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sabato 28 febbraio 2015

L'ASSURDITA' DEL CASO PARMA E LE FALSE ILLUSIONI DEL GIOVEDI' EUROPEO. CALCIO ITALIANO SEMPRE PIU' IN BASSO

                                          Lucarelli, capitano di un Parma in sfacelo

La tentazione di inneggiare alla rinascita del calcio italiano è stata forte, dopo un giovedì europeo  davvero "d'altri tempi", anche per la singolare concentrazione in un'unica giornata di tanti impegni internazionali dei nostri club, evento ormai rarissimo. Certo, solo di sedicesimi di finale di Europa League (ripeto, sedicesimi di finale) si trattava, ma è innegabile che la Fiorentina abbia prevalso con merito su un Tottenham ricco e qualitativo, e che Roma e Torino abbiano sconfitto, oltre ad avversari in assoluto non irresistibili, colossali insidie ambientali: discorso valido soprattutto per i granata, perché se è vero che Bilbao ultimamente non è più una roccaforte inviolabile, per una realtà media nostrana imporsi da quelle parti, e con tale autorevolezza, è comunque impresa di assoluto rilievo. 
CREDIBILITA' COMPROMESSA - Insomma, tentazione di urlare al vento "siamo tornati", si diceva prima. Un urlo che però è stato ricacciato in gola dalle puntuali miserie interne del nostro calcio, mirabilmente sintetizzate dal delirante caso Parma. Nel quale troppe cose non quadrano, ma una certezza c'è: la regolarità del campionato, quella che la Figc dice di voler tutelare ad ogni costo, è già andata a carte quarantotto da tempo. Il secondo rinvio consecutivo di un impegno dei ducali, la trasferta col Genoa dopo la gara interna con l'Udinese, è un vulnus terribile, che mina alla base la credibilità del nostro massimo campionato e, in definitiva, di tutto il carrozzone, peraltro già ampiamente precipitato nei valori internazionali a causa di una gestione tecnico - politico - finanziaria deficitaria da almeno un decennio. 
QUALE SOLIDARIETA'? - Perché è così necessario aspettare lo sviluppo degli eventi? Ma soprattutto, anche alla luce del'esito negativo dell'incontro di ieri fra il sindaco Pizzarrotti e l'attuale patron Manenti, cosa credono possa accadere, Tavecchio e compagnia, di qui a pochi giorni, a poche settimane? E ancora: perché mai dovrebbe esserci solidarietà da parte delle altre società di A, nel farsi carico delle spese necessarie affinché il Parma possa concludere il torneo? Chi è causa del suo mal pianga se stesso... Il sodalizio gialloblù deve provare a salvarsi da solo, trovando un acquirente credibile che ne eviti l'imminente fallimento, coprendone i debiti e rimettendolo in carreggiata a tempo di record: i sostegni provenienti dall'esterno sarebbero solo un inutile allungamento di una inevitabile agonia. Il Parma è alla canna del gas, non ha nemmeno gli spiccioli, non ha l'acqua calda per le docce, perfino la panchina di mister Donadoni è finita all'asta giudiziaria. 
E I REGOLAMENTI? - Fuori dai denti: a rendere irregolare il campionato in corso è la presenza stessa del Parma, mentre la sua esclusione, per quanto dolorosa, servirebbe a sanare una situazione che non ha, francamente, alcuna ragion d'essere. Prima di tutto sul piano giuridico, in quanto l'articolo 53 delle Norme organizzative interne FIGC afferma che "La società che rinuncia alla disputa di una gara di campionato o di altra manifestazione o fa rinunciare la propria squadra a proseguire nella disputa della stessa, laddove sia già in svolgimento, subisce la perdita della gara con il punteggio di 0-3". Dunque, di che cosa stiamo a parlare? Lo spostamento delle ultime due partite a data da destinarsi è, nel caso specifico, una evidente forzatura: una società che non è in grado di giocare una gara ha partita persa, punto e basta. E' palese come, nella fattispecie, non si sia in presenza di eventi quali calamità naturali o episodi luttuosi, di fronte ai quali il rinvio di un match risulta l'unica decisione plausibile, nonché eticamente corretta. 
La vicinanza ai calciatori del Parma da parte dei colleghi è certo cosa nobile, solo che poi ci sono i regolamenti... I vertici federali stanno navigando a vista, aggrappandosi a discutibili criteri morali. E' un atteggiamento attendista che verosimilmente non porterà da nessuna parte, e nasconde la cattiva coscienza di un'organizzazione calcistica che non è stata in grado di chiudere la stalla prima che i buoi scappassero: perché, ad esempio, annunciare solo ora, pomposamente, che "Il consiglio federale ha dettato linee guida che prevedono grosse restrizioni e responsabilità per chi compra un club di A. Non si potrà più acquistare una società per 1 euro"? 
CAMPIONATO FALSATO - Vogliono salvaguardare la regolarità del campionato tenendo in corsa fino all'ultimo Lucarelli e compagni? Ma suvvia... La regolarità del torneo è stata compromessa nel momento in cui, incomprensibilmente, è stato consentito al club (all'epoca di Ghirardi) di iscriversi: viene difficile credere che una situazione finanziaria così devastante possa essere maturata solo da settembre in poi... Questa Serie A può ritrovare un minimo di dignità solamente mettendo alla porta il Parma. Mai successo dall'inizio del girone unico (1929) a oggi? E cosa vuol dire? Sono ben altre le macchie sulla dignità storica di un calcio, quello tricolore, che una volta era una cosa seria. 
Un simile gesto, per quanto doloroso e in certo senso crudele, sarebbe invece un atto di serietà, di morigeratezza, di rispetto delle regole. Così invece si crea un tipico precedente all'italiana, che, in presenza di analoghi eventi futuri (sempre più probabili, vista la precarietà assoluta del nostro football) porterebbe a distinguo ed eccezioni, invece che a provvedimenti radicali. E, visto che i governanti del nostro calcio sono assisi sulle loro poltrone anche per studiare soluzioni intelligenti in casi di emergenza, penso che pure il problema legato ai risultati già ottenuti dal Parma, e a quelli delle partite che non giocherebbe, sia facilmente risolvibile. Ancora il regolamento FIGC dice: "Qualora una società si ritiri dal Campionato o da altra manifestazione ufficiale o ne venga esclusa per qualsiasi ragione durante il girone di ritorno, tutte le gare ancora da disputare saranno considerate perdute con il punteggio di 0-3". Facile, con buona pace di tutti: riguardo alle partite precedenti, ci si rivolga a chi ha consentito ai ducali di prender parte a questo torneo. Insomma, altro che rinascita del calcio tricolore... 

domenica 15 febbraio 2015

FESTIVAL DI SANREMO 2015: IL PAGELLONE DEI VENTI "CAMPIONI"


