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giovedì 7 dicembre 2023

SANREMO 2024: APPROFONDIMENTO SUL CAST DELLA KERMESSE. ANNALISA E NEGRAMARO FAVORITI, OCCHIO A DIODATO, VOLO, AMOROSO, IRAMA



Esiste il cast sanremese perfetto? Direi senz'altro di no: non c'è mai stato e mai ci sarà. E' un puzzle troppo complesso, troppi tasselli dovrebbero andare a coincidere contemporaneamente per creare l'alchimia ideale. Non è perfetto nemmeno quello annunciato da Amadeus domenica scorsa, dunque, eppure il listone unico di concorrenti, allargatosi in extremis da 23 a 27 in attesa del tris di Sanremo Giovani, conferma il periodo storico favorevole che la rassegna sta attraversando. Il Festival, piaccia o meno, è una manifestazione di natura prettamente commerciale, che deve muovere il mercato discografico, e da questo punto di vista l'edizione '24, almeno sulla carta, promette gli stessi felici esiti delle ultime. 

OBIETTIVI CENTRATI - Si è sempre chiesto alla kermesse ligure di essere in linea con la realtà canora italiana del momento, intercettandone le tendenze e, laddove possibile, anticipandole. Le si è sempre chiesto, anche, di scoprire o consacrare volti nuovi in grado di percorrere un discreto tratto della via della gloria. Infine, le si chiede costantemente di portare sul palco almeno uno di quei nomi "colossali" da sempre allergici alle tenzoni canzonettistiche, e a quella rivierasca in particolare. Ebbene, direi che, per l'ennesima volta, l'obiettivo è stato sostanzialmente raggiunto su tutti i fronti citati, e ciò conferma gli enormi meriti di  un direttore artistico che, partito fra mille perplessità, ha saputo ricostruire l'immagine un po' vintage  e appannata del Festivalone (opera già iniziata da Conti e Baglioni) rendendolo un evento gradito anche agli appassionati più giovani e, di conseguenza, più credibile e più appetibile agli occhi degli artisti di nuova generazione e dei loro management. Lo straordinario risultato in termini di certificazioni (platino e oro) e di popolarità conseguiti dai partecipanti all'edizione '23 lo testimoniano in maniera inequivocabile. 

C'E' TUTTO IL POP DA CLASSIFICA - Sarà possibile ripeterli o superarli? Numericamente difficile, ma dipende comunque dalla qualità dei brani, di cui ancora non conosciamo nemmeno i titoli, mentre sul piano del prestigio dei concorrenti il livello è grosso modo lo stesso, medio-alto. Dicevamo di un Sanremo inserito nella realtà musicale odierna, quella delle heavy rotation e degli streaming: ebbene, i protagonisti attuali delle chart ci sono in larga parte tutti, dai trionfatori estivi Kolors, Angelina Mango e Alfa a Mahmood, che torna in gara appena due anni dopo la sua seconda vittoria, fatto non comune,  e che da quelle parti si esprime al meglio come, onestamente, non sempre gli riesce fuori da quel contesto, fino a Rose Villain, che sa alternare testi fin troppo espliciti ad altri più delicati, e Geolier, che ha aggiornato le frontiere del rap-trap in lingua partenopea e che era da mesi nella lista dei papabili. E fra i protagonisti del pop anni Venti  figura anche un drappello di artisti che ritroviamo sulla ribalta più importante 24 mesi dopo l'ultima partecipazione, tempo fisiologico abbastanza comune per godersi i frutti dell'affermazione e rimettersi in gioco, ossia l'istrionico Dargen D'Amico, forse perfino travolto dall'inatteso successo di "Dove si balla", un Sangiovanni più maturo e più eclettico ma che difficilmente rivedremo in panni diversi da quelli leggeri e scanzonati che l'hanno portato alle stelle,  e quell'Irama che è stato presenza quasi fissa dei Festival targati Ama, sempre convincente, a proprio agio in aree espressive diverse, prima con la cupa dance internazionale del '21 e poi con la ballatona romantica del '22, un ragazzo che ha voce, ispirazione e presenza scenica, e che se azzecca il pezzo potrebbe perfino lottare per vincere. 

I RITORNI DI EMMA E MR. RAIN - Dal '22 riemerge anche Emma, che aveva presentato una "Ogni volta è così" dalla parte delle donne, come da suo impegno costante, una canzone intensa e interpretata con trasporto ma che solo in parte aveva fatto breccia. Dal '23, invece, un solo rientro, ed era prevedibile che toccasse a Mr. Rain: troppo clamoroso l'exploit colto con "Supereroi" per non tentare di battere il ferro finché è caldo e consolidare l'acquisita posizione di personaggio di primo piano del pop rap italico. Certo per lui ora viene il difficile: un'operazione come quella è irripetibile, tantopiù nello stesso contesto, ma il ragazzo vive un periodo di buona vena creativa e il duetto estivo con il citato Sangiovanni dimostra che ha nel proprio arco altre frecce per fare ancora centro. 

NEGRAMARO, CHE COLPACCIO! - Si diceva dei grandissimi, dei riluttanti al Festivalone. Ci sono, e anche quest'anno non è mancato il colpo da maestro del conduttore di Affari tuoi: i Negramaro. Che a Sanremo in concorso ci sono già stati, nel 2005, ed è una pagina nera nella storia della manifestazione, perché venne estromessa al primo turno una canzone pilastro della musica leggera italiana di questo secolo e della carriera stessa del gruppo salentino, ossia "Mentre tutto scorre". Ci sta anche che Sangiorgi  e compagni se la siano legata al dito, ma da allora, vivaddio, il Festival è cambiato totalmente nell'impostazione e nella concezione e si possono lasciare i rancori alle spalle: rieccoli, dunque, ancora tutto sommato forti del favore di schiere di fans, e pronti a prendersi lo scomodo ruolo di favoriti, peraltro da dividere con altri che vedremo fra breve. E' un gran colpo, lo ripeto: certo, forse ci si attendeva almeno un altro maxibig di lungo corso, soprattutto dal momento in cui il "diretur" ha dichiarato che quest'anno i suoi superospiti italiani saranno i cantanti in gara (ma sarà poi vero che i big fuori concorso non ci saranno? Mi sembra impossibile, ci sono ore e ore di spettacolo e vari palchi da riempire...). 

AMOROSO E GHALI, DEBUTTI ILLUSTRI - Si era parlato di Gianna Nannini, di Biagio Antonacci che però si è chiamato fuori a poche ore dall'annuncio del cast, qualcuno ha esagerato citando Cremonini e Ferro (bocciature improbabili, con tutta la buona volontà) e nelle ultime ore si era fatto cenno a Renato Zero, che poteva anche starci e che magari rivedremo in futuro. Ma va bene lo stesso, e del resto a compensare il tutto ci sono due debutti di lusso, anche se riguardano "vip" dalla gloria relativamente recente: l'eternamente attesa Alessandra Amoroso (quante volte abbiamo letto il suo nome fra i papabili, per poi veder sistematicamente sfumare la sua candidatura?),  e Ghali, con il suo rap a tratti ispido e a tratti più pop e mainstream, due artisti agli antipodi ma con un punto in comune, la necessità di farsi perdonare l'inaccettabile ospitata al Festival senza mai avervi prima gareggiato, un "peccato" che verrà finalmente emendato il 6 febbraio... Due nomi sicuramente solidi ma che hanno forse bisogno di una rinfrescatina alla loro popolarità, così come Fred De Palma, altro deb tardivo, sulla cresta dell'onda oggi meno di un paio di anni fa, ma comunque interessante per la sua forma espressiva che  attraversa e mixa vari generi, sempre con un occhio, e un orecchio, alla radiofonicità. 

