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domenica 13 dicembre 2015

SANREMO 2016: UN CAST DI BIG SU MISURA PER IL MERCATO. E NON C'E' UN VINCITORE ANNUNCIATO...

                                          Enrico Ruggeri torna in gara a Sanremo

"Un Festival giovane e per i giovani", disse Maria Giovanna Elmi introducendo la rassegna sanremese del lontano 1978. Altri tempi, tempi più grami di quelli attuali per il Festivalone, senza ombra di dubbio. Eppure, quello slogan si adatta perfettamente al cast di Big reso noto poche ora fa dal "patron" Carlo Conti, durante l'ormai rituale appuntamento all'Arena di Massimo Giletti. Il listone dei venti "vip" si presta, come raramente è avvenuto nel passato recente, a un'infinità di considerazioni e riflessioni che coinvolgono l'essenza stessa dell'evento Sanremo.
SANREMO SUL MERCATO - Festival giovane e per i giovani, quello del 2016, proprio così: al passo coi tempi, senza se e senza ma. E' forse uno dei cast maggiormente allineati alle tendenze di mercato dell'intera storia della kermesse, sicuramente il più appiattito sulle esigenze dell'industria musicale da quando lo show è stato preso in gestione diretta dalla Rai tv. Tanti reduci dai talent, anche se penso sia doveroso distinguere fra chi da quei vivai è venuto fuori tempo fa e nel frattempo si è costruito un percorso indipendente (Annalisa, Noemi) e chi invece è ancora troppo "fresco" di nascita artistica per non venire istintivamente accostato ai vari "Amici" e "X Factor" (Fragola, Dear Jack, Bernabei). 
Poi, ragazzi un po' cresciutelli ma che fanno musica assolutamente moderna, come Neffa, ben due rappresentanti di quell'universo rap che non sembra conoscere ridimensionamenti (Clementino, uno degli esclusi dell'anno passato, e Rocco Hunt), un paio di veterani ancora a pieno regime (fra dischi e concerti) e nel cuore di molti appassionati, ossia Stadio e Ruggeri, e un solo "mostro sacro", quella Patty Pravo che è ormai più che altro un'icona di glorie passate (anche i suoi ultimi passaggi sanremesi, ben tre dopo l'exploit di "E dimmi che non vuoi morire", non hanno lasciato traccia) ma che è giusto, in fondo, possa celebrare i suoi cinquant'anni di carriera sul palco più importante della canzone nostrana. 
IL FESTIVAL E L'INDUSTRIA - Due le obiezioni già orecchiate qua e là: "cast imposto dalla discografia" e "la tv schiaccia la musica". Troppi commentatori sembrano cadere dal pero: Sanremo è sempre stato un formidabile strumento promozionale, una vetrina per sostenere l'industria di settore, perché proporre buone canzoni, scoprire giovani in gamba, rivitalizzare artisti col fiato corto e confermarne altri già in rampa di lancio, significa contribuire a migliorare lo stato di salute di tutto quel fragile apparato che è la musica leggera italiana (col suo indotto). La discografia serve a Sanremo (tanto è vero che la rassegna ha conosciuto i suoi anni peggiori quando gli industriali si sono defilati), ma Sanremo serve moltissimo alla discografia, che non a caso dopo i fremiti di ribellione del 2003 - 2004 è tornata ad appoggiare massicciamente l'evento. E con il cast 2016 l'unità di intenti raggiunge il suo apice: a prescindere dalle partner femminili di Conti, i cui nomi sono ancora avvolti nel mistero, e dal prestigio degli ospiti italiani e stranieri che faranno da cornice, con cantanti come quelli selezionati dall'anchorman toscano sarà pressoché impossibile fallire il duplice obiettivo di una buona audience e di una felice resa commerciale dei cd, a meno di non trovarsi di fronte a composizioni inesorabilmente brutte, e allora... 
I NUOVI VIVAI - Insomma, quelli che vedremo all'Ariston dal 9 febbraio prossimo sono una piccola ma qualificata rappresentanza degli artisti sulla cresta dell'onda, ovviamente con diverse gradazioni di popolarità. Solo un direttore artistico folle vi avrebbe potuto rinunciare. "Prodotti televisivi"? Forse, ma non è colpa loro se, in tempi recenti, le migliori produzioni pop leggere sono arrivate dai famigerati talent, che sono oggi ciò che era un tempo Castrocaro. Riguardo al serbatoio di Sanremo Giovani, è notorio che ultimamente abbia segnato il passo (sul piano dei risultati concreti di vendita, non del valore di molti esordienti visti in gara), e anzi va dato atto a Conti di aver comunque inserito fra i Big un Giovanni Caccamo che non ha sfondato nei negozi, piuttosto che dare per l'ennesima volta via libera all'ultimo vincitore di X Factor. 
IL SANREMO RADIOFONICO - Per anni si è rimproverato al Festivalone di essere troppo retrò e poco "radiofonico": ora che, da qualche anno, la radiofonicità è in larga parte assicurata, c'è chi richiede un ritorno a un passato in cui Sanremo aveva smarrito la rotta, proponeva musica spesso senza futuro e artisti ormai senza nulla da dire. Assurdo. Nel dettaglio, Annalisa e soprattutto Lorenzo Fragola sono stati fra gli emergenti più gettonati del 2015, Arisa torna due anni dopo la vittoria con credenziali ancora robuste, Noemi e Dolcenera sono sempre sulla cresta dell'onda, anche se stranamente l'ultimo album della cantante pugliese ha avuto per il momento riscontri inferiori alle aspettative: eppure si tratta di una performer eccellente, e propone un sound contemporaneo, non banale, coraggioso. Forse sarebbe stato opportuno sceglierne uno solo fra i Dear Jack e il loro ex frontman Alessio Bernabei, ma ritorniamo al discorso fatto precedentemente sul "peso" commerciale e sull'impatto mediatico di alcuni volti, fermo restando che la "conditio sine qua non" dev'essere comunque una canzone di buona presa: cioè, fra due composizioni ugualmente belle, la sensazione è che venga selezionata quella proposta dal personaggio più à la page. Crudele, e non necessariamente condivisibile: ma comprensibile. Sanremo ha attraversato quasi settant'anni di mari in tempesta, ed è rimasto indenne anche perché ha saputo giocare, di volta in volta, le carte necessarie per restare a galla. 
I RITORNI DI SCANU E ZERO ASSOLUTO - Arriva la grande occasione per Deborah Iurato (in coppia con Caccamo) e per una Michielin che avevamo inserito fra le più papabili, grazie al boom fatto registrare dai suoi duetti con Fedez. Sentire Neffa fa sempre piacere e, anzi, dovrebbe offrirsi con maggiore prodigalità, mentre non desta scandalo nemmeno il ripescaggio di Valerio Scanu e degli Zero Assoluto: per qualcuno si tratta di "giovani già vecchi", in realtà sono nel momento ideale per tentare di reinserirsi con successo nel giro degli artisti da classifica. Il discusso trionfatore di Sanremo 2010 ha vissuto un importante ritorno di visibilità con l'affermazione a Tale e Quale Show; il duo Maffucci - De Gasperi negli ultimi anni non è stato con le mani in mano, ha continuato a produrre musica e a esibirsi dal vivo, si è messo alla prova in altri campi (hanno fatto gli scrittori e i conduttori radiofonici e televisivi) e possiede le potenzialità per ritornare in primo piano nel circuito mainstream. 
I VETERANI E IRENE - Detto del gradito ritorno di Ruggeri (fuori gara nel 2015) e degli Stadio, sperando che la deliziosa vena compositiva di Curreri e compagnia sia intatta, i colpi di genio e di follia sono rappresentati da Morgan coi ritrovati Bluvertigo e da Elio e Le Storie Tese, che già meriterebbero l'Oscar a prescindere per il titolo del brano, "Vincere l'odio"... Unica scelta davvero imprevedibile, quella di Irene Fornaciari: nulla contro di lei, che anzi non mi è mai dispiaciuta nelle sue precedenti uscite rivierasche, ma è un'artista la cui carriera non è mai decollata pienamente; non certo una big a tutto tondo, insomma. Occhio però: non è mai troppo tardi. 
CHI MANCA - Questo è quanto. In attesa che qualche grande escluso faccia sentire la propria voce (ma Syria e Umberto Napolitano hanno, giustamente, preso la non ammissione con grande filosofia), c'è da rimarcare l'amarezza per l'assenza di alcuni superbig che hanno deciso di anticipare di poche settimane, rispetto al Festival, l'uscita dei loro nuovi lavori. Perché ad esempio Alessandra Amoroso, eterna chimera sanremese, ha ritenuto di non poter aspettare un mesetto scarso, facendo a meno della formidabile vetrina dell'Ariston? Lo stesso dicasi per Emma e per i Modà, che han dato alle stampe i loro album da pochissime settimane. 
Per il resto, ognuno ha il suo criterio personale di scelta, il suo cast perfetto, e guai a chi lo critica: io, ad esempio, avrei cercato di ritagliare qualche spazio per un paio di reduci degli anni Novanta e per almeno altrettanti giovani"alternativi", uno Zibba o una Levante, o anche una Erica Mou, per intenderci. Ma il livello è comunque decorosissimo, e oltretutto non c'è nessuno che possa vantare titoli autenticamente superiori agli altri. L'equilibrio regna sovrano, per la prima volta dopo tante edizioni anche solo tentare un pronostico è pressoché impossibile. Dovessi azzardare un pokerissimo, direi Dolcenera, Noemi, Arisa, Annalisa ed Elio, ma ci vorrebbe davvero la sfera di cristallo. 

domenica 29 novembre 2015

VERSO SANREMO 2016: CHI ENTRERA' NEL CAST DEI BIG? PRONOSTICI, PREVISIONI, DESIDERI


L'ora X scatterà nel pomeriggio del 13 dicembre. Il palcoscenico sarà quello, ormai tradizionale, della domenicale "Arena" di Massimo Giletti, nel corso della quale Carlo Conti annuncerà il cast dei Big di Sanremo 2016, che, come avevo facilmente previsto poche settimane fa in questo post, sarà formato da venti partecipanti, in luogo dei diciotto inizialmente previsti. Terminata la faticosa selezione delle Nuove Proposte (oltre 650 i provini giunti alla commissione), il direttore artistico è ora alle prese col passaggio più delicato nell'allestimento della kermesse. Perché il leit motiv è sempre lo stesso: puoi tirar fuori dal cilindro tre o quattro giovani di buon livello (e la trasmissione di ieri sera, l'ho già scritto nell'articolo dedicato, dovrebbe aver raggiunto l'obiettivo), puoi impreziosire lo show con ospitate di prestigio, ma se non azzecchi il roster dei "campioni" la manifestazione è destinata a trapanare l'acqua. 
TORNARE DOPO UN SOLO ANNO - Anche quest'anno, come dodici mesi fa, le indiscrezioni latitano. Poco male: ancora una volta mi affido all'intuito e a criteri metodologici piuttosto solidi. Ho sempre sostenuto, ad esempio, che è assai importante, per indovinare almeno qualche nome, guardare ai cast delle più recenti edizioni. Ultimamente è accaduto che pochi cantanti abbiano deciso di tornare immediatamente in corsa: di solito ci si concede almeno un anno di pausa... festivaliera, per riordinare le idee, trovare nuove soluzioni artistiche o tentare altre vie promozionali. Per il 2016, però, qualche eccezione potrebbe esserci: è insistente la voce di un ritorno all'Ariston per Annalisa, gratificata di un ottimo piazzamento all'ultimo Festival (quarto posto) e di una buona resa commerciale del suo album "Splende", che anche qui su Note d'azzurro ho positivamente recensito. Potrebbe ricomparire Bianca Atzei, che a Sanremo 2015 non entusiasmò sul piano della performance, ma che ha vissuto un anno assai intenso, fra problemi di salute (fortunatamente superati), sostanziosa attività live e collaborazioni di rilievo (l'ultima con J-.Ax), e che, insomma, deve battere il ferro finché è caldo, per continuare la marcia verso la consacrazione. Personalmente, non mi sorprenderebbe nemmeno una sollecita ricomparsa di Lorenzo Fragola, che ha ben figurato nelle charts con la sua opera prima "1995" e che con un'altra partecipazione azzeccata completerebbe in tempi record la sua ascesa verso i vertici della canzone italiana. Spazio anche per i Dear Jack orfani del loro frontman Alessio Bernabei, il quale a sua volta avrebbe tutto sommato le carte in regola per presentare domanda da solista. 
ARISA, GIUSY, NOEMI E... - A proposito dei più recenti virgulti prodotti dai talent, è evidente che i The Kolors, vero fenomeno dell'anno che sta per chiudersi, si troverebbero la strada spianata se decidessero di convertirsi, anche una tantum, al canto in lingua italiana, mentre buone chances avrebbe sicuramente Briga, altro "Amico di Maria" già popolarissimo e reduce da una felice partecipazione al Coca Cola Summer Festival. Facile prevedere anche un tentativo da parte di Deborah Iurato e di Francesca Michielin, con quest'ultima che può ora inserire in curriculum i riusciti duetti con Fedez (soprattutto "Magnifico").
Tornando invece a gettare lo sguardo sugli ultimi Sanremo, dopo l'intermezzo da presentatrice potrebbe ricomparire Arisa, vincitrice nel 2014; più difficile, ma non impossibile, rivedere in lizza Francesco Renga, che proprio nel 2014 mancò in extremis una vittoria che molti (me compreso) davano per certa, ma che si rifece poi ampiamente con le vendite, tanto che ancora oggi sta godendo dei frutti dello strepitoso album pubblicato dopo quell'edizione, "Tempo reale"; le perplessità sulla sua candidatura riguardano proprio questa super esposizione recente, che potrebbe portare anche a un effetto saturazione, per scongiurare il quale l'ex Timoria dovrebbe trovarsi fra le mani un pezzo epocale. Si approssima una nuova incisione per la rossa Noemi, e allora quale vetrina migliore del Festivalone rivierasco per lanciarla in grande stile? E dovrebbe rivedersi anche Giusy Ferreri, che dopo anni sottotraccia può finalmente presentarsi in una posizione forte, da autentica vedette, grazie al travolgente successo canicolare di "Roma - Bangkok", in coppia con Baby K. Da non escludere neanche una nuova sortita di Francesco Sarcina.