Una finestra tra le stelle - ANNALISA: tenderà anche al convenzionale e al banale, l'autore Kekko Silvestre, ma non si può negare che attraversi un periodo di buonissima ispirazione, e a chi piacciono i Modà non può non piacere questo gradevolissimo brano dalla melodia accattivante, costruito con grande furbizia, immediato sia nella strofa sia nell'inciso. E il giovane talentino savonese lo interpreta con voce sicura e buona padronanza della scena. VOTO: 7,5. 
Il solo al mondo - BIANCA ATZEI: di... Kekko in Kekko, questa composizione pare invece un po' più deboluccia. E' un classicone sanremese senza slanci particolari, di quelli che, solitamente, nascono e muoiono sul palco dell'Ariston. Il ritornello a ugola spiegata non basta a far recuperare terreno, soprattutto se la voce è quella acerba, impersonale e poco convincente di Bianca. A proposito della quale rimarrà per sempre un interrogativo: in base a quale criterio è stata inserita nel girone dei Campioni? VOTO: 5. 
Adesso e qui (nostalgico presente) - MALIKA AYANE: etereo, soffuso, con un arrangiamento morbido, quasi accennato, per mettere maggiormente in risalto i (moderati) virtuosismi vocali dell'interprete italo - marocchina. E' un brano che esce alla distanza, pagando un po' anche un testo in certi passaggi ermetico, ma la frase "silenzi per cena" è già un cult sanremese. Buon crescendo sul finale. VOTO: 7,5. 
Vita d'inferno - BIGGIO & MANDELLI: occorre essere benevoli nei loro confronti. Hanno omaggiato Cochi e Renato con assoluta discrezione, senza la pretesa di volersi in qualche modo avvicinare ai mostri sacri. Non sarà stata un'alzata di genio alla Elio e le Storie tese, ma un divertissement sano e senza voli pindarici, godibile e arricchito da una giustamente ridondante coreografia in scena. Volgarità ridotta al minimo sindacale, revival di un cabaret che fu. VOTO: 6 +. 
Un attimo importante - ALEX BRITTI: Alex si è ripresentato su buonissimi livelli, dopo qualche anno di oscurantismo e di duetti non propriamente azzeccati. Nel pieno solco del suo stile, ha portato un pezzo carico di atmosfera, romantico, sognante e ricco di sonorità, con una soluzione testuale azzeccata (la ripetizione della frase "Guardami, toccami, stringimi") e spruzzate di chitarra rock. Un'opera più vivace e innovativa di altre del suo repertorio. VOTO: 7. 
Straordinario - CHIARA: il brano è strutturato con perizia, una melodia tradizionale riletta in chiave contemporanea, adatta ad esaltare i sempre più sicuri mezzi vocali della cantante veneta. Peccato, peccato davvero per quella sensazione di "già sentito" che accompagna, è innegabile, parte del refrain, e della quale già si è discusso ampiamente in questi giorni. Peccato perché quando ascolti una canzone nuova, la cosa più fastidiosa è avvertire echi che arrivano da lontano. Insomma, un'occasione parzialmente sprecata. VOTO: 6 di stima. 
Il mondo esplode tranne noi - DEAR JACK: perché rischiare? Reduci da trionfi oceanici nei palazzetti e nelle charts, le ultime creature "defilippiane" rimangono giustamente fedeli alla linea sfornando un motivo pop (con blande venature rockeggianti) che non brilla per originalità ma che tutto sommato emerge con dignità e vigore giovanile, in un contesto festivaliero che strizza l'occhio al bel canto d'antan. Il ritornello è fra i più azzeccati della rassegna. VOTO: 6,5. 
Io sono una finestra - GRAZIA DI MICHELE E MAURO CORUZZI: interpretazione sentita e sofferta da parte di Coruzzi, poetica ispirata, realistica e non banale quella con cui l'autrice ha dipinto questa storia di vita dolente ma non autocommiserativa. E' un tipo di duetto che a Sanremo in genere funziona, soprattutto se accompagnato dalla giusta intensità. VOTO: 6,5. 
Voce - LARA FABIAN: prima artista straniera in gara al Festival "in solitaria" dai tempi di Luis Miguel, ha forse pagato una popolarità relativa presso il pubblico nostrano e qualche difficoltà interpretativa con la lingua italiana. La canzone è di quelle, solenni e costruite su una voce possente, che tanto andavano negli anni Novanta: forse un po' retrò, ma sostenuta da una ritmica incalzante e, in definitiva, convincente. In finale non avrebbe sfigurato. VOTO: 6,5. 
Siamo uguali - LORENZO FRAGOLA: Immaturo per la ribalta più impegnativa del panorama leggero italiano, ulteriore dimostrazione di come passare, nel giro di pochi giorni, da X Factor a Sanremo sia un azzardo per tutti, o quasi (di Mengoni non ne nascono tutti i giorni). Il brano si regge su un inciso abbastanza trascinante, è una composizione tutto sommato "à la page", ma che non coinvolge fino in fondo e alla quale sembra mancare un guizzo particolare, una "trovata", per decollare del tutto. VOTO. 6-. 
Un vento senza nome - IRENE GRANDI: ha rischiato, l'Irek, portando un brano distante da una amplissima fetta del suo repertorio, un brano soft e riflessivo, di impatto non immediato ma di gran pregio compositivo ed eleganza, che esalta la versatilità e la maturità interpretativa dell'artista toscana, sempre più bella, oltretutto, ogni anno che passa. VOTO: 7+.
Sogni infranti - GIANLUCA GRIGNANI: peccato davvero per la vocalità ridotta al lumicino che ha in pratica "bruciato" la prima esibizione del cantautore. Dopo, è venuto fuori un pezzo assolutamente dignitoso, non troppo distante dalle migliori espressioni anni Novanta di questo tormentato cantante, una ballad dall'arrangiamento DOC ma con un testo più "corposo" e consapevole. Probabile che riesca a percorrere una buona strada lontano dall'Ariston. VOTO: 6,5. 
Grande amore - IL VOLO: stilisticamente datati, ma comunque non è un peccato proporre una linea melodica di stampo tradizionale e, in parte, nazionalpopolare. E' la canzone sanremese per antonomasia: crescendo rossiniano, grande apertura sul ritornello, amore a go go. E voci oggettivamente di grana sopraffina. Il merito è anche quello di aver rinverdito i fasti del filone pop lirico, un po' fermo a Bocelli dopo i tentativi ormai lontani di Alessandro Safina e Piero Mazzocchetti, risoltisi in clamorosi buchi nell'acqua. VOTO: 7 +.
Che giorno è - MARCO MASINI: è tornato sulla Riviera Ligure in forma smagliante. La canzone ha una struttura a metà strada fra il classico e il contemporaneo, c'è la sua impronta stilistica ma anche una ventata di freschezza portata dalla giovane Federica Camba, e una soluzione ritmica di gran presa, che parte dal refrain per impregnare ben presto l'intera composizione, diventandone il leit motiv. Sempre coinvolgente ed emozionante l'interpretazione live del vincitore di Sanremo 2004. VOTO: 8. 
Oggi ti parlo così - MORENO: forse il pezzo più schiettamente rap nella storia di Sanremo (per quanto il Festival non vanti un repertorio molto nutrito, relativamente a questo ambito musicale, e quindi pochi termini di paragone). Essenziale, anzi, "crudo e diretto", come ripete il ragazzino genovese in quell'inciso che si ficca subito in testa. Certo, il rap duro e puro è qualcosa di diverso, ma è segno di intelligenza riuscire a produrre un compromesso "in salsa festivaliera" che non mortifichi il genere d'origine e che, anzi, tragga il meglio dalla commistione con sonorità maggiormente leggere. VOTO: 7. 
Fatti avanti amore - NEK: con Britti, Masini, Irek e in parte Grignani, anche il buon Filippo ha saputo tenere altissimo il nome della generazione di mezzo, i ragazzi degli anni Novanta rientrati al Festival dopo un'assenza più o meno prolungata. E' sua la proposta più al passo coi tempi, assai più di quelle dei giovanissimi Dear Jack e Fragola, dance allo stato puro, martellante, per una canzone orecchiabilissima, costruita per volare negli airplay e per restare a lungo nella memoria. VOTO: 8. 
Buona fortuna amore - NESLI: questa ballata rock - mantica ha in fondo una sua validità, anche se ci mette un po' ad "arrivare". A lasciare perplessi è la metamorfosi dell'artista, che va a cercare collocazione nel già affollato universo dei cantanti pop, dove emergere è certo più difficile, di questi tempi, che come esponente rap e hip hop. Nesli è abbastanza credibile nei panni del rocker "addolcito", anche se come performer lascia francamente un po' a desiderare. Voto: 6+. 
Come una favola - RAF: il grande deluso, del quale si è già ampiamente parlato. Ascoltata e riascoltata, la canzone non è affatto male, siamo sinceri. Un suggestivo lentone per romanticoni, l'ideale nel periodo di San Valentino, pianoforte e archi a go go. Un pezzo sanremese con griffe d'autore, una di quelle composizioni che, in edizioni nemmeno troppo lontane, avrebbero sbaragliato il campo. A volte è questione di fortuna (le condizioni fisiche non l'hanno troppo aiutato), a volte dipende esclusivamente dai volubili umori delle giurie. Non è il caso di prendersela troppo. VOTO: 6/7. 
Libera - ANNA TATANGELO: un'altra melodia priva di fiammate innovative, ma tutto sommato ben confezionata, forse il brano più "da Festival" nell'architettura, stile assolutamente italiano. Canzone positiva e rasserenante, partenza su toni dolci e poi discreti slanci ritmici. VOTO: 6,5.  
Sola - NINA ZILLI: questa è la Nina che vogliamo! Alla larga da eccessive contaminazioni col pop all'acqua di rose, sicura di sé e fedele alle sue origini. Un blues - soul puro e ispirato, con orchestrazione eccellente e arrangiamento pieno di sfumature: l'opera più ricca e variopinta fra quelle ammesse in gara quest'anno. Voce piena e rotonda. Una canzone magari non facilissima da canticchiare, ma che si ascolta con enorme piacere. VOTO: 7,5. 

SANREMO 2015, CRONACA DI UN TRIONFO ANNUNCIATO: VINCE IL VOLO IN UN FESTIVAL IN SALSA ANNI OTTANTA


Sanremo 2015 è stato un Festival in versione anni Ottanta, lo si è detto più volte. E' stato tale nello spirito, nella linea musicale, nello stile di conduzione. Quasi inevitabile, dunque, che lo fosse anche nella assoluta prevedibilità del verdetto finale. Già: proprio come in quella decade controversa, punteggiata da trionfi annunciatissimi sul palco dell'Ariston (dal Fogli dell'82 al trio Morandi - Ruggeri - Tozzi dell'87, per citare i due esempi più eclatanti), ieri sera il rituale della proclamazione dei vincitori ha alfine snocciolato il nome di gran lunga più gettonato, quello del Volo, la cui rincorsa verso la medaglia d'oro, partita già un minuto dopo l'annuncio del cast in dicembre, ha preso via via consistenza e incontrato strada facendo la crescente benevolenza di pubblico e critica, soprattutto dei media generalisti che hanno tirato la volata ai tre ex bambini prodigio sposandone la causa, a partire dalle celebrazioni della loro performance al concerto natalizio in Senato, davanti all'allora Presidente della Repubblica Napolitano. 
NEK A UN PASSO - Non che il pathos sia mancato, giusto in extremis. Il Volo ha prevalso col 39 per cento delle preferenze staccando Nek di soli quattro punti: decisivo, e anche questo era ampiamente in preventivo, l'incidenza del televoto, che ha spinto le tre creaturine di Antonella Clerici con un poderoso 56 per cento. E' un successo che non desta soverchie emozioni, ma che nemmeno fa scandalo, visto che "Grande amore" è pezzo assolutamente inserito nel solco della più pura tradizione rivierasca, ma con un arrangiamento comunque al passo coi tempi, di sicura presa, e sostenuto da una interpretazione oggettivamente mostruosa di questi ragazzi che del resto, se mietono successi intercontinentali, qualcosa varranno, a meno che all'estero non siano tutti rintronati e gli unici veri intenditori di musica leggera risiedano entro i confini del Bel (?) Paese; tutto ciò, al netto delle giuste considerazioni sul marchio "retrò" che si portano dietro, da non interpretare necessariamente in chiave negativa. Ma è tutta la classifica finale ad aver un suo senso compiuto, tale da non prestare il fianco a recriminazioni di sorta: qualche organo di stampa d'alto prestigio si è inventato, ieri sera, un Nek favorito, considerando quindi la sua medaglia d'argento una parziale delusione. Ovviamente le cose non stavano così, il buon Filippo è entrato nel novero dei papabili solo negli ultimi giorni, ma le sue reali quotazioni mai hanno avvicinato quelle del Volo: il secondo posto è anzi un risultato eccezionale, perché solitamente i pezzi a fortissimo impatto radiofonico ottengono fortuna e riconoscimenti quando il sipario del Festivalone si è già chiuso da giorni. 
CLASSIFICA LOGICA - Tutto o quasi, dicevamo, nella graduatoria conclusiva trova una sua logica: il terzo posto di Malika, partita lenta con un brano non immediato ma che si è lasciato scoprire, nella sua intima bellezza, passo dopo passo. Il quarto di Annalisa, che continua nel suo percorso di crescita e che ha servito con trasporto, intensità e professionalità la convincente composizione romantico - pop di Kekko Silvestre. E poi Masini sesto (poteva puntare al podio, ma la concorrenza era nutrita), Grignani che si è arrampicato fino all'ottavo, riuscendo a dare dignità a un pezzo che al debutto non aveva saputo valorizzare, complice una vocalità non all'altezza; ma anche il nono di Nina Zilli, con uno di quei magnifici virtuosismi musicali che da sempre, a Sanremo, rimangono intruppati nelle posizioni di centroclassifica. 
QUEI BRAVI RAGAZZI DEI NOVANTA - E' stato, tutto sommato, il Festival della riscossa di quella che io amo chiamare la "generazione di mezzo" della nostra canzone, i ragazzi nati e affermatisi negli anni Novanta. I nuovi veterani che hanno, si spera definitivamente, preso il posto di quelli spompatissimi dei Sessanta, già in larga parte fuori tempo vent'anni fa eppure tenuti artisticamente in vita, contro ogni logica discografica, fino ai Festival dell'altro ieri (Al Bano e Patty Pravo erano ancora in gara nel 2011, per dire). I Britti e i Grignani, i Raf e le Grandi, per tacere di Nek, si sono infine ripresi una ribalta che spettava loro di diritto, e, pur con diverse sfumature, l'hanno comunque onorata: chi rimanendo ostinatamente fedele a se stesso (su tutti Alex e Filippo), chi azzardando la svolta soft (Irene, che infatti ha faticato a far breccia), chi, come Raf, puntando su un classicone dolce e "sanvalentinesco" che non è giunto in tempo al cuore degli ascoltatori, ma che ha in fondo un suo perché, proseguendo il discorso intrapreso a inizio secolo con la più consistente "Infinito", e che non mancherà di far commuovere ed emozionare i suoi fans e, soprattutto, le sue fans. 
CANZONI DA FISCHIETTARE, MA ANCHE DA ASCOLTARE - Questo Sanremo numero 65 ha mostrato, a conti fatti, una proposta musicale di discreto pregio. Nulla davvero che faccia gridare al miracolo, ma un soddisfacente quantitativo di opere che hanno le potenzialità per farsi ricordare, quantomeno a medio termine. Sanremo della medietà, ma non in senso di... mediocritas: una rassegna da sette pieno, senza eccellenze ma anche senza obbrobri. L'orecchiabilità assoluta, quella da primo ascolto che è impresa difficilissima da mettere a segno, l'hanno centrata forse i soli Giovanni Caccamo e Nek, altri pezzi hanno avuto bisogno di ascolti più numerosi ma alla fine si sono imposti. Purtroppo, a Sanremo e dintorni domina da sempre il tormentone, un po' ottuso, della canzone che si deve per forza canticchiare il giorno dopo, sotto la doccia o facendosi la barba, per definirsi riuscita. Ma una canzone pop non è solo questo: è bello e giusto che ci siano brani "à la carte", pronti da fischiettare, ma c'è anche l'assoluta dignità di quelle composizioni che magari nessuno di noi canterebbe, e che però si fanno ascoltare volentieri. Al primo gruppo appartengono i già citati Caccamo e Nek, ma anche Masini, Annalisa, Moreno e il Volo; al secondo la Ayane, la Grandi e la Zilli: quando i pezzi di queste tre "prime donne" passeranno in radio, sarà sempre un piacere fermarsi qualche minuto a gustarli e ad apprezzarli.

