scomparsi quasi in contemporanea, e lo sfogo dopo l'alluvione dell'ottobre scorso, doloroso ma necessario. Il gioiello nascosto? La recensione di "Locke" che ha avuto scarso seguito come limitato è stato il successo di quel film, a parer mio un capolavoro che avrebbe meritato molto di più. 
LA TV DEL DOLORE - Mi accorgo che, col passare dei mesi, ho parlato sempre meno di tv, ma che volete che vi dica? Il tubo catodico è stato fonte di continue delusioni: il 60esimo compleanno Rai festeggiato in tono minore, poche novità degne di nota, trasmissioni di livello sempre più basso: ad esempio, nei giorni scorsi avrei voluto scrivere dell'inguardabile "Storie vere" di Uno Mattina, che fornisce una ribalta nazionale a gente che dice di dialogare con gli angeli, e sovente non rinuncia alla dose quotidiana di orrori assortiti, fra omicidi e scomparse: ma ho lasciato perdere, per una volta la rabbia rischiava di prevalere sulla lucidità critica, e poi certi prodotti meritano solo l'oblio. Di certo è un programma di cui la Rai di un tempo avrebbe fatto a meno senza rimpianti 
Più in generale, è una tv sempre più immersa nelle lacrime, sempre più concentrata sulle tragedie, oltre ogni limite sopportabile: fino a pochi anni fa, mia madre si lamentava del fatto che sul piccolo schermo ci fosse troppo calcio. Oggi, per chi non può permettersi Sky e Premium, di pallone ce n'è invece pochissimo, mentre è in atto un'overdose di fatti di sangue, violenze, stupri, cadaveri occultati, bambini massacrati: fatti analizzati andando ben oltre il diritto di cronaca, con la ricerca e l'esposizione al pubblico di particolari truculenti o privatissimi che nulla aggiungono al racconto delle vicende. In sintesi: una tv che merita davvero il minimo di attenzione, ma cercherò comunque di dedicarmici di più nel 2015. 
IL FUTURO - A proposito dell'anno nuovo, dirò il meno possibile: azzardato e controproducente sarebbe far previsioni sul numero di visite. Spero solo di avere sempre un po' di tempo da dedicare a questa mia creatura. Guardando al futuro degli argomenti "forti" del blog, auspico tre cose: un Genoa che mantenga almeno in parte le abbacinanti promesse di questi primi mesi di campionato, perché ce lo meritiamo, noi grifoncini, dopo anni vissuti fra illusioni e puntualissime docce fredde; un calcio italiano che sappia liberarsi del bluff Tavecchio e riesca a trattenere un Conte sempre più scontento, per poi affidarsi a uomini che abbiano davvero il coraggio di far piazza pulita e gettare nuove fondamenta per un carrozzone allo sfascio completo; dulcis in fundo, un Sanremo di nuovo glamour, leggero, più digeribile dell'ultimo, con una spruzzatina di baudesco nazionalpopolare e con una manciata di canzoni che rimangano. Buon anno a tutti da Note d'azzurro. 

lunedì 29 dicembre 2014

RECENSIONI DAL TEATRO: "IL CLAN DELLE DIVORZIATE"


La stralunata, la bomba sexy e la mascolina. Tre donne profondamente diverse fra di loro, ma accomunate dalla necessità di dover aprire un nuovo capitolo, affrontando il trauma del ritorno alla vita da single. Sono Lucia Vasini, Jessica Polsky e.... Stefano Chiodaroli, e formano "Il clan delle divorziate", lo spettacolo griffato Alil Vardar in scena nel periodo natalizio al teatro San Babila di Milano. Con tre matrimoni falliti alle spalle e un appartamento da condividere "obtorto collo", le ragazze scoprono strada facendo, fra abitudini agli antipodi, conflitti, contrasti caratteriali, più affinità di quanto loro stesse si aspettassero, e soprattutto il desiderio, dapprima malcelato e poi sempre più prorompente, di vivere nuove avventure di coppia, di ritrovare l'anima gemella. La piéce è un crescendo di umorismo e divertimento, che raramente trascende nella volgarità: forse non "una risata ogni 30 secondi", come con insistenza sottolineano i messaggi promozionali della commedia in giro per il web, ma sicuramente si ride con continuità, soprattutto in una seconda parte a tratti scoppiettante. 
"Il clan delle divorziate" è l'occasione per riscoprire e apprezzare appieno le doti sceniche di tre artisti che poco spazio hanno trovato in altri ambiti. Penso soprattutto a Lucia Vasini, la cui maschera svagata, svampita e insicura richiede tempi comici che forse mal si adattano a contesti più "mordi e fuggi" come il cinema e soprattutto la tv (dove negli anni scorsi è stata brillante spalla di Enrico Bertolino, in una trasmissione peraltro messa in onda a tarda ora), ma che sul palco di un teatro trova adeguata valorizzazione: una recitazione magari a tratti un po' ansiogena, ma che riesce alfine a cogliere l'obiettivo, integrandosi alla perfezione in un ensemble che, sotto la patina ridanciana, nasconde le debolezze, le insicurezze e le nevrosi di donne alle prese con un passaggio delicato delle loro esistenze. 
Poi c'è Jessica Polsky, sempre in forma, bellissima e straripante nonostante non sia più una fanciulla alle prime armi, con quell'accento americano che ricorda un po' tante soubrette dei tempi andati (come Heather Parisi) e fa subito breccia in noi spettatori italiani in fondo un po' provincialotti, sensibili come siamo al fascino della ragazza di fuorivia: per lei poche glorie televisive, eppure oltre al fisico e alla sensualità c'è anche un talento recitativo di grana buona e privo di incertezze. Infine, il Chiodaroli en travesti, "donnone" su di giri, un fascio di nervi in grado di dare vita, quasi da solo, ad alcuni dei momenti più surreali, e per questo esilaranti, dello spettacolo: senz'altro più convincente in queste vesti che in quelle di taluni personaggi caricaturali (ricordate il panettiere?) ad uso e consumo di sitcom e show delle emittenti private. 
La somma delle tre, come detto, produce un mix esplosivo di stramberie, situazioni equivoche, battute salaci. Un'opera godibile, che velatamente smonta il "mito" della gioia di essere single: la compulsiva ricerca, tramite annunci su una rivista, di nuovi appuntamenti galanti è la fase più divertente dello spettacolo, ma anche quella che mette maggiormente a nudo la fragilità e il senso di incompiutezza delle tre protagoniste, arrivando persino a portare alla luce i tratti di femminilità dell'insospettabile Chiodaroli. Insomma, una doppia lettura, ridanciana e riflessiva, che accresce il valore dell'opera anche al di là del suo potenziale comico. Il marchio di fabbrica resta però il sorriso sulle labbra anche per le situazioni più "agrodolci": la chiosa finale, affidata alla lingua tagliente del suddetto "donnone", lo dimostrerà agli spettatori inequivocabilmente. 

martedì 23 dicembre 2014

SUPERCOPPA AL NAPOLI: DAL "FREDDO" DI DOHA UN MESSAGGIO DI SPERANZA PER IL CALCIO ITALIANO

                                            Higuain, protagonista assoluto in Qatar

L'annus horribilis del calcio italiano si è concluso con un messaggio di tiepida speranza, giunto fin dal lontano Qatar. Certo, la Supercoppa Tim, vinta ieri sera dal Napoli al culmine di una lunghissima sequenza di calci di rigore, non è propriamente un trofeo in cima alla lista dei desideri di calciatori, allenatori, dirigenti e tifosi (anche se, per questi ultimi, qualche dubbio viene, visti i caroselli per le strade partenopee...). Ma è una competizione che ha una sua discreta dignità, soprattutto tecnica, anche se non è mai completamente decollata: dal 1989 a oggi ha dovuto subire cambi di sede, di formula (una volta si giocava in casa della vincitrice dello scudetto) e di periodo dell'anno in cui viene disputata (ha "assaggiato" praticamente tutte le quattro stagioni). Talmente negletta da essere ormai considerata roba da esportazione: ospitarla in Italia non conviene più, meglio monetizzare con i petrodollari di un ricchissimo emirato, con l'auspicio che l'evento funga anche, un minimo (ma proprio un minimo), come volano promozionale per il nostro football ultra - decadente. 
GELO - Un intento, quest'ultimo, riuscito solo a metà: la cornice in cui si è disputata la gara è stata da apoteosi della tristezza. Nemmeno 15mila spettatori e vuoti sugli spalti del piccolo impianto di Doha, pubblico che definire freddo è un eufemismo: saranno anche stadi dotati di tutti i comfort (persino l'aria condizionata), ma pensare che fra meno di otto anni il Mondiale potrebbe disputarsi in strutture così poco ricettive e in un'atmosfera così rarefatta immalinconisce enormemente: continuo a sperare in un cambio di sede (i tempi organizzativi ci sarebbero), ma so che si tratta di una pia illusione. L'operazione export può invece considerarsi riuscita sul piano meramente calcistico: Juventus - Napoli è stata una bella sfida, dai risvolti incoraggianti, nel senso che se almeno la metà delle partite della nostra scalcinata Serie A offrisse il medesimo livello qualitativo, beh, allora potremmo dire che non tutto è perduto, che ci sono ancora margini per una ripresa del movimento in tempi sufficientemente brevi. 
BUONI CONTENUTI TECNICI - Al di là della vivacità mostrata dalle due contendenti, dei ritmi quasi sempre sufficientemente alti, dell'altalena di emozioni, a lasciare buone sensazioni sono stati soprattutto i contenuti tecnici del confronto: torinesi e campani hanno sciorinato buona proprietà di palleggio e discreta ispirazione nell'impostazione di manovre efficaci, con una buona percentuale di precisione. Certo, non sono mancati gli svarioni: il pasticcio difensivo che ha dato il là al primo gol di Tevez è stato, per dire, da manuale dell'anticalcio, un black out ampiamente in linea, del resto, col trend non propriamente esaltante della terza linea azzurra in questa prima metà di stagione. Errori che, più in generale, vanno messi in conto in un momento involutivo del pallone tricolore, ma per una volta gli aspetti positivi sono stati, mi è parso, nettamente preponderanti: un piccolo circolo virtuoso che ha coinvolto anche il pool arbitrale, protagonista di una prova senza sbavature: ci voleva, dopo certi orrori recenti, in primis l'imperdonabile Banti che, in Genoa - Roma, ha fornito un saggio esemplare di come non si debba dirigere una partita, per quantità e qualità di errori decisivi e totale disagio nel gestire con autorevolezza una situazione calda ma non caldissima. 
PRODEZZE INDIVIDUALI - Torniamo a Doha: un match piacevole, si diceva, che nessuna delle due squadre avrebbe meritato di perdere, ed è stato giusto che a decidere sia stata la crudele giostra dei rigori di spareggio (lotteria inattendibile, non mi stancherò mai di ripeterlo). Prima, c'erano state fasi di gioco alterne, ora la Juve ora il Napoli a dominare, occasioni da gol e grandi prodezze individuali: quella migliore non si è concretizzata (il delizioso tocco di Higuain andato a infrangersi sul palo), ma di assoluto rilievo è stata anche la parata di istinto di Buffon sullo stesso Pipita, nei supplementari, poco prima che l'argentino siglasse il 2 a 2 con una rete da opportunista vero, rubando il tempo ai difensori bianconeri e cogliendo l'attimo come il Pablito Rossi '82. Detto delle prodezze di Rafael, in partita e soprattutto sui penalty finali, Callejon ha sbagliato molto (anche un gol clamoroso a tu per tu col portiere) ma è parso sempre nel vivo del gioco e capace di tenere sul chi vive la retroguardia della Signora; nelle file dei campioni d'Italia, oltre a un Tevez indiavolato, Pirlo ha giostrato da par suo finché è stato in campo mentre è parso un po' in ombra Vidal, lento a entrare in partita, utile come recupera - palloni ma assai meno esplosivo e incisivo di come lo ricordavamo. 
TEATRO INADEGUATO - Tutto sommato, però, più che i dettagli della partita conta il quadro complessivo. Rimarrà negli archivi uno spettacolo più che decoroso, senza isterismi  e senza condizionamenti delle "giacchette gialle": lontanissimo il ricordo della precedente Juve - Napoli di Supercoppa, nel 2012, altra bella gara rovinata da un arbitraggio da matita blu; lontano anche il ricordo della penultima finale di Coppa Italia, quel Lazio - Roma dal gioco modesto e continuamente spezzettato, fotografia spietata della nostra decadenza. Insomma, una piccola strenna, un minuscolo ma solido mattoncino da cui ripartire per riconquistare competitività e credibilità: ed è stato un peccato che un tale concentrato di emozioni e buon football sia andato in scena in un teatro di provincia, anzi, della periferia dell'impero calcistico. Le esigenze del portafoglio, certo: ma il calcio italiano l'appeal lo ritroverà non solo migliorando le proprie espressioni di gioco, ma riportando il pubblico nostrano negli stadi della penisola, stadi possibilmente nuovi, ammodernati, senza più lacci e lacciuoli per il tifo sano e senza più la feccia degli estremisti da curva. Utopie pre natalizie? 

