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domenica 4 giugno 2017

CHAMPIONS LEAGUE: JUVE TRAVOLTA DA UN REAL QUASI PERFETTO. GENERAZIONE BIANCONERA DI "INCOMPIUTI DI SUCCESSO"


La speranza, adesso, è che nessuno tiri fuori la tiritera dei "Galacticos" e dello "squadrone invincibile". In una finale di Champions League (torneo che nelle battute conclusive è da tempo terreno di caccia esclusivo dell'élite del continente) nessun gap tecnico potrà mai giustificare uno scarto di tre reti nel punteggio e, soprattutto, un abisso nelle espressioni di gioco come quello visto ieri sera a Cardiff. Ergo, quando si perde come ha perso la Juventus col Real Madrid, ossia nettamente sotto tutti i punti di vista, i demeriti degli sconfitti sono almeno sullo stesso livello dei meriti di chi si (ri)porta a casa la Coppa.
E' un ko pesante, che origina in primis dallo spogliatoio della Juve, da come è stata preparata e affrontata la sfida dell'anno, e forse affonda le radici ancor più in profondità, nel DNA di una generazione bianconera che si avvicina al tramonto agonistico senza aver saputo acquisire il quid per accostarsi ai colossi europei più vincenti. Ma la débacle coinvolge anche tutto l'ambiente-calcio italiano in molte sue componenti, soprattutto quella mediatica. L'esperienza mi dice: diffidare sempre delle vigilie un po' troppo inebrianti e ottimistiche, perché sono quasi costantemente foriere di cocenti delusioni. Non è una questione di scaramanzia, argomento che nemmeno mi sfiora: è semplicemente il rischio di avvicinarsi all'appuntamento con convinzione e carica eccessiva, finendo per sgonfiarsi come un palloncino al primo stormir di vento contrario. 
ERA UN SUPER REAL, MA NON TUTTI L'AVEVANO CAPITO - Non dico vi fosse aria di predestinazione, ma insomma... Il motto della settimana pareva essere: "Ci siamo, dai che è la volta buona". Il confine fra ottimismo e spavalderia è quasi sempre sottile, ci vuole un attimo a superarlo, con tutte le controindicazioni del caso. Certo è che la latente sottovalutazione del Real Madrid targato Zidane è stata palese. Eppure mai come in questa stagione europea le Merengues mi sono parse aver raggiunto la quadratura del cerchio, la fase di quasi assoluta perfezione di questa loro ennesima età dell'oro. Il doppio confronto col bel Napoli di Sarri è stato illuminante, in tal senso: poteva anche subire per un tempo intero, la "Casa blanca", ma limitava i danni  per poi uscire alla distanza e affondare l'avversario con colpi ripetuti e implacabili. Scena poi rivista anche nel turno successivo col Bayern Monaco. Insomma, un "equipo" che al pieno di classe aggiungeva una solidità tattica, fisica e psicologica tale da fargli superare tempeste autenticamente terribili. 
JUVE SUBITO DISINNESCATA - E' un copione che, tutto sommato e pur con qualche variazione, si è ripetuto pure al Millennium Stadium. Come tutte le compagini consapevoli di una certa inferiorità sul piano del talento complessivo, dell'esperienza e dell'abitudine alla vittoria, la Juventus è partita forte, cercando, se non di colpire a freddo, quantomeno di indurre i rivali a più miti consigli. Non c'è riuscita (grazie anche a una bella deviazione di Navas su staffilata di Pjianic), ha anzi preso gol sul primo affondo subìto, e già lì si è capito che i piani iniziali erano saltati. C'è stata una reazione puramente nervosa, che ha portato a un pareggio tutto sommato meritato, frutto peraltro di una estemporanea prodezza di Mandzukic. Ma già da qualche minuto molti ingranaggi torinesi parevano fuori fase: Higuain e Dybala davanti non avevano un briciolo dell'ispirazione dei giorni migliori, la difesa faticava a contenere certe incursioni in velocità dei detentori del trofeo. Prima dell'intervallo ha ceduto di schianto la cerniera di centrocampo Khedira - Pjianic, col tedesco che, semplicemente, non era in condizione di giocare una gara così importante e complessa, e il bosniaco che è scivolato fuori dal match quando avrebbe far dovuto sentire il peso dei suoi piedi buoni e del suo fosforo; sulle fasce, Alex Sandro si dannava, mentre Dani Alves, l'uomo chiave degli ultimi due mesi, palesava timidezze inusitate: un cross trasformato in un debole appoggio per la difesa avversaria, episodio in apparenza di scarso rilievo, era in realtà l'ultimo campanello d'allarme. 
CROLLO FISICO E MENTALE - Nella ripresa il crollo è stato completo: è parso prima di tutto un crollo fisico, l'handicap che troppe volte, in questi ultimi anni, ha frenato club italiani anche validi nelle loro campagne europee, cioè un palese deficit di condizione atletica rispetto ai competitors più quotati, una scarsa capacità di tenuta alla distanza. I ragazzi di Allegri nel secondo tempo non sono in pratica scesi in campo, l'acuto dell'1-1 li ha prosciugati. L'1-4 di chiusura è una fotografia crudele ma onesta della loro serata da incubo sportivo. E se le gambe non rispondevano più, anche il cervello è andato in black out, cosa ancor più clamorosa perché, se può non sorprendere un giovane Dybala schiacciato dal peso mentale della prima finale Champions in carriera, gli imbarazzi da debuttanti dei vari Barzagli, Bonucci e Chiellini paiono senza una spiegazione logica. Proprio loro, che desideravano quella Coppa più di ogni altra cosa. 