                                                Annalisa: a un passo dal podio

GALA VINTAGE - Finalissima dal sapore vintage, come da linea editoriale impressa da Conti e dal suo staff di autori. Forse non è stato ricordato troppe volte in questi giorni, ma Sanremo 2015 è stato davvero il Festival del ritorno in primo piano della musica: già ampiamente esaltati nelle settimane scorse l'aumento del numero dei Big in lizza e la collocazione dei giovani in prime time, aggiungiamo qui che negli ultimi anni ci eravamo purtroppo abituati a serate conclusive spesso ridotte all'osso, quanto a numero di concorrenti. Se con Fazio si erano già fatti passi avanti (quattordici campioni in finale), dal 2009 al 2012 la gara del sabato aveva visto darsi battaglia appena dieci cantanti, con conseguenti salti mortali per riempire artificiosamente un gala che deve comunque occupare quattro ore di palinsesto.
ITALIANI IN GARA! - Ieri gli extra non sono comunque mancati: tanti ospiti come nei Festival più luccicanti. Di Sanremo 2015 si può dire che sia stata azzeccata la selezione delle vedettes internazionali, canore e non: Ed Sheeran è uno dei protagonisti della hit parade d'oggidì, e Will Smith (ieri con Margot Robbie) è un volto di Hollywood mai banale e sempre disponibile a fare spettacolo, al di là della mera promozione del film in uscita. I dubbi, casomai, sono aumentati sul versante degli italiani fuori concorso: se Ruggeri ha portato un poetico omaggio a Jannacci, Faletti e Gaber, scevro di retorica e malinconia, la performance di Gianni Nannini è stata obiettivamente di una mediocrità disarmante, con errori tecnici inconcepibili per una professionista di tale spessore: avesse sbagliato certi attacchi uno qualsiasi degli artisti in gara, sai i frizzi e i lazzi? Per quanto mi riguarda, il tormentone continua e continuerà, più martellante che mai: basta coi superospiti italiani, se vogliono venire, che vengano in gara, come ha fatto il buon Raf, uno che ha venduto milioni di dischi in giro per il mondo. 
RAI - MEDIASET, ZELIG UBER ALLES - Sanremo 2015 ha scritto un altro capitolo della pax televisiva Rai - Mediaset. Concorrenza berlusconiana quasi assente, come ormai da anni, e del resto conviene a tutti: perché ormai il cast dei cantanti rivieraschi è sempre più pieno di ragazzi di Amici (quest'anno la bravissima Annalisa, i Dear Jack, ma anche Nigiotti e Amara), ma non solo. Conti ha infatti attinto a piene mani da Zelig: i frizzanti Boilers ospiti fissi, e ieri, sorpresa in extremis a tarda ora, Marta e Gianluca, quelli dello "Speed date", protagonisti di uno sketch piacevolissimo, ben più di quello, tutto sommato banale, di Giorgio Panariello. Assieme a Virginia Raffaele e Luca & Paolo, hanno salvato il versante comico di un Sanremo che, per il resto, i sorrisi li ha strappati in altra maniera, ad esempio attraverso le estemporanee uscite della svampita Arisa. Ciò non significa che sia stato un Sanremo triste: le cupezze della ditta Fazio & Gramellini sono lontane, per fortuna. E' stato, semplicemente, un Festival centrato sulla musica, con poche variazioni sul tema. 
FESTIVAL IMMORTALE, VETRINA TV - Già, ma perché il Festival, verosimilmente, non morirà mai? Semplicemente, perché è vitale per la Rai tv. Lo si era già capito negli ultimi anni, ma chi in queste sere ha avuto la pazienza di guardare "tutto", non cambiando canale nemmeno durante gli intervalli, si sarà fatto un'idea ben chiara: il Sanremone è una fondamentale vetrina promozionale per una fetta consistente e importante del palinsesto dell'ente di Stato. Serve per promuovere fiction nuove di zecca ("Braccialetti rossi 2", "L'Oriana". "La freccia del sud" su Mennea), i nuovi spettacoli  ("Notti sul ghiaccio" e "The Voice"), persino film in prima visione ("Il principe abusivo", la settimana dopo l'ospitata all'Ariston di Siani), o a rilanciare prodotti interni un po' svalutati da una falsa partenza (l'improbabile "Forte forte forte").
Spot mandati a ripetizione per cinque sere, e passaggi anche all'interno del Festival stesso: quale trasmissione potrebbe mai sostituire una simile potenza di fuoco pubblicitario? Per tacere degli inserzionisti, che pagano felicemente fior di euro. Chiaro che il merito di questo colossale giro d'affari sia della manifestazione stessa, più in salute che mai, un caso da studiare: da 65 anni, pur fra alti e bassi, è sempre in testa alle preferenze del pubblico, non solo italiano. Mentre, televisivamente parlando, attorno a lei tutto muore o cambia, la rassegna ligure a volte si rinnova, più frequentemente ritrova le radici, a volte deborda verso lo show e altre ritrova la sua essenza canora, ma continua a tenere incollati davanti allo schermo milioni di telespettatori. Chi ne auspica la sparizione o il ridimensionamento vive, almeno per il momento, fuori dal mondo. 

sabato 14 febbraio 2015

FESTIVAL DI SANREMO 2015, LA QUARTA SERATA: CADE RAF, SALGONO MALIKA E IRENE, TRIONFANO CACCAMO E... VIRGINIA RAFFAELE

                                          Malika Ayane: quotazioni in rialzo per lei

E così, giusto al culminar della quarta serata, anche il Festival del "volemose bene" e delle eliminazioni in scala ridotta ha fatto per la prima volta lo sguardo truce e preteso la più eclatante delle vittime sacrificali. All'una di notte, la notizia: Raf saluta la compagnia, è fuori dalla finalissima. Faceva parte della ristretta cerchia dei favoriti, e invece non potrà nemmeno provare a... tarpare le ali del Volo. Per il povero Raffaele non è stata una settimana facile, bastava guardarlo in volto per capirlo. In condizioni di salute precarie (una mattinata in ospedale, ieri, per curare una tosse che quasi gli impediva di parlare), ha dovuto faticare non poco per portare a conclusione le sue tre performance all'Ariston. Al di là di questo, come già avevo segnalato fin dalla recensione alla seconda serata, la sua "Come una favola" non appare propriamente una di quelle canzoni in grado di lasciare un segno profondo nella storia della musica: pur gradevole e classicheggiante, manca di quella forza d'impatto che era lecito attendersi, per una rentrée in grande stile in Riviera dopo ben 24 anni di assenza. E però, con appena quattro eliminazioni in ballo, tutti pensavamo che un posticino nel gala del sabato sarebbe comunque riuscito a strapparlo. Rimane la gratitudine per un artista di fama internazionale, non meno superbig di Biagio Antonacci o della Nannini che vedremo stasera, e che però ha accettato di rimettersi in gioco sul palco più difficile, rifiutando comode passerelle senza rischi. Chapeau. 
RIENTRANO BRITTI E MORENO - Per il resto, nessuna grossa sorpresa: come era facilmente prevedibile, Moreno è rientrato nel gruppone degli eletti, assieme a un Britti che sta un po' dividendo critica e appassionati, ma che ha indubbiamente portato a Sanremo un pezzo di grande atmosfera e ottimamente arrangiato. Sorprendono un po' le qualificazioni di Nesli e di una Bianca Atzei che ha forse la composizione più debole del "tris" firmato Kekko Silvestre: le era superiore, pur se non di molto, "Libera" affidata ad Anna Tatangelo, che invece stasera non ci sarà e alla quale, forse, stanno un po' troppo nuocendo questi continui ondeggiamenti fra uno stile musicale e un altro: è interprete di quasi impossibile collocazione e mai del tutto convincente in ogni genere col quale si cimenta, salvo sporadiche eccezioni.
IDIOTI BRAVI COMUNQUE - Giusto premio per la Di Michele e Coruzzi, con quel sofferto, poetico e incisivo racconto di vita che è "Io sono una finestra", pochi rimpianti per Biggio & Mandelli, che hanno in fondo svolto alla perfezione il compito loro richiesto, portare un po' di caos organizzato su un palco che, quanto a scossoni ilari e ridanciani, quest'anno sta invero un po' mostrando la corda. Peccato per Lara Fabian, unica straniera in concorso: più che una canzone un po' datata (ma meno retrò di quella del Volo, per dire), ha pagato forse qualche difficoltà con la lingua italiana che ha reso non del tutto comprensibili alcuni passaggi del testo. 
NEK E MASINI DA PODIO - La serata del primo redde rationem ha mostrato i Campioni in condizioni discretamente scintillanti: davvero poche le sbavature di esecuzione, lo stesso Raf, pur con i problemi prima esposti, è parso in chiaro crescendo, così come un Grignani che, migliorando la propria vocalità, ha saputo dare un senso a una canzone magari non eccelsa ma di buona sostanza. Ancora più emozionante, rispetto all'esordio, la prestazione di Masini. Ormai la gerarchie paiono abbastanza delineate: fermo restando che continuo a vedere come improbabile una mancata medaglia d'oro per il Volo, nel gruppo di chi può insediarne il primato ci sono l'ultraradiofonico Nek (che ritorno all'Ariston!), il citato Masini, l'eterea Malika Ayane con l'elegantissima "Adesso e qui" e l'impeccabile Annalisa che ha indossato alla perfezione l'accattivante abito canoro confezionato per lei da Silvestre. Al ruolo di outsider potrebbe aspirare Irene Grandi, che avevo parzialmente accomunato a Raf come esponente di spicco del gruppo "occasioni mancate": ribadendo che preferisco l'Irek rockeggiante del passato, è comunque apprezzabile questa nuova svolta soft (non la prima, nella sua carriera: ricordate "Dolcissimo amore"?), affidata a un pezzo non facile ma che riesce a conquistare attraverso qualche ascolto in più, un brano ispirato, dolente, dall'incedere malinconico. 
CACCAMO MARTELLANTE E RADIOFONICO - La gara fra i Giovani ha espresso un degno vincitore: il mio favorito, l'avevo scritto, era Enrico Nigiotti, ma in questa competizione i sorteggi hanno avuto un ruolo decisivo, e l'abbinamento in semifinale fra il cantautore toscano e Giovanni Caccamo significava che uno dei massimi papabili al trionfo avrebbe comunque dovuto abbandonare anticipatamente la tenzone. Del resto, "Ritornerò da te" è uno dei motivi più freschi, vitali, immediati sfornati da questo Sanremo, uno di quelli che già ti martellano in testa, che voleranno negli airplay e che probabilmente si ricorderanno a distanza di qualche anno. Era pressoché impossibile che non conquistasse un piazzamento di pregio: Caccamo ha oltretutto interpretato il suo pezzo con piglio da veterano, sfoderando una voce limpida, sicura, senza cedimenti. E se Amara può dire di avere ottenuto anche più del previsto arrivando alla serata del venerdì, la sorpresissima sono stati i Kutso, con uno stile canoro allegrotto e caciarone che solitamente non incontra grossi consensi presso la platea seriosa del Festivalone, e che invece sono stati a un passo dal gradino più alto del podio.
THE AVENER "CLANDESTINO" - E' stata una serata piena di troppe cose, alcune francamente superflue, in primis un Gabriele Cirilli che poteva tranquillamente aggirare la paura dell'aereo rimanendo inchiodato in quel di Palermo, dove era stato impegnato la sera prima per uno spettacolo. E poi The Avener, una delle attrazioni internazionali di questo Festival, confinato a ora tardissima per una performance breve e quasi impercettibile, attorno alla quale Carlo Conti ha inutilmente cercato di creare un entusiasmo posticcio: è parsa un'ospitata simile a quelle che gli stranieri si concedevano a Sanremo negli anni Ottanta, arrivando trafelati a cantare il pezzo in promozione per poi sparire nel giro di una manciata di minuti. Ma oggi i tempi dovrebbero essere cambiati, e ventiquattr'ore prima i Saint Motel avevano ricevuto ben diverso trattamento... 
BRAVO SAMMY, VIRGINIA SUPERSTAR - Poco emozionante Giovanni Allevi, al contrario di Sammy Basso, il ragazzo affetto da sindrome di invecchiamento precoce che ha dato una lezione di vita a tutti, con la sua positività e la voglia di guardare avanti, nonostante tutto, con speranza e genuina fiducia. Abbastanza cordiale l'ospitata di Antonio Conte, dal quale mi sarei però aspettato un richiamo più forte e deciso alla necessità di far rinascere calore e affetto attorno a una Nazionale azzurra sempre più bistrattata e boicottata dal calcio dei club. La vincitrice "morale" della serata è stata in definitiva Virginia Raffaele, finalmente tornata in tv dopo un esilio troppo lungo e francamente inspiegabile: talento fra i più puri della nouvelle vague comica tricolore, ha "spadellato" da par suo la solita Ornella Vanoni ormai priva di freni inibitori, cattiva e irriverente, ed è poi tornata alle origini con la macchietta della telefonista e dei suoi effetti vocali distorti e stranianti, la genialata che anni fa la fece conoscere al grande pubblico. Ha tante altre frecce al proprio arco: avrebbe meritato più spazio, da sottrarre magari a comparsate tristi come quelle degli Anania, di Massimo Ferrero o di Angelo Pintus: la speranza è di rivederla all'Ariston già l'anno prossimo, con un ruolo più corposo e stabile. "Virginia for Sanremo", insomma. 