                                Giusy Ferreri: la regina dell'estate non dovrebbe mancare

SPERANZE PER EMMA E CARBONI? - Sarebbe stato l'anno giusto per il ritorno in gara di Emma e dei Modà (separatamente), ma entrambi hanno appena pubblicato i loro nuovi album, che difficilmente faranno flop e non necessiteranno quindi di "rinforzini" promozionali: possibile tuttavia che almeno la grintosa cantante si sia riservata qualche brano extra da sottoporre al giudizio di Carlo Conti. E a proposito di cd freschi di stampa, peccato anche per Luca Carboni, che l'anchorman toscano avrebbe desiderato vedere in corsa all'Ariston, come ebbe a dichiarare in un'intervista rilasciata a Sorrisi e Canzoni TV l'estate scorsa. Senza farsi illusioni, per il cantautore del nuovo tormentone "Luca lo stesso" potrebbe valere lo stesso discorso accennato poc'anzi per Emma, ossia qualche composizione messa da parte al fine di utilizzarla in occasioni speciali... 
POKER DA SOGNO - E visto che parliamo di superbig, buttiamo là un poker di nomi che farebbero la fortuna del Festival: Giorgia sarebbe un colpaccio autentico, occasione per una trionfale rentrée dopo una prolungata pausa produttiva, ma anche per Alessandra Amoroso il momento non potrebbe essere più propizio, dopo che già l'anno scorso la sua partecipazione era stata data per probabilissima; e chissà che non si celebri finalmente il matrimonio fra Sanremo e Mario Biondi, ogni anno annunciato e mai consumato: l'onda lunga di "Love is a temple" andrebbe adeguatamente sfruttata. Infine, un trio che in tempi recenti ha incontrato vastissimi consensi di pubblico e critica: Niccolò Fabi - Max Gazzè - Daniele Silvestri. Perché no? Max è ora nei negozi con un cd nuovo di zecca, ma... 
GIOVANI RAMPANTI, DA ZIBBA A BENJI & FEDE - Da Sanremo 2013 potrebbero riemergere Simone Cristicchi (che però ultimamente pare più che altro preso dai suoi impegni teatrali) e Simona Molinari, oltre a quell'Antonio Maggio che vinse fra le Nuove Proposte per poi confermarsi con alcuni brani di buona presa ("Stanco" su tutti), ma che stranamente non è più riuscito a rimettere piede in Riviera. E parlando di giovani in rampa di lancio, c'è l'ottimo Zibba che ben figurò due anni fa, c'è Renzo Rubino che vanta già un'esperienza (forse prematura) fra i big, proprio nel 2014, quando lottò fino all'ultimo per la vittoria, c'è Erica Mou che dopo il debutto festivaliero del 2012 ha intrapreso una intensa attività artistica ma alla quale manca ancora l'affermazione ad altissimo livello. Senza dimenticare una Levante dalla modernissima vena creativa e i nuovi fenomeni delle hit parade, Benji & Fede. Discorso delicato per Giovanni Caccamo, che dopo l'affermazione sanremese non ha sfondato, ma è comunque un'opzione da considerare.

                                    Arisa: probabile ritorno due anni dopo "Controvento"

CHI RITORNA: DOLCENERA, NEFFA... - Nonostante un album sofferto e di lunga gestazione uscito da pochi mesi ("Le stelle non tremano"), non mi stupirei di trovare nel listone definitivo la bravissima Dolcenera, e chissà che non venga fuori con qualcosa di nuovo anche Gigi d'Alessio, che non calca il palcoscenico ligure dal 2012 e che sarebbe di certo uno dei nomi di richiamo della manifestazione. Ritorni graditi dopo un'assenza un po' troppo prolungata potrebbero essere quelli di Fabrizio Moro, che ha recentemente intrapreso un percorso un po' impegnato ma che si è detto non contrario aprioristicamente alla partecipazione a Sanremo (che del resto gli ha dato tantissimo, indirizzando verso il successo una carriera che ha avuto un decollo laborioso), degli Zero Assoluto (visti di recente in un bel live su Italia Uno), del sottovalutato Neffa, fra i più ascoltati nella stagione calda con "Sigarette", nonché di Samuele Bersani, dei Negrita e dei Subsonica, gli ultimi quattro tutti fra i "desiderata" di Carlo Conti secondo l'intervista prima citata, nella quale parlò anche di Fabri Fibra. Fra i nomi meno à la page ma di gran spessore, non sarebbe male vedere in lizza Niccolò Agliardi, che ha avuto mesi fa un notevole exploit "mainstream" con la sigla di "Braccialetti rossi". 
MONDO RAP - A proposito dell'universo rap, che in questi anni di boom non può mancare all'Ariston, nomi papabili potrebbero essere quelli di Emis Killa, per rinverdire i fasti del tormentone 2014 "Maracanà", di Marrakash e di Guè Pequeno, mentre Rocco Hunt ha appena pubblicato il nuovo disco, ma anche in questo caso mai dire mai. Magari ci riproverà Clementino, dopo la delusione del 2015. Ancora talent: ringalluzzito dal buon esito del singolo "Ho scelto di no", che lo ha proposto in veste più matura, avrebbe buone chances Marco Carta, ed è lecito attendersi qualche sorpresa anche da Valerio Scanu, trionfatore a "Tale e quale show".
GRANDI NOMI DEL PASSATO - Capitolo veterani: Carlo Conti ha avuto, l'anno scorso, il merito di volgere lo sguardo verso i big anni Ottanta e Novanta, troppo spesso lasciati da parte in passato a vantaggio di  reduci dei decenni precedenti che avevano ormai ben poco da dire. Massimo Di Cataldo, Paolo Vallesi, Mietta, Mariella Nava e Alexia sono nomi sempre plausibili, come quelli di Marina Rei, Amedeo Minghi, Syria, Enrico Ruggeri, Stadio, Luca Barbarossa e Paola Turci; andando sul.. difficile si potrebbe invece pensare a personaggi fuori dal giro commerciale come Eduardo De Crescenzo, Alberto Fortis e Alice, e chissà che non decida di scendere di nuovo in pista Michele Zarrillo, dopo essersi lasciato alle spalle il dramma dell'infarto. Si è parlato insistentemente anche di Cristina D'Avena: non pare affatto una boutade, e di certo si tratta di una cantante che avrebbe tutti i titoli per calcare il palco più impegnativo della musica italiana da protagonista, per doti artistiche, riscontri di mercato e una popolarità che non conosce cedimenti, nonostante sia in pista fin dai tempi della "Canzone dei Puffi", e parliamo del tardo 1982!
Andando più indietro nel tempo, c'è l'ennesimo tentativo di Don Backy, e ci prova anche Umberto Napolitano, fedelissimo sanremese negli anni bui (tre partecipazioni fra il '77 e l'81) e deciso a tornare alla ribalta con l'entusiasmo di un ragazzino: sarà durissima, ma merita tutto l'appoggio possibile. Un significativo coup de théatre sarebbe rappresentato dal nome di Fiorella Mannoia.
GLI STRANIERI - Infine: ci sarà anche nel 2016 una casella libera per gli stranieri? Dopo l'esperienza di Lara Fabian dodici mesi fa, si andrebbe sul sicuro puntando su un Tony Hadley o su un Michael Bolton, o anche su Anggun o, perché no, gli Jarabe de palo; ma se si volesse far saltare il banco perché non provarci con Anastacia, di recente esibitasi in Italia?  Di certo c'è che, sulla base di tutti questi nomi, potrebbe venir fuori un cast molto al femminile, ma è una di quelle previsioni destinate a procurare solenni brutte figure a chi le formula. Anche perché, va sempre ricordato, alla fine della selezione spunta sempre fuori qualche personaggio che le indiscrezioni avevano totalmente ignorato. In campana! 