lunedì 15 dicembre 2014

FESTIVAL DI SANREMO 2015, ECCO I BIG: I RITORNI DI RAF E NEK E I "NON CANTANTI" DI CUI SI POTEVA FARE A MENO

                                             Raf: ritorno all'Ariston dopo 24 anni

Neanche il tempo di tirare un sospiro di sollievo alla notizia che Suor Cristina (pardon, Sister Cristina, non sia mai...) non aveva presentato alcuna richiesta di partecipazione al Festival di Sanremo, ed ecco una serie di brividi freddi percorrere la schiena, dopo aver udito i nomi di Platinette  e dei Soliti Idioti fra i convocati da Carlo Conti per la kermesse di febbraio. Si è così concretizzato il rischio che avevo paventato pochi giorni fa, ossia che l'allargamento del cast fosse anche un modo per aprire le porte a proposte di scarso spessore musicale ma di consistente appeal televisivo (e "social").
 Sopravviveremo, e del resto la forzatissima presenza del Coruzzi, che in passato aveva già tentato la carta rivierasca, dovrebbe beneficiare del tocco di classe di Grazia Di Michele, un ritorno inatteso e gradito sul palco dell'Ariston a ventidue anni (ebbene sì) dall'ultima partecipazione, quella del sensuale e fascinoso duetto con Rossana Casale in "Gli amori diversi"; e bisognerà poi vedere se il nostro si presenterà effettivamente nella sua più celebre versione en travesti o piuttosto "al naturale". Vada come vada, anche questi corpi estranei, in fondo, si inseriscono nel solco del ritorno alla tradizione che le prime mosse del direttore artistico avevano già reso evidente: i "non cantanti" in gara furono per alcuni anni un classico del Festivalone, anche se poche volte tali incursioni beneficiarono di effettivo successo: le partecipazioni di Sabani, Laurito, o ancor prima di Beruschi, rappresentarono più che altro simpatici diversivi acchiappa - audience e nulla più: il solo Francesco Salvi azzeccò un filone che per un po' di tempo gli diede non poche soddisfazioni, tanto che ad un certo punto si era messo a sfornare LP come un vero professionista della canzone.
FINALMENTE RAF E NEK - Per il resto, è un cast senza grossi sconvolgimenti, rispetto a ciò che avevo anticipato col mio post sui "papabili" pubblicato a fine novembre. Blindatissima da mesi la partecipazione dei Dear Jack, boyband fenomeno del momento che non mancherà di convogliare davanti alla tv e per le strade di Sanremo migliaia di giovanissime fans, non era difficile da prevedere il ritorno, dopo due anni, di Annalisa, Chiara e Malika Ayane, e dopo tre di Nina Zilli. I nomi di Irene Grandi, Anna Tatangelo e Marco Masini erano gettonatissimi, la rentrée  di Nek sulla bocca di molti, casomai posso "vantarmi" di aver preconizzato, forse unico in Italia, la presenza di Raf, decisosi a rompere un silenzio festivaliero di ventiquattro anni, mentre non sono certamente spiazzanti i ripescaggi di Alex Britti e Gianluca Grignani, che hanno assoluto bisogno di dare una riverniciata a una fama ultimamente un po' scolorita. E non poteva mancare il piccolo drappello rap: la commissione ha premiato Nesli, che rimase scottato dalla bocciatura di un paio di anni fa, e Moreno, altro nome più che mai à la page, per quanto discutibile nel modo di porsi e nei contenuti di certi suoi pezzi: basterebbero forse il solo genovese e i citati Dear Jack per assicurare a Sanremo 2015 il trionfo assoluto presso il pubblico in più verde età. 
FRAGOLA, SCELTA A RISCHIO - Qualche nome a sorpresa c'è, ma non tale da far gridare al miracolo: casomai si possono avanzare leciti dubbi sulla qualifica di Big attribuita a  Bianca Atzei (esclusa dodici mesi fa, quando si presentò in coppia con Britti), la quale non può vantare nemmeno un curriculum prettamente sanremese come altri ragazzi emergenti inseriti in passato nel gruppo dei "campioni" (pensiamo a Renzo Rubino l'anno scorso), mentre per Lorenzo Fragola rischierei di ripetere un discorso già fatto più volte: passare direttamente dalla vittoria a X Factor alla categoria regina del Festival continua a non convincermi. E' stata una mossa che ha funzionato davvero, nel senso più pieno della parola (popolarità duratura, dischi venduti, concerti sold out), solo con Marco Mengoni,, non a  caso il talento più puro espresso nell'ultimo lustro dal panorama talent nostrano; per Nathalie, il salto si rivelò troppo grande, al punto di risultare insostenibile, mentre Chiara Galiazzo è artista ancora in fase di crescita; rimango convinto che l'ingresso tra i veri big debba avvenire, in linea di massima, in maniera più graduale. 
LARA, STRANIERA "IN SOLITARIA" - Il "reclutamento" dei ragazzini del Volo è un tributo alla platea sanremese più tradizionale, anche se va tenuto nel debito conto il successo di pubblico che questo ensemble riesce a registrare da diversi anni in tutto il mondo. C'era infine il punto interrogativo legato ai nomi stranieri: alla fine ne è stato scelto solo uno, quella Lara Fabian nota in Italia (ma nemmeno tanto) più che altro per una lontana collaborazione con Gigi D'Alessio; è comunque una novità di peso, perché da tempo immemore, forse dal Luis Miguel del 1985, un artista di fuorivia non prendeva parte al Sanremo in solitaria: nel nuovo secolo i vari Morris Albert, Noa, Youssou N'Dour e Lola Ponce erano sempre stati in concorso in coppia  o in trio con colleghi nostrani.  

                                       Con Lara Fabian tornano gli stranieri in gara

VETERANI PIU'... FRESCHI - E' un cast ecumenico ma non troppo, e in questo senso non del tutto "baudiano": si è preferito, cioè, andare sul sicuro, sullo strettamente commerciale, piuttosto che ampliare al massimo lo spettro delle tendenze musicali. Intendiamoci, i nomi per soddisfare diverse fasce di pubblico non mancano: ci sono, l'abbiam visto, i figli dei talent che nel frattempo hanno imparato a camminar da soli, pur con diverse gradazioni di successo; ci sono invece i ragazzini "sfornati di fresco" dalle medesime trasmissioni, e la cui celebrità alle stelle, effimera o meno che sia, va cavalcata senza remore; c'è il rap e ci sono i "classici". Ecco, per quest'ultima categoria va fatta una riflessione: il salto generazionale può dirsi ormai completo, il tempo dei reduci dei Sessanta e dei Settanta pare definitivamente trascorso (segnali incoraggianti, in questo senso, erano già arrivati nelle ultime tre edizioni): i nomi di Patty Pravo e Loredana Bertè, circolati massicciamente nei giorni scorsi, sono fortunatamente rimasti lettera morta, e Fausto Leali ha avuto modo di adontarsi per il rifiuto oppostogli da Carlo Conti: lui e le altre se ne faranno una ragione, così come me la son fatta io. Si è puntato invece su veterani più... freschi, su Masini e su Grignani, sulla Grandi, su Raf e sulla Di Michele: questi ultimi due sono i più "anziani" artisticamente del cast, e fa un po' effetto rimarcarlo, a me che in pratica ne ho visto nascere il successo. 
VIVAIO TRASCURATO - Però, come detto, c'è qualche vuoto. Stona fortemente la scarsa considerazione nei confronti dei più recenti prodotti del vivaio sanremese, il cui vessillo è tenuto alto solo da Malika e Nina Zilli; ad esempio Antonio Maggio, vincitore due anni fa, non ha più avuto una chance. Il serbatoio locale meriterebbe una maggior valorizzazione, anche perché, non mi stancherò mai di ripeterlo, il futuro di Sanremo e della musica italiana passa anche da lì, non solo dai talent. Altra lacuna: gli indipendenti rampanti sono rimasti al palo, è stata riempita da altri la casella occupata nelle ultime edizioni dai vari Perturbazione, Riccardo Sinigallia, Marta sui Tubi. Peccato.
 FESTIVAL MAINSTREAM ED EQUILIBRATO - Ancora: è mancato il coraggio di pescare fra gli artisti un po' più di nicchia, per quanto comunque di fama: io avevo parlato di Teresa De Sio ed Eduardo De Crescenzo, oppure di Alice, ma poteva starci anche un Cammariere, il cui nome era stato esplicitamente fatto da qualcuno. Insomma, un Sanremo molto "mainstream", deciso a puntare a una occupazione finalmente massiccia e prolungata delle classifiche di vendita e di download. Di certo è un cast che promette una battaglia equilibrata: a meno che Raf non tiri fuori il pezzone epocale, o che i Dear Jack non sbaraglino il campo forti di un sostegno popolare oceanico, dire chi possa giungere primo al traguardo è impresa assai ardua, ed è senz'altro un punto  a vantaggio della godibilità dello show.
SANREMO "TIRA" ANCORA - Infine, una considerazione di carattere generale: le canzoni presentate al vaglio della commissione sono state 186 (parliamo sempre della categoria Big, per i giovani la quantità sale esponenzialmente). Tante, decisamente: il Festival è denigrato, osteggiato, ferocemente criticato da più parti, persino dall'interno dell'ambiente musicale. Eppure, serve come il pane a centinaia di artisti: giovani all'inseguimento della consacrazione, personaggi sulla cresta dell'onda in cerca di ulteriori conferme, onesti professionisti di classe media che necessitano di visibilità, "anziani" bramosi di un rilancio. Non comprenderne l'utilità è grave; ancor più grave sarebbe perderlo, visto che ogni anno spunta fuori chi ne chiede l'abolizione: la musica di casa nostra, già in crisi e privata di una così formidabile vetrina, andrebbe definitivamente incontro a un declino inarrestabile. 