MANNOIA FIGURA CENTRALE: FUTURO DA DIRETTRICE? - L'idiosincrasia all'Ariston, dopo le numerose partecipazioni degli anni Ottanta, Fiorella Mannoia l'ha fortunatamente vinta già nel 2017, colpo d'ala dell'ultimo Conti, per cui è una relativa sorpresa rivederla quest'anno. Presenza significativa in un momento in cui la difesa della figura e della dignità femminili deve essere portata avanti con tutte le forze possibili (e Fiorella è una portabandiera di questa lotta, al punto da avere addirittura parzialmente cambiato il finale di "Quello che le donne non dicono" per lanciare un messaggio forte in tal senso), ma anche perché, mia sensazione personalissima e probabilmente sbagliata, nell'ultima tappa della direzione Amadeus potrebbe concretizzarsi un passaggio di consegne proprio con lei: non sarebbe una direttrice artistica autorevole e apprezzata? Probabilmente non succederà, ma intanto avanzo io la sua candidatura, e in fondo credo che a lei non dispiacerebbe. 

RITORNA IL VOLO, E DIODATO CHIUDE IL CERCHIO - Ancora grandi nomi: al di là dei gusti personali, bisogna essere orgogliosi di avere in gara Il Volo, che torna la seconda volta dopo la vittoria del 2015 e che riesce ancora a trovare un angolino nella propria agenda fitta di impegni internazionali. Di default, il trio deve essere sempre inserito fra i favoriti, ma c'è l'incognita rappresentata da un repertorio debole quanto a numero di hit inedite: con la certezza che cambiamenti di genere non ce ne saranno, dovranno ritrovare il medesimo feeling di "Grande amore", impresa difficilissima, tanto che non ci riuscirono nel 2019 con la pur gradevole "Musica che resta". E a proposito di vincitori di ritorno, riecco infine l'atteso Diodato, che ha lasciato ai posteri l'evergreen "Fai rumore", ma che ebbe la sfortuna di incappare nei terribili mesi del lockdown, vedendosi bloccata la promozione e la partecipazione all'Eurovision. Da allora, periodi di riflessione, un timido ritorno senza grossi riscontri, e ora il cerchio che si chiude cinque anni dopo il primo Sanremo di Ama, con la certezza che all'Ariston il ragazzo ha sempre portato opere di spessore notevolissimo (ricordate "Adesso" del 2018?). 

ANNALISA PIGLIATUTTO? - Si parlava all'inizio di superbig e cantanti à la page, sulla cresta dell'onda mediatica e commerciale. Ecco, c'è un nome trasversale a queste due categorie, che eleggo fin da ora a mia favorita numero uno: Annalisa. Avevo citato proprio lei chiudendo i commenti all'edizione 2023, auspicando per il '24 una maggior partecipazione di voci femminili e magari una sua medaglia d'oro. Non posso che confermare, visto ciò che è accaduto nell'ultimo anno attorno all'artista savonese: popolarità oceanica, hit sfornate a getto continuo, dischi di platino come se piovesse, status di primadonna della canzone nostrana conquistato a buon diritto. Certo, per lei Sanremo 2024 è un'arma a doppio taglio: se non confermerà, in tutto o almeno in parte, quanto di strepitoso fatto in questi mesi, potrebbe cadere dall'alto e farsi male. E spero che il brano proposto non sia troppo lontano da come l'abbiamo vista e sentita di recente: lei e i suoi autori hanno individuato un mood glamour che le calza a pennello, che è orecchiabile e penetrante, che in questo momento è in piena sintonia coi gusti del pubblico e può dare ancora qualche buon frutto; insomma, non vorrei vedere, con tutto il rispetto, un percorso simile a quello di Alexia, che per vincere Sanremo cambiò radicalmente stile puntando sulla complessità e sulla maestosità vocale a scapito dell'immediatezza dell'opera proposta. 

CANTAUTORI, VETERANI, IGNOTI O QUASI - In un cast veramente extralarge, ritroviamo altri tratti distintivi della linea editoriale-artistica palesatasi nel quinquennio che va a concludersi: soprattutto, l'azzardo nel lanciare nomi poco noti o del tutto ignoti alla platea generalista (anche se non si sono più toccate le vette di coraggio raggiunte in tal senso nel 2021). Nel primo gruppo possiamo inserire la talentuosa Big Mama, altra rapper di grande grinta, dallo stile ruvido e urban, con un piglio interpretativo che ricorda in qualche misura Madame, e Il Tre, che penso possa invece essere considerato un rapper di matrice più tradizionale, legato alla vecchia scuola italiana del genere. Nel secondo gruppo ci sono invece i La Sad, di cui so molto poco se non che producono musica "indiavolata" con una matrice punk, ma che mi riservo di conoscere meglio. Pillole di cantautorato new generation con l'esperto Gazzelle e il giovane imberbe Maninni, già escluso da Sanremo Giovani '22 (una bella rivincita, come capitò a Hu un paio di anni fa).  E poi la solita quota veterani: prevedibile il duo Renga - Nek, che però deve trovare una hit convincente, cosa che finora non è riuscita a fare, apprezzabile il ripescaggio dei Ricchi e Poveri, ancora in buona forma vocale, sorprendente quello della Bertè, di cui ricordo, ma forse la memoria mi inganna, la volontà di non tornare più in competizione dopo la parziale delusione del quarto posto del '19, ma gli artisti sono volubili e comunque, sia detto senza malizia, con gli anni cambiano le prospettive, si aprono nuovi orizzonti professionali e, ci mancherebbe, si può anche ritornare sulle proprie opinioni. 

In conclusione, lo ripetiamo, Sanremo 2024 sarà un festival nel presente, con un occhio al futuro ma che non dimentica il passato, e questo è già un successo, se pensiamo a certi cast fuori dal tempo di epoche non troppo lontane. Un Festival con nomi nel cuore della gente e altri meno o scarsamente noti ma che hanno buone possibilità di emergere. Avrei composto un cartellone diverso? Non più di tanto, onestamente. Larga parte dei nomi che ho fatto fin dai primi pronostici estivi li ho ritrovati nel listone del Tg1 di domenica scorsa, quindi la soddisfazione è di gran lunga superiore all'amarezza. La parola, adesso, passa alle note. Per il momento, in una ipotetica griglia di partenza metterei in prima fila Negramaro e Annalisa, in seconda Diodato e Amoroso, in terza Mannoia e Mahmood, in quarta Volo ed Emma, con outsider Angelina Mango, Kolors e Irama, ma è tutto assai aleatorio. 


martedì 21 novembre 2023

EURO 2024: L'ITALIA PASSA COL BRIVIDO MA CON MERITO. IL PROBLEMA DEL MAL DI GOL E I PREGI DI UNA SQUADRA CHE SI E' DOVUTA REINVENTARE IN POCHI MESI

 L'Italia che approda all'Europeo tedesco è ancora un cantiere aperto. Non potrebbe essere diversamente, tenendo bene a mente le insidie via via accumulatesi lungo il suo percorso. Una Nazionale trovatasi a Ferragosto improvvisamente senza guida tecnica, costretta a reinventarsi in fretta e furia per evitare la terza figuraccia epocale in pochi anni, ossia quella di non poter difendere fino in fondo il titolo continentale meritatamente conquistato nel 2021. Spalletti è stato paracadutato in una situazione caotica e ha dovuto affrontare una corsa ad handicap, già gravata dalla falsa partenza manciniana, quello scontro diretto con gli inglesi che si è perso a Napoli pur potendolo tranquillamente pareggiare, e condizionata dal progressivo dissolversi di certezze e autostima del gruppo, minato da un biennio di tante delusioni e pochissime, effimere gioie. 