sabato 28 novembre 2015

BILANCIO DI SANREMO GIOVANI: FORMAT SENZA NOVITA', MA TRE - QUATTRO NOMI DA SEGUIRE


Televisivamente parlando, il ripristinato Sanremo Giovani non ha detto granché di nuovo. Nessuna ventata di freschezza nell'ormai fossilizzato mondo dei talent catodici, a meno che non si voglia considerare elemento rivoluzionario la pedana con caselle luminose sulla quale ciascun concorrente doveva indietreggiare, ogni volta che riceveva un voto negativo da parte della giuria. Ci ha provato Piero Chiambretti a smitizzare la pomposa solennità del format, presentandosi con il "manuale del perfetto giurato" dal quale ha pescato, perla dopo perla, le classiche frasi fatte di questi temutissimi gruppi di esperti ("Non mi hai emozionato" e via banalizzando), ma i suoi generosi tentativi sono stati vani: il linguaggio e la sceneggiatura di queste trite trasmissioni hanno avuto largamente il sopravvento, fagocitando anche l'unicità di un evento come la scelta dei debuttanti per il Festivalone ligure, ben altra cosa rispetto a un "The Voice" o a un "X factor". 
GIURIA TROPPO EMOTIVA - Inutile pertanto disquisire sulle opinabili decisioni della commissione, che peraltro nella circostanza ha forse preso una sola, colossale cantonata, con l'eliminazione della bionda Una. Spiace, ma statisticamente parlando è una percentuale che si può tollerare. Casomai, sarebbe stata apprezzabile qualche motivazione tecnica in più a sostenere ogni promozione o bocciatura, onere che si è in pratica accollato il solo Giovanni Allevi. E personalmente avrei gradito un minor coinvolgimento emotivo di certe giurate, che si sono scatenate alzandosi in piedi e ballando durante le esibizioni di alcuni degli artisti in gara. Insomma, il ritorno della preselezione autunnale tredici anni dopo il flop di "Destinazione Sanremo" non ha fatto scattare alcuna scintilla: era di certo più innovativa, piuttosto, la formula adottata nel secondo anno di gestione Mazzi - Morandi, con le audizioni live delle aspiranti Nuove Proposte trasmesse in diretta web, in una maratona sfiancante ma di indubbio fascino. Un'idea perfettibile e tuttavia di grana buona, che infatti è stata sollecitamente accantonata. 
IL TENORE POP - Sul piano degli esiti del concorso, come detto prima, non vi sono stati verdetti tali da far gridare allo scandalo. Meritava forse qualcosa di più Una, col suo cantautorato di stampo moderno e un testo che dimostra come si possa parlar d'amore in maniera non banale pur restando nel solco della tradizione, mentre fra gli ammessi non ha suscitato particolare entusiasmo il giovane Irama, la cui vena compositiva pare ancora acerba. Nessun rimpianto per l'esclusione di Francesco Guasti, con un soft rock di facile presa ma che non brilla per originalità, e per lo sciapo duetto fra Valeria e Piero Romitelli. Era abbastanza scontata la promozione dell'italo - australiano Michael Leonardi, che si inserisce con abilità nel filone ultravincente inaugurato dal Volo ma che nel suo pop tenorile porta un valore aggiunto, con atmosfere che casomai richiamano certe soundtrack dei più recenti episodi di 007. 
CECILE: BRAVA MA SOPRA LE RIGHE - Si può già parlare di papabili per la vittoria finale: la dance trascinante e al passo coi tempi di Francesco Gabbani si sposa con un testo ben congegnato, in "Amen", e con un easy listening non lontano da quello che lanciò dodici mesi fa Giovanni Caccamo. Cecile, con "N.E.G.R.A.", ha la proposta più in linea con la musica che oggi monopolizza gli airplay radiofonici, un rap hip hop ruvido e graffiante sia nella ritmica sia nei versi, magistralmente interpretato; casomai, qualche perplessità si può avanzare sul videoclip del brano, che lascia ben poco all'immaginazione riguardo al corpo della graziosa cantante. Il testo del pezzo bastava e avanzava per lanciare un messaggio antirazzismo ben concepito e senza giri di parole: non scandalizza la nudità in quanto tale, figurarsi, ma il fatto che in questo caso sia tutto sommato gratuita. La ragazza sembra già fin troppo scafata sul piano della comunicazione, ha capito l'importanza della "musica - immagine" facendo apparire innocue pivelline, al confronto, la Anna Oxa in tutina aderentissima del 1985 e la Bertè col pancione dell'anno dopo. Ma non è detto che ciò abbia una valenza positiva, non per me almeno. 
ERMAL E CHIARA SU ALTI LIVELLI - E' prevedibile un ottimo piazzamento, ma forse non la vittoria, per Ermal Meta, cantautore dallo stile assolutamente contemporaneo che ha il merito di non scimmiottare nessuno dei divi pop attualmente sulla cresta dell'onda, e che in "Odio le favole" ha saputo creare un arrangiamento ricco e variopinto, una fusion fra vaghi richiami anni Ottanta e suoni del terzo millennio. Occhio anche all'essenziale estro poetico di Chiara Dello Iacovo, con un minimalismo nel proporsi che è l'opposto dell'eccessiva esposizione di Cecile, e con una "Introverso" di impianto assolutamente originale. Le delusioni maggiori arrivano da Area Sanremo: senza storia la melodia a voce spiegata della bella Miele, quasi irritante Mahmoud, che "mengoneggia" in maniera discutibile. Ma sono eccezioni: la sensazione è di un, sia pur modesto, innalzamento di tono rispetto alla categoria del 2015; quasi tutti i prescelti hanno messo farina del loro sacco, senza adagiarsi troppo sugli stilemi imperanti. Da questo punto di vista, almeno, Sanremo Giovani ha vinto il confronto con altri talent show fin troppo reclamizzati. 

martedì 24 novembre 2015

IL PUNTO SUL GRIFONE A UN TERZO DEL CAMMINO: GENOA "TRIPALLICO" MA INCOMPIUTO

                                     Perotti: sempre positivo, ma può fare ancor di più

Meno tecnici, ma più... tripallici. Giunti a un terzo del cammino della Serie A, è il momento di fare il primo punto della situazione genoana. Traduco subito il termine "tripallico", forse ignoto ai più giovani e a chi non ha praticato buone letture calcistiche: lo coniò l'immaginifico Gianni Brera, a indicare un atleta, o una compagine, particolarmente dotati di carattere, di determinazione; di "attributi", insomma, per usare un'espressione inflazionata in un ambiente maschilista come quello del pallone. Ma il Grifone attuale questo è: una squadra che insegue l'obiettivo fino all'ultimo secondo di recupero, anche quando tutto sembra congiurare contro. 
FINO ALLA FINE - Tre volte in appena tredici giornate ha fatto risultato in extremis: gol vittoria di Tachtsidis contro il Chievo, pareggio di Laxalt a Torino coi granata, per finire con l'incredibile girandola di emozioni di due giorni fa al Ferraris, col Sassuolo capace di trovare l'immeritato 1-1 oltre il  93esimo e il Genoa che, rimessa palla al centro, è partito all'assalto trovando infine, con un lungo traversone di Cissokho, la testa dell'inesorabile Pavoletti per il successo a fil di sirena. Dove sarebbero gli uomini di Gasperini senza i ben cinque punti raccolti in questo modo è la classifica a dirlo; in questa sede, preferiamo sottolineare la netta inversione di tendenza rispetto al recente passato, quando spesso i rossoblù si sono trovati a pagare dazio in dirittura d'arrivo: l'esempio più clamoroso rimane la sconfitta patita contro i granata due anni fa all'Olimpico, con Cerci e Immobile giustizieri oltre il novantesimo, ma gli episodi son stati numerosi. 
MENO CLASSE - Vincere o pareggiare nei minuti di recupero non è questione di fortuna, come molti sostengono: un gol segnato al 95esimo vale quanto uno fatto al primo minuto o alla mezz'ora. E', anzi, l'espressione più genuina della grinta e dello spirito indomabile di un gruppo che, vivaddio, sa finalmente essere più forte delle avversità. Questo ci voleva, in un'annata che, ormai lo si è capito, ha proposto ai nastri di partenza un Genoa più povero di classe, rispetto a quello della splendida cavalcata 2014/15 parzialmente vanificata dalla défaillance societaria costata l'Europa League; dico parzialmente perché l'ottimo sesto posto, il gran gioco espresso e la supremazia cittadina, quelli nessuno potrà mai cancellarli. Le perdite di Bertolacci e di Falque si sono rivelate purtroppo pesantissime: se pensiamo che questi due campioncini si affiancavano, nell'organico dell'anno scorso, a due potenziali fuoriclasse come Perin e Perotti, avremo il quadro completo della forza d'urto di quella squadra; e non faticheremo a comprendere come fosse pressoché impossibile, con questi chiari di luna, trattenerli tutti e quattro sotto la Lanterna. 
MERCATO NON PREMIATO - Scrissi l'estate scorsa che il non aver ceduto alle lusinghe per il portierino e per il delizioso argentino doveva essere considerato già un successo, e resto della mia idea. Il fatto poi che Bertolacci abbia inizialmente incontrato delle difficoltà a Milano non può sollevare dubbi sulle sue doti: non è un super, ma un centrocampista che, inserito nel contesto giusto, può far impennare il rendimento della squadra e risultare sovente decisivo; certo il Milan di transizione di Mihajlovic non rappresenta il brodo di coltura ideale per un giocatore delle sue caratteristiche. Tornando al Genoa, il calo rispetto all'anno passato (sette punti in meno, al momento) è dunque imputabile anche alla partenza dei due suddetti big, un po' meno agli addii di Kucka, Edenilson e Roncaglia, tutti elementi validi ma rimpiazzabili senza drammi (soprattutto l'ultimo); il problema è che molte scelte di mercato non hanno finora pagato. 
LACUNE DIETRO E DAVANTI - Qui bisogna distinguere fra reparto e reparto. Perché con Perin e Lamanna la sorveglianza della porta non desta preoccupazioni, le fasce laterali e la zona nevralgica risultano blindate sotto tutti i profili, quantità e qualità, garretti e piedi buoni (da Cissokho ad Ansaldi a Laxalt, da Rincon a Tino Costa passando per Dzemaili), mentre in difesa e in attacco è evidente l'errore di valutazione in sede di campagna acquisti, allorquando la società non ha saputo (o potuto?) rimpolpare adeguatamente i due settori con alternative plausibili; così, dietro si è sostanzialmente aggrappati al trio Burdisso - De Maio - Izzo (gli altri sono ripieghi o adattamenti), mentre in avanti tutto ruota attorno a un Pavoletti che ha in canna una media gol anche più alta di quella attuale (cinque segnature, ma tutte fondamentali), ma che è forse troppo solo; Gakpè ha avuto buoni lampi ma può dare di più, mentre Pandev si è giocato male le sue poche chances prima di essere momentaneamente cancellato da un infortunio. 
RIFINITORI A MEZZO SERVIZIO - E i suggeritori, gli assist man? Qui il club aveva fatto il possibile, ma sono i calciatori a dover rispondere diversamente. Pur rischiando di incorrere nel delitto di lesa maestà, credo sia lecito chiedere a Perotti ancora maggiore continuità; il discorso va elevato all'ennesima potenza per Lazovic, devastante e fondamentale nel 2-2 di Frosinone ma per il resto inconsistente, e per l'attesissimo Capel,  che al di là dei problemi fisici ha finora solo regalato qualche sprazzo di gran livello contro il Milan, eppure avrebbe nei piedi il talento per far decollare il Grifone ben oltre l'anonima posizione attuale. 
MENO BRILLANTEZZA - Anche il gioco, al momento, non sgorga sempre brillante come nel precedente campionato (ma col forte Sassuolo è stata fornita una buona dimostrazione di forza, al di là del risicato punteggio). Qualche interprete diverso in campo, certo, ma non basta a spiegare la parziale involuzione, perché quest'anno rivoluzioni vere e proprie non ce ne sono state, lo zoccolo duro della squadra è rimasto pressoché immutato. Consola però il fatto che quattro delle cinque sconfitte finora incassate (troppe) siano arrivate nelle prime cinque giornate, con Gasperini oberato dal peso di un'infermeria assurdamente affollata, che lo ha costretto ad agire a lungo in emergenza. La sensazione è che quando gente come Ansaldi, Tino Costa, Lazovic e Capel, tutti al di sotto delle rispettive possibilità per diversi motivi, prenderanno a marciare a pieno regime, questa compagine possa guadagnare ulteriormente terreno. 
IL FUTURO NEBULOSO - Ma per conquistare stabilmente la parte sinistra della classifica serve altro, non molto: sul campo, uno o due difensori affidabili e un'alternativa credibile a Pavoletti. In società, maggiore chiarezza sulle prospettive di un club che, dopo il pasticciaccio Uefa, naviga in un limbo di incertezza. Cosa avverrà di qui a pochi mesi? Il mio omonimo Calabrò entrerà con nuovi capitali? Ci sono altri investitori all'orizzonte? E senza questi investitori, il solo Preziosi fin dove può spingere i suoi sforzi finanziari per sostenere tecnicamente il team? Il Genoa vive in un tempo sospeso che sembra frenare gli stessi giocatori. Un Genoa al 60 per cento. Tripallico, certo, il che basta a superare gli ostacoli di medio livello, ma con le grandi del torneo ci vuole di più. Perché il vero Grifo, tanto per dire, avrebbe fatto risultato anche contro la modesta Juve di questo avvio di stagione. Un bel passo avanti rispetto all'ultimo campionato, questo va detto in chiusura, è nel rapporto con gli arbitri, tutto sommato: finora, se escludiamo l'inconcepibile espulsione di Perotti domenica scorsa, torti e favori si sono grosso modo bilanciati, e non vi sono nemmeno stati episodi eclatanti. Una rarità, nella storia recente del Vecchio Balordo, soprattutto se torniamo con la memoria a quanto accadde dodici mesi fa da Genoa - Roma in poi. 