venerdì 12 dicembre 2014

VERSO SANREMO 2015: CONTI PORTA A VENTI I BIG IN GARA, E' UN RITORNO ALL'ANTICO

                                Carlo Conti: il suo Festival torna nell'alveo della tradizione

La prima mossa di Carlo Conti sullo scacchiere di Sanremo è vincente. Dopo anni di cast striminziti, i Big in concorso salgono da sedici a venti. Una quota partecipanti così elevata non si vedeva dai tempi della "gestione Pippo Baudo", e non è affatto casuale, come vedremo, il richiamo a quel capitolo tutto sommato glorioso della storia del Festival. "Note d'azzurro", ossia il sottoscritto, non può che essere soddisfatto della novità, già nell'aria da alcuni giorni ma che non era attesa in tali proporzioni (si parlava infatti di un innalzamento a diciotto concorrenti nella categoria regina): la mia posizione in merito traspare, grosso modo, dal novanta per cento dei post che ho dedicato alla tenzone rivierasca dal 2011 ad oggi. Anni, si diceva, caratterizzati da cast ridotti al lumicino: appena quattordici posti a disposizione per i cosiddetti "campioni", nelle ultime quattro edizioni. 
POCHI CANTANTI, TROPPI EXTRA - Una gara in scala ridotta, con effetti negativi evidenti soprattutto quando il meccanismo delle eliminazioni conduceva alla finalissima un drappello davvero sparuto di artisti: una decina, col risultato che il resto del gala conclusivo veniva in qualche maniera riempito con ospitate improponibili, spesso avulse dal contesto prettamente canoro dell'evento, o con comparsate promozionali di personaggi Rai. Era un piccolo grande tradimento dell'essenza stessa della rassegna sanremese, la cui funzione è, da sempre, quella di vetrina delle migliori novità proposte dal panorama musicale leggero nostrano, quando l'inverno volge al termine e la primavera incombe: e il tradimento avveniva proprio in un periodo di acuta crisi del mercato discografico italiano, che per superare il momento difficile avrebbe avuto bisogno anche (non solo) di kermesse col format del Festivalone di un tempo, quello in cui si concedeva spazio a un numero assai ampio di cantanti. 
BAUDO E RAVERA - I tempi di Baudo, come sottolineato in apertura. Ma anche gli anni Ottanta di Gianni Ravera, anni di un Sanremo vincente e rigoroso, che non "deragliava mai", che era ancora gara di canzoni assai più che show televisivo tout court. Proprio negli anni gestiti dal patron forse più celebre, l'innalzamento della quota partecipanti era una piacevole tradizione della vigilia: i big ammessi alla gara risultavano sempre più numerosi di quelli che l'organizzazione aveva inizialmente annunciato. Il record, in tal senso, venne stabilito nel 1982: da otto che dovevano essere quasi raddoppiarono, divenendo quattordici. Per l'elevato numero di proposte e per lo spessore qualitativo delle stesse, si premurava di far sapere chi aveva operato la selezione dei brani; per soddisfare gli appetiti di qualche casa discografica in più o per ottenere in cambio ospiti stranieri di prestigio, ribattevano certi giornalisti maligni: quale che fosse il motivo, alla fine i vantaggi per la musica di casa nostra risultavano indubbi, perché salire sul palco dell'Ariston significava accrescere esponenzialmente o rinverdire la propria popolarità, entrare nel giro promozionale delle trasmissioni tv e delle radio, garantirsi buone vendite di dischi o, nella peggiore delle ipotesi, un bel bottino di serate live. 
SOSTEGNO ALLA DISCOGRAFIA ITALIANA - Vantaggi che oggi assumono valore anche maggiore, addirittura "vitale", alla luce della difficile congiuntura di mercato. Incredibile che ci si arrivi solo oggi. "E' un modo per sostenere e promuovere ancora di più la musica italiana", ha spiegato Carlo Conti, che è riuscito a smuovere acque da troppo tempo stagnanti e che ha mostrato coraggio non indifferente. Perché con questa modifica regolamentare Sanremo torna all'antico, a una riscoperta delle radici che però è stata sempre rigettata, nell'ultimo lustro, per paura dell'Auditel: è convinzione dei padroni del vapore televisivo che il pubblico del Duemila non apprezzi più le gare canore "all'antica", mal sopporta di vedere sul piccolo schermo una mera successione di cantanti. Ma forse è solo questione di abitudine, perché il telespettatore medio prende quel che gli si dà, non si spiegherebbe altrimenti il successo pluriennale fatto registrare da certe inguardabili trasmissioni trash. Del resto, le risultanze in termini di audience dell'edizione 2014 hanno  lanciato un segnale opposto: se c'è qualcosa di difficile da tollerare è un Sanremo pieno di corpi estranei, di sovrastrutture spettacolari superflue e di dubbia presa, con gli artisti in gara costretti troppo spesso a cedere le luci della ribalta, che invece all'Ariston spetterebbero loro di diritto, sempre. 
GIOVANI IN PRIME TIME - Il nuovo direttore artistico ha forzato il blocco e si richiama alla tradizione baudiana, soprattutto: perché, se Ravera aveva il vantaggio di operare in un'epoca in cui le competizioni canzonettistiche "a struttura classica" non erano considerate di difficile digeribilità, Baudo riuscì invece a conservare la centralità della gara in un Sanremo già contaminato con gli stilemi del varietà generalista, già contenitore in cui veniva immesso di tutto e di più. E' dunque con quel modo di concepire il Festivalone che la gestione Conti va idealmente a saldarsi: nel medesimo contesto si inserisce l'altra grande novità delle ultime ore, il ritorno delle Nuove Proposte a un orario di esibizione più consono: da troppo tempo relegate a notte fonda, quest'anno avranno addirittura l'onore del prime time.
Per quel poco che può valere, altra "vittoria" di Note d'Azzurro, che su questo tasto ha pigiato fino allo sfinimento. Ma è più che altro, questa come quella dei venti Big, una vittoria della ragionevolezza: se il vivaio di Sanremo è fondamentale per il futuro della rassegna e della musica italiana nel suo complesso, che senso aveva maltrattarlo con mortificanti collocazioni in scaletta, quasi fosse un fastidio, una pratica da sbrigare in tutta fretta per lasciar posto all'attore americano, al ballerino, al declamatore di poesie o all'esperto d'arte? 
I DUBBI - Poi, per carità, non è tutto oro quel che luce. Una prima rapida analisi dei brani dei giovani, ad esempio, non mi ha trasmesso sensazioni di entusiasmo, ma mi riprometto di tornare sull'argomento dopo una serie di ulteriori ascolti. E, tornando ai big, bene per i "venti", ma oltre al contenitore più capiente occorre ora un contenuto gradevole: guai, ad esempio, se l'allargamento venisse sfruttato per buttare nel calderone proposte di scarso appeal musicale e utili solo per catturare la platea televisiva.
Se dobbiamo basarci sui nomi circolati in questi giorni, e su quelli comunque più papabili per la corsa a un posto nel cast (si legga, in proposito, quanto da me scritto nell'articolo della settimana scorsa), potrebbe venir fuori un listone tutt'altro che malvagio; e se da un lato ci sono due - tre candidature che mi fanno rabbrividire (in senso negativo), dall'altro è probabile che spuntino in extremis altrettanti personaggi di cui nessun "previsore" aveva parlato, come è tradizione: l'anno passato, addirittura, una buona metà dei concorrenti Campioni spiazzò del tutto gli esperti, risultando assolutamente inattesa. Ma di questo parleremo prestissimo, diciamo fra un paio di giorni. Va infine detto che, permanendo nel regolamento la formula ad eliminazione, mette persino un po' di tristezza pensare che solo quattro Big su venti non arriveranno alla finale: a questo punto, sarebbe stato più giusto promuoverli in blocco, ma non si poteva rinunciare totalmente al pathos delle "qualificazioni", che in passato ha sempre fatto notevole presa sul pubblico. 