INFERMERIA SEMPRE PIENA - No, forse più di così non si poteva fare, e questa qualificazione sofferta è grasso che cola. Visto che le attenuanti valgono sempre per i nostri avversari, tiriamone fuori un'altra anche per noi: la costante di dover scendere in campo sempre in estrema emergenza. Nelle sei gare della nuova gestione sono sistematicamente venuti a mancare uomini più o meno importanti, più o meno centrali: da Bastoni a Locatelli, da Tonali a Pellegrini, da Chiesa a Retegui, a turno in troppi hanno marcato visita,  e il neo trainer è stato costretto ad acrobazie tattiche e a scelte non banali, col benemerito lancio di qualche giovane interessante, su tutti Buongiorno e Udogie, e col ripescaggio di gente più stagionata che pareva fuori dal giro, da Jorginho a quel Bonaventura che ha dimostrato di essere ancora all'altezza della rappresentativa. Insomma, da anni ci lamentiamo, io per primo, della presenza invadente degli stranieri nella nostra Serie A che ha drasticamente ridotto il campo di scelta del cittì di turno (anche se nelle ultime stagioni si è assistito a una parziale inversione di tendenza, come ho già avuto modo di rilevare), in un quadro del genere rinunciare a elementi come quelli prima elencati significa dover sempre e comunque remare controcorrente, ed è un dato di fatto che questa Italia da tempo non sia in grado di schierarsi nella sua formazione migliore. Eppure, bene o male, si riesce a mantenere il minimo sindacale di competitività, a dimostrazione di quanto qui è stato sempre scritto, ossia che il serbatoio nazionale forse non produce più fuoriclasse, ma continua a sfornare un buon numero di giocatori di buono / ottimo livello. 

QUALIFICAZIONE MERITATA - Ecco, tutto questo andava premesso, prima di addentrarsi in un'analisi  ricca di sfumature. Perché il Club Italia uscito imbattuto dal neutro di Leverkusen ha lasciato una sostanziale sensazione di incompiutezza. Bando agli equivoci: la qualificazione è stata assolutamente meritata dai nostri, mostratisi nettamente superiori agli ucraini nel doppio confronto. L'andata a San Siro suscita ancora acuti rimpianti per quello striminzito 2-1 assolutamente bugiardo, in rapporto al predominio mostrato dagli azzurri. E ieri, dopo qualche tremore iniziale, la selezione di Spalletti aveva preso possesso del campo, giostrando con autorevolezza e serenità, e creando almeno quattro palle gol, di cui due clamorose, non finalizzate da Frattesi e Raspadori, a cui vanno aggiunte, a buon peso, una pericolosissima conclusione da fuori di Barella deviata dal portiere e un colpo di testa di poco a lato di Di Lorenzo. E anche nella prima metà della ripresa Zaniolo e compagni sembravano in totale controllo della situazione, ancora insidiosi dalle parti di Trubin. Purtroppo, non è arrivato un vantaggio che sarebbe stato assolutamente legittimo, e ciò, com'era prevedibile, ci ha condannati a venti minuti di sofferenza, con gli ucraini giustamente protesi alla vittoria che avrebbe evitato loro gli spareggi. 

EPISODI DISCUTIBILI E PESO POLITICO - In finali di partita così accesi, con avversari che caricano col sangue agli occhi, purtroppo può capitare di tutto, anche l'immancabile giallo, questa volta presentatosi sotto forma di un dubbio fallo di Cristante su Mudryk in area. Era rigore? In diretta pareva di sì, rivisto da diverse angolazioni lo sembra molto meno, e così lo scandalo scolora, degrada ad episodio discutibile e variamente interpretabile come mille altri nella storia del pallone, con una differenza: da qualche anno a questa parte non c'è solo l'arbitro, c'è anche il Var, che nella circostanza ha deciso di lasciare le cose come stavano. Perciò me ne sto anch'io, volando al di sopra delle malignità dei non tifosi tafazzisti che credono di saperla lunga. Era importante avere i campioni in carica alla fase finale, come ha lasciato intendere Ceferin? Sicuramente sì. Gravina vicepresidente Uefa è una carta importante per noi? Ma vivaddio. Anni trascorsi a piangere sulla assoluta mancanza di peso  calcistico internazionale del nostro Paese, a rimpiangere i tempi di Matarrese e ancora prima di Artemio Franchi, e ora che abbiamo finalmente qualcuno in un ruolo di enorme spessore nella stanza dei bottoni stiamo a fare gli schizzinosi? Non scherziamo. Anche se, intendiamoci, bisogna essere proprio dietrologi ai massimi livelli per vedere la longa manus del nostro numero uno federale in quanto avvenuto poche ore fa (ripeto, episodio meno netto di quanto sembri, e di difficile valutazione, dopodiché il penalty ci poteva stare, sì), e comunque, torno a sottolinearlo, l'Italia ha meritato più dei gialloblù questa qualificazione diretta. Non basta giocare bene una ventina di minuti e "vantare" una recriminazione a favore per cancellare tutto quanto di diverso si era visto in 160 minuti precedenti. D'accordo, il football spesso è così, basta un singolo fatto tecnico, un fallo o una giocata, a ribaltare i valori fin lì emersi, ma non sarebbe stato giusto. 

IL MAL DI GOL - Il punto, qui, è un altro: che la Nazionale non doveva mettersi nella condizione di rischiare un rigore decisivo in pieno recupero, e il terzo psicodramma dal 2017 ad oggi; secondi di "terrore" che lasciano comunque l'amaro in bocca. Ed ecco che allora si ritorna al vero tasto dolente di questa squadra: preso atto che, al momento, la vendemmiata contro la Macedonia (lasciamo perdere l'inconsistente Malta) è stata una piacevole eccezione, il mal di gol continua ad affliggere in maniera preoccupante la nostra rappresentativa. Fa male al cuore vedere le splendide sollecitazioni di un Chiesa tornato in grande forma sprecate dalle défaillance altruii, con Frattesi, spesso implacabile sotto porta, che spara sul portiere in uscita, e con Raspadori che arriva in ritardo (di un soffio, d'accordo) all'appuntamento con la deviazione vincente. Ed è doloroso vedere un ragazzo delle potenzialità di Scamacca così poco sintonizzato coi compagni e poco preciso in area, e sempre così discontinuo da un incontro all'altro. 

CHI SEGNERA'? - Quella della scarsa efficacia in avanti è una lacuna che ci tiene a distanza dalle grandi Nazionali del momento, non dico la Francia che ne fa 14 a Gibilterra e che sembra di un altro pianeta, ma più che altro l'Inghilterra che ben conosciamo, il devastante Portogallo, la Spagna. E' una carenza che poteva costarci cara ieri, che ci è costata cara il mese scorso a Wembley e che ci costerà ancora più cara l'estate prossima, se non vi porremo almeno parzialmente rimedio. In che modo? Beh, non si vede all'orizzonte il bomber inesorabile alla Vieri o alla Pippo Inzaghi.  Qualcosa di simile potrebbe esserlo Retegui, se risolverà i suoi recenti problemi fisici (ne ha bisogno anche il Genoa, che senza di lui è un'altra squadra), il quale ha movenze e giocate da attaccante di razza e la porta la vede eccome (del resto ha anche realizzato due reti nelle prime due uscite in azzurro, l'ultima intuizione felice del triste Mancini post Euro vinto). Scamacca e Kean possono e devono aumentare la loro produttività in area perché ne hanno le potenzialità, ho qualche dubbio in più su Raspadori perché è il classico attaccante moderno (nel senso, diciamo, non del tutto positivo del termine), quello che fa tutto dalla trequarti in su, forse troppo, può giocare al centro o ai lati, è fondamentale nel funzionamento dei meccanismi della prima linea anche come creatore di spazi e di idee, ma questo... superlavoro gli fa spesso perdere lucidità al momento di concludere. E comunque lo stesso Chiesa, anche nelle sue versioni più brillanti come quella di ieri, segna meno gol di quanto potrebbe. 

ESTERNI E INSERIMENTI DA DIETRO - Altre soluzioni? In tempo di vacche magre non si butta via niente, e così va tenuto in gruppo anche un Immobile meno inesorabile che in passato ma comunque, lui sì, punta nel senso tradizionale del termine, dopodiché, come anche nei momenti migliori della gestione manciniana, ci si deve affidare al tourbillon degli esterni e dei trequartisti che un buon bottino di segnature possono garantirlo, nonché agli inserimenti da dietro, perché gente come Di Lorenzo, Dimarco, Barella, Frattesi e Pellegrini hanno, chi più chi meno, il gol sempre in canna, come anche Colpani, che quanto prima dovrà essere provato. Dimarco, poi, sta vivendo il momento migliore della sua carriera, ricorda spesso il miglior Spinazzola per capacità di appoggiare la manovra offensiva, potrebbe essere ancor più devastante se spostato un po' in avanti, con Udogie pronto a rimpiazzarlo come esterno basso (anche lui con licenza di sganciarsi): un'idea come un'altra per un centrocampo che, non potendo contare a lungo sul titolare Tonali e sul prospetto Fagioli per le note vicende, ha bisogno di uomini e strategie nuove. 