mercoledì 18 novembre 2015

CLUB ITALIA VERSO EURO 2016: BELGIO E ROMANIA RIDIMENSIONANO GLI AZZURRI

                                         Marchisio: gol su rigore contro la Romania

E' stato il più tragico intermezzo internazionale calcistico che io ricordi. E scrivo "calcistico" perché il pallone, questa volta, ne è stato suo malgrado protagonista diretto. Prima la strage sventata allo Stade de France, poi la non ancora chiarita minaccia di ieri ad Hannover. Due amichevoli di lusso, Belgio - Spagna e Germania - Olanda, cancellate: la speranza è che certi provvedimenti drastici siano frutto del momento particolare, dei giorni post attentati in cui il quadro della situazione non ha ancora contorni definiti e si devono mettere a punto i nuovi parametri di sicurezza, che saranno ovviamente, d'ora in poi, particolarmente rigorosi. Lo spero, perché se si comincia a sospendere e annullare eventi sportivi ad ogni pié sospinto ci si incammina su una strada pericolosa e piena di incognite. Chiaramente la vita umana viene prima di ogni cosa, e del resto tutti noi nei mesi a venire dovremo essere più attenti e prudenti in ogni fase delle nostre giornate, ma senza concedere troppo campo a chi fa del terrore la propria filosofia di vita. So che a parole sembra tutto facile, ma è l'unica via: a giugno, proprio in Francia, ci sarà Euro 2016, e quella kermesse non potrà trasformarsi in un corollario di partite non disputate. Sarebbe la fine, anche se non si deve nemmeno giungere all'eccesso opposto, agli incontri di calcio disputati poche ore dopo i bombardamenti, come accadeva in Italia durante la Seconda guerra mondiale. 
Proviamo dunque a parlare di football. La nostra Nazionale, in fondo, è stata fortunata, riuscendo a portare a termine entrambi gli impegni in calendario. Non era scontato, e il fatto che ieri a Bologna il minuto di silenzio, forse per la prima volta, sia stato finalmente un minuto di silenzio autentico, senza i consueti, fastidiosi applausi per le vittime di turno, dimostra quanto i luttuosi eventi di Parigi abbiamo lasciato un segno veramente profondo in tutta la comunità internazionale. I calciatori, dal canto loro, si sono comportati da professionisti seri, facendo il loro dovere in campo e regalando momenti di serenità al pubblico: non altro gli si chiede, in fondo. 
TEST PROBANTI CON ESITO DELUDENTE - Le risultanze tecniche e gli spunti di riflessione non sono mancati. Quale peso attribuirgli è il problema che, da sempre, pongono le gare senza posta concreta in palio. Per il Club Italia, forse, sarebbe stato meglio restare al felice esito, di gioco e di risultati, delle ultime due uscite ufficiali, contro Azerbaigian e Norvegia. Ma non si può, perché Belgio e Romania erano due test estremamente probanti, e i nostri mentalmente erano presenti a loro stessi, hanno affrontato entrambe le gare con lo spirito giusto e non con la testa al campionato. Proprio per questo, i troppi campanelli d'allarme suonati vanno tenuti nella massima considerazione. Il bilancio complessivo è ampiamente in rosso: è vero, potevamo uscire imbattuti dall'Heysel (sempre quello è, anche se ha cambiato nome e si è rifatto il trucco) e battere la Romania. 
Due risultati che ci stavano, per il livello delle nostre prestazioni: non averli conseguiti torna a nostro esclusivo demerito. Per circa settanta minuti gli azzurri hanno tenuto bellamente testa, in campo avverso, alla rappresentativa numero uno al mondo (ranking FIFA alla mano), legittimando ampiamente il fulmineo vantaggio di Candreva; poco prima e poco dopo l'1 a 2 hanno avuto, con Eder e Pellè, palle gol nitidissime; hanno giocato con buona disinvoltura, in particolare percuotendo le corsie laterali con apprezzabile efficacia, e mostrando persino una precisione di palleggio che è sovente mancata, negli ultimi anni; c'è stata sofferenza autentica solo nella parte iniziale della ripresa, prima del crollo in dirittura d'arrivo che ha consegnato agli almanacchi un 1-3 bugiardo e oltremodo severo. Invece a Bologna, dopo un primo tempo da arrossire, è arrivato un provvidenziale cambio di marcia che ha portato i nostri a capovolgere meritatamente il risultato, ma per l'ennesima volta è stato fallito il colpo del ko, con immancabile beffa finale fra il tripudio degli oltre 4mila romeni del Dall'Ara. 
TENUTA FISICA, POCA CONCRETEZZA ED ERRORI DIETRO - I problemi emersi, a ben guardare, sono quelli di sempre. Sul piano atletico, l'incapacità di mantenere ritmi alti con continuità, e il verificarsi di troppo frequenti cedimenti fisici alla distanza (a Bruxelles, nel finale, gli uomini di Conte sono letteralmente spariti e il punteggio poteva diventare addirittura più pesante); sul piano del gioco, alla ormai cronica prodigalità offensiva si è aggiunto il ritorno di quei tremori in terza linea che avevano macchiato la fase conclusiva della gestione Prandelli. Alla Romania, tanto per dire, i ragazzi di Conte hanno concesso due gol su quattro conclusioni pericolose, e in entrambe le circostanze i tentennamenti dei nostri difensori sono stati esiziali: scontro Darmian - Barzagli che ha dato il via libera a Stancu per lo 0-1, goffo tentativo di parata di Sirigu per la ribattuta decisiva di Andone. 
Quattro giorni prima, i Diavoli Rossi avevano pareggiato con Vertonghen lasciato libero di colpire di testa a centro area (su calcio d'angolo!), per poi mettere la freccia con De Bruyne, in seguito a un pasticcio di Bonucci, che dovrebbe essere il punto cardine della nostra retroguardia. Ce n'è abbastanza per essere preoccupati. Soprattutto dal momento che, lo ripetiamo, in avanti la concretezza è ancora un miraggio. A Bologna El Shaarawy ha avuto due occasioni clamorose, Marchisio ci ha provato con una bella fiondata da fuori in chiusura di prima frazione (per poi cogliere su rigore il meritato successo personale), imitato nella ripresa da Parolo; delle occasioni di Pellè ed Eder in Belgio si è già detto, e non sono state le uniche, se pensiamo ad altri tentativi andati a vuoto di Candreva, Florenzi e dello stesso Faraone. 
TANTI DUBBI E POCHE CERTEZZE - Proprio per questo non c'è da stare tranquilli: quando si gioca tutto sommato su livelli apprezzabili e si torna a casa con un pugno di mosche, vuol dire che i margini di miglioramento, per quanto esistenti, non sono poi enormi. In ogni caso, qualche certezza questi due test l'hanno pur lasciata: Florenzi e Candreva al top, ad esempio, non possono assolutamente restare fuori dall'undici titolare, ed El Shaarawy si sta lentamente riappropriando delle misure di un tempo, quantomeno come capacità di movimentare la manovra offensiva (la precisione sotto porta è invece ancora uno sbiadito ricordo di quella fulminante parentesi rossonera). Davanti a Buffon, sperando che quello di Bonucci sia solo un momentaneo appannamento, Chiellini continua a non brillare, e tutto il movimento calcistico italiano deve mordersi le mani nel vedere Rugani, il più dotato dei giovani difensori nostrani, ai margini di una Juventus in cui, vista la stagione ormai chiaramente di transizione, potrebbe e dovrebbe esserci lo spazio per qualche sperimentazione (nemmeno troppo ardita perché, lo ripetiamo, il ragazzo ex Empoli è una certezza). Speriamo in una ulteriore crescita di Romagnoli e in un ritorno in auge di Astori: altre alternative in mezzo non ve ne sono, puntare ancora su Ranocchia sarebbe davvero un salto nel buio. 
PEPITO E MANOLO - Nella fascia centrale, Verratti è diventato ormai indispensabile, Bonaventura reclama una chance, mentre qualche metro più avanti si tratterà di trovare spazio per Insigne, Berardi (che all'azzurro ci tengono eccome) e Bernardeschi. Sempre più lontana l'eventualità di una rinascita sul breve periodo di Balotelli, rimane la speranza di un recupero alla causa di Pepito Rossi, ipotesi tutt'altro che peregrina, mentre merita senz'altro un più ampio minutaggio l'inesorabile Gabbiadini (ieri in gol poco dopo l'ingresso in campo): affrontare Euro 2016 con la coppia di punta Pellè - Eder, dignitosa e nulla più, ci escluderebbe a priori dal grosso giro, a meno di non trovare più puntuali rifornitori di palle gol e incrementare al massimo l'efficacia sotto porta della nostra nutrita batteria di potenziali incursori. 

sabato 31 ottobre 2015

LE MIE RECENSIONI: "THE WALK" DI ROBERT ZEMECKIS



Andiamo subito al sodo: "The walk" è quello che si può definire un buon film. Anzi, qualcosa di più. Direte: per una produzione griffata Robert Zemeckis è poco meno che scontato. Nel caso specifico, però, l'opera ha fatto centro riuscendo ad essere più forte dei limiti oggettivi imposti dal genere, nonché dei limiti sorti in fase di scrittura a causa del format narrativo adottato. I limiti oggettivi sono quelli insiti in una pellicola che racconta un fatto realmente accaduto, di risonanza mondiale e quindi, si presume, noto a molti dei potenziali spettatori (pur se in Italia, all'epoca, non ebbe in fondo un grossissimo rilievo mediatico: date un'occhiata agli archivi on line di alcuni quotidiani per farvene un'idea). Nel caso specifico, l'evento, per certi versi addirittura epico, è l'incredibile camminata del funambolo francese Philippe Petit su di un cavo teso fra le sommità delle due Twin Towers di New York, nell'agosto del 1974. Riguardo invece ai limiti "autogenerati" da chi ha creato il film, beh, la vicenda è qui evocata in prima persona proprio da Petit (interpretato da Joseph Gordon-Levitt), per cui non è difficile intuirne il lieto fine... E già, il problema spoiler, una "piaga" dell'informazione cinematografica 2.0, non si pone nemmeno: il giovane artista scavezzacollo non solo sopravvive a una tale folle camminata, ma addirittura si permette di andare avanti e indietro più volte sul filo, prima di toccare la... terra ferma, ossia il terrazzo di una delle due torri. 
IL PATHOS PRE - IMPRESA - Ma il fascino, l'impatto emozionale, la forza di coinvolgimento di simili imprese quasi bastano, da soli, ad assicurare il felice esito di una trasposizione in formato celluloide. Quando già si sa come va a finire, cosa fanno un buon regista, un eccellente sceneggiatore e tutto il team creativo? Riescono comunque a modellare una trama "energica", dando il più largo spazio possibile agli elementi della vicenda meno esplorati dalla cronaca giornalistica, se non misconosciuti, e caricando di pathos la parte nota, anche tratteggiandola nei minimi dettagli. Zemeckis e compagnia centrano in pieno il bersaglio, in tal senso: mirabile è soprattutto la ricostruzione di tutta la fase preparatoria della "traversata impossibile". L'analisi maniacale, quasi ingegneristica, della struttura delle torri, i materiali da utilizzare, i parametri di sicurezza da rispettare, le misurazioni che devono essere precise al millimetro, le astuzie da adoperare per mettere a punto il tutto senza farsi scoprire dai vigilanti in servizio nel World Trade Center.
Ne viene fuori il quadro di un apparato organizzativo profondamente professionalizzato, ancorché messo in piedi da giovani ribelli, sognanti, estrosi (Petit e i suoi "complici"). Il messaggio è preciso: la voglia di strafare fine a se stessa, la genialità non adeguatamente canalizzata, non portano da nessuna parte, se non sono sostenute da una base di raziocinio, da una seria e meticolosa cura dei particolari. In fondo, è lo stesso discorso, amplificato all'ennesima potenza (perché qui di mezzo c'è addirittura la vita, la sopravvivenza) applicabile a certi calciatori particolarmente talentuosi, ma che quel talento non sono in grado di gestirlo con il dovuto equilibrio, finendo col fornire un rendimento nettamente inferiore alle potenzialità. 
MAGIA NARRATIVA - Poi, la lunga narrazione della camminata, che occupa in pratica l'intero secondo tempo di "The walk". Impreziosita da strepitosi effetti speciali e dall'abilità ginnica di Gordon-Levitt, la ricostruzione per il grande schermo risulta oltremodo efficace, mozzafiato. Una sfida ai confini della realtà che, lo ripetiamo, non aveva bisogno di thrilling né di incertezza per risultare coinvolgente, ma se la tensione rimane intatta fino in fondo è anche merito di una magia narrativa che non tutti i cineasti sono in grado di generare: sappiamo benissimo che Petit non cadrà mai, nemmeno quando ha un attimo di incertezza e l'equilibrio sembra vacillare, nemmeno quando viene sfiorato da un uccello, eppure restiamo col cuore in gola, ansiosi di sapere cosa accadrà pochi secondi dopo.
TUTTI PROTAGONISTI. E IL WTC... - C'è un'ottima caratterizzazione dei personaggi, cosa tutt'altro che scontata per un film monopolizzato dalla personalità del protagonista assoluto. Petit recita da mattatore ma non deborda, riesce a non mettere in ombra i vari comprimari, i compagni di avventura i cui ruoli nella vicenda vengono adeguatamente valorizzati, tratteggiati con essenziale completezza: alla fine, di ciascuno di essi abbiam saputo tutto ciò che era necessario sapere; e anche quello di Ben Kingsley, burbero "maestro d'arte" del giovin funambolo, è tutt'altro che un cameo: un vecchio saggio al quale bastano poche apparizioni per incidere profondamente nel tessuto del racconto. Certo, ad accentuare il potenziale emotivo contribuisce anche la ricostruzione virtuale delle due torri, tornate a nuova vita grazie alle moderne tecnologie filmiche: un convitato di pietra, il WTC, sul quale nella pellicola si evita di ricamare troppo, per non cadere nel retorico. Ma le Twin sono una presenza pressoché costante, occupano silenziosamente la scena quasi più dello spericolato equilibrista.
PETIT UN EROE? - Ovvio, poi, che in opere come queste l'esaltazione acritica dell'impresa narrata sia la trappola in cui anche i registi più scafati tendono a cadere. Del resto, non è compito del cinema, di fronte a certi eventi eccezionali, tranciare giudizi e sindacare sull'opportunità di lanciasi in tali prodezze. Io, da spettatore, posso dirlo: non riuscirò mai a considerare Philippe Petit un eroe, un genio. Certo è uno che ha realizzato un suo sogno e che ha dimostrato come, spesso, gli uomini possano mettere a segno conquiste sulla carta impossibili. Ma sfidare la sorte e spingersi continuamente al limite, e anche oltre, non è un merito, neanche quando lo si fa sorretti da solida preparazione, come in questo caso. Petit non può essere un esempio a cui guardare. I veri eroi sono quelli delle sfide quotidiane, delle battaglie contro gli ostacoli della normalità. Detto questo, "The walk" resta un tributo ottimamente confezionato, che dona un'aura da epopea al fatto e universalizza un'impresa altrimenti destinata a restare patrimonio condiviso di un pubblico di nicchia, quello formato da chi, come me, di certe alzate di ingegno sente parlare dalla tv (che le riporta come notizie "bizzarre") per poi dimenticarsene. 