lunedì 8 dicembre 2014

DOPO GENOA - MILAN: COMUNQUE VADA, QUESTO GRIFO NON E' UN BLUFF


Il Genoa della prima domenica dicembrina è stato un crogiolo di emozioni. Non solo, non tanto per il terzo posto consolidato al termine di una delle sfide più difficili di questo primo scorcio di torneo: in fondo, dai rossoblù all'Inter ballano dieci squadre in dieci punti, e siamo solo alla quattordicesima giornata; tutto può ancora succedere, continuare su questo trend come ridimensionarsi e perdere quota. Emozionante, più che altro, è stato sentire un Ferraris che, finalmente compatto ("ricompattato" da Gasperini col famoso sfogo post Empoli di due mesi fa, si può dire?), negli ultimi minuti del match ha sostenuto incessantemente la squadra di casa, quasi "proteggendola" dagli spuntati tentativi di rimonta del Milan; lo dice uno che, come il sottoscritto, è lontano anni luce dalla "cultura di gradinata", dalle sciocchezze del tipo "i tifosi sono il dodicesimo uomo in campo", ma quel che è giusto è giusto, ed è gratificante sottolinearlo soprattutto in un periodo in cui, nelle nostre desolate lande, di stadi pieni e caldi se ne trovano ben pochi. 
Emozionante è stato, soprattutto, vedere un Genoa adulto e maturo. Dopo stagioni di navigazione a vista, di rischi assurdi, di squadre assemblate in maniera approssimativa, di via vai nello spogliatoio, di condottieri non all'altezza (De Canio, Liverani) o in chiara parabola discendente (Marino, Malesani), il répechage di Gasperini, poco più di un anno fa, è coinciso col ritorno a una gestione più rigorosa, razionale, di prospettiva. 
PROGETTO SOLIDO - Il vate di Grugliasco ha riportato il gusto del gioco, la voglia di costruire qualcosa di importante e duraturo, di modellare gradualmente, senza assilli e senza pressioni, una squadra con un'anima, capace di puntare al successo non solo sull'onda dell'agonismo e della generosità, ma percorrendo strade tattiche ben precise, lavorando attorno a un progetto tecnico incentrato sulla brillantezza, sul "tenere pallino", sull'aggressività. La "summa" di questo lavoro, iniziato da Gasperson nell'ottobre 2013, è stata la gara capolavoro col Diavolo: ritmo, gioco d'iniziativa, rapidità, controllo pressoché totale della partita, automatismi oliati per un undici in cui tutti sanno sempre cosa fare; e ancora, predisposizione al sacrificio da parte di tutti e buona intercambialità di uomini, con un gruppo di almeno 15 - 16 titolari effettivi. 
OROLOGIO SVIZZERO - Il dubbio che sia stato il team rossonero a fare il Genoa più grande di quanto in effetti sia è comprensibile, ma tutto sommato fuori luogo: il Milan da alcune stagioni indossa vesti più dimesse del solito, ma rimane una compagine di buona grana, quantomeno dalla cintola in su, che ha i mezzi, se non per lottare per lo scudetto, sicuramente per centrare un piazzamento europeo. E ieri, a Marassi, ha tutto sommato fatto una figura dignitosa, mostrando buona intraprendenza nella fase iniziale (e chissà cosa sarebbe accaduto, se Menez fosse stato più freddo davanti a Perin...) e lottando con furia financo sopra le righe in ogni zona del campo.
Ma bisogna avere l'onestà di riconoscere che, in questo momento, il Grifo è un meccanismo di precisione, un orologio che non perde un colpo, sostenuto da una buona dose di classe pura (magari non da Champions League, ma nemmeno da quart'ultimo posto come qualche "grande saggio" del giornalismo aveva vaticinato ad agosto), da una forma fisica straripante, da un canovaccio strategico funzionale e dalla fiducia indotta dai risultati positivi in serie. Perché vincere aiuta a vincere, del resto lo avevo scritto anche la scorsa primavera, dopo l'esaltazione seguita alla grossa prestazione offerta contro la Juventus, vanificata da una delle tante prodezze di Pirlo su punizione: le "sconfitte gloriose", questo fu il mio pensiero in sintesi, raramente sono il viatico di successi e trionfi. E così fu, in effetti: quella performance di alto livello non scaturì dal nulla, si vedeva che il buon materiale su cui lavorare non mancava, ma il progetto era ancora in sboccio, e il prosieguo del torneo, caratterizzato da capitomboli in serie, dimostrò che c'era ancora da migliorare sotto diversi aspetti. 
NUCLEO ITALIANO - Nel frattempo il Genoa è cresciuto, è oggi una squadra fatta e finita: migliorabile, certo, ma con una precisa identità di gioco e valori individuali di tutto rispetto. E' una compagine molto "italiana", il che mai come in questo momento deve essere considerato un titolo di merito, quasi un punto d'onore, anche se in molti, stranamente, se ne stanno accorgendo solo ora: eppure già quest'estate erano in rosa i vari Perin, Marchese, Antonini, Antonelli, Bertolacci, Sturaro, Matri, Greco, Rosi, Izzo, Mandragora, ma si preferiva, per evidente pigrizia mentale, tranciare giudizi irridenti sull'ennesimo "vortice di mercato", anche in questo caso facendo finta di non vedere che, a fronte dei numerosi arrivi, per la prima volta da molti anni  a questa parte si era deciso di puntare sul consolidamento di un gruppo storico che potesse dare continuità al progetto e compattezza allo spogliatoio: oltre a molti degli italiani sopra citati, sono rimasti anche Burdisso, De Maio, Kucka, Fetfatzidis, per dire.

                                  Bertolacci: sempre più prezioso per la manovra rossoblù

I GIOVANI E PEROTTI - C'è stato poi il naturale completamento di discorsi aperti nella stagione scorsa, una crescita dei singoli e del gruppo, e ci sono state, certo, fondamentali migliorie: i "tourbillon" di mercato non sempre sono fuffa, se portano in dote elementi come il colosso difensivo Roncaglia, l'utile Greco, punte affidabili come Matri e Pinilla e un "quasi" fuoriclasse, dico il folletto Perotti, che ieri pomeriggio, con le sue eleganti ed efficaci veroniche, ha fatto girare la testa a tutti i milanisti. E' un Genoa, anche, che non ha paura di dare fiducia ai giovani e giovanissimi del vivaio nostrano, anche in questo caso mosca bianca, assieme a pochi altri club (Cagliari, Atalanta, Empoli, Sassuolo, Sampdoria): l'anno scorso Sturaro, ovviamente subito "catturato" dalla Juve, quest'anno Mandragora lanciato da Gasp proprio nel delicatissimo match coi campioni d'Italia, dal quale è uscito come uno dei migliori in campo, e a seguire il difensore Izzo, attento, preciso, senza sbavature. 
QUALCOSA RESTERA' - Italianità, gioventù, qualche piede buono: basterebbe questo per capire che no, il Genoa non è un bluff. E' un team che ha sostanza tecnica, idee, vivacità. Poi, chiaro, questo vuol dire tutto e niente: domenica a Marassi è attesa la Roma, che magari ridimensionerà le ambizioni dei liguri. Tuttavia, al di là delle piccole crisi (che arriveranno), dei ko inevitabili, dei cali di forma, qualcosa resterà: il campionato del Grifone non è frutto di casualità, di partite fortunate, di calendari favorevoli: è costruito su basi solide come quelle sopra descritte, e del resto quattro o cinque azzurri o azzurrabili (Perin, Antonelli, Bertolacci, Sturaro, Matri) sono la solare evidenza della bontà del lavoro svolto a Pegli. Sarà fondamentale, quello sì, non rompere il giocattolo a gennaio e, soprattutto, mantenere il profilo basso: credersi troppo forti è la più breve scorciatoia verso le delusioni, e in questo senso vanno lette le dichiarazioni di Preziosi, tese a buttare acqua sul fuoco degli entusiasmi. Se poi gli squadroni metropolitani in crisi, le grandi multinazionali della nostra Serie A senza più "identità di patria", torneranno a fare il loro dovere, cioè quello di competere per i primi cinque - sei posti, allora tutto tornerà semplicemente normale. Ma Antonelli e compagni un segno lo hanno già lasciato. 