Certo, anche Spalletti a tratti pare non essere ancora perfettamente a fuoco, peccando soprattutto nelle letture a match in corso. Alcune sostituzioni non paiono del tutto azzeccate: a Londra Scamacca doveva forse restare dentro, mentre ieri poteva partire subito per poi lasciare il posto a Raspadori. Ed è un fatto che Jorginho, il quale per lungo tempo non dovrà più, assolutamente, calciare un rigore in azzurro, finché è restato in campo contro gli ucraini ha tenuto in ordine la zona nevralgica, mentre quando è uscito si sono un po' perse le distanze, con un acciaccato Cristante che non è riuscito a fare argine e ha anzi rischiato l'incredibile, e anche in questo cedimento centrale c'è la spiegazione della fiammata ucraina che con un assetto più solido sarebbe stata ben altrimenti contenuta. Meno problemi nel cuore della difesa, dove Buongiorno si è ben assestato, dove tornerà Bastoni, dove andrà ovviamente riproposto uno Scalvini un po' in comprensibile difficoltà a Wembley ma prospetto di assoluto valore. 

SORTEGGI... PARANORMALI - Questa è l'Italia giunta col fiatone, ma promossa, alla fine di un'eliminatoria crudele, perché aveva inserito nello stesso girone le due finaliste dell'ultimo europeo, soluzione grottesca come grotteschi sono i criteri che ci dirotteranno probabilmente in quarta fascia in sede di sorteggio della fase finale, gettando alle ortiche non dico la tradizione, ma anche l'albo d'oro recente della manifestazione, e non tenendo in alcun conto la differente difficoltà dei vari raggruppamenti, con alcune grandi (vedi il Portogallo) che hanno fatto una passeggiata di salute, e gironi pieni di squadre di medio livello, insidiose ma abbordabili, che potevano invece essere più equamente distribuite. Una disperata ricerca di imprevedibilità e innovazione, da parte delle federazioni internazionali, che travolge anche la logica. Però intanto in Germania ci siamo arrivati, soffrendo anche per responsabilità di chi c'era prima e per problemi di sistema che si trascinano, irrisolti, da troppi anni. Ma l'importante è esserci, come ci saremmo dovuti essere nel 2018 e nel 2022. Ora abbiamo la possibilità di crescere, migliorare, sperimentare soluzioni ed elementi nuovi, magari cominciando a inserire quei giovanissimi che si sono fatti onore nelle varie Under. 

mercoledì 13 settembre 2023

CLUB ITALIA: CON L'UCRAINA UNA BUONA PROVA, DOPO LA FIGURACCIA MACEDONE. IL MATERIALE UMANO C'E'. COME RISOLVERE IL PROBLEMA ATTACCO?

 

                               Frattesi, nuova splendida realtà azzurra (foto Guerin Sportivo)

Le mattane della "Nazionale settembrina" sono ormai date per scontate da tutti gli esperti, da anni e anni. Ci hanno fatto l'abitudine, ed è sbagliatissimo, perché prestazioni come quelle di sabato scorso a Skopje rimangono inaccettabili, a prescindere da tutti i limiti atletici che i calciatori italiani manifestano a ogni inizio di stagione. Limiti che sono noti da tempo immemore (ne sento parlare più o meno da quando andavo alle elementari, quindi dai primi anni Ottanta del secolo scorso), e ai quali si potrebbe porre rimedio in maniera anche piuttosto semplice, sol che si volesse. Poi, chiaro, la mezza figuraccia macedone non è stata solo causata dai muscoli imballati, e, com'era prevedibile, sono bastati un lieve miglioramento del tono atletico e generosi ritocchi a una formazione sbagliata per vedere incrementare il nostro rendimento e cogliere tre punti vitali nella sfida quasi ultimativa con l'Ucraina.  

ITALIANI ALLA RISCOSSA NEI CLUB - C'è un altro elemento che, ad ogni prova negativa del Club Italia (e dopo l'Euro 2021 sono state tante, troppe) viene dato per acquisito dagli addetti ai lavori, ossia la povertà del calcio italiano che, in questo momento, non sarebbe in grado di produrre una Selezione competitiva ed è, quindi, destinato a soffrire sistematicamente anche contro formazioni di fascia medio-bassa, come accaduto contro Elmas e compagni. Anche in questo caso, ci si affida all'umoralità dell'ultima impressione, uno dei peccati più gravi per chi esercita il mestiere di critico. Analizziamo alcuni dati: ferma restando l'evidenza dell'eccessiva, assurda quantità di atleti d'oltrefrontiera negli organici delle  nostre società (il che, ad esempio, rende una squadra come il Milan quasi "inutilizzabile" per la Nazionale), siamo reduci da una stagione in cui si è registrata una sia pur minima inversione di tendenza, con la presenza nelle formazioni titolari di un discreto numero di italiani, e tre di queste formazioni, cioè quelle con un nucleo indigeno piuttosto consistente, hanno raggiunto, pur perdendole, le finali delle tre competizioni continentali per club, dico Inter, Roma e Fiorentina, fra l'altro tutte sconfitte di stretta incollatura e fra mille recriminazioni. E la nuova annata calcistica pare partire con gli stessi presupposti, anche se, pure fra i calciatori nostrani, si tende a insistere su uomini nel pieno della maturità, mentre per gli emergenti ci sono ancora difficoltà a ritagliarsi un posto al sole. 

SI PUO' COSTRUIRE UNA NAZIONALE COMPETITIVA - Questo per dire che, se il bacino in cui il cittì di turno può pescare si è irrimediabilmente ridotto rispetto a quindici-vent'anni fa, qualche spiraglio di luce si vede, e i ragazzi di casa nostra che arrivano alla titolarità hanno comunque dalla loro il fatto di aver dovuto superare selezioni e concorrenze più spietate di una volta, quando le limitazioni al numero di stranieri utilizzabili consentivano comunque una massiccia presenza in campo di italiani. E insomma, ciò che voglio dire, la nostra Serie A garantisce ancora un numero di giocatori sufficiente, per quantità e qualità, a mettere insieme una Nazionale di livello dignitoso, mediamente competitiva, in grado almeno di cogliere le qualificazioni alle fasi finali di Europei e Mondiali (come ci sia sfuggito il Qatar è stato qui raccontato in lungo e in largo, e non è il caso di ritornarci sopra); a questi, oltretutto, vanno aggiunti i ragazzi che si fanno onore all'estero, un piccolo drappello ai quali nelle settimane scorse si sono aggiunti Vicario e Tonali, potenzialmente due future colonne della nostra rappresentativa. 

NIENTE FUORICLASSE, SOPRATTUTTO IN AVANTI - Certo, abbiamo tante buone individualità, in qualche caso ottime, con buona pace degli pseudoesperti da social, ma non abbiamo fuoriclasse, e in effetti viene un po' di tristezza a pensare che un po' tutti, persino la modesta Macedonia del Nord, hanno in rosa almeno una pedina in grado di risolvere una partita con una singola giocata, un calcio piazzato, come è accaduto a Bardhi. Noi no, perlomeno in questo momento, e si tratta di un fattore che ci limita parecchio. Non il principale, tuttavia; sia nell'infelice sabato, sia nella parziale resurrezione meneghina con l'Ucraina, è riemersa la lacuna maggiore di questa fase storica azzurra, che si conferma partita dopo partita in quanto non facilmente risolvibile in un amen, ossia la sterilità offensiva. Perché a Skopje non si è giocato bene, soprattutto in quel secondo tempo con la tremarella alle gambe, sempre più contratti, sempre più chiusi a difendere il golletto trovato subito dopo l'intervallo; però nel primo tempo le occasioni erano arrivate persino copiose, ma Di Marco, due volte Cristante e Politano le hanno sistematicamente fallite, mentre a Tonali concediamo almeno l'alibi della scalogna, con la sua conclusione respinta dal palo. 