martedì 20 ottobre 2015

VERSO SANREMO 2016: ECCO IL REGOLAMENTO DEL FESTIVAL! UNICA VERA NOVITA': IL RIPESCAGGIO COME ANCORA DI SALVEZZA PER UN BIG


Ci inoltriamo nell'autunno, e puntuali arrivano i primi "spifferi" sanremesi. Mancano quattro mesi scarsi al Festival, ma la macchina organizzativa sta già scaldando i motori. Anche se spesso sottovalutato da appassionati e addetti ai lavori, uno dei momenti topici della fase d'approccio alla kermesse è rappresentato dalla messa a punto del regolamento, che è stato pubblicato questa mattina. Le cosiddette "tavole della legge" di Sanremo sono fondamentali: scorrendole, si possono già intuire quelle che saranno le linee guida delle canoniche cinque serate, che per il 2016 sono in programma dal 9 al 13 febbraio. 
LA FORMULA CONTI - Certo, quest'anno c'era ben poco da trepidare nell'attesa di sconvolgenti novità. Già la sola conferma di Carlo Conti sulla tolda di comando era una garanzia di pressoché totale continuità rispetto all'ultima edizione, trionfale in termini di audience tv, soddisfacente per il rendimento sul mercato discografico dei brani lanciati all'Ariston (giovani a parte). Le fondamenta di tale, inevitabile continuità le ho illustrate in lungo e in largo in un paio di articoli pubblicati nei mesi scorsi: troppo lungo sarebbe ripetere tutto, mi limito solo a dire che dai tempi di Pippo Baudo non veniva concepita una "formula Festival" così efficiente, e potenzialmente funzionale sul medio periodo, come pare poter essere quella firmata dal presentatore toscano. Il quale del resto era stato assai chiaro fin dall'estate appena trascorsa, quando aveva dichiarato a Sorrisi e Canzoni: "Il meccanismo del Festival? Con gli autori l'abbiamo rigirato, spezzettato e analizzato, e troviamo difficoltà a cambiare le cose. Ci sembra una macchina perfetta, che ha dato risultati incredibili, e andarla a stravolgerla non ha un grande senso". 
COVER DI SUCCESSO - Infatti. Come volevasi dimostrare, le modalità di svolgimento della manifestazione saranno sostanzialmente le stesse dello scorso febbraio. Confermata persino la serata "di pausa" nella gara dei big, serata che anche quest'anno sarà dedicata alle cover di grandi successi (italiani e internazionali) del passato. Non si tratta di mancanza di fantasia: questo happening, nel 2015, ha riscosso consensi inattesi, vuoi per la qualità mediamente buona delle performance degli artisti, vuoi perché una delle cover presentate, "Se telefonando" di Nek, ha addirittura preso il volo, diventando uno dei brani più "gettonati" dell'estate. Una hit sanremese con tutti i crismi, sbocciata in un "contest" al quale si chiedeva solo una piacevole resa spettacolare, non certo un riscontro commerciale. 
DA DICIOTTO A VENTI? - Dunque, cercare novità clamorose in questo regolamento fresco di stampa è impresa destinata all'insuccesso. Possiamo tuttavia registrare qualche piccolo cambiamento, che non incide sulla filosofia di fondo, sulla sostanza, dello show rivierasco: in primis il numero dei Campioni ammessi in concorso, fissato a diciotto. Credo di poter dire si tratti di una cifra provvisoria, e che, come accaduto quest'anno, alla fine i Big diventeranno venti. Anche in questo caso, ci son state le eloquenti parole del direttore artistico, nei mesi del solleone: "Mi auguro di incontrare difficoltà nella scelta dei brani, in modo da dover passare anche quest'anno dai sedici previsti a venti". Poi i sedici son diventati diciotto, ma credo che poco cambi. Personalmente, arriverei perfino a scommettere su questo allargamento del cast, non fosse che... odio il gioco d'azzardo. Inserire nel regolamento un numero minimo di posti disponibili è artifizio interpretabile come una forma di elementare prudenza da parte dell'organizzazione: ma un Festival con la stessa guida artistica e con lo stesso format difficilmente proporrà meno cantanti in lizza, in quanto la riduzione potrebbe venire letta dal pubblico negativamente, ossia sintomatica di un abbassamento della qualità delle canzoni, e trasmettere un tale messaggio prima della kermesse sarebbe un boomerang sul piano promozionale. 
IL RIPESCAGGIO - L'innovazione, per la gara dei "vip", riguarda il ripristino di un sistema di ripescaggio, già visto altre volte in passate edizioni del Festival anche se declinato in forme diverse. A Sanremo 2016, al termine della quarta serata verranno eliminate cinque canzoni dei big, che torneranno però subito in competizione passando attraverso le forche caudine del televoto: quella che riscuoterà maggiori consensi rientrerà nel tabellone principale, e parteciperà alla finalissima del sabato insieme alle composizioni promosse al primo colpo. Finale che quindi, stando al regolamento attuale, vedrà in lizza quattordici artisti su diciotto: seguendo il ragionamento precedente, dovrebbero invece diventare sedici su venti. Il nome del ripescato verrà, curiosamente, reso noto solo all'inizio del gala conclusivo del 13 febbraio. 
I GIOVANI PARTONO DA NOVEMBRE - Una piccola rivoluzione ha riguardato invece la categoria delle Nuove Proposte, ma questo già si sapeva da parecchi mesi. Sei degli otto debuttanti (due arriveranno da Area Sanremo) verranno scelti attraverso la trasmissione televisiva "Sanremo giovani", in programma su Raiuno il 27 novembre, momento finale di una lunga fase di selezioni e audizioni live: un ripristino dell'analoga iniziativa lanciata da Pippo Baudo nel 1993, vedremo se riveduta e corretta o strenuamente fedele alla tradizione. Sarà una tappa decisiva verso l'evento di febbraio, perché proprio la categoria dei debuttanti ha rappresentato l'unico, autentico tallone d'Achille dell'ultimo Festivalone: nonostante vi fossero ragazzi interessanti e pezzi gradevoli, le vendite sono state assai deludenti, e al momento si può dire che non sia nata alcuna nuova stella. Per il resto, la gara finale delle Nuove Proposte avrà la medesima struttura del 2015: tabellone calcistico ad accoppiamenti con quarti di finale, semifinali e finale, formula crudele ma foriera di grande pathos. Assurdamente ridotta la durata massima consentita per le canzoni delle nuove leve: appena tre minuti, contro i tre e trenta concessi ai Campioni. Mah!
LA "COMMISSIONE MUSICALE" - Perplessità ha destato la composizione della commissione chiamata a selezionare i giovani e che, regolamento alla mano, potrà anche fornire al direttore artistico (ossia a Conti) "la propria collaborazione e consulenza nella scelta degli artisti delle sezione Campioni". Assolutamente adatte alla bisogna le presenze di Carolina Di Domenico, Federico Russo e Giovanni Allevi, accettabile Rosita Celentano, diverse riserve su un  Piero Chiambretti che ha già preso parte, in diverse vesti sia radiofoniche che televisive, a numerose edizioni del Festival e che mai ha portato un autentico valore aggiunto alla kermesse; è un anchorman con una filosofia di televisione che ritengo sostanzialmente incompatibile con lo spirito di Sanremo. E che dire di Andrea Delogu, diventata improvvisamente volto imprescindibile per la Rai? Nel giro di pochi mesi è passata da una trasmissione sul cinema (Stracult) a una sul calcio (Processo del lunedì) alla scelta delle canzoni della più importante rassegna italiana di musica leggera. Finora io tutto questo talento multiculturale non l'ho visto, nelle performance della graziosa showgirl, ma spero sia solo questione di tempo: rimane comunque netta la sensazione che le stiano facendo bruciare un po' troppo in fretta le tappe, mettendola davanti a impegni, al momento, più grandi di lei. Poi, felice di essere smentito. 

mercoledì 14 ottobre 2015

VERSO EURO 2016 - DOPO ITALIA - NORVEGIA 2-1: UNA NAZIONALE DI "NON FENOMENI" CHE E' LO SPOT MIGLIORE PER IL NOSTRO CALCIO