sabato 29 novembre 2014

VERSO SANREMO 2015, LA CORSA A UN POSTO FRA I BIG: I PAPABILI, I POSSIBILI, GLI AUSPICABILI



Verso Sanremo 2015 a ritmo blando, che più blando non si può. Le informazioni trapelano col contagocce, anche da parte di quelle testate solitamente prodighe di anticipazioni più o meno succose e più o meno attendibili; i nomi dei big papabili sono sempre gli stessi (molto pochi) da diverse settimane a questa parte; nella rosa delle possibili co-presentatrici gravitano personaggi di notevole appeal ma piuttosto prevedibili (Cuccarini, Ambra, Incontrada), mentre Carlo Conti smentisce, depista e dice: "Vi stupirò" (starà forse pensando alla poliedrica, fresca vincitrice di "Tale e quale", Serena Rossi?); buio assoluto sul fronte ospiti, al di là del tormentone Al Bano & Romina e di qualche desiderata del direttore artistico (Pink Floyd? Beh, se Fazio può permettersi gli U2 per "Che tempo che fa", perché non sognare in grande?). Riguardo al "totocast", per chi non è strettamente "addetto ai lavori" risulta oltremodo difficile reperire indiscrezioni: gli stessi cantanti, che fanno tanto sfoggio di mentalità 2.0 con una presenza massiccia sui social network, se interrogati in merito ignorano semplicemente le domande, manco custodissero un segreto di Stato... 
RITORNI - Pazienza: faccio da me, cercando di orientarmi tra i pochissimi rumors e formulando ipotesi costruite su ragionamenti che ritengo sufficientemente lineari. Partiamo dalle poche certezze: i Dear Jack sembrano proprio cosa fatta, del resto il loro nome è stato il primo a venire fuori, addirittura l'estate scorsa, così come quelli di Alessandra Amoroso, sulla cui presenza si sono però addensati diversi dubbi (ma questo potrebbe essere davvero l'anno buono, per lei), e di Dolcenera, la cui candidatura rimane invece ben solida. Per il resto, un criterio credibile da seguire è quello di guardare alle ultime edizioni del Festival. Difficile rivedere in gara qualche big presente nel 2014, forse l'unico a poter trarre vantaggio da una nuova presenza sarebbe il solo Renzo Rubino, per completare un percorso triennale di maturazione e consolidare i buoni risultati ottenuti nelle prime due partecipazioni, mentre Rocco Hunt alla fine potrebbe essere della partita, dopo aver manifestato iniziale scetticismo su un suo ritorno a stretto giro di posta. 
Andando a ritroso, è plausibile che chi è sceso in campo negli anni immediatamente precedenti decida di presentare domanda, per rinfrescare la propria visibilità o per lanciare con più forza progetti discografici prossimi alla pubblicazione: ecco quindi che dal 2013 potrebbero riemergere Annalisa Scarrone, Malika Ayane, Chiara Galiazzo (magari con un repackaging del recente album) e Simona Molinari, oltre ad Antonio Maggio, che quell'anno vinse fra i Giovani e che nel 2014 si è confermato su buonissimi livelli (sua la sigla del "Processo del Lunedì" di Rai Sport, suo il gradevole brano estivo "Stanco"). 
Dopo l'esperienza del 2012, i tempi sono nuovamente maturi per Nina Zilli, oltreché per Irene Fornaciari e Pierdavide Carone; mancano dal 2011 Luca Barbarossa e Anna Tatangelo, nomi fatti in questi giorni come quelli di Irene Grandi ed Enrico Ruggeri, la cui ultima partecipazione risale invece al 2010. Rrouge avrebbe proposto un brano assai ispirato, dedicato ad alcuni artisti scomparsi (Gaber, Jannacci, Faletti). Altro nome piuttosto gettonato è quello di Marco Masini, sei anni dopo la buona performance del 2009 con la non del tutto compresa "L'Italia", e di quella edizione targata Bonolis (che segnò il rilancio della manifestazione dopo la profonda crisi del 2008) potremmo ritrovare in gara anche Sal Da Vinci. 
ANNI NOVANTA - Secondo news raccolte in rete, sarebbero in lizza diversi esponenti della bistrattata generazione anni Novanta, che ho spesso strenuamente difeso su questo blog: da Mietta a Syria fino a Massimo Di Cataldo, riemerso da una dolorosa vicenda giudiziaria (con "mostro" regolarmente sbattuto in prima pagina...) e desideroso di riguadagnare il terreno perduto. Mesi fa, gli Zero Assoluto ebbero parole di stima per la kermesse rivierasca, e quell'endorsement portò molti media a ipotizzare un loro ritorno all'Ariston: non so se la cosa abbia un qualche fondamento, ma di certo il duo romano avrebbe bisogno di una grossa ribalta, dopo alcuni anni trascorsi un po' sottotraccia in fatto di presenze sui canali "generalisti". Sicuro è il tentativo di partecipazione di Goran Kuzminac, una sfida difficile da vincere ma che merita tutto il nostro appoggio; meno convincente la coppia Alessandro Safina - Luisa Corna, di cui molto si è scritto.  
REDUCI DALL'ESTATE E GIOVANI RAMPANTI - Ci sarebbe da pescare del buono fra i protagonisti dell'estate canora 2014, contraddistinta da una buona fioritura di canzoni orecchiabili e di facile impatto: da Gianluca Grignani a Nek (il cui ritorno alla kermesse ligure è atteso ormai da ben diciotto anni), da Deborah Iurato all'eccentrico Paolo Simoni, un ragazzo che ha fatto centro con "Che stress" e "15 agosto". A proposito di freschi virgulti della nostra musica leggera, sarebbe interessante rivedere qualcuna delle Nuove Proposte dell'anno passato, come Zibba e quel Diodato che è oggi un volto piuttosto popolare, grazie alle partecipazioni al citato show di Fazio e al recente album di cover anni Sessanta. Andando più indietro, perché non puntare su Erica Mou, voce fra le più interessanti e originali prodotte di recente dal vivaio del Festival, o su Giua, alle prese con la realizzazione di un disco attraverso la strada del crowfunding? Per non parlare degli eternamente bistrattati Jalisse, che una chance prima o poi dovranno pur meritarla... Scommetto qualche spicciolo sul fatto che tenteranno la riscossa recenti vincitori sanremesi amatissimi dal pubblico giovane, come Valerio Scanu (forte delle convincenti performance a "Tale e quale show"), Marco Carta e Alessandro Casillo. 
VETERANI DA SCEGLIERE CON CURA... - Per il resto, detto di un Mario Biondi nuovamente accostato al Festivalone (ove finora non si è mai visto, come concorrente: sarà la volta buona?), ci sono almeno altri tre grandi gruppi in cui pescare: il mondo rap - hip hop, con i vari Moreno e Clementino (ma il vero colpo sarebbe Emis Killa, fresco di tormentone Mundial), i tanti che negli ultimi anni hanno tentato, stando ai giornali, la via dell'Ariston senza fortuna (da Alex Britti ad Alexia, da Paolo Vallesi a Tosca, solo per citarne alcuni), e l'immenso bacino dei veterani, che solitamente presentano domanda in massa: ne fa parte il menzionato Kuzminac, ne fanno parte nomi fin troppo presenti in Riviera nelle più recenti edizioni (su tutti Loredana Bertè, le cui quotazioni vengono date in rialzo). Personalmente, auspico che Conti e la sua commissione artistica si allontanino dal "già visto", dando invece spazio a "grandi vecchi" che, in questo primo scorcio di secolo, di opportunità ne hanno avute ben poche, dai personaggi più nazionalpopolari (Riccardo Fogli, Don Backy) a quelli più "sofisticati" (Eduardo De Crescenzo, Teresa De Sio, Alice...). 
INDIPENDENTI E STRANIERI - Necessaria, inoltre, una maggiore attenzione a quel mondo indipendente che nelle ultime stagioni ha ottenuto riscontri di pubblico non indifferenti: un Brunori Sas o un Dente, ad esempio, porterebbero una bella ventata di freschezza. Mentre, se si vuole cercare il colpaccio, sfumata l'ipotesi Carmen Consoli (con album in uscita a gennaio, ossia poche settimane prima della kermesse, e un singolo rilasciato giusto ieri: peccato davvero), perché non puntare su due grandi rentrée per Negramaro e/o Raf? Personalmente, poi, apprezzerei molto la presenza di Niccolò Fabi e di Neffa, cantautori di valore mai adeguatamente valorizzati dalla rassegna ligure. 
Infine, il discorso stranieri in gara: con sedici posti, ossia sempre pochi, penso che si debba dare la precedenza agli artisti di casa nostra (sarebbe diverso già con sole due caselle in più da riempire), in ogni caso non mi scandalizzerebbe vedere un grande nome internazionale scendere nell'arena: magari uno Stromae, il quale l'anno scorso, ospite all'Ariston, affermò che non si sarebbe tirato indietro di fronte alla possibilità di competere, oppure star onuste di gloria in qualche modo legate all'ex Bel Paese come Anggun, Mick Hucknall, Amii Stewart, o ancora vedettes più o meno sulla cresta dell'onda (Iglesias jr., John Legend...) che accettassero la scommessa di cantare in italiano, cosa che un tempo avveniva con un certa frequenza mentre oggi è rarità assoluta. 

mercoledì 19 novembre 2014

INTORNO A ITALIA - ALBANIA: GIOVANI VIZIATI (O FORSE NO), LA FESTOSA INVASIONE DI GENOVA E LA SATIRA DI "MILANO FINANZA"

                                           Conte è preoccupato per il futuro azzurro

Lo sfogo pre Albania di Antonio Conte davanti ai microfoni Rai è, prima di ogni cosa, un piccolo capolavoro giornalistico: dimostra come sia ancora possibile realizzare delle interviste di spessore in un'epoca sconfortante per i media tricolori, boccheggianti fra omologazione dell'informazione e ossequi spudorati al potente di turno. Merito dell'intervistatore (Bruno Gentili), ma merito soprattutto del cittì, che ha saputo dire cose non banali come di rado capita nell'ambiente calcistico, campione del mondo di frasi fatte. Dopodiché, della sua filippica si può discutere senza prendere tutto per oro colato. 
SFATICATI? - Sa un po' di faciloneria, questo improvviso attacco concentrico (poche ore prima, aveva sparato a zero il trainer "albanese" De Biasi) contro i giovani calciatori italiani viziati e lavativi (mia interpretazione delle loro parole, credo non lontana dalla realtà). Senza più la fame atavica dei nostri padri, senza più la voglia e la gioia di faticare. Massimo rispetto per due professionisti che il pallone nostrano lo respirano da una vita (o lo hanno respirato, nel caso del mister ex Torino), e che sulla scorta di tale esperienza sicuramente non parlano a vanvera, però la tesi non mi convince del tutto. I "fancazzisti", per usare un colorito termine oggi assai in voga, sono esistiti in tutte le epoche e in tutti gli ambiti lavorativi, con diverse percentuali: ma mi vien difficile credere che questo imborghesimento abbia toccato solo i ragazzi dello Stivale, visto che gli agi della modernità, dai videogiochi agli smartphone ai tablet cui proprio De Biasi ha fatto riferimento, sono assai diffusi anche in molti altri Paesi, penso all'ultratecnologica Germania, che però ha vinto l'ultimo torneo iridato e che si trova nel pieno di una magnifica fioritura di talentuosi pedatori. 
LE VERE ORIGINI DELLA CRISI - Ritengo che la crisi nasca altrove, e che sia cominciata quando i massimi responsabili del nostro calcio hanno dato la peggiore interpretazione possibile della sentenza Bosman, imbottendo progressivamente le prime squadre (ma anche i settori giovanili) di calciatori stranieri di dubbia qualità, se non di qualità modestissime, abbandonando quasi totalmente gli investimenti sul vivaio locale. Il carico da novanta l'hanno aggiunto proprio i nostri celebrati allenatori, dando scarsissima fiducia (leggasi minutaggio) agli italiani in sboccio, che han finito per intristirsi in panca, in tribuna o nelle categorie inferiori.
Quello che voglio dire è che sì, forse gli "azzurrabili" di questa ultima generazione si sarebbero ugualmente dimostrati non all'altezza, ma non è stato dato loro modo di giocare ad armi pari con gli stranieri: perché senza poter fare esperienza di campo, crescere, sbagliare e imparare dagli errori, ecco, maturare e diventare calciatori veri è onestamente difficile, diciamocelo. La sensazione è che un'intera generazione, quella che sarebbe dovuta esplodere più o meno dopo il Mondiale 2006, sia stata bruciata sull'altare di queste follie tecniche e gestionali: e che non fosse una "nidiata" da buttare lo dimostra il fatto che, alla lunga, gente come Parolo, o Astori, o Candreva, o Antonelli un posto al sole è riuscita in qualche modo a ritagliarselo; ed è pacifico che avrebbero potuto assumere uno spessore calcistico anche maggiore, diventare campioni a tutto tondo, se le grandi società avessero puntato più sollecitamente su di loro. 
IMMOBILISMO AI VERTICI - Conte si aspettava una maggior partecipazione collettiva da parte di tutti, così ha detto. Ci si è focalizzati sull'accusa di scarsa predisposizione al lavoro nei confronti delle nuove leve, ma i danni combinati dai "padroni del vapore" sono sotto gli occhi di tutti, così come è evidente l'immobilismo (prevedibilissimo) che sta caratterizzando la nuova reggenza federale, dalla quale non giungono notizie di atti formali e sostanziali (al di là dei proclami) per un concreto rilancio del movimento. Sbatta i pugni sul tavolo di Tavecchio, il Commissario Tecnico: pretenda innanzitutto almeno una (se non due) amichevoli fra dicembre e febbraio (quattro mesi di sosta, roba da matti), faccia lui stesso da pungolo agli sparagnini tecnici di club, forzi loro la mano, lanciando i giovanissimi prima ancora che questi emergano concretamente in campionato, come fece Prandelli dopo Euro 2012 portando in Nazionale Perin e De Sciglio, quasi vergini di esperienza in Serie A. Il fumantino mister ex Juve è stato preso anche per dare una scossa a un ambiente cloroformizzato: lo faccia, anche bruscamente, perché non c'è tempo da perdere. E se ha notato deficit fisici dei suoi giocatori rispetto agli avversari esteri, si chieda perché fino a una decina di anni fa eravamo all'avanguardia sul fronte della preparazione atletica, mentre oggi soffriamo il ritmo di tutti. Colpa solo della nostra allergia agli allenamenti? 