venerdì 13 febbraio 2015

FESTIVAL DI SANREMO 2015, LA TERZA SERATA: NOIA COVER, STRAFALCIONI DI CONTI E LA VERA SATIRA DI LUCA & PAOLO

                                             Spandau Ballet: ritorno emozionante         

E' stata la serata di Sanremo più "contiana", quella andata in onda ieri. A metà strada fra "I migliori anni" e "Tale e quale show", ossia evergreen della canzone italiana rilette da artisti di oggi. Inevitabile che facesse breccia, e alla grande, presso il pubblico ultra - tradizionalista di Rai Uno, stabilendo un nuovo boom di ascolti che, a questo punto, sancisce definitivamente il successo di questo Festivalone targa 65. Per quanto mi riguarda, quello delle cover è un genere che proprio non riesce ad emozionarmi: preferisco da sempre le versioni originali, i rifacimenti di pezzi storici che davvero mi hanno entusiasmato, da quando seguo la musica, si possono contare sulle dita di una mano (ne cito uno a caso: "Un'estate fa" dei Delta V, correva l'anno 2001). 
NIENTE DUETTI PER LE COVER - La serata "intervallo" della rassegna ligure è da sempre la più pericolosa: si rischiano brutti cali di tensione, da parte dei protagonisti, che conseguenti intoppi nel corretto svolgimento del gala, e ieri qualcosa è accaduto, in questo senso, lo vedremo tra poco. E' una serata nata da quando la kermesse ha parzialmente modificato il suo DNA, passando da gara canora tout court a spettacolo per il piccolo schermo: prima, fino agli anni Novanta, non sarebbe stata neppure concepibile, perché il concorso fra canzoni inedite doveva giustamente essere sempre e comunque al centro dell'attenzione. 
E' una serata, anche, che dal mio punto di vista può assumere autentico appeal solo se strutturata in una certa maniera: cioè con l'esecuzione delle cover, sì, ma ancor meglio delle canzoni in gara in versione riveduta e corretta, da parte dei concorrenti accompagnati sul palco da artisti ospiti. In passato è accaduto spesso, era la cosiddetta "serata dei duetti", che solitamente raccoglieva consensi anche in occasione dei Festival meno felici sul piano dell'audience. Quest'anno le ospitate erano espressamente previste dal regolamento, ma, in pratica, l'unica ad avvalersene è stata Malika Ayane, con la presenza discreta del suo autore Pacifico. Un peccato, perché sarebbe venuta fuori una puntata - evento con potenzialità esplosive. 
OTTIMI NEK, MASINI E FABIAN - Così, ci si è dovuti accontentare di ricercare, fra le varie "riletture" dei classici, quella meglio riuscita o più innovativa. Di certo originalissimo è stato Moreno, con "Una carezza in un pugno" in salsa reggae ed ovvie venature rap. Accanto a lui, hanno ben figurato Nek, giustamente premiato in chiusura, che ha interpretato con energia "Se telefonando", Marco Masini che ha omaggiato con intensità ed emozione il buon Francesco Nuti e la sua bella "Sarà per te", la voce possente di Annalisa in "Ti sento" e quella piena di feeling di Lara Fabian in "Sto male". 
IRENE ROCK, DI MICHELE - PLATINETTE RIDANCIANI - Su buoni livelli anche Irene Grandi, che ha ritrovato il suo spirito finemente rock ravvivando "Se perdo te", e una eterea Chiara in "Il volto della vita". Abbastanza fedeli alla linea originale dei pezzi scelti i Dear Jack ( "Io che amo solo te"), Il Volo ("Ancora"), la Tatangelo ("Dio, come ti amo") e Malika ("Vivere"), tutti apprezzabili, mentre Biggio e Mandelli hanno reso in versione più seriosa, vagamente swing, la scanzonata "E' la vita la vita". I più simpatici? Di Michele e Platinette, che han quasi fatto di "Alghero" uno sketch a tutto tondo, certo più divertente di quello messo in piedi ventiquattr'ore prima da Angelo Pintus... Tutto questo, mentre il povero Luigi Tenco non ha trovato degna celebrazione nel generoso ma modestissimo tentativo di Bianca Atzei in "Ciao amore, ciao" (Grignani, con "Vedrai vedrai", è parso se non altro più in forma vocalmente). 
CACCAMO - BRANCALE, SCONTRO FRA TITANI - Il pathos? Decisamente assente, a meno che chi segue da appassionato il Festival  non fosse davvero interessato a sapere chi si sarebbe imposto in questa artificiosa competizione fra cover. Le emozioni autenticamente sanremesi sono rimaste così confinate nella prima mezz'ora di trasmissione, con gli ultimi due quarti di finale della gara fra le Nuove proposte. Qui si è consumata la prima ingiustizia, figlia di un abbinamento infelice: mettere contro Giovanni Caccamo e Serena Brancale è stato un delitto, un po' come quel Real Madrid - Napoli (il Napoli d Maradona) al primo turno della Coppa Campioni 1987... Due potenziali vincitori di categoria costretti a "scannarsi" in anticipo: non era possibile lasciar fuori il siciliano, portatore di uno dei brani più freschi e di impatto dell'intera manifestazione, pezzi dei Big compresi, ma Serena è un'artista jazz già matura, e sono convinto di non espormi a brutte figure se le pronostico un avvenire radioso, quantomeno nella nicchia musicale che predilige. Più "povero" il confronto fra Amara e Rakele: ha vinto la cantante toscana con "Credo", la proposta più tradizionale fra le otto in gara, composizione che continua a non convincermi del tutto. Qui Carlo Conti ha sfiorato la figuraccia epocale, alzando il braccio di Amara ma proclamando vincitrice la giovanissima napoletana. 
LE GAFFE DI CONTI - E' stato bravo a rimediare con una simpatica arrampicata sugli specchi ("Visto che la sfida è stata equilibrata, ho voluto dare soddisfazione a entrambe", o qualcosa del genere), ma certo la gaffe c'è stata, simile a un celebre scivolone di Milly Carlucci in una passata edizione di Miss Italia.  E non è stato l'unico inciampo di serata del "bravo presentatore", che, ad esempio, non ha saputo districarsi con un minimo di inglese nell'intervista coi Saint Motel (fra l'altro penalizzati da un microfono mal funzionante), e non ha colto il riferimento degli Spandau Ballet al loro lutto per la morte di Steve Strange. Lo avevo già accennato ieri: se un difetto va trovato, nello stile di conduzione dell'anchorman toscano, è il fatto di andare avanti come un mulo mostrandosi talvolta poco ricettivo alle battute e ai tentativi di coinvolgimento da parte degli ospiti sul palco. 
Commovente ritrovare, ospite a sorpresa, un più maturo e rockeggiante Federico Paciotti, a inizio secolo ragazzino imberbe nelle file dei teneri e gradevoli Gazosa. L'eccelsa Samantha Cristoforetti, come scritto tre giorni fa, era già stata televisivamente "prosciugata" da Fazio, e non ha aggiunto nulla di particolarmente originale: così, risulta solo una medaglia appuntata sul petto del Festival, una presenza che non poteva mancare nel massimo evento mediatico nostrano, ma è stata un'intervista molto istituzionale, senza squilli. E' migliorata Emma, piaciuta soprattutto per le "faccette buffe" dopo certe sue battutine sovente autocritiche (però avrei aspettato a dire "Preferivo essere qui in gara  e non come presentatrice", frase che infatti il suo collega ha accolto con freddezza), mentre Arisa, infortunata a una gamba e sotto analgesico, è parsa vagamente groggy, e ne ha guadagnato in simpatia e autoironia... 
LA GIUSTA ASPREZZA DI LUCA E PAOLO - Ieri sera il "Corriere della sera" online ha titolato "finalmente si ride". Non ho letto però l'articolo, spero che il riferimento non fosse alla passerella di Massimo Ferrero. Cosa ci sia di divertente nel suo clownesco modo di porsi non riesco a capirlo, per tacere dei suoi pregressi personali a cui già ho fatto cenno nei giorni scorsi: non voglio dedicare troppo spazio al personaggio (che si credeva Armstrong nel '68, visto che non ne voleva sapere di abbandonare la scena, solo che lui non aveva alcun buon pezzo jazz da proporci...). Rimane una considerazione amarissima: da "Grande show di Ferrero" a "Ferrero sfonda anche al Festival", fino a "Ferrero mai banale", i media sportivi sono tutti incantati da questa persona, come ipnotizzati collettivamente: del resto sia l'uno che gli altri sono specchi fedeli dell'irreversibile declino di credibilità del nostro football. Ma non sono tanto convinto che tutti i tifosi sampdoriani siano contenti di essere rappresentati pubblicamente in questa maniera. 
Comicità, ecco: all'Ariston l'hanno finalmente portata Luca e Paolo. Comicità dura, satira pungente e a tratti cattiva (secondo i canoni italiani, ovviamente: all'estero, Stati Uniti in primis, si fa ben di "peggio", senza stare a scomodare il francese Charlie Hebdo): la canzone sugli artisti scomparsi non era offensiva verso questi ultimi, ma un feroce attacco ai media generalisti (e a chi li segue) ormai in larga parte dediti alla spettacolarizzazione della morte e del dolore, nonché al vizio di fare figli e figliastri anche davanti ai decessi (in tale ottica va letta la battuta, per quanto perfida, su "quel cantante grasso del Banco del Mutuo Soccorso", ovviamente il compianto Francesco Di Giacomo, mancato quasi nel disinteresse generale). Puntuta anche la scenetta "politically incorrect" sui matrimoni gay. Poche storie: il duo genovese ha confermato uno stato di grazia che dura ormai da almeno un lustro, fra creatività di scrittura e assoluta padronanza della scena. 

