Scrivere un post come questo potrebbe suonare un tantinello pessimistico, stasera. In fondo, il Genoa torna da Napoli con un k.o. che non era difficile prevedere: larghissimo il divario qualitativo, abissale quello di punti in classifica, e in più i partenopei tornati di recente in gran spolvero dopo un prolungato periodo di appannamento, ben decisi a sfruttare il mezzo passo falso del Milan a Firenze per consolidare il secondo posto in ottica Champions. Tutto giusto, tutto logico. Il guaio è che il campionato rossoblù sta diventando fin troppo logico, banale, scontato, nell'ineluttabilità delle sconfitte contro squadre più forti, ma chi pronuncia la classica frase "non è in queste partite che bisogna conquistare la salvezza" sa benissimo di prendere in giro se stesso, di raccontarsi una pietosa bugia cercando un effimero effetto autoconsolatorio.
ILLUSIONI IN DISFACIMENTO - Bugia, sì, perché al punto in cui è giunto il Grifone, ragionamenti del genere non hanno più senso alcuno. Ed è a un punto morto, il Vecchio Balordo, proprio nel momento in cui i margini di errore sono ridotti al minimo, anzi, sono quasi azzerati. Le illusioni generate dal "dopo mercato di gennaio" si stanno dissolvendo settimana dopo settimana. Il Genoa "di riparazione" costruito da Preziosi e Foschi a inizio 2013 e le prime battute della gestione Ballardini sembravano avere avviato verso una felice soluzione la drammatica situazione creatasi nel breve, sciagurato interregno di Del Neri. I nuovi arrivi, in primis Manfredini, Portanova e Matuzalem, avevano portato esperienza, personalità e la giusta dose di cattiveria agonistica, e tutto il gruppo ne aveva tratto beneficio, incrementando il proprio rendimento; al resto aveva pensato il pragmatismo di un mister straordinariamente motivato. Erano arrivati i risultati, cinque gare imbattuti con due vittorie e tre pari, e aveva di nuovo fatto capolino un barlume di gioco razionale, a tratti persino piacevole, dopo il vuoto spinto del triste autunno 2012.
OSTILITA' ARBITRALE - La squadra ha continuato a giocar bene anche nel tris terribile di impegni contro Roma, Milan e Fiorentina, ma si è ritrovata con un pugno di mosche in mano (leggasi: zero punti) non solo e non tanto per demeriti propri, quanto per fattori "esterni", ossia l'innegabile ostilità arbitrale (rigore inventato pro giallorossi la sera del record di cartapesta di Totti, almeno due rigori a favore negati coi rossoneri, vantaggio viola realizzato da Aquilani dopo aver spintonato via di forza Granqvist, sotto gli occhi impassibili del folto drappello di giacchette nere), le cui avvisaglie si erano del resto già manifestate nello scontro diretto di Palermo con un clamoroso penalty non concesso a Marco Rossi.
E' chiaro che, di fronte a una serie di avversità così continue, così sistematiche, mantenere serenità e saldezza di nervi sia difficile per chiunque, figurarsi per una squadra nata comunque sbagliata, l'estate scorsa, e rattoppata in corsa, certo dignitosamente ma senza cancellare del tutto gli innumerevoli difetti creatisi in fase di impostazione della stagione; una squadra che, pur battendosi al meglio e mai demeritando, è uscita dal campo sconfitta per tre volte di seguito e ha visto progressivamente deteriorarsi una classifica da mesi deficitaria, ma che nei turni precedenti era andata parzialmente migliorando. In situazioni del genere, quando hai l'acqua alla gola e vedi che, nonostante il tuo impegno, tutto attorno a te crolla, è facile che possa subentrare il proverbiale "braccino". Ancor più facile se, nonostante tutte le migliorie, si rimane una compagine mediocre, sul piano della classe e su quello della tenuta mentale.
MEDIOCRI - Ecco, nell'ultima settimana abbiamo scoperto amaramente, anche se un po' in cuor nostro già lo temevamo, che il nuovo Genoa targato Ballardini è rimasto un team mediocre, che si sta afflosciando come un soufflé mal riuscito, proprio nel momento in cui avrebbe dovuto raccogliere i frutti del buon lavoro sciorinato anche contro le tre grandi affrontate in successione. E qui si ritorna al discorso iniziale: non è vero che il Genoa non avesse nulla da perdere al San Paolo. Anzi, nell'equilibrio esasperato che regna attualmente in zona retrocessione, vincere o restare imbattuti negli scontri diretti è certo importante, ma conta ugualmente il colpaccio inatteso, l'impresa che porta a conquistare punti anche in gare all'apparenza proibitive. Di recente, laggiù nei bassifondi, ci son riuscite tutte: ultima in ordine di tempo, l'Atalanta vittoriosa sull'Inter, che sarà anche in mezzo disarmo ma in settimana, per dire, aveva battuto la Samp a domicilio. Ma persino il modestissimo Siena ha sconfitto la stessa Inter e la Lazio ed è andata a vincere a Palermo, il quale Palermo prima di Pasqua si è preso lo sfizio di rifilare un 2 a 0 alla Roma. E la malmessa Fiorentina dell'anno passato strappò la permanenza vincendo a Lecce e, soprattutto, a Roma coi giallorossi e a Milano col Milan.