                                           Bertolacci: ottimo esordio in Nazionale

RAGAZZI IN GAMBA - Dopodiché, sono sicuro che i giovani, sentendosi responsabilizzati e valorizzati, avvertendo fiducia (e pazienza) attorno a loro, non tirino indietro il piede in campo né risparmino il fiato in allenamento. Alcuni di questi lo hanno dimostrato a Marassi: quella contro l'Albania è stata la classica amichevole "utile", succosa, che una traccia sul futuro azzurro la lascerà, sol che la si voglia seguire. Bertolacci ha giocato una gran gara a centrocampo: svelto, sempre nel vivo dell'azione, propositivo, capace di smistare e lanciare di prima, vicino al gol con una delle sue fiondate dalla distanza; Antonelli ha coperto la fascia sinistra con diligenza e discreta applicazione nelle due fasi, Okaka è entrato in campo con piglio aggressivo e ha siglato il gol vittoria; anche il ritrovato Acerbi, nei pochi minuti avuti a disposizione, si è bellamente disimpegnato in difesa; per altre stelline nascenti come Perin e Gabbiadini, che ieri han fatto da comparse, parla il rendimento elevatissimo in campionato, mente è stato un peccato che nemmeno al Ferraris si sia potuto vedere all'opera Rugani, in una retroguardia che ha manifestato più di un impaccio. Sicuri che la Nazionale del 2015 possa fare a meno di questi giovanotti? E si è rivisto persino un Cerci super volitivo, che ovviamente dovrà dire la sua anche all'Atletico Madrid ma che, se non altro, ha avuto l'unico atteggiamento mentale possibile, quello di chi sa di aver già perso troppe occasioni per continuare a cincischiare in un oscuro limbo.
AMICHEVOLE SOPPORTATA - Italia - Albania è filata via così, fra speranze azzurre vagamente rifiorite ed entusiasmo dei nostri ospiti, in un clima quasi Mundial, con quello stadio gonfio di tifosi "rossi". A Genova, è stata una partita più sopportata che accolta con benevolenza: persino prestigiose firme locali si sono schierate nettamente contro un evento ritenuto fuori luogo in una città doppiamente ferita dalle alluvioni. Io, la mia l'avevo detta due settimane fa in questo post, chiedendo, ovviamente inascoltato, che fosse la Federcalcio ad "offrire" il match alla popolazione genovese, facendosi carico dell'acquisto dei biglietti.
Era un'idea come un'altra, accompagnata da un po' di personale perplessità su una forma di beneficenza che non mi ha mai convinto del tutto; di certo non una feroce opposizione, la mia, alla realizzazione di una kermesse che, alla fine, è risultata ben riuscita. Fuori luogo, quelle sì, le polemiche di certi tifosi rossoblucerchiati sulla convocazione per presunta "ruffianeria" di tanti idoli locali: ma Samp e Genoa sono quarta e sesto in classifica, e sono due delle poche squadre di Serie A che puntano ancora su un .nucleo centrale di italiani, molti dei quali giovani; se uno più uno fa due, Conte ha fatto una scelta piacevolmente obbligata, vista la qualità e la quantità del materiale umano offerto dai due sodalizi della Lanterna. 
VOLGARITA' - Ancor più fuori luogo la "puntura di spillo" satirica offerta in mattinata ai suoi lettori da "Milano Finanza", pubblicazione presumibilmente diretta a sofisticati uomini d'affari: in prima pagina, sotto il titoletto "Il rompispread", la seguente frasetta: "Italia - Albania a Genova. Ospiti favoriti: coi gommoni sono esperti". Ritorniamo da dove eravamo partiti: questo è un altro capolavoro giornalistico, capolavoro del cattivo gusto. E a proposito dello stato desolante dell'informazione italiana, ci sono almeno tre domande da porsi: in base a quali criteri vengono scelti i collaboratori di giornali presumibilmente prestigiosi? Chi controlla le pagine, affinché non vadano in stampa certe scempiaggini? E se chi ha fatto i controlli ha ritenuto passabile questa "battuta", quale strano concetto dell'ironia e del sarcasmo possiede? Quesiti che, come sempre, rimarranno senza risposta.


lunedì 17 novembre 2014

IL PARI AZZURRO CON LA CROAZIA: PUNTO GUADAGNATO PER UN'ITALIA "SFAVORITA", IMPROVVISATA E SENZA FOSFORO


Stranezze azzurre, a San Siro. L'Italia gioca di domenica, una consolidata consuetudine fino alla metà del secolo scorso o giù di lì, ma in seguito evento estremamente raro (che accade, quando accade, quasi esclusivamente nelle fasi finali di Mondiali ed Europei). E, fatto ancora più insolito, la nostra Nazionale affronta una sfida interna di qualificazione nelle vesti di sfavorita. Non è il caso di stracciarsi le vesti: le urla di ribellione, casomai, andavano lanciate qualche annetto fa, quando scelte suicide di mercato e strategie sparagnine di tanti celebrati trainer cominciarono a frenare la crescita dei nostri giovani. Oggi, non resta che prenderne atto e adattarsi con umiltà al basso profilo, in attesa di tempi migliori (che però non arriveranno per miracolo divino), cercando di trarre il massimo da un materiale umano non esaltante ma neppure così modesto da indurre alla disperazione.
Tutto questo per dire che, sì, ci stanno gli applausi, i visi soddisfatti e i sospironi di sollievo per l'1 a 1 con la Croazia maturato al Meazza, in un contesto di diffusa inciviltà: italiana (i fischi all'inno, ormai deprecabile tradizione) e soprattutto croata (controfischi, lancio di fumogeni, teppismo assortito sugli spalti, con tanto di sospensione forzata del match). Incivile, o comunque sintomo di inefficienza ai massimi livelli, è anche consentire a questa gentaglia di introdurre certo materiale negli impianti, un mistero poco gaudioso che si trascina da decenni.
TECNICAMENTE INFERIORI - Tornando al calcio, la selezione biancorossa è, al momento, più collaudata, organizzata e tecnicamente dotata della nostra: se poi sei costretto ad affrontarla con l'handicap dell'assenza di due - tre titolari chiave, beh, non puoi pensare di cavartela a buon mercato. Gli azzurri sono stati quasi costantemente in soggezione nella zona nevralgica, là dove prende corpo la manovra, ed era ampiamente prevedibile: i palleggiatori croati hanno irretito con facilità estrema il nostro reparto di mezzo, che non aveva fosforo e lucidità da opporre in quantità sufficienti. Inevitabile: oggi come oggi, Conte non può rinunciare contemporaneamente al suo attempato creatore di gioco, il Pirlo in crescita delle ultime uscite juventine, a un Verratti che potrebbe surrogarlo degnamente, pur con caratteristiche diverse, e a un Bonucci essenziale per la sua capacità di impostare dalle retrovie. 
SQUADRA ACEFALA - Era dunque un Club Italia acefalo, che per le sue scarne luminarie offensive si affidava alle estemporanee giocate del duo Immobile - Zaza: pressoché nullo in fase conclusiva, ma abile (soprattutto col golden boy del Sassuolo) a creare varchi, portar via difensori, appoggiare i compagni in inserimento. Proprio da un'azione simile, difesa della palla di Zaza in area e tocco all'indietro per Candreva, nasceva il vantaggio dei nostri, realizzato dall'esterno laziale con una fiondata dalla distanza finalmente precisa, dopo tanti, troppi tiri fuori bersaglio nelle precedenti uscite azzurre. Prima, i nostri avversari avevano tenuto pallino ma creando un solo autentico pericolo, una ciabattata di Vida altissima da posizione ultra - favorevole; a rovinare tutto ci pensava Buffon, con una delle topiche più clamorose della sua carriera: destro telefonato di Perisic e pallone sotto il ventre. 
DE ROSSI IN TRINCEA - Al di là del colossale infortunio di Gigi, l'undici di Conte non incantava, ma faceva il suo con dignità: superava lo shock dell'infortunio di Pasqual grazie all'ingresso di un Soriano dinamico e intraprendente, e si avvantaggiava dell'uscita di Modric, fondamentale uomo - squadra del team di Kovac. Il trio difensivo, del tutto improvvisato, teneva botta con mestiere, grazie anche alla copertura di un De Rossi che rinunciava pressoché completamente alla propulsione per dirigere il traffico in fase di filtro, mentre Ranocchia trovava il suo momento di gloria con un provvidenziale salvataggio sulla linea su conclusione di Olic, antico nostro castigatore al Mondiale 2002.

                                                  Zaza: troppo solo in avanti

IL RITORNO DEL FARAONE - L'inaudita sofferenza della prima metà della ripresa (ma anche questa, a ben vedere, con pochi veri pericoli per la nostra porta) nasceva, oltreché dall'elevato ritmo impresso al match dagli ospiti, da una mal concepita alchimia tattica del cittì, che immetteva El Shaarawy per Immobile affidandogli però compiti eccessivamente difensivi, col risultato di schiacciare troppo verso Buffon la squadra (anche perché, ripetiamo, non c'erano i titolari maggiormente predisposti a far ripartire l'azione), mentre il povero Zaza pagava un elevato debito atletico all'assurdità di dover tenere botta da solo contro l'intera terza linea croata. Per fortuna, il Faraone made in Genoa era una pentola in ebollizione, dopo un'anticamera troppo lunga: si impadroniva del match e trascinava l'Italia fuori dalla trincea, armando una serie di tiri verso la porta di Subasic (uno dei quali terminava alto di un nulla). L'ingresso di Pellè, centravanti vecchio stampo, abile a impegnare i rivali anche solo su un piano meramente fisico, consentiva ai nostri di rinsaldare ulteriormente il controllo della partita, fatto salvo un inopinato rischio in contropiede corso nel finale, con Perisic che si presentava da solo davanti a Buffon ma calciava a lato. 
CIRO E ZAZA ABBANDONATI A LORO STESSI - Sarebbe stata una punizione eccessiva, per un'Italia in totale emergenza. Senza qualcuno che regga le fila della manovra, che produca idee sulla mediana, difficile andare al di là della prestazione "tutto cuore". Un peccato, perché a tratti si è persino vista più precisione di tocco rispetto al recente passato, in alcuni pregevoli scambi sulla trequarti: ma sono state fiammate, affidate più all'estro dei singoli che frutto di un'organizzazione corale. Se non hai cervelli non puoi batterti ad armi pari con avversari così forniti di classe, soprattutto se l'alternativa tattica, ossia lo sfruttamento delle fasce, rimane un progetto incompiuto: De Sciglio, che pure ha fatto il suo in copertura, non riesce proprio a trovare continuità di spinta, arrivando troppe poche volte al cross.
In un contesto così dimesso è risultata totalmente depotenziata anche la promettente coppia gol Immobile - Zaza: soprattutto il "tedesco" non ha saputo andare oltre il lavoro oscuro: ma erano troppo isolati, in una squadra spezzata in due tronconi. Osservando certe fasi del match, mi sono trovato a pensare che il Balotelli  dei primi tre anni in azzurro, un Mario "a posto" fisicamente e mentalmente, avrebbe potuto, anche in una compagine così precaria, creare qualche preoccupazione in più alla retroguardia di Kovac. Ma è un discorso già trito e ritrito. Casomai, occorrerà valutare se sia opportuno continuare nella costruzione del "monumento Buffon", visto che da almeno un anno il portierone non è più un autentico valore aggiunto. Sirigu e Perin scalpitano... 