giovedì 12 febbraio 2015

FESTIVAL DI SANREMO 2015, LA SECONDA SERATA: MASINI VINCITORE DI TAPPA, BENE ZILLI, SCONTATO TRIONFO PER IL VOLO

                                                 Marco Masini: un bel ritorno

Se persino due fuoriclasse delle sette note come Raf e Irene Grandi giocano col freno a mano tirato, diventa sempre più improbabile che il Volo possa trovare un qualche ostacolo nella sua corsa sicura verso il trionfo di sabato. L'avevo scritto alla vigilia: per arginare il pronostico ultra - favorevole ai tre giovani tenori, occorreva un brano - capolavoro o giù di lì, e ritenevo fosse principalmente nelle corde dei due sopracitati artisti. I quali però, è evidente, non sono riusciti a tirarlo fuori dal loro cassetto in occasione di questo Sanremo 2015. Intendiamoci: "Come una favola" di Raf e "Un vento senza nome" di Irene sono due canzoni gradevoli, di buona fattura, ma che non sfondano al primo ascolto, non lasciano subito il segno; e poi, diciamocelo, sono composizioni "a rischio zero", cioè non particolarmente coraggiose: lenti melodici e romantici che potranno anche entrare nel repertorio dei due cantanti e conquistare il pubblico, alla lunga, ma che difficilmente resteranno nella storia del Festivalone (felice di essere smentito, naturalmente). 
MASINI E ZILLI PROMOSSI - Marco Masini, lui sì, ha fatto centro. Altro fiero rappresentante della "nuova generazione dei veterani" (i ragazzi degli anni Ottanta - Novanta, una volta pensionati i reduci dei Sessanta, troppo a lungo prezzemolini all'Ariston), ha proposto una "Che giorno è" brillante,  ispirata, con soluzioni ritmiche e testuali estremamente incisive (scritta fra gli altri da Federica Camba, autrice di spessore). Non so se possa bastare a creare qualche problema ai ragazzi di "Ti lascio una canzone", ma occhio: l'esperienza di due anni fa alla "Canzonissima" di Carlo Conti ha mostrato che il cantautore toscano è molto forte in sede di televoto. 
In ogni caso, la palma di "vincitore di tappa" può essere attribuita a lui, in una seconda serata festivaliera che ha proposto, relativamente ai Big, un buon livello musicale, pur se nel segno di quella medietà cui si è fatto riferimento in questi giorni: ossia nulla di davvero brutto, ma anche scarsi slanci innovativi, la tendenza a non strafare e andare sul sicuro, restando in particolare abbracciati alla più consolidata tradizione sanremese. Mi piace comunque sottolineare l'azzeccata performance di Nina Zilli, che nel 2012 mi aveva deluso con una "Per sempre" banalotta, e che stavolta ha invece sfornato, di suo pugno, un buon blues, ispirato e interpretato col giusto piglio.  
VOLO UBER ALLES - Visto che è stato più volte "evocato" nelle righe precedenti, parliamo dunque del Volo: hanno fatto ciò che ci si aspettava. Melodia declinata in chiave discretamente moderna, slanci tenorili, inciso a ugole spiegate ma dalla struttura non propriamente scontata, amore a profusione, toni solenni e a tratti drammatici: è un mix che a Sanremo fa quasi sempre centro, soprattutto in assenza di proposte alternative di peso autentico. Non mi è dispiaciuta Anna Tatangelo, che ha cantato con professionalità una "Libera" serena, morbida e rassicurante, di stampo assolutamente tradizionale dopo le recenti audacie di "Muchacha" (ma anche del "Bastardo" che colpì a Sanremo 2011): non a caso, dopo essersi tolta il cognome per una sola, breve estate, è tornata a sfoderarlo con orgoglio sulla Riviera Ligure: bizzarrie da artista? Oscuri progetti di marketing dei discografici? Boh. 
BRAVI... IDIOTI, MORENO DEVE RISALIRE - L'altro pezzo griffato Silvestre, "Il solo al mondo", per il momento è scivolato via come acqua fresca, affidato alla acerba personalità  di Bianca Atzei (sfido: perché sia stata inserita fra i Big rimane un mistero poco gaudioso), Lorenzo Fragola è parso discretamente radiofonico ma penalizzato da un'esecuzione live minata dall'emozione. Meritano sostanziale benevolenza Biggio & Mandelli: il tributo a cabarettisti d'antan è evidente, Cochi e Renato in primis , ma è una citazione ben fatta, ferma restando l'inavvicinabilità dei modelli originali. Insomma, diciamocelo: fra i tanti "non cantanti" che hanno sfilato negli anni sul palco dell'Ariston in gara, quella dei due Soliti Idioti non è stata certo la proposta peggiore. Piuttosto, sorprende la caduta in "zona retrocessione" di Moreno: personaggio al quale non ho risparmiato critiche in passato, ma che nella circostanza ha portato uno dei brani più schiettamente rap nella storia di Sanremo, ben costruito e che si ficca subito in testa. Sorprendente anche perché è forse il primo (vado a memoria) dei reduci da talent a ritrovarsi a rischio eliminazione: ma sarei pronto a scommettere che venerdì le nubi sulla testa del genovese si diraderanno rapidamente. 

                                             Anna Tatangelo: non male, dopotutto

GIOVANI DA SEGUIRE - La serata era stata aperta dai "quarti di finale" della gara fra le Nuove proposte: eliminazione diretta, meccanismo rapido e crudele, ma in fondo il Sanremone è o non è una tenzone canora? E del resto, le canzoni dei giovani sono "nell'aria" già da diverse settimane, chi era interessato ha avuto modo di ascoltarle più volte e crearsi una propria opinione (vantaggio non concesso, giustamente, ai Big). Certo gli abbinamenti contano molto, magari Chanty avrebbe prevalso contro Kaligola e i Kutso non avrebbero avuto vita facile contro Enrico Nigiotti. Alla fine l'han spuntata questi ultimi due: nessuna sorpresa per il cantautore toscano, che ho già indicato come massimo papabile per il successo finale (anche se dal vivo non ha reso al massimo), mentre non era facile pronosticare il passaggio del turno della bizzarra e dissacrante band, con la caciarona e gioiosa "Elisa". Beh, meglio così: Chanty ha una voce che vale ma deve magari modernizzare un po' il suo stile, Kaligola mostra già una discreta maturità compositiva, fa specie che lui sia finito subito fuori mentre il ben più banale Rocco Hunt l'anno scorso abbia addirittura vinto, ma son cose che succedono nel mondo dello spettacolo. 
BOILERS E PINTUS, COMICI DI PIANETI DIVERSI - Sul piano dello show, è parsa una serata condotta a tratti col freno a mano tirato, quasi che gli eccellenti risultati di audience del debutto abbiano creato una sorta di effetto "congelamento", la voglia di non andare oltre il compitino ché tanto ormai il pericolo flop è scansato. Ma attenzione: al Festival non si può mai dire mai fino alla notte inoltrata del sabato... Ancora impalpabili le "tre grazie" di Conti, lo stesso padrone di casa è sembrato troppo sbrigativo in certe circostanze e poco partecipe delle gag degli ospiti (soprattutto con Nibali e quella "misteriosa" bicicletta portata in scena quando il campione già non c'era più, ma anche con Edoardo Leo, chiamato solo in extremis sul palco per affiancare Amendola e Argentero nella promozione del film "Noi e la Giulia"). 
Sempre su ottimi livelli i Boilers, è sorta invece spontanea una domanda: ma Angelo Pintus è un comico? Lo avevo già bocciato sonoramente per la sua performance nel film "Tutto molto bello", oltreché per i suoi pregressi in certe trasmissioni Mediaset, ma ero stato messo sul chi va là dalla notizia di trionfi oceanici nei teatri italiani. Alla luce dei quali mi sorgono inquietanti dubbi sulla capacità di una fetta di pubblico di valutare il reale spessore artistico di un cabarettista. Lo sketch di Pintus non è stato uno sketch: non ha fatto ridere, punto e basta, se non per l'usuratissima imitazione di Pizzul, bella forza. Preferisco pensare che il ragazzo fosse in una serata negativa, ma gli interrogativi restano, e tanti. 
SPLENDIDA CHARLIZE - Di ben altro spessore l'ospitata di Charlize Theron, splendida, elegante, fascinosa, una vera star a tutto tondo, nel senso "hollywoodiano" del termine. Il fustaccio Antonacci, abbigliato in maniera discutibile, ha perlomeno omaggiato da par suo Pino Daniele (troppo fugace, invece, il ricordo di Mango, affidato a un balletto di Rocio Morales), mentre si conferma azzeccata la scelta delle vedettes del pop internazionale: hanno ben figurato i Marlon Roudette e soprattutto Conchita Wurst, la cui canzone "Heroes" è un evidente omaggio a David Bowie. La vincitrice dell'ultimo Eurovision Song Contest ha voce e presenza scenica, barba o non barba... Giusto il tributo a Pino Donaggio, che però poteva evitarsi il riferimento inelegante alla sua partner Jody Miller (nemmeno citata per nome) che interpretò "Io che non vivo" al Festival del '65. Rimane una domanda a martellarmi il cervello: dopo aver visto che nell'iniziativa "Tutti cantano Sanremo" gli ospiti propongono, come è logico, evergreen del passato festivaliero, perché alla famiglia Anania è stato consentito di citare un pezzo ("Gli occhi verdi dell'amore") che con Sanremo non c'entra un fico secco? 