OFFENSIVO - Il Genoa, da questo punto di vista, non batte chiodo da tempo. Il modo in cui ha affrontato la trasferta di Napoli ha in sé un qualcosa di profondamente offensivo per chi ancora, nonostante tutto, si ostina a seguire quella caricatura di calcio che è, oggi, la Serie A italiana. Testa alla stracittadina? Va bene, ma perdere non ha mai rappresentato il viatico migliore per preparare le sfide importanti, a maggior ragione se si perde facendosi surclassare sul piano del gioco e dello spirito.
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INVOLUZIONE AL MOMENTO DEL DECOLLO - In Campania si doveva almeno provare a far punti, cosi come si doveva vincere otto giorni prima col Siena. La gara della vita, quella coi toscani, preparata apparentemente in maniera certosina, in un clima di concentrazione e tranquillità (anche con momenti conviviali, come la grigliata al campo di allenamento) che sembrava aver creato il "brodo di coltura" ideale per l'attesa riscossa. Un match che invece il Grifo ha rischiato seriamente di perdere, nonostante la botta di fortuna (la prima dell'anno?) del sollecito vantaggio su autogol. Certo, ci son state, nel sabato di Pasqua, tante occasioni, c'è stato il solito portiere normale che contro i rossoblù diventa un... simil Buffon (Pegolo), ma c'è stato anche affanno, difficoltà nel manovrare, una fragilità tattica pericolosamente simile a quella che per troppe settimane ci mostrò Del Neri, con una formazione che non sapeva gestire le (rare) situazioni di vantaggio e che subiva costanti rimonte, concedendo agli avversari percentuali elevatissime di realizzazione. Un'involuzione inattesa, quando sembrava che il peggio fosse passato, quando sembrava che comunque Ballardini avesse saldamente preso in mano la situazione.
IL CAMMINO DELLA SPERANZA - Il risultato è che ora c'è poco da stare allegri: atteso che questa squadra non è stata finora in grado di piazzare exploit "sopra le righe" come quelli cui si accennava prima, per artigliare una salvezza sempre più difficile le resta l'ordinaria amministrazione. Che tuttavia le basterebbe, calendario alla mano: rimangono da affrontare Samp, Atalanta, Pescara e Inter in casa, e Chievo, Torino e Bologna fuori. Percorso non semplice ma, diciamocelo, nemmeno da far tremar le vene ai polsi. Il fatto è che, per questo Genoa, la fatidica quota 40 sembra al momento proibitiva, ammesso che sia strettamente necessaria, visto che la media punti delle tre pericolanti è davvero bassissima.
Ho sempre odiato le tabelle, quindi limitiamoci a uno sguardo generale: tre vittorie e un pari in casa e un successo esterno dovrebbero bastare, nella maniera più assoluta, ma non mi sento di dire che sia un bottino alla portata. Più realisticamente, due vittorie e due pari in casa, ferma restando la necessità di un altro successo lontano da Marassi e di almeno un altro punticino da racimolare nelle altre due trasferte: sarebbe pur sempre una dozzina di punti, e quota 39 negli ultimi anni è sempre stata più che sufficiente per restare in A.
Ma sarebbe un ruolino di marcia extralusso, perché possiamo raccontarcene finché vogliamo, ma questo Genoa, anche nella versione parzialmente rivitalizzata di Ballardini, ha sempre incontrato difficoltà enormi nel conseguire l'intera posta. E' realistico, pertanto, pretendere un en plein nelle gare casalinghe, o comunque un poker di successi in sette match, da una compagine che ne ha conseguiti appena sei (sei!) nei primi trentuno incontri? Ecco, qui sta soprattutto il mio pessimismo, accentuato da un Grifone che oggi, nuovamente, non offre più alcuna garanzia, proprio nel momento in cui , come si evince dalla "mini tabella" sopra esposta, non può davvero più sbagliare partite, essendosi giocato forse l'ultimo bonus nella notte del San Paolo, una notte da arrossire di vergogna. La speranza è che il derby, come spesso curiosamente accade nelle stracittadine, rivitalizzi in extremis la contendente più male in arnese: altrimenti, non varranno a nulla nemmeno le recriminazioni per l'atteggiamento dei cugini blucerchiati, che hanno rilanciato le chances salvezza del Palermo con una gara di rara mollezza tattica, atletica e psicologica.