                                          Pellè: suo il gol vittoria contro la Norvegia

Non sarà una Nazionale di "fenomeni", come invece si affannava a urlare Antonio Conte dopo il gol del sorpasso alla Norvegia firmato da Pellè, ma quella ammirata ieri è sicuramente un'Italia di cui ha disperatamente bisogno il movimento calcistico nostrano, per uscire dal grigiore involutivo in cui si è avvitato da un lustro (o giù di lì) a questa parte. Perché, riprendendo un discorso accennato nel mio precedente post, non è più tempo di piangerci addosso, imprecando al declino del nostro vivaio (peraltro non naturale, ma causato da politiche e strategie assai discutibili) e alla superiorità di altri Paesi. Dobbiamo mettere in campo coraggio, intraprendenza, gettare il cuore oltre l'ostacolo. L'Azzurra della notte romana questo ha fatto: è andata al di là dei suoi oggettivi limiti, evidenti ma non drammatici come da qualcuno dipinti, e ha sfruttato al massimo le sue risorse di talento, dinamismo, carattere, centrando una vittoria purtroppo inutile ai fini del conseguimento della testa di serie europea, ma di incalcolabile importanza per tanti, tantissimi motivi. 
CRESCITA CONTINUA - Nel giugno scorso, commentando la triste chiusura della stagione (sconfitta in amichevole col Portogallo), avevo auspicato un autunno all'insegna... del poker, ossia quattro successi nelle ultime quattro gare di qualificazione al torneo francese. Le vittorie sono arrivate, ma a confortare sono soprattutto le risultanze tecniche fornite dal gruppo azzurro in questi due mesi. E' stato un crescendo magari non rossiniano, ma di certo significativo per le prospettive che ci apre a medio termine: partiti dalla fallimentare recita contro Malta, piegata con una rete irregolare, i nostri hanno gradatamente ritrovato una dimensione assolutamente dignitosa. Già nel match coi bulgari la prova era stata incoraggiante, pur se parzialmente rovinata dall'incresciosa prodigalità sotto porta, ma le ultime due gare hanno mostrato quel che da tempo il Club Italia non era stato più in grado di offrire: prima la tranquilla gestione della partita di Baku, disputata con buona aggressività e col controllo pressoché assoluto del gioco, poi il baldanzoso assalto all'arma bianca contro una Norvegia che, vincendo, avrebbe addirittura conquistato il primo posto nel raggruppamento. 
OLTRE I PROPRI LIMITI - La sfida che ha chiuso il nostro girone è stata anche la miglior prestazione di questi primi tredici mesi di reggenza "contiana", se escludiamo l'entusiasmante ma effimero galoppo al debutto in amichevole con l'Olanda, oggi rasa al suolo da un turno eliminatorio imbarazzante. Effimera invece non dovrebbe esserlo, la dimostrazione di forza con cui ieri sono stati piegati gli scandinavi, quantomeno perché, come detto, parrebbe il naturale sviluppo di un miglioramento lento, graduale, ma evidente. Giocasse sempre così, l'Italia non presterebbe il fianco a critiche di sorta, di questi tempi: versatilità tattica, piglio propositivo, buona tenuta atletica, continuità di pressione, una pressione che a tratti è divenuta martellante. Andare oltre i propri limiti, si diceva; i limiti qualitativi nostri li conosciamo, e sono concentrati soprattutto in retroguardia e in avanti. Tali carenze hanno due conseguenze: si concedono agli avversari percentuali realizzative altissime (ieri la Norvegia un tiro e un gol, grosso modo), mentre in prima linea si deve creare tantissimo e concludere un'infinità di volte, prima di trovare l'agognata segnatura (e non è nemmeno detto che ci si riesca sempre). Chiaro che, in un tale quadro, l'intensità, l'esprimersi costantemente su ritmi elevati, sia fondamentale se si vuol nutrire qualche speranza di fare risultato: ieri è accaduto, e i frutti son stati alfine colti. 
FLORENZI IMPRESCINDIBILE - Inutile, come detto, imprecare ai vuoti generazionali. Davanti non abbiamo stoccatori inesorabili, si sa: li avessimo, a Roma avremmo chiuso il primo tempo con un vantaggio del tutto rassicurante. Pellè, pur sempre nel vivo dell'azione, ha confermato di non essere il terminale ideale per una selezione con ambizioni europee (ben quattro occasioni mancate, tre di testa e una di destro): mi ricorda un po' la generosità dell'ultimo Graziani azzurro, che però non era l'uomo cardine del reparto ma faceva da spalla a Paolo Rossi...  Anche Eder ha fallito una colossale opportunità a tu per tu con l'ottimo Nyland, che già in precedenza aveva deviato in corner un preciso diagonale dalla distanza di Soriano; nel conto va anche messo un gol misteriosamente annullato a Florenzi, messo davanti alla porta vuota da Candreva. Lo stesso Florenzi ha poi siglato il pari su dormita difensiva dei norvegesi e, dopo una fuga sulla destra, scodellato il traversone per il sinistro vincente (e il riscatto in extremis) di Pellè, dimostrando di essere elemento imprescindibile per questa compagine: eclettico, veloce, utile in ogni fase di gioco, incisivo sotto porta. Il tutto, mentre percuotevano le fasce laterali con apprezzabile continuità sia Darmian sia un De Sciglio non sempre preciso al cross, ma inesauribile, efficace in copertura e sempre pronto ad appoggiare l'azione offensiva: quasi sui livelli che, ai tempi della Confederations Cup 2013, mi fecero azzardare paragoni irriverenti con certi grandi del passato. 
GIOVINCO MAI COSI' IN PALLA - Palle gol anche per Candreva e per Giovinco, con l'ex juventino che sta smentendo alcuni luoghi comuni relativi alla scarsa attendibilità di alcuni tornei esteri: ha fatto più nelle ultime due gare, giocate da "militante" nella lega  MLS, che in tante anonime comparsate nel corso della gestione Prandelli. Un'altra arma da non sottovalutare, il piccolo Sebastian, per lo spuntato attacco azzurro; ma la fatica con cui sono stati colti i tre punti in una gara pur dominata in lungo e in largo non deve far dimenticare che questa Italia ha bisogno di ben altro, se vuole lasciare un segno tangibile a Euro 2016 (il che potrebbe voler dire arrampicarsi almeno fino ai quarti di finale): Balotelli e Pepito Rossi sono da reinserire al più presto, magari fin dalle prossime amichevoli, Insigne deve trovare spazio, va lanciato Berardi e... rilanciato Zaza, che ha dato importanti segnali di risveglio nell'ultima uscita internazionale della Juve. Insomma, la squadra va potenziata e migliorata, i mezzi per farlo sono limitati ma esistono. L'importante sarà conservare lo spirito, psicologico e tattico, gettato nella pugna poche ore fa: se è vero, e lo è, che una rappresentativa nazionale è lo specchio fedele dello stato di salute di un movimento calcistico assai più di club imbottiti di stranieri, ebbene, l'immagine riflessa da questo specchio ci piace assai, pur con tutti i suoi difetti. Se l'Italia del pallone è quella della notte romana, abbiamo ancora delle speranze. 

domenica 11 ottobre 2015

VERSO EURO 2016: L'ITALIA SI QUALIFICA. FINALMENTE PERSONALITA' E POCA SOFFERENZA

                                               Per Darmian primo gol in azzurro

Qualificarsi per la fase finale di un grande torneo è sempre impresa degna di nota. Certo, non va dimenticato quanto più volte ripetuto negli ultimi dodici mesi, qui sul blog: non arrivare a Francia 2016, a quell'orrendo maxi Europeo allargato a 24 squadre, era un'impresa quasi irrealizzabile, anche impegnandosi a fondo. La logica diceva questo, poi la realtà e il campo parlano sovente altri linguaggi. E il campo, da settembre 2014 a oggi, ha proposto alla nuova Italia di Antonio Conte un girone che, come da tradizione, si è complicato strada facendo, non tanto per défaillance nostre (sei vittorie e tre pari sono un ruolino di marcia accettabilissimo, anche se non entusiasmante per come è maturato) quanto per la puntuale resurrezione di una rappresentativa, in questo caso la Norvegia, ritenuta alla vigilia non particolarmente pericolosa, e poi salita talmente di tono da poter ancora ambire, in caso di vittoria a Roma martedì prossimo, al primo posto nel raggruppamento. Ma è stata una tendenza generale di queste strane eliminatorie, che hanno riportato alla ribalta selezioni da tempo silenti come Irlanda del Nord, Austria (graditissimo ritorno, in attesa dell'Ungheria) e Galles, e fatto impennare le quotazioni di piccole realtà come l'Albania e soprattutto la stupefacente Islanda. Quanto alla... impossibilità di non qualificarsi, gli azzurri sono maestri nel complicarsi la vita anche nei percorsi più favorevoli, ma in questo caso c'è chi ci ha superati, e parliamo dell'insospettabile Olanda, terza nel mondo, spesso e volentieri rullo compressore nei gironi di qualificazione e oggi, invece, addirittura a un passo dall'eliminazione. 
NONOSTANTE LA CRISI - Così girano le cose del pallone, e allora brindiamo pure a questo primo, parziale traguardo centrato dalla nostra Nazionale. Non a champagne, magari, un vinello leggero è più che sufficiente... Brindiamo, perché la qualificazione europea giunge nel bel mezzo di una congiuntura fra le più sfavorevoli che il nostro movimento abbia mai attraversato, dagli anni Cinquanta del secolo scorso. Provateci voi a mettere insieme una rappresentativa a discreto tasso di competitività, quando le big della Serie A (e spesso anche le medie e medio - piccole) hanno roster e formazioni titolari intasate da stranieri, il più delle volte di dubbio valore, coi nostri ragazzi a intristirsi in panchina, in tribuna o nelle serie inferiori. 
Prandelli prima e Conte dopo hanno già fatto miracoli, in tal senso, riuscendo a formare gruppi azzurri assolutamente decorosi; e hanno anche dimostrato che la presunta crisi del nostro vivaio è una realtà sicuramente esistente, ma parziale, cioè non così terrificante come dipinta da qualcuno. Perché se è innegabile che in prima linea stiamo pagando lo scotto di un vuoto generazionale preoccupante (o più probabilmente del ritardo di maturazione di alcuni elementi di buonissime potenzialità, come Immobile e Zaza), in altri reparti gli uomini affidabili non mancano. Nella zona nevralgica e sulla trequarti abbiamo validissime alternative, e dietro stanno timidamente affacciandosi ragazzini che conquisteranno presto la ribalta: soprattutto Rugani, se guadagnerà fiducia in maglia Juve, e Romagnoli, che non è il nuovo Nesta ma che di certo supererà i primi impacci rossoneri, dovuti anche a una situazione tecnica generale del club che certo non favorisce l'inserimento dei giovani (ne sta pagando lo scotto, per inciso, anche il buon Bertolacci, che ha ampiamente dimostrato le sue doti nelle ultime stagioni e certo non può essersi imbrocchito in un paio di mesi). 
LA CARATURA INTERNAZIONALE NON MANCA - Insomma, forse il nostro cittì volutamente esagera, quando dice di voler andare nell'Exagone, in giugno, per puntare al bersaglio grosso, ma non gli si può dare torto. In primis perché non servono undici fenomeni per fare strada in una competizione (vincere è un altro discorso): bastano cinque - sei elementi di statura internazionale, e noi li abbiamo, dall'eterno Buffon a Bonucci, da Verratti a Candreva e a Darmian, nell'attesa del ritorno in auge di Balotelli e Pepito Rossi e dello "svezzamento" di qualche altro virgulto. In secondo luogo, perché piangersi addosso imprecando alla carenza di nuove leve non fa che minare ulteriormente il carattere di una squadra che invece, per tradizione storica e per risorse di talento, ha il dovere  e le capacità di andare a giocare su tutti i campi con personalità e piglio moderatamente aggressivo, come finalmente i nostri han saputo fare ieri in Azerbaigian. 
PARTITA BEN INTERPRETATA - Certo, l'ostacolo non era di quelli insormontabili, ma anche questa è una considerazione che lascia un po' il tempo che trova, parlando dell'Italia degli ultimi anni: una squadra che ha incontrato enormi difficoltà anche solo per incassare i tre punti contro avversari come Malta e Far Oer, o contro gli stessi azeri all'andata a Palermo (soffertissimo 2-1). Questa volta, invece, tutto è filato abbastanza liscio: unico momento down, il parziale abbassamento di ritmo giunto poco dopo la stilettata di Eder, anche se va detto che il pari di Nazarov è stato frutto di una momentanea défaillance del reparto arretrato, e non certo il naturale prodotto di una lunga fase di predominio dei padroni di casa; e comunque, in precedenza Pellè aveva sfiorato il raddoppio con una conclusione da centro area. Superata l'impasse per l'incidente di percorso, i nostri hanno continuato a macinare gioco con discreta continuità, e con una rapidità che sovente, purtroppo, è andata a discapito della precisione. Ma il pallino è sempre rimasto nelle mani degli azzurri, che hanno sollecitamente trovato il 2-1  e nella ripresa altre segnature avrebbero potuto mettere in carniere, prima e dopo la fiondata di Darmian per il 3-1 finale. 
VERRATTI, DARMIAN E IL FARAONE SUGLI SCUDI - Insomma, fatta la tara ai competitors, è stata una delle gare del biennio che più ha lasciato un dolce sapore in bocca, per le risultanze positive in tema di approccio mentale e di rendimento dei singoli. Verratti ha mostrato un buon campionario delle sue doti: concretezza in fase di filtro, buon palleggio per dettare i ritmi nel mezzo, lancio millimetrico a tranciare le linee difensive nemiche. Il citato Darmian ha regalato il consueto buon contributo nelle due fasi e trovato il primo successo personale in rappresentativa, El Shaarawy è stato il più vivace e generoso in fase propositiva, tentando più volte la conclusione e siglando un gol facile facile ma meritato, Parolo ha inciso poco ma è cresciuto nel finale, luci e ombre per un Candreva che deve decidersi a gettare la maschera, riversando anche in azzurro l'esplosività di tante sue gare con la maglia della Lazio. Ma la sostanza generale del match, lo ripetiamo, è stata assolutamente incoraggiante. Già il fatto di non aver sofferto che per pochi minuti, fra l'1-1 e l'1-2, è una conquista, se pensiamo agli stenti di tante prove recenti. Un solo consiglio in vista di Roma: si lascino da parte i gratuiti lamenti sui meccanismi che regolano il ranking FIFA e si batta la Norvegia, come già si è fatto all'andata: il terzo torneo consecutivo senza il ruolo di testa di serie sarebbe inaccettabile, per il blasone del nostro calcio. 