SCORPACCIATA - A San Siro, si è forse toccato l'apice della prodigalità: prima e dopo la doppietta di Frattesi, fortunatamente decisiva, i nostri hanno fatto una letterale scorpacciata di palle gol, alcune delle quali oggettivamente clamorose. Nel primo tempo Di Lorenzo e due volte Raspadori, nel secondo Zaccagni, ancora Raspadori, Scalvini e Gnonto, con in più il secondo legno della settimana azzurra, questa volta centrato da Locatelli (traversa). Mi pare un po' troppo, e dispiace soprattutto per la rampante punta napoletana, che dalla trequarti in su compie un lavoro assolutamente apprezzabile anche in appoggio ai compagni, però se ti capitano tre palle d'oro in un match, almeno una la devi mettere dentro; vale comunque la pena di insistere sull'ex Sassuolo, che in fin dei conti è stata una delle poche note liete dell'ultima fase della gestione Mancini, con già cinque reti all'attivo, non dimentichiamolo.

SPALLETTI SI CORREGGE - A proposito di Commissari Tecnici vecchi e nuovi, Spalletti ha steccato la prima con poche colpe, certo, ma con qualcuna sì. Non mi è parsa una genialata, come prima mossa nel nuovo incarico, dare la fascia di capitano a un Immobile che forse ha già spesso il meglio, in carriera, e che comunque in rappresentativa non è mai stato un fulmine di guerra. Più in generale, al di là dei citati deficit fisici che affliggono i calciatori italiani (ma solo loro, chissà perché) in questa fase della stagione, la formazione iniziale non è stata delle più felici, perché il centrocampo ha bisogno di più geometrie e ispirazione di quelle che può fornire un generoso come Cristante, e perché elementi freschi e già affidabili quali Scalvini e Frattesi devono sempre trovare posto, in questa squadra, come è effettivamente accaduto ieri sera, idem per Raspadori, al di là del piede non particolarmente caldo mostrato al cospetto del portiere ucraino Buschchan. Sul resto si può discutere, a seconda del momento: il ripescaggio di Locatelli è stato ad esempio una scelta vincente; lo juventino, pur non sempre perfetto, ha sfoderato comunque l'intelligenza tattica e il senso della posizione da regista classico, ed è anche andato vicino a cogliere il successo personale,  con quella schioccante traversa. 

BENE SCALVINI E FRATTESI, CI VOLEVA PIU'... RETEGUI - Qualcos'altro è migliorabile, sempre nella scelta degli uomini. Al Meazza l'Italia si è mostrata in palla, aggressiva, capace di creare occasioni anche nella fase di maggiore sofferenza, per l'aumentata pressione avversaria a cavallo dei due tempi: ebbene, in un quadro del genere a noi favorevole, penso che sarebbe stato utile avere in campo più a lungo uno spietato finalizzatore come Retegui. Per il resto, questa volta, le scelte spallettiane non prestano il fianco a grosse critiche: Dimarco ha sbagliato forse la prima gara azzurra da quando è entrato in gruppo, Scalvini è in crescita costante e sa rendersi utile nelle due fasi, Frattesi è un formidabile centrocampista moderno, che sa fare quantità e qualità, si inserisce e non perde lucidità al momento di concludere. Ha deluso Gnonto, soprattutto per la timidezza al momento di affrontare l'uno contro uno (continuo a pensare che sia ancora afflitto da un gap fisico troppo grande nei confronti dei colossi del football internazionale), mentre ha stupito uno Zaniolo vivace, continuo e intraprendente nelle sue discese: bene così, ma deve confermarsi, perché ho assistito a troppe recite anonime in azzurro dell'ex romanista per fidarmi di una prestazione positiva... Barella, infine, ha fatto il compitino, portando a casa la pagnotta ma manifestando anche pause e incertezze insolite per uno come lui. 

DISFATTISMO FUORI LUOGO - Ecco, partiamo da quest'ultimo punto: contro il team di Rebrov, sono parzialmente mancati alla prova due elementi fra i più positivi degli ultimi anni azzurri, ossia Dimarco e Barella. Eppure, anche senza il loro contributo, si è vista una compagine manovriera, rapida, agile, che ha recuperato una sufficiente precisione nel palleggio, come ci aveva abituati l'Italia del Mancio. Ecco perché trovo del tutto fuori luogo certo disfattismo, certo assolutismo negativo sulla attuale modestia del nostro potenziale calcistico. Gente come Donnarumma, Di Lorenzo, Bastoni, Dimarco, Tonali, Barella, e i due infortunati Chiesa e Pellegrini, ma anche altri, frequentano da anni i massimi palcoscenici calcistici europei, facendosi spesso e volentieri onore. E dietro di loro ci sono i giovani vicecampioni mondiali Under 20 e campioni europei Under 19, alcuni dei quali già impiegati da titolari nei club (penso a Baldanzi, ma non solo). Siamo stati meglio, decisamente meglio, ma anche peggio. Non ha senso piangersi addosso, e non ha senso nemmeno considerare un miracolo irripetibile la conquista dell'Euro 2020-21, perché nel calcio, a certi livelli di eccellenza, i miracoli non esistono. 

IL PROBLEMA DELL'ATTACCO: CAUSE E PROSPETTIVE - Certo, questa è comunque una Nazionale che ha bisogno di essere sempre sorretta da una condizione fisico-mentale ottimale in tutti i suoi elementi. Lo si è visto anche ieri sera: basta mollare un attimo, e gli avversari ti puniscono subito, portando a casa un 2-1 che sarebbe dovuto essere un 4-1, a essere stretti. Ecco, al momento è questo l'unico, vero gap che non ci rende competitivi nei confronti del ristretto lotto delle grandi, Francia e Inghilterra, Portogallo e Spagna, limitandoci al quadro europeo che è quello che ci interessa fino al 2024. Come già spiegato in precedenti articoli, il vuoto generazionale che ha colpito l'attacco è qualcosa di epocale, che va al di là degli alti e bassi che caratterizzano da sempre il nostro vivaio, nella capacità di fornire ricambi nei vari ruoli; ed è un deficit dovuto anche ad errori di impostazione tecnica e tattica a livello di insegnamento giovanile, con una concezione dell'uomo d'attacco che ha privilegiato l'universalità e la duttilità, perdendo di vista la necessita di avere figure capaci di "vivere per il gol". Aspettiamo Scamacca, tornato in Italia con propositi bellicosi già dimostrati al debutto atalantino, valorizziamo un Retegui che anche in casacca Genoa ha sfoderato il fiuto per la rete dei primi passi azzurri, speriamo in un Chiesa di nuovo efficace e continuo ma soprattutto senza più acciacchi, in un Raspadori che possiede le armi tecniche per essere più preciso al tiro, in un Kean che l'anno passato ha dato confortanti segnali di risveglio e che deve solo mettere la testa a posto, e poi nell'emersione di qualche ragazzino già messosi in evidenza nelle giovanili. I  margini per sperare ci sono, la negatività a tutti i costi non porta da nessuna parte, così come il continuo rimpianto di un passato calcistico che non può essere un metro di paragone, perché era costruito su presupposti tecnici, economici e sociali completamente diversi. 


mercoledì 30 agosto 2023

IL POWER HITS E GLI ALTRI FESTIVAL, I PRO E I CONTRO DELLA MUSICA ESTIVA 2023: IL TRIONFO DEI KOLORS, LA RIVELAZIONE ANGELINA MANGO


 Con la serata veronese del Power Hits di RTL 102.5, ieri si è virtualmente conclusa l'estate canora 2023. Una stagione che, sul piano qualitativo e quantitativo della proposta musicale, non ha marcato né differenze né cambi di passo epocali rispetto a tante estati che l'hanno preceduta. Eppure, mai come in passato è stata terreno di scontro fra critici ed esperti, tutti ad accapigliarsi sullo stato (pietoso, ça va sans dire) della canzone leggera nostrana, ma a corto di argomenti veri sui rimedi realistici da adottare per uscirne fuori. Ci torneremo, non prima di aver sottolineato che è stata anche, forse come non mai nei tempi recenti, una estate ricchissima di rassegne canzonettistiche. Prima della citata kermesse dell'Arena, erano andati in scena il TIM Summer Hits di Rai 2, il Radio Norba Battiti Live di Italia 1, lo Yoga Radio Bruno Estate su La5, e ancora il Tezenis Summer Festival di Radio 105, il Radio Italia Live, il Love MI di Fedez e altro che probabilmente dimentico. 