lunedì 10 novembre 2014

VERSO ITALIA - CROAZIA: BALOTELLI, CERCI E MORETTI, QUELLE CONVOCAZIONI INSPIEGABILI

                                                  Cerci ai tempi felici del Toro

Fare la tara alle convocazioni in azzurro è molto spesso un esercizio di sterile accademia. Perché la Nazionale non è una selezione All Stars, di quelle che per troppo tempo sono andate di moda nel football del secolo scorso, scimmiottamento delle usanze di altri sport di squadra, raffazzonate accozzaglie dei migliori giocatori del momento messi insieme per disputare improbabili amichevoli di fronte a pochi spettatori. No, la Nazionale, per progetto e filosofia, è qualcosa di assai più serio, molto più assimilabile a un club: certo, in linea di massima deve farvi parte la crema del movimento calcistico locale, ma non sono frequenti i casi in cui riescono a figurarvi elementi magari non di eccellenza sul piano della classe pura, ma utili al cittì di turno per caratteristiche tattiche, disponibilità al sacrificio, importanza psicologica e morale all'interno dello spogliatoio. Dal Casiraghi dell'era Sacchi (portato ai Mondiali americani nel periodo più infelice della sua carriera, quanto a capacità di inquadrare la porta avversaria) al Giaccherini prandelliano, gli esempi si sprecano. 
Però, a volte, capire è veramente difficile. In vista dell'impegno europeo con la Croazia a Milano, e della successiva amichevole benefica (ma dallo scarsissimo appeal tecnico, va onestamente riconosciuto) con l'Albania a Genova, Conte ha inserito nel suo listone Balotelli, Cerci e Moretti, e francamente, per quanto ci si sforzi, non si riescono a scovare motivazioni valide per giustificare tali scelte. La... benevolenza critica di "Note d'azzurro" nei confronti del "Mario non più super" è conosciuta dai miei pochi lettori e non è il caso di spiegarla per l'ennesima volta: mi corre solo l'obbligo di ricordare che questa estate, dopo lo scempio Mondiale, avevo auspicato un momentaneo allontanamento dal Club Italia del fumantino attaccante siculo - bresciano, perlomeno fino al momento in cui egli non avesse dimostrato, con la bontà delle prestazioni e con un miglioramento dell'atteggiamento in campo, di meritare un ritorno nel gruppo. 
Ebbene, non mi pare che questi primi mesi al Liverpool abbiano fatto registrare passi importanti di Balo verso la tanto sospirata maturazione, anzi: i problemi caratteriali sono ben lungi dall'essere risolti (lui non si aiuta, e nessuno pare aver voglia di aiutarlo, già scritto anche questo), il suo rendimento è modesto e la sua incidenza sulle alterne vicende dei Reds pressoché nulla. Situazione ancor più buia per Cerci, la cui luce di abile palleggiatore e buon fromboliere si è spenta col rigore calciato fra le mani di Rosati in quel Fiorentina - Torino di fine campionato, un 2 a 2 che aveva fatto sfumare il sogno europeo dei granata, poi rifiorito esclusivamente per... questioni burocratiche. Da allora, una Coppa del Mondo disastrosa (scarso minutaggio e difficoltà insormontabili nel saltare l'uomo, la sua principale caratteristica), e un ruolo da comparsa nell'Atletico Madrid, poche presenze e tanta panchina. E Moretti? Un difensore non più di primo pelo, ignorato dai predecessori di Conte nella fase migliore della sua carriera, ossia ai tempi della positiva esperienza di Valencia; quest'anno, un primo scorcio di stagione da sufficienza piena, ma nulla di trascendentale, solo ciò che dovrebbe essere la normalità per un medio difensore di una media Serie A. 
Certo, tre casi che meritano letture differenti. Non esiste alcuna giustificazione tecnica per il ripescaggio del buon Alessio, mentre per Mario, lo si sa, il discorso è da sempre assai più complesso. Anche se non tutti sono disposti a riconoscerlo, si tratta pur sempre di uno dei maggiori talenti espressi dall'avaro calcio italiano dell'ultimo decennio, e in azzurro ha uno score di tutto rispetto: in tre stagioni da titolare ha messo a segno tredici gol, quasi tutti decisivi: non molti dei suoi più illustri predecessori son riusciti a fare di meglio. Comprensibile, dunque, che un CT alla prese con un momento delicato del nostro vivaio, e un conseguente laborioso ricambio generazionale, abbia una certa fretta di recuperare alla causa un talentuoso mattocchio che, se adeguatamente disciplinato, potrebbe ancora risultare fondamentale. Ma, ripeto, occorreva un segnale concreto da parte del ragazzo, segnale che invece non è arrivato: doveva essere questa la base per un credibile rilancio di Balotelli, tanto più che, alla luce delle buone prove offerte da Immobile, Zaza e Pellè, non vi era alcuna necessità estrema di accelerare il reinserimento. 
Per quanto riguarda il difensore dei granata, invece, non resta che allargare le braccia sconsolati: sia detto con il massimo rispetto, ma è un elemento di seconda fascia che, nei tempi ormai lontani delle vacche grasse (nel senso di abbondanza di "azzurrabili") non avrebbe mai trovato spazio nella selezione nazionale; oggi, con l'assenza di Bonucci, gli acciacchi di Astori e Romagnoli, i vari Bianchetti e Biraghi non ancora pronti per il grande salto, si è costretti a certe scelte di ripiego che intristiscono assai. La speranza è che, fra San Siro e Marassi, possa finalmente conoscere l'esordio il bravo Rugani, uno dei pochi prospetti di autentico valore in un reparto che un tempo, in Italia, sfornava a getto continuo calciatori di assoluta affidabilità. 

lunedì 3 novembre 2014

LUCCA COMICS AND GAMES 2014: PIU' CHE UNA GITA, UN'AVVENTURA. LE LACUNE ORGANIZZATIVE DELL'EVENTO


Rimane sempre l'amaro in bocca, quando una gita organizzata con discreto anticipo nei minimi dettagli diventa, per motivi indipendenti dalla propria volontà, una sofferta navigazione controcorrente, contro tutto e contro tutti. Sabato scorso, primo novembre, di buon mattino sono partito in direzione Lucca, in compagnia dell'amica Simona, per visitare la kermesse "Lucca Comics and Games", un must per gli appassionati di animazione (giapponese, ma non solo), di fumettistica, di collezionismo. Mancavo dal 2010: in questi quattro anni alterne vicende, personali e non, mi hanno tenuto lontano dall'evento, ma la voglia di tornare laggiù almeno un'altra volta non mi ha mai abbandonato. 
"Lucca Comics" non è una semplice fiera: non a caso la dicitura ufficiale è "Festival internazionale del fumetto, del cinema d'animazione, dell'illustrazione e del gioco". A me piace da sempre definirlo un colossale Carnevale. Tutta la città è in pratica coinvolta: nei giorni della manifestazione (solitamente il periodo del ponte dei Santi) le strade si colorano e si riempiono: di visitatori, certo, ma anche di cosplayer, gli impagabili ragazzi abbigliati coi costumi degli eroi dei cartoni e dei film, uno spettacolo nello spettacolo, genuini esempi di genio artistico e creatività fatti in casa. E poi, ovviamente, stand su stand, per acquistare materiale a tema, e ancora mostre, proiezioni di film, concerti, ospitate di prestigio. 
DISASTRO ORGANIZZATIVO - Potenzialmente una festa meravigliosa, un happening da favola. Ma c'è un però: Lucca non si è dimostrata all'altezza. Colta del tutto impreparata dalla marea umana riversatasi fra le mura, la città è andata in tilt. Lucca Comics è stato, dal mio punto di vista, un disastro organizzativo, soprattutto sul piano dell'accoglienza e della gestione della massa dei visitatori. Non mi interessa, in questa sede, individuare le responsabilità specifiche (non ho elementi sufficienti per indirizzare accuse circostanziate), quanto raccontare ciò che ho visto e vissuto: le stradine lucchesi non chiuse al traffico veicolare, in cui si sono creati ingorghi paurosi di persone, automobili e furgoni, con due effetti: tempi interminabili trascorsi immobilizzati in coda (mezze ore di nulla, di snervanti attese sottratte alla possibilità di visitare le attrazioni del Festival), e gente addossata, compressa, sotto un sole novembrino imprevedibilmente caldo, col rischio concreto di malori (in effetti, ne ho sentite parecchie di sirene d'ambulanze echeggiare nell'aria). 
Con una tale gestione della circolazione nella zona fieristica, si reca danno in primis all'evento stesso, che beneficia di un numero di visitatori inferiore a quello che garantirebbero una migliore ricettività e una più funzionale logistica. Poi, un servizio ferroviario locale assolutamente inadeguato: occorreva un potenziamento delle tratte, le poche corse erano invece gremite all'inverosimile e spesso in ritardo, creando problemi insormontabili relativamente alle coincidenze, indispensabili per chi (e credo fosse la maggioranza) veniva da fuori regione. 
SICUREZZA ASSAI VAGA - I parametri di sicurezza indispensabili quando si verificano colossali assembramenti di persone mi pare siano stati piuttosto lacunosi, in più punti e a più riprese. Sarà pur vero che il sottoscritto non si trova particolarmente a proprio agio in luoghi affollati (concerti in piazza e discoteche, soprattutto), ma ho avuto la sensazione netta, in diverse circostanze, di potermi fare del male. Quella sgradevolissima sensazione in cui non ti senti più del tutto padrone del tuo destino e... del tuo corpo: in uno degli ingorghi stradali di cui sopra, e poi sulla via del ritorno, al momento di salire sul treno Lucca - Viareggio, sono stato spintonato con violenza e sballottato, per un istante quasi sollevato da terra e trasportato dalla massa. Certo, questa è anche una questione di civiltà collettiva, che esula dalle lacune organizzative della giornata: l'assalto al treno in cui sono stato mio malgrado coinvolto è roba da quarto mondo; capisco la fretta e la stanchezza, ma poi? Erano tutti reduci da una giornata di festa, per quanto stressante per i motivi di cui sopra, e non da otto ore di duro lavoro: che bisogno c'era di travolgere chiunque (rischiando di far cadere gente sui binari) per accaparrarsi un posto (in piedi, il più delle volte) sulla vettura? 
RITORNO AVVENTUROSO - Il viaggio di ritorno è stato allucinante, fin dall'approccio alla stazione: per passare da un gruppo di binari a un altro, inibito il collegamento interno, è stato necessario un assurdo giro largo, per raggiungere un provvidenziale sottopassaggio: sempre meglio dell'inquietante passerella sopraelevata in metallo, carica di gente, che ad ogni passo "regalava" vibrazioni da batticuore. Il treno per Viareggio, dove ci aspettava la coincidenza, è giunto in colossale ritardo, e il cambio per Genova non ci ha ovviamente aspettati. Nella città del popolare Carnevale, oltretutto, abbiamo trovato, alle 20 e 30 di sera, una stazione buia (nel senso letterale: luci spente nell'androne), con le biglietterie serrate e la prospettiva di trascorrer la notte lì. L'unico impiegato FS incrociato, pressato da compagni di viaggio più... fumantini di me, si è almeno sbattuto garantendoci che, se avessimo preso il treno per La Spezia, lì ci avrebbe poi pazientemente attesi il sospirato cambio per il capoluogo ligure. 
Scene spiacevoli e al contempo tenere, come la crisi di pianto di una ragazzina, alla sua prima volta al Comics, che ha temuto di non riuscire a tornare a casa  prima del giorno dopo, e che ci siamo premurati di consolare e tenere su di morale, facendole fare il viaggio accanto a noi. E infine l'approdo a casa, con un regionale che ha fatto tutte le fermate possibili e immaginabili, ma a quel punto, nonostante l'ora tarda, non era il caso di fare gli schizzinosi. In sintesi: avvicinatici alla stazione lucchese intorno alla 18 e 15, siamo giunti a destinazione poco prima della mezzanotte. Se questa è l'Italia...
IL FUTURO - Tornando alla situazione in quel di Lucca, ripeto: ho visto tante piccole e grandi mancanze in tema di sicurezza, e sono tornato indietro con la sensazione che, continuando su questo andazzo, prima o poi qualcuno si farà del male, ma del male sul serio. Mi sono, ci siamo sentiti indifesi ed esposti agli eventi, con poche garanzie a tutela della nostra incolumità fisica. Lucca Comics è un evento prestigioso e spettacolare, ma è forse diventato un affare troppo grande, troppo gravoso per la graziosa cittadina toscana. Merita di certo una gestione più accorta, all'interno e nelle aree circostanti: una più idonea regolarizzazione del traffico veicolare, con limitazioni obbligatorie (un sacrificio sopportabile per pochi giorni di una festa che, se riuscita, può recare indubbi ritorni economici e di immagine alla città), maggiore assistenza ai visitatori (luoghi di ristoro, toilette...), trasporto pubblico implementato, migliore sfruttamento di vie di accesso e di fuga alternative, ulteriore decentramento di stand e padiglioni, per alleggerire la congestione di certe zone. 
I primi a ricevere nocumento da una organizzazione come quella che ho visto sabato sono proprio i protagonisti della kermesse, espositori e ospiti a vario titolo: in quel marasma, è possibile visitare solo un 30 - 40 per cento del Festival (certo, l'ideale sarebbe trattenersi lì per più di un giorno, ma non tutti ne hanno la possibilità). E tuttavia rimango del parere che, con una spietata autocritica di responsabili del Comics e di istituzioni locali, con una attenta analisi delle défaillance, niente ci sia di irrimediabile. Irrimediabile, nel breve periodo, è solo l'inciviltà delle orde dei barbari che per un posto in treno calpesterebbero gente e spezzerebbero arti, ma quella rientra nel più generale imbarbarimento del Paese. 