mercoledì 11 febbraio 2015

SANREMO 2015, LA PRIMA SERATA: NEL FESTIVAL "DEGLI ENIGMI" BRILLANO NEK, BRITTI, ANNALISA, FABIAN E... CONTI

                                              Nek: fra i migliori della prima serata

E' il Sanremo del "preferisco non rischiare"? O forse il Sanremo della "mediocritas" non troppo aurea? Per quanto mi riguarda, al momento è soprattutto un Festival enigmatico. Difficile trarre giudizi sul livello della proposta musicale (e ci mancherebbe, dopo un solo ascolto e con ancora dieci canzoni "segrete"), arduo anche decifrare appieno la linea editoriale studiata per lo show nel suo complesso. 
SHOW SCHIZOFRENICO - Partiamo proprio da quest'ultimo punto. L'architettura dello spettacolo non ha ancora raggiunto una sua stabilità di navigazione, e ha anzi mostrato una certa qual schizofrenia: possiamo tranquillamente parlare di falsa partenza, per via di un'anteprima davvero troppo lunga (oltreché inattesa, o comunque male annunciata: non si era appena detto che, dopo il capolavoro 2014 di Pif, fare meglio fosse impossibile e quindi si preferiva evitare ogni preambolo?): l'idea in sé non era male, mostrare un po' di dietro le quinte e lasciare briglia sciolta ai pensieri in libertà dei cantanti. Uno stile vicino a quello delle nuove tv tematiche digitali, ma che andava opportunamente incanalato e compattato per non risultare indigesto: si è sfiorata la mezz'ora di durata, davvero uno sproposito. In compenso, la prima parte del Festival vero e proprio è stata snella, agile, dai tempi serratissimi: subito quattro Big a tamburo battente. 
CONTI PROMOSSO - Tutto ciò fino alla performance del primo superospite, Tiziano Ferro; dopo, si è registrato un notevole rallentamento, con tempi lunghi e artisti in gara diluiti fino a tarda serata, e solo in dirittura d'arrivo ci si è rimessi in carreggiata, col recupero di un ritmo più accettabile. Il Festival che preferiamo, televisivamente parlando,  è quello andato in scena dalle 21 e 15 alle 22 circa, essenziale e senza parentesi inutili. Ad ogni modo, non è il caso di drammatizzare: si tratta di dettagli che possono essere tranquillamente messi a punto a stretto giro di posta, anche perché a governare il carrozzone c'è Carlo Conti, in fondo il vero (l'unico?) vincitore della serata. 
Avete capito cosa significa fare una lunga gavetta e dedicare anni a servire umilmente l'ente tv di Stato? Significa aver accumulato un'esperienza tale che, quando ti chiamano per la prima volta a condurre l'evento mediatico più importante e delicato, te la cavi come se l'avessi sempre fatto, fino al giorno prima. Il toscano è stato un'impeccabile padrone di casa, sereno e dalla mano ferma, il vero erede di Pippo Baudo, ma meno nazionalpopolare e più asciutto nel muovere i fili del gala. Ha nettamente oscurato le sue tre collaboratrici, ma non per quella tendenza a debordare che era invece tipica dell'anchorman di Militello: più semplicemente, la sensazione è che potesse tranquillamente fare tutto da solo. Arisa ed Emma sono vallette improvvisate, al momento è di una evidenza crudele; quanto a Rocio Munoz Morales, è parsa abbastanza sciolta ma tutto sommato superflua: il giochetto dei proverbi spagnoli può reggere un paio di serate, poi forse bisognerà inventarsi qualcos'altro...
NESSUNO SI PRENDE RISCHI - Riguardo alle canzoni in concorso, avventarsi in giudizi sul livello complessivo dopo averne ascoltato solo metà e solo una volta sarebbe ingiusto, ingeneroso, scorretto. Ci sono alcuni dati di fatto, questo sì: "Preferisco non rischiare", si è detto all'inizio. E' evidente che si sia andati sul sicuro, che si sia scelto di tornare nel solco della più pura tradizione sanremese: del resto la linea artistica tracciata da Conti e dal suo gruppo di lavoro era nota fin dai tempi della selezione autunnale, perché sorprendersi? Così come è chiaro che nessuno degli artisti "convocati" si sia avventato in sperimentazioni troppo audaci: ma, diciamocelo, chi mai potrebbe attendersi svolte stilistiche radicali da un Britti, un Grignani o un Nek, all'età in cui sono giunti? 
NEK E BRITTI, BEI RITORNI - Non c'è il pezzo "che spacca", che lascia il segno subito, questo sì. Le certezze sono che Sanremo 2015 ci ha restituito un Nek e un Britti su buonissimi livelli: il primo ha sfornato una sostanziosa "Fatti avanti amore", energico brano dance di notevole impatto, mentre Alex ha fatto... Alex, ma lo ha fatto assai bene, pure con qualche slancio in più rispetto alle ultime uscite e con una gradevolissima base rock. Annalisa, che all'esordio rivierasco del 2013 aveva colpito con una "Scintille" non propriamente convenzionale, stavolta ha sposato una linea più ordinaria e rassicurante, facendosi "portavoce" di Kekko Silvestre, ma il leader dei Modà è uno degli autori più in forma del panorama pop attuale e lo conferma con una composizione di buona immediatezza, ottimamente resa sul palco dalla brava interprete savonese. 
GRIGNANI, BRUTTA PERFORMANCE - Non mi è dispiaciuta Lara Fabian, con una "Voce" classicheggiante ma dal ritmo coinvolgente. Assolutamente da riascoltare l'ermetica "Adesso è qui" di Malika Ayane e un Grignani enormemente penalizzato da una vocalità non all'altezza: evidentemente le "lezioni di canto per il fiato" che asserisce di aver preso non hanno ancora sortito l'effetto sperato. Di metabolizzazione non subitanea il sentito racconto di vita del duo Coruzzi - Di Michele, mentre "Straordinario" di Chiara sarebbe anche un'opera di pregevole fattura, ma sa troppo di già sentito. I Dear Jack non mi entusiasmano, ma fanno ciò che il pubblico chiede loro, e sicuramente centreranno il bersaglio anche con questa "Il mondo esplode (tranne noi)", dal ritornello facile anche se non originalissimo. Quanto a Nesli, sospeso il giudizio sul brano, va detto che, ecco, se una svolta stilistica c'è stata, fra i partecipanti, è stata la sua, ma c'era davvero bisogno di un altro artista che andasse a ingrossare il già nutrito drappello di cantanti pop melodici, lasciando la spiaggia sicura dell'hip hop? 

                                          Al Bano e Romina: preferiamo ricordarli così

BENE FERRO, MALE GLI ANANIA - Capitolo ospiti: la palma di migliori va agli impeccabili Imagine Dragons, alla sorpresa Boilers (gli improbabili giornalisti in platea che abbiamo conosciuto a Zelig), e soprattutto a Tiziano Ferro (il Cristiano Ronaldo de noantri, si può dire?). La sua "Incanto", composizione alla Branduardi, è stata forse la canzone nuova migliore fra quelle ascoltate nella prima serata del Festival: e allora, torna il discorso di sempre, mio personale tormentone da anni: perché non presentarla in gara? Possibile, certo, che Conti non glielo abbia nemmeno chiesto, possibile che lui, a domanda, avrebbe comunque risposto di no, eppure i rischi per questi grossi calibri sono di fatto inesistenti: se non vincono, il loro patrimonio di pubblico non viene comunque intaccato; se vincono, tanto di guadagnato. 
Tristezza assoluta per Al Bano e Romina Power, mito tenuto in vita artificiosamente dalle tv generaliste (con Romina andata completamente fuori tempo nell'esecuzione di "Cara terra mia": meno male che doveva essere un Festival tranquillo, per lei che ha sempre sofferto la competizione...). Inqualificabile lo "show" della numerosa famiglia Anania: l'idea dell'ospitata poteva essere anche carina, ma è stata rovinata da quei continui, sfiancanti riferimenti alla Provvidenza che... provvede a tutto. Pochi giorni fa, Papa Francesco ha detto: "Essere cattolici non significa fare figli come conigli"; ecco, speriamo che almeno la sua autorevole voce venga ascoltata in futuro, da chi ha in testa certe idee... Oltretutto, è stato anche molto inelegante partecipare all'iniziativa "Tutti cantano Sanremo" intonando un pezzo che a Sanremo non ha partecipato ("Gli occhi verdi dell'amore" dei Profeti). 
SIANI HA SBAGLIATO - L'altra caduta di stile della serata è stata purtroppo opera di Alessandro Siani, un bravo comico che però è incappato in una battuta assolutamente infelice sulla pinguedine di un ragazzino seduto in platea. Siani ha sbagliato e, come tutte le persone responsabili, se ne è reso conto immediatamente, a sketch finito, facendosi fotografare in camerino con la sua "vittima": tensione, emozione, superficialità, avventatezza più che lacune culturali, mi permetto di dire, ma la colpa resta, e il fatto che forse il tutto era stato studiato a tavolino con l'assenso del bimbo cambia poco le cose, perché scherzare sui difetti fisici non è proprio il massimo della vita. Certo ci sarebbe piaciuto sentire le stesse grida di indignazione dodici mesi fa, quando Elio e le Storie Tese si "ingrassarono" artificialmente per l'esibizione nella finalissima, ma allora no, non valeva, erano dei geni assoluti, era ironia raffinata...
Alessandro forse pagherà qualcosa, in termini di popolarità e simpatia, per questo infortunio, dopodiché non è il caso di farne un mostro (e non solo perché ha devoluto il suo cachet al Gaslini di Genova): se è vero che i personaggi pubblici devono dare il buon esempio, non è certo colpa delle sue battute sciocche o dei film di Banfi e Alvaro Vitali se, a scuola, i bambini parlano di "froci" e "recchioni" riferendosi agli omosessuali, se usano termini come "spastico" o "Mongoloide" a mo' di insulto o, appunto, definiscono sprezzantemente "obesi" quelli un po' sovrappeso: le responsabilità vanno ricercate nelle agenzie educative primarie, famiglie in primis, ma è un discorso che ci porterebbe troppo lontano... Di ben altro spessore l'apparizione del dottor Pulvirenti, che ha raccontato con realismo ma senza enfasi la sua esperienza di volontario di Emergency guarito dall'Ebola. Peccato per il confinamento in chiusura di serata del duo "Doppia coppia" (Michael Bublè e il suo traduttore, direttamente da "Made in Sud") e del corrosivo Rocco Tanica. Stasera, altri dieci Big e i primi quattro giovani, in prime time. 

martedì 10 febbraio 2015

SANREMO 2015 AL VIA: L'ATTESA DI UN FESTIVAL "LEGGERO", CON IL VOLO FAVORITISSIMO. E QUEI SUPEROSPITI ITALIANI...