DEGNI EREDI - E già, sembrano ormai lontani i tempi in cui era d'obbligo rimpiangere acutamente Festivalbar. Beninteso, i professionisti del nostalgismo lo rimpiangono tuttora, e neppure a me dispiacerebbe un ritorno dello storico marchio, più che altro per il fascino e la tradizione che quel nome porta con sé anche adesso, che non esiste più da ormai sedici anni. Ma, francamente, nella fase attuale non c'è motivo di disperarsi: gli eventi sorti in questi anni ne sono degnissimi eredi. Lo dico da sempre con convinzione, prendendomi pernacchie a destra e a manca, lo ribadisco ora, così come ribadisco che, sotto certi aspetti, sono perfino meglio. Il Battiti Live, ad esempio, ha proposto una notevole quantità di musica live (il festival di Salvetti era stato il regno del playback, salvo redimersi tardivamente), e ha dato agli artisti la possibilità di proporre performance ad ampio respiro, con più brani, senza limitarsi allo sbrigativo lancio del singolo estivo. Si è cantato molto dal vivo anche al Power Hits che, dal canto suo, ha un altro vanto: è un concorso canoro vero, con tanto di classifiche settimanali, come lo era stato a lungo il Festivalbar prima di cambiare volto da metà anni Novanta, con vincitori decisi a tavolino o comunque secondo valutazioni che esulavano dai mitici juke box e dalle cartoline voto di Sorrisi e Canzoni. 

LA NOSTALGIA DEL "BEL TEMPO CHE FU" - Se poi il motivo dei rimpianti risiede nella qualità dei pezzi in cartellone in questi eventi, temo che qui scenda inesorabile il velo del tempo che passa, a rendere tutto bellissimo degli anni della gioventù e tutto pessimo degli anni che ci tocca vivere oggi. E' un meccanismo mentale umano, che conosco bene, perché certi discorsi li sento più o meno da quando ero un bimbo, ed è un po' la stessa cosa che accade per il calcio: da piccolo sentivo il mio povero papà rimpiangere calciatori di un'epoca in cui la nostra Nazionale, magari, ai Mondiali ci arrivava, dopo aver superato qualificazioni ridicole, ma poi vi veniva sistematicamente eliminata al primo turno. Nello stesso periodo, veniva massacrata da ogni dove la dance italiana, salvo scoprire oggi che i vari Gazebo, Righeira, Spagna, Tracy Spencer e compagnia continuano ad essere richiesti ed applauditi, chi in circuiti minori, chi ancora su ribalte tutto sommato prestigiose, ma, insomma, sono ancora parte della memoria collettiva. 

POLEMICHE ECCESSIVE - Eppure, si continua sulla stessa falsariga lamentosa, ed è un peccato, perché in questo mare di lacrime gratuite si annacquano spunti polemici di indubbio interesse. Come nel vespaio di inizio estate suscitato da Enrico Silvestrin, che partendo da motivazioni parzialmente (non del tutto) condivisibili ha rovinato tutto sparando nel mucchio del cast del Love MI, in cui hanno trovato posto personaggi la cui caratura artistica è oggettiva, e testimoniata da pochi o tanti anni di attività e di riscontri, e non possono essere buttati nel calderone della m...a cui il noto VJ ed ex conduttore tv ha fatto riferimento senza andare troppo per il sottile. Allo stesso modo, si sono lette articolesse sul declino di ispirazione poetica degli autori che non riescono più a scrivere testi decenti, tantopiù per le canzoni "balneari", al punto che qualcuno si è chiesto preoccupato che cosa significhi "Stasera che mi fai? La Disco Paradise!". Il significato deve essere analogo a "E' dolce la tapioca di Costarica", che gorgheggiava il Gruppo italiano nell'84, o di "oh oh oh, italian's a go go", l'ultimo tormentone dei citati Righeira risalente all'86. La canzone da ombrellone è sempre stata questa, allegria, leggerezza e disimpegno, fare gli scandalizzati nell'anno di (dis)grazia 2023 mi sembra davvero il colmo. 

CAST OMOLOGATI - Poi i problemi ci sono, è chiaro. Ha ragione, ad esempio, chi dice che negli ultimi tempi, e soprattutto quest'anno, la produzione estiva abbia nettamente privilegiato questo filone stilistico, quello sintetizzabile in "stacco la spina e non penso a nulla". E guardando i cast dei festival citati all'inizio, va detto che si assomigliano un po' tutti fra loro: i nomi che girano sono più o meno gli stessi, impegnati in un tour massacrante da un evento all'altro, da una località all'altra, per  promuovere la canzone appena uscita. Forse giusto la kermesse di 105 ha messo sotto i riflettori qualche personaggio meno inflazionato e meno visto altrove, ma si è trattato di eccezioni e comunque il dato di fatto è che, al di là del pop e del rap variamente declinati e contaminati, per altri generi lo spazio è veramente ridotto all'osso. Anche qui, però, nulla di nuovo sotto il sole, se è vero che negli anni Settanta i cantautori, disperati per la mancanza di attenzione mediatica, dovettero inventarsi ribalte alternative come il Premio Tenco, peraltro ancora oggi vitalissimo. Ma questa è indubbiamente una grave lacuna;  oddio, i festival italiani ad impronta marcatamente commerciale non hanno mai brillato per eterogeneità artistica: ad esempio, troppo timidamente lo stesso Sanremo si apre al nuovo cantautorato, e mi chiedo perché, per fare un nome fra i tanti, per ascoltare in tv un talento puro come Fulminacci si debba aspettare il Concertone del Primo Maggio o sintonizzarsi in fascia preserale su Rai 3 per la bella trasmissione di Stefano Bollani e Valentina Cenni. Ecco, questi ed altri sono veri elementi di criticità del panorama discografico nostrano, ma non si risolvono né sparando nel mucchio né polemizzando su aspetti assolutamente secondari e, soprattutto, riscontrabili ampiamente anche nella produzione canora dei decenni passati. 

I KOLORS E GLI ALTRI - Chiudendo questa lunga disquisizione e tornando al succo della proposta estiva 2023, il Power Hits ha visto trionfare "Italodisco" dei Kolors, ed è stato giusto così, perché la "Disco Paradise" è stata fin troppo strombazzata e infilata in ogni dove, tanto da farla quasi venire a noia. Stash e compagni sono stati abili, in qualche modo furbetti, ma con genio e qualità, solleticando appunto quella nostalgia anni Ottanta di cui si diceva, ma piegandola al loro sound, costruendoci sopra un motivetto ben strutturato e orecchiabile. Contento per loro, che riemergono dopo anni in cui hanno sbarcato il lunario senza particolare gloria.  Altri pezzi solari hanno illuminato questi mesi caldissimi in maniera assolutamente dignitosa, senza che, come vorrebbe qualcuno, ci si debba vergognare dell'ascolto: i Pinguini Tattici Nucleari di "Rubami la notte" hanno indovinato un'altra hit, confermando il loro stile personalissimo, contemporaneo, fatto di originalità testuale e sonorità efficaci, e sono ormai pronti per un secondo Sanremo da protagonisti assoluti; Achille Lauro si è divertito con una soave "Fragole" in cui quasi sovrasta la sottile vocina di Rose Villain, mentre anche Levante ha fatto centro attingendo a certe atmosfere Settanta-Ottanta con una "Canzone d'estate" a metà strada fra lo spensierato e l'evocativo. E al decennio ottantiano, odiato da tutti a parole, in realtà amato sottovoce, si è palesemente ispirata anche la Pausini, ospite a sorpresa con la trascinante "Il primo passo sulla luna". 