giovedì 30 ottobre 2014

GENOA - JUVENTUS: VINCE UN GRIFO ALL'ITALIANA. PIU' SERENITA' MA NIENTE ILLUSIONI PER IL FUTURO


Ci crediate o meno, la notte prima di Genoa - Juventus ho sognato il giovane Mandragora titolare del Grifone: una piccola follia tattica che nessun addetto ai lavori avrebbe mai concepito, che nessun "esperto", alla vigilia, avrebbe mai potuto attribuire al pur coraggioso mister Gasperini. Un'annotazione personale di scarsissimo interesse, me ne rendo conto (anche per me, che credo poco o nulla alle premonizioni), ma utile a far capire quanto il match coi bianconeri sia ancora sentitissimo dal popolo rossoblù, quasi alla stregua del derby cittadino, nonostante sia una sfida storicamente destinata a regalare poche soddisfazioni alla squadra più antica d'Italia, alla luce della differenza qualitativa quasi costante fra le due compagini. Ne consegue che, le poche volte in cui l'inattesa gioia arriva, in città è festa grande, con caroselli post gara che nulla hanno da invidiare a quelli che seguono un'affermazione sui cugini blucerchiati. 
GIUSTIZIA - La "gioia" è infine giunta ieri sera, e l'evento ha fatto giustizia di tanti bocconi amari ingoiati nel recente passato al cospetto della Vecchia Signora: sconfitte ingiuste, vuoi per decisioni arbitrali bizzarre (il clamoroso rigore pro Del Piero del 2010 per un fallo commesso ampiamente fuori area) vuoi per le alterne lune di Eupalla, volubile Dea del pallone inventata da Giuan Brera: e la mente va al confronto dell'ultimo campionato, col Genoa superiore alla Juve a Marassi, ma trafitto in extremis da una delle inesorabili punizioni di Pirlo. Oggettivamente, la vittoria sarebbe stata maggiormente meritata in quella circostanza, se non altro per l'atteggiamento propositivo e lo slancio offensivo mostrato dai padroni di casa, capaci di disinnescare, per 89 minuti, la corazzata di Antonio Conte; ma vincere una partita facendo leva soprattutto su di un'ottima impostazione difensiva non è reato, è anzi assolutamente legittimo.
DIFENDERSI E' BELLO - Negli ultimi anni, si è diffusa la convinzione che il vero football sia soltanto quello d'attacco, quello che mira a prevalere sugli avversari segnando un gol in più e non subendone uno in meno, quello giocato sempre e comunque a viso aperto, senza gherminelle tattiche. Beh, sarà senz'altro il modo più affascinante e appagante di interpretare questo sport, ma non l'unico, e in Italia dovremmo saperlo bene: eravamo la patria in cui la capacità di difendersi era diventata un'arte invidiataci da tutto il mondo, e infine largamente imitata anche da Paesi calcisticamente insospettabili. Oggi invece, ci siamo quasi dimenticati di cosa voglia dire coprire, marcare, smontare le trame offensive dei rivali, e fare tutto ciò con pulizia ed efficacia. 
SOLIDITA' E CARATTERE - Onore al Genoa, dunque, che ha battuto i campioni d'Italia attraverso una mirabile gara di contenimento. Ha rischiato ma ha retto anche nei momenti di più acuta sofferenza (quando è entrato l'imprendibile Morata, ad esempio), mostrando solidità, organizzazione, carattere. E ha colpito nel finale con un'azione da manuale del calcio, il lancio preciso di Bertolacci e la giocata da attaccante di razza di Matri, per il tocco sporco ma vincente di Antonini (che non era "in evidente fuorigioco" come ha sentenziato stanotte il cronista del Tg3 regionale: il terzino era, quasi sicuramente, dietro la linea della palla al momento del passaggio del suo compagno di squadra...). E' stata la classica gara in cui è difficile non elogiare tutti, ma alcune figure sono comunque emerse: un Perin ormai all'altezza del dirimpettaio veterano di ieri, quel Buffon di cui presto o tardi prenderà il posto di titolare in azzurro; un Burdisso sicuro e mestierante come ai bei tempi della Roma e come raramente si è visto finora sotto la Lanterna; un Marchese intraprendente al punto di sfiorare la rete con una volée dalla lunga distanza; un Bertolacci sempre più maturo e autorevole nel mezzo; un Matri che sa cogliere l'attimo anche quando gioca a minutaggio ridotto...
I DUE UOMINI DEL MATCH - Ma è chiaro che, senza nulla togliere soprattutto al fenomenale portierino, le grandi figure del match siano state Mandragora e Antonini; ancora non al meglio il golden boy Sturaro, Gasperini ha inserito nella zona nevralgica un altro ragazzino terribile e ne è stato ripagato con una prestazione tutta sostanza, in fase di interdizione. E poi il laterale ex Milan: due settimane fa a spalare il fango dell'alluvione, ieri sera a frenare la corsa scudetto di Madama. Sarà sicuramente azzardato, l'accostamento fra due eventi così lontani nella loro importanza, eppure si parla di cose che sono successe e che sarebbe ipocrita tacere: con Antonini, il calcio ha dimostrato di non essere del tutto estraneo alle tragedie che gli capitano attorno: forzando un po' la mano alla retorica, è stato pertanto giusto che la firma su un successo storico la mettesse proprio lui, professionista esemplare e mai sopra le righe, calciatore "old style" per atteggiamenti e modo di porsi in campo e fuori.

                                                  Perin: sempre sugli scudi
                                 
IL FUTURO - Che peso possa avere un'impresa del genere sul prosieguo del campionato rossoblù non è facile prevederlo. Personalmente, eviterei di farmi soverchie illusioni: il valore della squadra è evidente, ed è tale da consentirle una navigazione al riparo dai marosi: il classico torneo "tranquillo e con qualche soddisfazione", come dicevano i giornalisti di un tempo. Battere la capolista può dare slancio ma anche portare a sopravvalutarsi, un rischio concretissimo, quest'ultimo, conoscendo la storica umoralità del sodalizio rossoblù e dei suoi "seguaci" sugli spalti. A tal proposito, tanto si è ricamato sullo sfogo di Gasperini dopo il passo falso con l'Empoli: una partita sottotono di Matri e compagni, certo, ma anche una vittoria, ricordiamolo, trasformatasi in pareggio per via di un gol di mano convalidato ai toscani. Il mister, evidentemente, sentì qualcosa di poco carino nei confronti suoi e dei suoi ragazzi, e ritenne giusto portarlo a conoscenza della pubblica opinione: sbagliò forse solo i tempi, perché pochi giorni dopo la tragedia che aveva colpito la città era forse il caso di tenere bassi i toni. 
Però è un fatto che attorno al Genoa ci sia sovente un clima eccessivamente ipercritico (con alcune testate locali, cartacee e televisive, in prima fila), così come è innegabile che larghe fasce di tifo non perdonino nulla a giocatori giovani o appena arrivati, anche di elevato valore, mentre si mostrino iperprotettivi con mezze figure prive di talento. Gasp chiedeva solo equilibrio e maggior affetto: dopo la sua paternale sono arrivati due successi consecutivi, quindi almeno all'interno dello spogliatoio il trainer ha ottenuto i risultati che si prefiggeva, rinsaldare il gruppo e dargli la giusta carica agonistica. E' presto per parlare di "effetto Bagnoli", con riferimento al simile sfogo (forse anche più duro) che il mago della Bovisa regalò ai microfoni alla  vigilia del derby del novembre 1990, una partita che, per un breve periodo, cambiò in meglio la storia del Grifone. Altri tempi, altri valori (del Genoa, più forte di quello attuale, e della Serie A, incommensuraiblmente più competitiva rispetto a oggi), ma la nuova compattezza e la consapevolezza createsi in queste settimane sono patrimoni che non vanno dispersi. La vera sfida per il club rossoblù è questa, dopo l'apoteosi di poche ore fa.