                                                  Il Volo: parte in pole position

Al via stasera un Sanremo particolarmente atteso. Oddio, è pur vero che, da quando mi interesso all'evento, vigilie del Festival in tono minore non ne sono praticamente mai esistite. Però stavolta c'è un motivo di trepidazione in più: il desiderio di ritrovare la dimensione più vera e genuina della kermesse ligure, la sua essenza leggera, pop e glamour, vistosamente annacquata soprattutto nell'ultima edizione targata Fazio, appesantita da sovrastrutture estranee ad un'amena rassegna canora. 
Le premesse sembrerebbero buone: Carlo Conti, il nuovo "padrone del vapore", voleva riportare al centro la gara e la musica italiana e, sulla carta, l'ha fatto, innalzando fino a venti il numero di Big in concorso, dopo le ristrettezze dell'ultimo lustro, e ripristinando le eliminazioni, seppur in scala ridotta. Voleva riportare in superficie, dopo anni di quasi oscuramento, le Nuove proposte, e ha annunciato che le verdi speranze della nostra canzone si esibiranno all'inizio delle serate. Il resto dovrebbe arrivare dalla linea musicale che l'anchorman toscano e i suoi collaboratori hanno deciso di imprimere a questo Sanremo numero 65: ridotto, forse troppo, lo spazio dedicato a certe nicchie sonore, mentre si punta con decisione sulla tradizione festivaliera, sulla melodia e sulle ballad, il tutto declinato il più possibile in chiave contemporanea. La direzione artistica ha promesso canzoni orecchiabili, in grado di inserirsi con autorevolezza nelle playlist radiofoniche e di resistere all'usura del tempo. Vedremo. 
IL VOLO UBER ALLES - Avventurarsi in pronostici è altamente sconsigliabile, ma va detto che quest'anno si è tornato a respirare il clima che caratterizzò tanti Festival anni Ottanta, con le loro atmosfere da "vincitori annunciati". Già, perché le quotazioni del Volo sono salite rapidissimamente alle stelle: accompagnati dalla benevolenza di molti media autorevoli, già a far data dal concerto di Natale in Senato, i tre giovani tenori partono con un vantaggio piuttosto netto sulla concorrenza: il pubblico generalista di Rai Uno (la rete del Festival) li ha in pratica visti crescere, grazie alla loro partecipazione a "Ti lascio una canzone"; portano un pezzo che, secondo le indiscrezioni e a giudicare da una prima lettura del testo, è quanto di più banalmente sanremese possa esserci; last but not least, da qualche anno mietono successi in tutto il mondo, tenendo alta la bandiera di una tradizione canora tricolore piuttosto "passatista" ma che all'estero, in linea di massima, riconoscono ancora come il principale marchio di fabbrica della produzione made in Italy (pensiamo, anche, al successo russo degli ipermelodici Cutugno, Al Bano e Romina, Fogli e compagnia... cantante). 
SERVE IL CAPOLAVORO - Insomma, potrebbe essere uno di quei casi in cui si parte da una posizione talmente solida da aver bisogno soltanto, per arrivare primi al traguardo, di un brano appena passabile (qualcosa di simile a ciò che accadde ai Ricchi e Poveri nell'85, reduci da trionfi intercontinentali e vittoriosi al Festival con la modesta "Se mi innamoro"). La sensazione è che, per battere questi ragazzini terribili, occorra una canzone capolavoro, o qualcosa che gli si avvicini il più possibile: un "colpo da maestro" che, parere personale, è nelle corde soprattutto di Raf, Irene Grandi, Malika Ayane, e in seconda battuta di Nek e Alex Britti. Oppure serve la composizione a fortissimo impatto radiofonico, e in questo senso l'ago della bilancia si sposterebbe più verso Chiara, una Annalisa targata Kekko Silvestre, i Dear Jack o addirittura Lorenzo Fragola. Parole in libertà, al momento, in assenza della materia prima su cui modellare giudizi più attendibili. 
IL RITORNO DI GRIGNANI? - E allora, continuiamo con le sensazioni: credo molto in Annalisa, uno dei talenti più puri usciti dalla scuola di Amici: il suo pezzo d'esordio sanremese, "Scintille", era qualcosa di più di un pop leggerino, insistendo su quella strada stilistica e interpretativa può affermarsi anche in un mercato così poco ricettivo come quello italiano d'oggidì. E c'è curiosità per il ritorno di Grignani, non tanto per le vicissitudini dell'anno passato, che restano un suo fatto strettamente personale: il desiderio è quello di vederlo finalmente avvicinarsi agli ottimi livelli dei tempi del debutto, livelli mai più toccati. Intendiamoci, Gianluca non ha fatto cose pessime, dopo "La mia storia fra le dita" e "Destinazione paradiso": ma, limitandosi alle opere portate in gara all'Ariston, le varie "Lacrime dalla luna", "Liberi di sognare" e "Cammina nel sole" sono state caratterizzate da una sostanziale medietà. ossia prodotti di discreta fattura, ascoltabilissimi e dignitosi, ma non tali da far gridare al miracolo, e di certo non rimasti nella storia. L'artista si è detto convinto di avere un pezzo di spessore: lo attendiamo al varco.

                                            Gianluca Grignani: sesto Festival per lui

TROPPA SAMANTHA - Sanremo 2015 leggero e glamour, si diceva, e ciò trova conforto anche nella scelta degli ospiti. Il fatto di non dover più sorbirci autentici corpi estranei, in primis l'insopportabile retorica di Gramellini, è già un sollievo. Certo, qualcosa da eccepire rimane: "astro" Samantha Cristoforetti, ad esempio, è un'assoluta eccellenza italiana, un orgoglio nazionale senza se e senza ma. Mediaticamente, però, è già stata "spremuta" oltre ogni limite da Fabio Fazio a "Che tempo che fa". Insomma, è un'ospitata (tre virgolette) già bruciata da mesi di martellamento televisivo. 
GLI ITALIANI CHE NON RISCHIANO - Ancora: sarà di nuovo un Festival di "figli e figliastri". Perché, come è ormai radicata e deprecabile abitudine, ci sono i big italiani in gara e ci sono quelli che a mettersi in gioco non ci pensano nemmeno. Così, sul palco ligure sfileranno Al Bano e Romina Power, e passi, ma soprattutto Tiziano Ferro, Gianna Nannini, Biagio Antonacci e, ultima news, Ruggeri col pezzo dedicato a Faletti, Jannacci e Gaber che, stando alle indiscrezioni, avrebbe dovuto portare in gara (ma rinunciò per problemi connessi alla lavorazione del suo nuovo album). Questa disparità di trattamento non l'ho mai accettata né mai l'accetterò: il prestigio della manifestazione guadagnerebbe in misura esponenziale dalla partecipazione in concorso di artisti di questo spessore. Pensavo che con la comparsata sopra le righe di Ligabue, dodici mesi fa, si fosse raggiunto il massimo dell'ineleganza, ma non c'è mai limite al peggio.
UN CONTI.... FAZIANO - Il parco ospiti è sull'orlo di una deriva kolossal: la conferenza stampa di ieri ha snocciolato un rosario di nomi che rischiano, davvero, di farci tornare alle dirette fiume degli anni Ottanta (quando capitava che Baudo, a fine trasmissione, desse la linea "al Tg1 del mattino"). Ci saranno attori e attrici in giro promozionale, uno dei "buchi neri" dell'ultimo quinquennio festivaliero che avremmo voluto veder drasticamente ridotto, e ci sarà, udite udite, un tributo alla filosofia del primo Fazio sanremese, quello giocoso e fanciullesco: all'insegna del motto "tutti cantano Sanremo", più o meno come nel 1999 (quando lo slogan fu "Tutti presentano Sanremo") sfileranno personaggi di varia estrazione per raccontare brevemente il loro Festival, magari accennando alla canzone preferita del passato. In questo ambito, desta sincero sdegno l'arruolamento di Massimo Ferrero, assurdamente innalzato agli onori televisivi senza che nessuno abbia mai sentito la necessità di mettere in evidenza determinati aspetti controversi del suo passato. Una caduta di stile che Conti poteva evitare ed evitarci,
CONCHITA, CONTE IN ALLARME E I COMICI GIA' VISTI - Pazienza: consoliamoci col drappello di esponenti di spicco del pop internazionale "à la page" (Imagine Dragons, Saint Motel, Ed Sheeran e The Avener) e col ripescaggio degli Spandau Ballet, roba da lucciconi; con l'azzeccata operazione Conchita Wurst, che darà visibilità ancora maggiore all'Eurovision Song Contest (sempre un po' negletto in Italia) consolidando vieppiù il legame fra la competizione continentale e il Sanremone; e poi con l'infornata di comici: Luca e Paolo, Alessandro Siani, Panariello e Angelo Pintus. A parte l'ultimo citato, il gruppo tende al "già visto", essendo tutti personaggi passati per quel palco in anni più o meno recenti, ma è gente che fa spettacolo e diverte, e questo conta.
Di Antonio Conte  e del suo intervento all'Ariston avevo già parlato giorni fa qui: nel frattempo, l'atmosfera attorno al CT azzurro si è ulteriormente infiammata, con la cancellazione dello stage di febbraio e i nuovi guai giudiziari. A questo punto, il suo intervento assume un peso autenticamente decisivo per ricreare interesse e affezione attorno alla Nazionale. In ogni caso, per fortuna si comincia: il rischio di vedere un altro speciale di Rai Storia come quello di sabato scorso, con Gianni Riotta e Gino Castaldo a sdottorare altezzosamente sul Festival, fra considerazioni fuori dal mondo ("Si può dare di più" canzone di rara bruttezza...) e filmati di repertorio di dubbia utilità, dovrebbe essere scongiurato.