ANGELINA MANGO SUGLI SCUDI - Non mi è dispiaciuto il duetto fra Mr. Rain e Sangiovanni in "La fine del mondo", ottimo esempio di rap all'italiana old style, privo di volgarità, in perfetta simbiosi con i canoni del più efficace pop radiofonico. Non male Emma in "Mezzo mondo", vagamente malinconica eppur sostenuta dalla consueta energia, conferma per Colapesce e Dimartino sulla loro ormai riconoscibilissima linea elegante e crepuscolare, in "Considera". E' cresciuta strada facendo, nelle mie valutazioni, la coppia Elodie-Mengoni: "Pazza musica" è alfine una canzone di buon livello, dai sapori soul e funky e con quel ritornello spiazzante che finisce in calando, quasi spegnendosi, modalità lontana dagli stilemi della tradizione nostrana. Sul mio personalissimo cartellino la migliore proposta della bella stagione è stata quella di Angelina Mango, uscita dall'Arena a mani vuote ma vincitrice morale: "Ci pensiamo domani", ascoltatissimo ovunque, è un brano allegro, che esprime alla perfezione, nel testo e nella musica, la sana e consapevole gioia di vivere di una ragazza del 2023. Questa figlia d'arte, che forse non ha le virtù vocali degli illustri genitori ma che sa cantare, scrivere, ha grande comunicativa e tiene il palco con perizia, promette bene e potrebbe essere un'altra carta da giocare sul tavolo del teatro Ariston. 

STRANIERI, VETERANI, OMAGGI E... SANREMO - In generale, la serata di RTL è da considerare riuscita perché lo spettacolo è stato concepito in modo da soddisfare il più ampio spettro di esigenze: c'erano, lo abbiamo visto, le canzoni delle chart, c'erano i superbig in versione autocelebrativa, da Giorgia ai Negramaro fino a un Antonacci con una discutibile versione remix di alcuni suoi successi, e c'è stato, da parte dei Pooh, il primo vero omaggio televisivo di rilievo a Toto Cutugno, che finora aveva avuto solo una replica di Techetecheté e trasmissioni mattutine e pomeridiane. E poi sono arrivati gli ospiti stranieri, sempre più rari dalle nostre parti, da Yungblud arrampicato sulle scalee dell'Arena a Rita Ora, da Sophie and the Giants a Jain ed altri ancora. Infine, da sottolineare che, ormai alle soglie di settembre, sono ancora massicciamente nell'aria i successi di Sanremo: anche ieri sera, hanno mandato in visibilio il pubblico "Cenere" di Lazza e "Tango" di Tananai, segno della mano felicissima avuta quest'anno (e non solo quest'anno) da Amadeus. Chiudendo ancora sul filo della nostalgia, quel palco bagnato dalla pioggia di questi giorni mi ha davvero riportato a certe finali del Festivalbar che fu, come quella del 1999, quando i Vengaboys cantavano "We're going to Ibiza" e Geri Halliwel "Mi chico latino" sotto una pioggia scrosciante, e lì percepivi pienamente i segni di un'estate ancora in corso ma che stava inesorabilmente volando via. Proprio come ieri sera. 

venerdì 24 marzo 2023

CLUB ITALIA: IL 2022 SPERIMENTALE HA PARTORITO IL TOPOLINO. DOVE SONO FINITI I NUOVI? L'INGHILTERRA NON ERA INSUPERABILE

 Ultimamente non riesco più a comprenderti, caro Mancio. Poi, possiamo riempire paginate sulla crisi  profonda del nostro calcio, un calcio campione d'Europa in carica ed estromesso dai Mondiali anche in virtù di una concatenazione forse irripetibile di circostanze negative. Ma tanto è inutile, perché se ne parla più o meno dai tempi di Sudafrica 2010 e non si è trovato uno straccio di soluzione veramente efficace (né ci si è tanto sbattuti per trovarla). E allora, forse, bisognerebbe parlare un po' di più della gestione della squadra dalla panchina, perché dal post Euro 2020 troppe cose non tornano. 

LE INDICAZIONI CONCRETE DELLA FASE DI "SETACCIO" - La Nazionale che, ieri sera, è stata infilata e battuta da un'Inghilterra non irresistibile, è una Nazionale senza fondamento tecnico e storico. Soprattutto alla luce di ciò che è accaduto negli ultimi dodici mesi, dopo la nefasta sconfitta con la Macedonia del Nord. Un 2022 segnato da uno sperimentalismo spinto, estremo, a volte persino di difficile interpretazione, penso alle chiamate estemporanee di Zerbin o Cancellieri, o a quella di Esposito, primi nomi che mi vengono in mente. Un censimento delle forze disponibili condotto in stile "bernardiniano", per chi ricorda le convocazioni fiume dell'anziano cittì (Fulvio Bernardini, appunto) all'indomani del fiasco alla Coppa del Mondo del 1974. Necessario, certo, perché dopo le battute d'arresto epocali è sempre opportuno fare il punto per capire da chi e con chi ripartire. E va detto che, nel mucchio sovrabbondante di azzurrabili, qualche indicazione concreta era pur emersa, soprattutto nelle gare di Nations League, tanto da ottenere una qualificazione alla Final Four in un gruppo in cui i sedicenti esperti ci consideravano la Cenerentola, inferiore anche all'Ungheria. E su quelle indicazioni ci si doveva basare per iniziare la difesa del titolo conquistato a Wembley. 

IL TRIO CENTRALE AFFONDA - Invece, al Maradona abbiamo visto un'Azzurra già vecchia, sorpassata, dal presente grigio e senza futuro. Era, in larga parte, la squadra che ci ha fatto sognare due estati fa. Una squadra che, dopo tanti esperimenti, è tornata ad affidarsi al trio centrale Verratti-Jorginho-Barella, e che in difesa, con Bonucci acciaccato, ha puntato sui vecchi draghi Acerbi e Toloi, oltre al ripescaggio di Spinazzola, questo sì benemerito. E in avanti Berardi, che ha esaurito la sua girandola con le buone prestazioni che gli hanno dato la titolarità fino alle prime gare dell'ultimo Europeo, per poi cedere giustamente il proscenio a Chiesa. Antiche certezze, che certezze non sono più. E' una Selezione che ha già ampiamente mostrato la corda dal settembre 2021 in poi, che non è più affidabile. I tre della zona nevralgica, califfi e trascinatori nella prima fase della gestione Mancini, nel primo tempo di ieri hanno toccato il fondo: nulli in impostazione, nulli in contenimento, hanno esposto alle facili folate inglesi una terza linea già di per sé non formata da fulmini di guerra. 

A CHE E' SERVITO SPERIMENTARE? - Perché? Perché continuare a insistere? Non c'è neanche la giustificazione classica utilizzata dagli allenatori in questi casi: siamo a inizio stagione, meglio andare sul sicuro senza azzardi. Invece, no, siamo nel pieno dell'annata calcistica, alle soglie delle fasi decisive del campionato e delle coppe, gerarchie cristallizzate e valori ben delineati. Ma non è nemmeno questo il punto. La sperimentazione, dicevamo. Sacrosanta, giustissima: e dunque? Possibile che in questa Nazionale gente come Scalvini, Tonali, Gnonto, Politano non abbia ancora accumulato i giusti titoli per partire titolare? Un discorso che prescinde volontariamente da altri elementi, giovani e meno giovani, che il campionato ha indicato come in ottima forma e meritevoli di una chance, da Casale a Udogie, da Fagioli a Zaccagni fino ad Orsolini, perché qui siamo nel campo delle valutazioni del cittì legate al momento, sindacabili e discutibili, molto discutibili a parer mio, e purtuttavia plausibili. Ma sono le valutazioni di lungo periodo, quelle scaturite, ripeto, da un anno di sperimentazione, a destare perplessità. 