mercoledì 23 settembre 2015

LE MIE RECENSIONI: "TUTTE LO VOGLIONO", UN BRIGNANO DA COMPITINO PER UNA COMMEDIA CON POCO SALE


Una disintossicante commedia leggera old style, caciarona e ridanciana dall'inizio alla fine, senza cedimenti né involuzioni dovute a inopportuni cambi di registro narrativo. Questo chiedo da anni al cinema italiano, per poi essere quasi puntualmente tradito dalla pellicola di turno. E purtroppo nemmeno il nuovo film con Enrico Brignano, "Tutte lo vogliono" (regia di Alessio Maria Federici), ha sciolto il nodo dell'attesa. Nel caso specifico la mancanza è ancor più grave, perché chi ha concepito e realizzato l'opera aveva fra le mani un mattatore dei giorni nostri come il lanciatissimo artista romano, affiancato oltretutto da una spalla come Vanessa Incontrada che, grazie ad alcune pregresse esperienze televisive, ben si presterebbe a una parte comica tout court. 
Intendiamoci, nulla di male nel sentimentalismo, nel mood romantico di una storia d'amore dai contorni favolistici. Si vorrebbe, solo, un minimo di coerenza stilistica, una scelta netta sulla strada da far imboccare alla sceneggiatura. O, ancora meglio, una più adeguata fusione fra sorriso e lacrima, fra comicità e sdolcinatezza, quella capacità di sintesi che il cinema italiano sembra aver smarrito, salvo rare eccezioni. Che poi, se proprio si vuol virare sul feuilleton rosa, bisognerebbe avere almeno un'idea originale, cosa che non si può certo dire di questa scintilla che scocca, imprevedibilmente (ehm), fra Orazio - Brignano e Chiara - Incontrada, fra un ragazzo del "popolino" che tira a campare grazie agli animali (letteralmente: lavora in un negozio di toelettatura per gli "amici a quattro zampe" e realizza video improbabili, con bestioline protagoniste, da caricare sul web sperando di trarne notorietà e guadagno) e una fanciulla dell'alta società che ha intrapreso con successo uno dei nuovi mestieri del 21esimo secolo (food designer) e opera in contesti di alto lignaggio. 
Insomma, su questo fronte le alzate d'ingegno latitavano, e allora non era meglio insistere fino alla fine sul registro disimpegnato di inizio film? Per un'oretta, in fondo, qualche guizzo brillante emerge qua e là, a partire dalla lunga avventura "on the road" del protagonista: Brignano è alla guida di un'auto accanto a un autentico scimpanzè, passeggero sui generis che, paziente, ascolta il suo racconto a posteriori dell'avventura con Chiara. Una serie di battute a doppio senso, ma tutto sommato buttate là senza insistervi troppo e quindi diluendo lo sgradevole effetto "umorismo da caserma", poi la trovata del GPS (Generoso Partner Sessuale), improbabile figura professionale attorno a cui ruota l'equivoco su cui si regge il film, con l'ingenuo e bonaccione Orazio che si vede trasformato, involontariamente, in "stallone" e insegnante di sesso. Un equivoco che avrebbe fatto la felicità degli sceneggiatori di certe commedie scollacciate anni Settanta e Ottanta, ma che in questo caso viene sfruttato solo in minima parte. Il vero peccato originale è però, come si accennava all'inizio, la valorizzazione inadeguata dello stato di grazia di un Brignano ultimamente debordante in altri contesti (teatro, tv), e che si limita qui al compitino, intristendosi alfine nella deriva sentimentale della seconda parte del film. 
Ricapitolando: puntare tutto su Enrico, far emergere la vis comica di Vanessa (che oltretutto ormai parla un italiano quasi perfetto, con scarse inflessioni iberiche) e lavorare sul divertente intreccio di malintesi e situazioni esilaranti che poteva scaturire dallo scambio di persona di cui è "vittima" Brignano. Erano queste le sole strade percorribili per far salire di tono il film, per trasformarlo da pellicola dignitosa (e nulla più) in buon esempio di commedia leggera 2.0. Altre soluzioni non ce n'erano, anche perché gli attori di contorno erano, appunto, di contorno, comprimari, a distanza siderale dalle potenzialità dei due grossi calibri, e quanto di più lontano da certi caratteristi del passato capaci di "griffare" una pellicola anche con pochi minuti di recitazione. Fastidiosa l'insistenza, in questo come in altri film del genere, su reduci di Zelig che, fuori dal loro habitat naturale, rendono sì e no al 30 per cento, soprattutto Andrea Perroni e Massimo Bagnato, mentre un pochino più "in parte" è parsa Marta Zoboli, senza però miracol mostrare. 

martedì 22 settembre 2015

CINEMA, SPORT E UNIVERSITA' IN SINERGIA: CUS GENOVA E CIRCUITO CINEMA GENOVA LANCIANO LA CUS CARD



Da oggi, la massima latina "mens sana in corpore sano" trova a Genova nuova espressione, grazie a una futuribile sinergia fra cinema, sport e istruzione universitaria. Di che si tratta? L'iniziativa è denominata "C.U.S. Genova e Circuito Cinema Genova insieme, in una sola card, per una città più smart!". Il cinema si lega a doppio filo all'Ateneo della città della Lanterna, strizzando in particolare l'occhio agli studenti impegnati, attraverso il glorioso C.U.S. del presidente Mauro Nasciuti, nella pratica delle più svariate discipline sportive. 
Nel dettaglio, la card in oggetto, valida per l'anno accademico 2015/16, è uno strumento che vuole unire le potenzialità di due realtà profondamente radicate nel capoluogo ligure, dando vita a una collaborazione capace di favorire la mobilità degli studenti universitari nel territorio cittadino, facilitandone in particolare l'accesso agli esercizi di intrattenimento cinematografico e alle molteplici possibilità offerte dalla CUS Card ( la pratica delle attività sportive e le convenzioni con numerosi esercenti genovesi).
La nuova CUS Card renderà possibile l’interazione tra i soci C.U.S. e il sistema di biglietteria di Circuito Cinema Genova; il possessore della CUS Card potrà accedere a condizioni vantaggiose in tutte le sale di Circuito Cinema Genova: Sivori, Odeon, Corallo, Ariston, City, Italia (Arenzano). La Card offrirà a tutti i ragazzi universitari soci C.U.S. Genova la possibilità di vedere gli spettacoli, in tutti i cinema sopra citati, a prezzi ridotti; sarà inoltre possibile ricaricare la carta con gli abbonamenti agli spettacoli di Circuito Cinema Genova.
Dunque, "mens sana in corpore sano", come si diceva all'inizio. Massima rivisitata però in versione 2.0: una strada nuova e contemporanea per unire l'attività fisica, la cura del corpo, al cosiddetto allenamento mentale, l'ampliamento dei propri orizzonti culturali attraverso un percorso privilegiato per accedere a un cinema non prettamente commerciale e di consumo: "Vorremmo indirizzare i nostri giovani verso una filmografia di qualità - ha dichiarato Alessandro Giacobbe, amministratore delegato di Circuito Cinema Genova - valorizzando quelle opere che, pur essendo degli autentici gioielli, rimangono troppo spesso sconosciute al grande pubblico, e dedicando particolare attenzione a certi titoli di grande interesse che però, per vari motivi, restano in programmazione nelle sale per periodi di tempo assai limitati". In quest'ottica si inquadra anche la scelta del film che verrà proiettato giovedì 24 settembre, alle 18 e 30, presso la Sala Sivori di Genova, in occasione del vernissage ufficiale dell'iniziativa: si tratta di "Southpaw - L'ultima sfida" di Antoine Fuqua, pellicola oltretutto dedicata al mondo del pugilato e quindi emblematica di questa "alleanza" tutta genovese fra agonismo e celluloide. 
Un'occasione formativa eccellente, per gli universitari, che oltretutto avrà anche dei risvolti pratici sul percorso di studi: infatti, a seguito della visione di titoli tra quelli riconosciuti di interesse culturale dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dalla Federazione Nazionale del Cinema d’Essai, i ragazzi titolari della card potranno ottenere un attestato di frequenza valido ai fini del conseguimento del Credito Formativo. Ma l'iniziativa C.U.S. Genova - Circuito Cinema Genova si inserisce anche in più ampio progetto di "europeizzazione" delle opportunità offerte dalla nostra "vegia Zena" ai giovani che qui studiano e vivono, un progetto incentrato sulla ricerca di strategie di marketing e cooperazione atte a snellire le modalità di fruizione dei servizi esistenti in città. E "smartizzare", o diciamo meglio semplificare, l'utilizzo delle offerte cittadine tramite iniziative come la CUS Card produce un risparmio in termini finanziari per gli utenti, senza dimenticare che una maggior facilità di accesso a determinati servizi induce anche una crescita economica generalizzata del sistema - Genova. 
Ulteriori e più dettagliate informazioni presso C.U.S. Genova (www.cusgenova.it) e Circuito Cinema Genova (www.circuitocinemagenova.com). 