domenica 8 febbraio 2015

VERSO SANREMO 2015: UN PRIMO GIUDIZIO SULLE NUOVE PROPOSTE


Sarà l'anno del rilancio in grande stile, per la sezione "Nuove proposte" del Festival di Sanremo? Da un punto di vista meramente organizzativo, pare proprio di sì. Dopo tanti, troppi anni di semiclandestinità, con le voci emergenti della nostra canzone costrette a cantare a orari da vampiri, compresse fra i big in gara e i cosiddetti superospiti (molti dei quali fuori luogo e fuori contesto), Carlo Conti ha deciso di restituire centralità al vivaio della kermesse rivierasca: gli otto giovani apriranno addirittura le serate, esibendosi in "prime time". Incredibile ci sia voluto così tanto tempo per arrivarci, quando era evidente l'assurdità di una collocazione in palinsesto così penalizzante; curioso che ad assumersi il rischio di questa scelta sia stato il più rassicurante dei presentatori attualmente su piazza. Ma in effetti, di quale rischio stiamo parlando, se per tanti anni, soprattutto negli Ottanta, toccò proprio agli esordienti far da apripista alle serate festivaliere, senza che ciò causasse alcuna incrinatura all'edificio sanremese?
MEGLIO DEL PREVISTO - Sul piano della qualità, debbo dire di aver rivisto in parte i miei giudizi, che al primo impatto con gli otto brani in concorso non erano stati particolarmente lusinghieri. Ora, dopo aver metabolizzato le opere attraverso diversi ascolti, non si può non rilevare che qualcosa di buono ci sia. Come livello complessivo, mi pare di percepire un arretramento rispetto all'edizione 2014: non vedo all'orizzonte progetti solidi e personalità svettanti come fu nel caso di Zibba, The Niro, Diodato e anche Filippo Graziani, ma non mancano i talenti su cui si può lavorare con pazienza, cercando di portarne qualcuno al successo vero. 
ARRANGIAMENTI MODERNI, IDEE ANTICHE - In linea di massima, si nota una grande ricercatezza negli arrangiamenti, talmente ben fatti da mascherare idee di base non sempre (anzi, raramente) originalissime. Quasi tutti i concorrenti strizzano l'occhio alla tradizione italiana, ma hanno almeno il merito di leggerla in chiave abbastanza moderna. Manca, allo stato delle cose, il personaggio in grado di aprire un capitolo autenticamente inedito nel panorama, tutto sommato stagnante, del pop nostrano. Nessuna scopiazzatura, intendiamoci, ma un sostanziale rivolgersi a modelli di fresco successo. Non è un modus operandi particolarmente produttivo, in generale: tentare di inserirsi in nicchie di mercato già sature è, di questi tempi, impresa disperata. Auguri a tutti, ma non sarà facile. Ora, uno sguardo sintetico ad ogni singola produzione. 
"Credo" - Amara: non è sicuramente la proposta più innovativa. Impronta classicheggiante, fortemente melodica, con rimandi allo stile interpretativo di Noemi e alla linea compositiva di certe opere recenti di Giusy Ferreri. Voce di notevole impatto, ma è una di quelle canzoni che rischia di nascere e morire sul palco dell'Ariston, nel giro di pochi giorni.
"Galleggiare" - Serena Brancale: qui siamo su livelli piuttosto alti. Brano raffinato, con atmosfere di jazz purissimo, come raramente se n'è ascoltato dalle parti di Sanremo (forse solo Rossana Casale ci si era avvicinata, ma restando comunque legata a sonorità più schiettamente pop). La tipica canzone poco festivaliera, non facile da assimilare. E scarsamente radiofonica, per usare un termine tanto in voga di recente, ma in questo caso, è proprio il caso di dirlo, chi se ne frega? E' una bella canzone e tanto basta. 
"Ritornerò da te" - Giovanni Caccamo: qui rientriamo nell'alveo della tradizione. E' il brano forse più orecchiabile del lotto, con un ritornello facile facile che si stampa subito in testa, ma la veste sonora è moderna e accattivante. Può puntare alla vittoria. 
"Ritornerai" - Chanty: direttamente dalla Tanzania, una voce avvolgente e sensuale al servizio di un "lento ritmato", una canzone che non brilla per elementi innovativi, anzi: lo schema è il più classico che ci sia. Il valore aggiunto lo danno l'intensa interpretazione e un arrangiamento curato, ricco di sfumature, al passo coi tempi. 
"Oltre il giardino" - Kaligola: poteva mancare l'angolo del rap? Naturalmente no, ma è un'opera che va valutata con sostanziale benevolenza. Rap all'acqua di rose, d'accordo, e in una certa misura ingenuo, con un tributo al Frankie Hi NRG di "Quelli che benpensano" nella costruzione del brano. Il testo è impegnato (storia e disagio di un uomo ai margini della società) ma concepito con più realismo, maggior vena poetica e meno retorica rispetto all'analoga operazione che diede a Rocco Hunt il trionfo di categoria dodici mesi fa.
"Elisa" - Kutso: il pezzo più controcorrente fra gli otto in lizza. Divertissement puro, ritmi forsennati concentrati in un tempo assai ristretto (il motivo dura poco più di due minuti e mezzo), testo senza freni inibitori. E la voce solista ricorda un po' il Sarcina delle Vibrazioni, ma lo stile, allegro e scanzonato, è agli antipodi. 
"Qualcosa da decidere" - Enrico Nigiotti: sul mio personale taccuino, il più autorevole candidato al successo finale. Il pezzo maggiormente contemporaneo nella struttura, pur se pare di percepire alcune atmosfere anni Novanta. Tradizionale senza essere banale, orecchiabile il giusto, altamente radiofonico, l'unico con una certa impronta cantautoriale.
"Io non lo so cos'è l'amore" - Rakele: in parte si può ripetere il discorso fatto per Chanty: pezzo di stampo classico ma "vestito" con le sonorità di un arrangiamento attualissimo, ricco e coinvolgente. Quest'opera ha qualcosa in più, grazie a un'atmosfera soffusa e alla voce morbida e calda dell'interprete campana.  

martedì 3 febbraio 2015

IL MERCATO DI GENNAIO SFORNA UN GENOA DIVERSO: MA ERA PROPRIO IL CASO?

                                    Borriello, terza volta in rossoblù: funzionerà ancora?

Tengo fede alla promessa di non parlare più di Serie A, di questa invereconda Serie A, a tempo indeterminato. Salta quindi il consueto appuntamento con il bilancio critico del mercato di gennaio, ma faccio un'eccezione con un flash sul Genoa, perché resta uno dei temi centrali del blog e perché comunque in questa sessione invernale qualcosa è successo. E' successo troppo, direi, in misura tale da non poter essere taciuto. 
I TRE NAZIONALI PERDUTI - Farsi piacere qualsiasi operazione fatta dalla società è un modo di ragionare che non mi appartiene. Senza scadere in pessimismi "a prescindere", mi piace riflettere partendo da dati di fatto incontrovertibili. E i dati di fatto, al momento, sono essenzialmente i seguenti: il Grifone ha lasciato andar via tre suoi titolari nonché Nazionali azzurri: Antonelli, Sturaro e Matri. Il riferimento è all'ultima convocazione di Conte, per l'amichevole novembrina con l'Albania: si può discutere su Matri, premiato nell'occasione per il buon rendimento in campionato ma senza alcun futuro a lungo termine in rappresentativa, e magari anche su Sturaro, che per il momento è più che altro un punto fermo dell'Under di Di Biagio, ma comunque nel gruppo della Maggiore ci sono. 
Si può discutere meno di Antonelli, che ha ricevuto fiducia dal neo CT dopo essere stato a lungo nel giro di Prandelli, e a tal proposito è particolarmente triste la sindrome in stile "la volpe e l'uva" manifestata da molti genoani dopo la partenza di Luca in direzione Milan: il laterale sinistro è improvvisamente diventato un giocatore modesto, inaffidabile in fase difensiva e nemmeno eccezionale negli sganciamenti, uno di cui si può fare tranquillamente a meno. Beh, che non sia un fuoriclasse né l'erede di Facchetti e Maldini ce n'eravamo francamente accorti un po' tutti da anni, ma che comunque sia attualmente uno dei migliori nel suo ruolo in Italia (con tutte le considerazioni del caso sulla decadenza del football nostrano, d'accordo) e che al Genoa abbia dato un contributo importante in fatto di prestazioni e di gol, non è revocabile in dubbio. 
POTENZIALE OFFENSIVO DIMEZZATO - Ecco, i gol: questo è il secondo dato di fatto. Preziosi e compagnia hanno ceduto a cuor leggero un potenziale di quindici segnature: tante ne hanno messe insieme, fino alla 21esima giornata, i vari Matri (sette gol), Pinilla (tre), Antonelli (due, più quello con il Palermo "in coabitazione" con Bertolacci), Fetfatzidis (due). Quindici su ventinove, quante sono le reti messe a segno finora dal team rossoblù (tra cui due autoreti). Personalmente, mi pare un'enormità. Chi colmerà il vuoto? Queste erano certezze, piaccia o meno. Il mercato, in cambio, ha riportato a Genova per l'ennesima volta Borriello, attaccante ormai 32enne che nella passata stagione ha giocato appena undici gare con la Roma (di cui solo sei partendo titolare), e che nell'anno solare 2014 ha visto il campo in appena due circostanze. E' lecito dire che si tratti di un salto nel buio, al di là dell'innamoramento perenne dei fans genoani per il giocatore (che, per carità, ha fatto benissimo nelle due precedenti esperienze sotto la Lanterna)? Assieme a lui, ecco alcuni discreti mestieranti (Ariaudo, Pavoletti), due giovanotti di cui si attende l'esplosione da un paio d'anni (Laxalt e Niang) e un paio di scommesse straniere (Tambè e Bergdich). 
RIVOLUZIONE NON NECESSARIA - Mi sembra, francamente, si sia azzardato un po' troppo. Dopo il capolavoro di Genoa - Milan auspicai che non si smontasse il giocattolo, ma, ancora una volta, i miei sono rimasti sogni. E' vero, ci sono ancora i "craque" Perin e Perotti, peraltro destinati a una breve militanza in rossoblù (soprattutto l'argentino); ci sono ancora Kucka, quel Bertolacci che è ormai un punto fermo, la rivelazione Falque, un Lestienne su cui vale la pena insistere, ragazzini che hanno già fatto intravedere le loro doti come Izzo e Mandragora; e si spera in un sollecito rientro di Marchese e Costa, a questo punto divenuti fondamentali nell'economia del gioco di Gasperson. Però, ecco, mi attendevo una maggiore stabilità. Dall'esterno, per chi come me non ha la possibilità di ricevere "rumors" dallo spogliatoio e dalle stanze della dirigenza, la sensazione era che la squadra avesse raggiunto una quadratura tecnica, tattica e psicologica in virtù della quale non erano assolutamente necessarie rivoluzioni; e non può certo giustificarle la crisi di risultati dopo Genoa - Roma, della quale ho ampiamente parlato, causata essenzialmente da tre fattori: l'assenza di "Don Diego", una generale (ma non netta) flessione di rendimento dopo una prima parte di stagione "monstre", e l'inaccettabile sequenza di strafalcioni arbitrali da... radiazione dall'albo dei fischietti. 
MENO ITALIANITA' E PIU' INCOGNITE - Ripeto, non voglio fare il pessimista ad oltranza. In tre anni e mezzo di blog, ho criticato il Genoa quando era da criticare, l'ho sostenuto e lodato quando ha mostrato, a parer mio, di meritarselo. Però è un fatto che si siano messe da parte sicurezze acquisite sposando incognite assolute. E, particolare che personalmente non trascuro mai, il Genoa ha annacquato quella sua italianità che ne aveva contraddistinto l'operato estivo, rivolgendosi anch'esso con decisione al mercato straniero laddove poteva diventare, assieme al Sassuolo e a pochi altri club, un portabandiera della valorizzazione del "prodotto interno". Con ciò, non voglio dire che Borriello non possa fare, nel girone di ritorno, anche più gol di Matri, avendo al fianco satanassi come i citati Perotti, Falque e Lestienne, né che un Laxalt non possa emergere o che un Tambè non si mostri l'ennesimo frutto azzeccato dello scouting rossoblù. Ma chi, al momento, parla di Genoa "non indebolito", perlomeno sulla carta, è lontano dalla realtà.