OSSESSIONE FATALE - Era diventata un'ossessione, un eccesso, ci si è pensato forse troppo, ma le ossessioni possono anche essere gestite in maniera positiva e dare i frutti sperati. In casa Juve non ci sono riusciti, perciò, spiace dirlo, occorre parlare di mezzo fallimento: perché la campagna acquisti estiva, per come si era sviluppata, aveva proprio la massima competizione europea come obiettivo. Poi certo, in finale bisogna arrivarci e dopo diventa un terno al lotto, perché in partita secca tutto può accadere, ma c'è modo e modo di perdere, e Buffon e compagni hanno scelto quello peggiore. 
ULTIMA OCCASIONE? - Già, Buffon:  ha visto sfumare una delle ultimissime occasioni per coronare il sogno di una vita in bianconero. E' questo un altro degli aspetti che portano  il bilancio ad assumere una tonalità rossa: il portierone, la B-B-C prima citata, ma anche Alves, Khedira, Higuain e Mandzukic non sono più di primo pelo, per loro ogni stagione diventa una scommessa: saranno ancora quelli dell'anno prima? Ecco perché, per "questa" Juventus, la Juventus dei sei scudetti consecutivi, la Coppacampioni 2016/17 doveva essere quella buona; non nel senso di una predestinazione, come detto prima: certe cose non esistono, nel football. Nel senso, invece, che il match doveva essere preparato meglio, con convinzione ma anche con la serenità di chi sa di poter gettare sul tavolo carte comunque importanti. Come due anni fa all'Olympiastadion, e anche peggio, rimane il dubbio che non si sia fatto di tutto per opporsi a rivali forti ma non inavvicinabili: gli imbattibili raramente esistono, nel calcio.
Che si potesse far di più lo dimostra la troppo stridente differenza fra Cardiff e le prestazioni fornite nei precedenti quattro match con Barcellona e Monaco, quando, in alcuni momenti, il team bianconero ha mostrato le stimmate del meccanismo perfetto, per organizzazione in campo, intelligenza e soprattutto approccio alle gare; c'erano queste cose, e c'erano anche i top player, il Dybala pulcino bagnato di ieri era lo stesso che qualche settimana fa aveva asfaltato il grande Barça... Nulla di tutto ciò è bastato, e la Signora, nella versione attuale, non ha saputo saltare il fosso, rimanendo una splendida piazzata, una "incompiuta di successo" (in campo internazionale). 
MARCELO, ISCO E UN SUPER CR7 - Tutto è sfumato a un passo dal traguardo, quando invece le armi in precedenza sfoderate dovevano risultare ancor più affilate. Poi, ripeto, il Real ci ha messo del suo per disinnescare una Juve che però, a parte due fiammate (l'avvio e la reazione al primo svantaggio) era caricata a salve. I picchi spagnoli? Un Marcelo indemoniato  e sgusciante come ai bei tempi, là sulla sinistra; un Modric che, oltre a confezionare l'assist dell'1 a 3, ha retto con ordine le fila della manovra ben coadiuvato da un Casemiro che ha sommato quantità, qualità e intraprendenza nelle due fasi; un Isco che ha più volte mandato a carte quarantotto le linee difensive italiane con micidiali incursioni e accelerazioni palla al piede, con quella proprietà di palleggio che rimane marchio di fabbrica della splendida scuola iberica anni Duemila.
Dulcis in fundo, beh, Cristiano Ronaldo. Fino a qualche tempo fa c'era ancora qualcuno talmente ardimentoso da sostenere che non segnasse mai gol importanti. Affermazione così surreale da non aver bisogno di smentite, tuttavia i due gol nei momenti topici del match (il primo a freddare i prematuri entusiasmi torinesi, il terzo a piazzare il ko), il peso offensivo, la concretezza, il piglio da conquistatore con cui il superbomber portoghese ha affrontato questo ennesimo, personale appuntamento con la storia, marcano la differenza fra i fuoriclasse assoluti come lui e i grandi campioni incompleti come Higuain. La stessa differenza fra il Real e la Juve dei sei anni, che da Berlino a Cardiff è cresciuta in talento ma non ha saputo acquisire la completezza e la maturità delle grandi europee. E ora tutto diventa difficile, perché si deve ripartire con gente fresca e uomini nuovi, presumibilmente a corto di esperienza internazionale. Auguri.
P.S.: A Torino, in piazza San Carlo, la foto delle scarpe rimaste sul terreno mi ha ricordato alcune drammatiche immagini dell'Heysel, senza mezzi termini. Il panico ha rischiato di creare un altro disastro di proporzioni inimmaginabili, e il numero abnorme di feriti lo dimostra in maniera inequivocabile.