lunedì 7 settembre 2015

CLUB ITALIA: CON LA BULGARIA BUON GIOCO, MA L'ATTACCO LANGUE. NESSUNO LO AMMETTE, MA BALOTELLI E' INDISPENSABILE

                                              De Rossi: gol ed espulsione per lui

Buona la seconda? Potremmo dire di sì, a patto di non esser troppo schizzinosi. Anzi, una visione largamente ottimistica della situazione azzurra mi spingerebbe ad affermare di avere assistito, ieri sera, alla miglior prestazione dell'Italia di Antonio Conte dai tempi dell'esordio settembrino del 2014, con quelle due brillanti affermazioni su Olanda (in amichevole) e Norvegia, quella stessa Norvegia imprevedibilmente assurta al ruolo di mina vagante del nostro girone europeo, con concrete chances di qualificazione al torneo francese del giugno 2016. 
ATTACCO SOTTO ZERO - Ebbene sì: contro la Bulgaria, a Palermo, tutt'altra musica rispetto al fiasco fiorentino di giovedì. Si è vista una squadra equilibrata, organizzata, volitiva. Un undici con le idee sufficientemente chiare e in grado di ridurre a sostanziale impotenza i non irresistibili avversari, davvero pericolosi solo in un paio di circostanze (assolo di Mitsanski nel primo tempo e tiraccio centrale da fuori di Milanov in chiusura: in entrambe le occasioni ci ha pensato un Buffon reattivo e decisivo come ai bei tempi). Onestamente, anche per il più arcigno dei critici sarebbe impossibile bocciare un team che ha saputo costruirsi una decina di palle gol nitide nell'arco dei novanta minuti. E' luogo comune del football dire che l'importante sia crearle, le occasioni, ché tanto prima o poi le reti arriveranno. Vero in larga parte, ma non del tutto: minacciare ripetutamente la porta avversaria significa aver prodotto una manovra efficace, significa avere un progetto di gioco e saperlo tradurre in pratica: significa, in poche parole, essere una squadra "viva". Ma la prodigalità nei sedici metri finali, la pervicacia con cui si sono fallite opportunità anche clamorose, rappresentano la fotografia definitiva, e impietosa, di una congiuntura storica fra le più sfavorevoli di sempre, quanto a qualità delle nostre presunte "bocche da fuoco".
BALO - PEPITO - FARAONE: ERA QUESTA LA STORIA... - Scarsa prontezza di riflessi, incapacità di intuire in anticipo il passaggio del compagno, mancanza di precisione o di potenza in fase di tiro: al Barbera i nostri uomini di attacco hanno sfoggiato il campionario completo della più assoluta modestia offensiva. Eppure, gli Dei del pallone avevano scritto un'altra storia, per questa Nazionale degli anni Dieci: una storia i cui protagonisti dovevano essere il devastante Balotelli, il guizzante e tecnico Pepito Rossi, il furetto El Shaarawy. Il destino ha deciso diversamente, per tutta una serie di motivi. Piangersi addosso è inutile, sperare in un recupero di elementi utili alla causa è invece doveroso. 
In attesa di verificare la tenuta fisica del puntero fiorentino, torno a insistere sul "Mario non più super", come lo definii l'anno scorso: rimango convinto che, anche solo al cinquanta per cento della condizione fisica e psicologica, da solo possa riassumere, e forse anche incrementare, il potenziale d'attacco sciorinato (si fa per dire) in questi due impegni europei dai vari Eder, Pellè, Zaza e Gabbiadini. Per il neo (ehm) milanista parla il ruolino di marcia in azzurro, fatto di tredici gol disseminati in tre stagioni, quasi tutti belli, e soprattutto quasi tutti decisivi. L'abbiamo (momentaneamente?) perso soprattutto per colpe sue, ma anche per responsabilità di trainer e dirigenti che non si sono mostrati in grado di "educare" un ragazzone indubbiamente esuberante e fuori dagli schemi, ma non certo un atleta "dissipato" come se ne sono visti in passato. Ripeto: un Balotelli vero anche solo per metà ieri avrebbe chiuso la pratica bulgara in men che non si dica. 
ZAZA E PELLE', NON BENE - Dopodiché, è chiaro, il talento esiste anche al di là dei grandi assenti: Gabbiadini, in particolare, è un ragazzo dai piedi buoni e dalle doti balistiche notevoli, e meriterebbe più spazio. Continua invece a lasciarmi perplesso una prima linea incentrata su un Pellè che si muove tanto ma è raramente lucido; sempre in attesa del riscatto di Immobile, che non può aver perso il suo guizzo sotto rete, ieri ha gettato al vento un'ottima chance Zaza, parso fuori fase nelle poche occasioni in cui è stato chiamato in causa. 
DE SCIGLIO RISORTO - Il meglio, a Palermo, è venuto dalle retrovie: terza linea sicura con un Bonucci rivisto nella duplice veste di... serratura difensiva e punto di partenza delle controffensive, e fasce percosse dalle sollecitazioni di Darmian (più attento in copertura) e soprattutto di un ritrovato De Sciglio, la più piacevole sorpresa del match, abile nelle chiusure, inizialmente restìo a sganciarsi per poi invece proporsi in numerose discese, alcune chiuse con cross di buona fattura. Parolo e Verratti (il parigino con maggiore continuità) hanno fatto interdizione con altissimo profitto, filtrando e rallentando il gioco quando necessario, e questo spiega la quasi inesistente pericolosità dei bulgari, mentre De Rossi, rigore doppiamente trasformato a parte, non ha particolarmente brillato, trovando anche il modo di scadere in una reazione da debuttante (stile Sturaro all'Euro Under 21) con conseguente espulsione.  
EL SHAARAWY SULLA BUONA STRADA - In avanti, creatività affidata a un Candreva diventato un po' monocorde col passare dei minuti (ma rimane elemento da cui non si può prescindere, anche se deve assumersi maggiori responsabilità in fase di tiro) e soprattutto a El Shaarawy, uno dei tre "gioielli smarriti" di cui si diceva poco sopra, di certo il più vicino al recupero completo. Ha fatto il diavolo a quattro sulla sinistra, ha giocato per sé e per i compagni, e tuttavia anche lui sembra aver smarrito il senso del gol che ne caratterizzò la splendida, prima parte di esperienza in rossonero (non a caso proprio in quei mesi trovò anche il primo e unico acuto azzurro, in amichevole con la Francia): ma è evidente che il Faraone sia uno su cui vale la pena insistere. E chissà che alla lunga non possa finalmente ricomporsi il tridente con Balo e Pepito, per riallacciare i fili di una vicenda bruscamente interrotta.

venerdì 4 settembre 2015

IL NUOVO GENOA: UN'ESTATE... QUASI TRANQUILLA, I MAGNIFICI "DIECI PIU' UNO" E LE INCOGNITE STRANIERE

                                    Perotti veste ancora rossoblù, contro ogni pronostico

Il Genoa riparte dai suoi "magnifici dieci... più uno", e vediamo se qualche opinionista a corto di idee avrà ancora l'ardire di parlare di squadra smontata e rivoltata come un calzino. Andiamo con ordine: per il Grifone è stata un'estate tutto sommato tranquilla, più di quanto si potesse prevedere, viste le tempestose premesse. Ma l'orrendo pasticcio della mancata licenza Uefa è passato presto in cavalleria: i media locali, tradizionalmente agguerriti contro la società di Preziosi, non hanno rigirato più di tanto il coltello nella piaga (sono alle prese con ben più gravi problemi, come la chiusura di testate storiche), e i tifosi rossoblù hanno mandato giù il boccone amaro con imprevedibile velocità. 
CONSOLAZIONE... - Certo, un ruolo importante in tale, rapida "digestione" l'ha avuto la... campagna - lampo europea della Sampdoria, ossia della squadra che era andata a sostituire il Genoa nei preliminari di Europa League pur non avendone conquistato il diritto sul campo (e attraverso un'ammissione che desta ancora perplessità, vista la discutibilissima interpretazione del vecchio illecito del 2011 per il quale il club blucerchiato patteggiò un punto di penalizzazione): uscita disastrosamente dalla competizione, con un rovescio interno che ha messo in imbarazzo il calcio italiano (oltre a danneggiarlo fortemente in chiave ranking), ha così "sanato" fulmineamente una situazione che avrebbe senz'altro provocato qualche mal di stomaco di troppo, in Gradinata Nord e dintorni, se si fosse prolungata. 
LUCIDA GESTIONE SOCIETARIA - Ben più dei rovesci dei cugini doriani, tuttavia, a raffreddare eventuali bollenti spiriti nell'ambiente genoano ha contribuito l'atteggiamento del patron: la sua immediata assunzione di responsabilità per il mancato accesso alla seconda competizione continentale (anche se non è stato chiarito fino in fondo il motivo del diniego Uefa), le rassicurazioni giunte da più parti sullo stato di salute finanziario del club (con immissione di denaro fresco da parte del Joker), e soprattutto una campagna di mercato accettabilissima, sia nei sacrifici sia nelle novità. La stagione 2014/15 del Genoa, esaltante in toto, era stata impreziosita in particolare dal luccichìo di quattro gioielli: Perin, Bertolacci, Perotti e Iago Falque. Trattenerli tutti sarebbe stata pura utopia per chiunque, non solo per la squadra più antica d'Italia; tre su quattro sarebbe stato un successone; due su quattro un bilancio nel complesso positivo. 
Ebbene, si è concretizzata la terza ipotesi: il futuro portiere della Nazionale azzurra difenderà anche quest'anno i pali del Grifo, una volta ripresosi dall'infortunio; ma soprattutto, con grande sorpresa di stampa e tifoseria, Don Diego è rimasto in Liguria, ed è forse "l'acquisto" più importante, perché un Genoa senza Perotti sarebbe stato un Genoa da salvezza tranquilla ma senza squilli, un Genoa con Perotti, con le invenzioni, le giocate, le sollecitazioni alla manovra offensiva dell'argentino, è un team capace di ritentare la scalata europea, anche se, obiettivamente, con assai meno chances del torneo passato, visto il poderoso rinforzamento di molte grandi in crisi e le perdite di Bertolacci e Falque, buchi non facili da colmare (più agevole dovrebbe essere porre rimedio all'addio di Kucka, comunque da non sottovalutare). 
GRUPPO STORICO - Ma c'è uno zoccolo duro. I magnifici dieci, si diceva all'inizio. Gasperini (altra conferma fondamentale, se non la più importante) potrà costruire una nuova, funzionale macchina da football attorno a certezze acquisite: dalla difesa in su, ecco Perin, Burdisso, De Maio, Izzo, Marchese, Rincon, Tino Costa, Laxalt, Perotti e Pavoletti. E poi un undicesimo, che in realtà sarebbe... un dodicesimo, ossia Lamanna, un lusso autentico come portiere di riserva. Con diverse gradazioni, sono tutti elementi che offrono ampie garanzie; in particolare, l'asse centrale Rincon - Costa è, sulla carta, uno dei migliori schierati dal Grifone dai tempi di Thiago Motta e Milanetto: i due offriranno alla causa muscoli, corsa, fosforo e precisione. Izzo è uno dei difensori più promettenti del vivaio nostrano, particolarmente asfittico nel ruolo specifico, per De Maio Preziosi ha resistito a continui assalti di pretendenti di alto livello, Pavoletti ha finito alla grande a maggio e ricominciato sulla stessa lunghezza d'onda, prima che un infortunio lo togliesse di mezzo col Verona (ma la pausa per la Nazionale dovrebbe consentirgli un tranquillo recupero). 
LE SOLITE INCOGNITE DALL'ESTERO - Certo, il viavai non è mancato neanche quest'anno, ma molte altre compagini di Serie A hanno cambiato radicalmente volto: la differenza è che, per un motivo o per l'altro, è sempre e solo il Genoa a finire sotto i riflettori. Poiché i nuovi arrivi sono quasi tutti stranieri di scarsa fama, perlomeno dalle nostre parti, va da sé che stiamo parlando di incognite autentiche: quanto valgono davvero, e che apporto forniranno i vari Diogo Figueiras, Cissokho, Gakpè, Ntcham, Lazovic, Capel e Ansaldi, l'ultimo ad aggregarsi al gruppo? Soprattutto Figueiras e Ansaldi sono calciatori di valore già certificato, ma l'impatto col campionato italiano continua ad essere difficile per molti "insospettabili", anche in tempi di scadimento qualitativo del nostro movimento (qui a Genova si ricorda bene il buco nell'acqua di un presunto top player come Miguel Veloso, per dire, e l'anno scorso Lestienne, atteso come un campioncino in pectore, ha largamente tradito le attese).
Stessi discorsi, a ben vedere, fatti gli anni scorsi per tante altre misteriose figure di fuorivia, in primis proprio Falque, rivelatosi poi un autentico "craque". Non sempre le ciambelle del mercato riescono col buco, ma se anche solo un paio dei sopra citati esplodesse, allora il Grifone vedrebbe ulteriormente incrementato il proprio potenziale tecnico. Gakpè (gol all'Hellas) e Ntcham (gran dinamismo e presenza costante nel vivo del gioco) hanno iniziato bene, ma la strada è ancora lunga. L'incognita più indecifrabile è casomai una vecchia conoscenza del nostro calcio, Goran Pandev, che sta pagando, e non poteva essere altrimenti, le scorie di una stagione in cui non ha visto molto il campo. Stesso discorso per Dzemaili, che se non è troppo logoro dovrebbe rappresentare il classico usato sicuro. 
E L'ITALIA? - Il buco nero di questa sessione del mercato, anche se sono fra i pochi a sottolinearlo, è il pressoché totale abbandono della "linea azzurra": ha infatti preso forma un Genoa sempre più in versione multinazionale, come purtroppo la grande maggioranza dei nostri club di massima divisione, laddove appena dodici mesi fa si era riusciti a mantenere in rosa un consistente "prodotto indigeno": Perin, Izzo, Marchese, Antonelli, Bertolacci, Sturaro, Mandragora, Matri... Oggi, la rappresentanza italiana è ridotta davvero ai minimi termini, una scelta ineccepibile sul piano regolamentare, ma inaccettabile su quello "culturale". Il Grifo, assieme al Sassuolo e a pochi altri, era stato fino a ieri uno dei sodalizi capaci di resistere a questa massiccia esterofilia che, se prolungata, porterà rapidamente alla decadenza irrimediabile della scuola calcistica nostrana: il fatto che sia uscito da questo ristretto "club tricolore" mette tristezza, ma mi rendo conto di essere quasi solo in questa battaglia... donchisciottesca.