ERA UN'INGHILTERRA ALLA PORTATA - Un'Italia impostata sui suddetti nomi più o meno nuovi forse avrebbe perso ugualmente, ma almeno avrebbe messo in cassaforte novanta minuti di preziosa esperienza, laddove ormai i vecchi draghi non hanno più nulla da imparare. E se non si svecchia ora, quando? Siamo nella condizione ideale, un girone eliminatorio con un'avversaria terribile ma che mette in palio due posti per Germania 2024: i margini di manovra sono ampi. Ma poi, chi dice che avremmo perso comunque? Il team di Southgate, nel primo tempo di Napoli, è stato ingigantito dai nostri colossali limiti di circostanza, ma ormai sappiamo quanto vale, se non diverranno veramente decisivi fuoriclasse o presunti tali come Bellingham, Saka, Foden e il "tutto fumo e niente arrosto" Grealish. E' la compagine che abbiamo battuto nella finale continentale con pieno merito, "ai punti", ben prima della lotteria dei rigori, la rappresentativa a cui abbiamo tolto quattro punti su sei nell'ultima Nations League, costringendola alla retrocessione; la squadra che, in Qatar, è volata fino ai quarti grazie a un tabellone benevolo per poi cedere di fronte al primo ostacolo vero, quello francese. Nella ripresa, è bastato alzare un attimo i ritmi, migliorare la rapidità e la precisione in fase di costruzione, mettere in campo la rabbia dei campioni in carica, per costringere i nostri rivali ad acute sofferenze. Segno che, con gli uomini giusti fin dall'inizio, con gli elementi più in forma e più motivati, questa Italia, pur con i suoi difetti, ha i mezzi per mostrare più degli imbarazzanti primi 45 minuti dell'ex San Paolo. 

ASSENZE CONTINGENTI E LACUNE DI SETTORE - Poi, chiaro, in molti settori gli uomini sono contati e allora è giusto dire, senza passare per piagnucoloni, che se ci mancano Dimarco e Raspadori, le maggiori nuove certezze emerse dalle prove effettuate da Mancini nel 2022, si parte già ad handicap. Così come mancavano all'appello Bastoni e Frattesi, altri emergenti che, al di là dei momentanei scadimenti di forma, saranno presenze fisse nelle convocazioni future. Quello dell'attacco è un discorso a parte. La carenza di elementi di statura internazionale non è frutto di un semplice vuoto generazionale come tanti ne abbiamo avuti in passato, ad esempio prima dell'incredibile fioritura dei vari Vieri, Filippo Inzaghi, Del Piero, Montella e compagnia. Si è equivocato su certi modelli tattici vincenti che hanno cambiato la concezione del gioco d'attacco, portando alla costruzione di atleti polivalenti chiamati a svolgere molteplici funzioni dalla cintola in su, ma con pochi calciatori che vivono esclusivamente per il gol. Il problema è quasi mondiale, da noi è ovviamente più acuto perché va a innestarsi su una sofferenza dei vivai dovuta alla miopia di chi gestisce i club, dirigenti e allenatori. 

LA GESTIONE DEI CASI RETEGUI E PAFUNDI - Dopodiché, avessimo avuto a disposizione il citato Raspadori, il vecchio Immobile, Chiesa in piena forma (ma la ritroverà, la piena forma?), la musica sarebbe stata diversa. Per cui, inutile scandalizzarsi per la chiamata di Retegui: non è il primo oriundo, non sarà l'ultimo, e questi pedatori di fuorivia sono comunque una risorsa legittima alla quale è lecito ricorrere, tanto più in epoca di vacche magre. Casomai, lascia perplessi, anche in questo caso, il modo in cui la convocazione è stata gestita. Un ragazzo a digiuno di calcio italiano ed europeo, sconosciuto anche ai suoi compagni, gettato nella mischia da titolare dopo appena tre allenamenti col gruppo. Un azzardo autentico, che ha pagato con un gol inutile ma che ha anche prodotto l'inevitabile, ossia una prestazione per larghi tratti impalpabile e non per limiti di talento del singolo, ma, è parso evidente, per mancanza di affiatamento e non perfetto inserimento nei meccanismi. Però ci sembra il caso di insistere, a questo punto. Hai visto mai che ci si ritrovi fra le mani il jolly quasi senza accorgersene?

Ancor più perplessi lascia la gestione della situazione Pafundi, e posso permettermi di dirlo perché pochi, più di me, nell'ultimo decennio hanno spinto per la necessità di dare fiducia alle nuove leve, casomai forzando la mano ai tecnici di club e chiamando chi non gioca titolare, come aveva iniziato a fare Prandelli e come sta ora facendo il Mancio. Con il giovanissimo udinese però si sta esagerando: minutaggio scarsissimo, quasi inesistente, in Serie A, il salto dalle selezioni giovanili alla maggiore senza meriti evidenti se non agli esperti di settore, e una pressione mediatica quasi opprimente, con la frase del commissario tecnico "prima Pafundi e poi tutti gli altri". Termini che si utilizzano solo di fronte a fenomeni in pectore: ma io non voglio, né mi aspetto il novello Messi, vorrei solo che il ragazzino crescesse senza aspettative abnormi, e vorrei soprattutto vederlo all'opera in qualche partita intera o parzialmente intera, perché qui stiamo andando letteralmente sulla fiducia, il vero salto nel buio, ben più di quello già notevole compiuto con Retegui. 

NUOVI PROTAGONISTI NEI CLUB - Dunque, ritengo doveroso concentrarsi sulle lacune di una conduzione tecnica che ultimamente sta suscitando più di una perplessità. Ripeto: urlare alla luna per lo scempio dei nostri vivai serve a poco. Io lo faccio grosso modo dal 2012, e mi sono decisamente stufato, anche perché non vedo risposte. Oltretutto, questa è forse la stagione meno indicata per farlo, visto che è aumentato il numero di italiani titolari, o spesso in campo, schierati dalle grandi (l'Inter e le romane soprattutto), e visto che si stanno mettendo in evidenza molti nomi nuovi: non Pafundi, che non gioca e che spero di vedere presto, ma i citati Casale e Udogie, così come Parisi, Vicario, Baldanzi, Carnesecchi, Ruggeri, o meno giovani come Baschirotto, e perfino Kean sta dando un buon contributo alla Juve (mettesse la testa a posto...). 

Teniamo conto di queste forze in sboccio,  degli "esaminati" nel 2022, e salviamo il salvabile fra i totem, perché ad esempio, l'avevo accennato in apertura, il ritorno in auge di Spinazzola è una buonissima notizia, anche se il laterale non ha ancora la continuità e l'efficacia nell'appoggio alla prima linea che ne avevano fatto uno dei punti di forza dell'Italia 2021. Avremo così poche, ma notevoli certezze: da queste ripartiamo, innanzitutto per imporre la nostra superiorità agli altri rivali del girone, e poi per cercare di riavvicinarci a un'Inghilterra avvicinabilissima. Questa è l'unica lezione che deve giungere da una serata napoletana ricca di cose da dimenticare, da quel terribile primo tempo dei nostri all'inno di D'Alessio e Clementino. 

domenica 12 febbraio 2023

SANREMO 2023, LA FINALISSIMA: PER MENGONI TRIONFO PREVISTO E MERITATO. LAZZA FARA' FAVILLE, L'ARISTON INCORONA ANCHE MADAME

 


Promosso a pieni voti dalla critica, osannato dal pubblico dei "consumatori di musica leggera", esaltato dagli spettatori dell'Ariston, fra standing ovation e canzone già mandata a memoria e intonata in coro nella notte della vittoria. La marcia trionfale di Mengoni, iniziata già prima del Festival, si è conclusa placidamente all'alba di domenica. Era già tutto previsto, avrebbe detto Cocciante, ma nel caso specifico non ci sono né scandali né maliziosi sospetti da avanzare: "Due vite" aveva, semplicemente, una marcia in più rispetto ai competitors, e mi riferisco al particolare contesto della competizione. Nel senso che si tratta di un brano confezionato per vincere, costruito con maestria, il miglior compromesso fra tradizione e modernità, impastato di classe sonora e testuale, impreziosito dalla magistrale capacità interpretativa di Marco. 

MENGONI E LAZZA PRONTI A PRENDERSI L'HIT PARADE - Verdetto atteso e ineccepibile, dunque, con le emozioni della gara che hanno riguardato più che altro le posizioni di rincalzo. Si pensava a un duello... all'ultima nota con Ultimo, che sarebbe partito comunque sfavorito, mentre alla fine hanno preso campo tre giovani rampanti della scena canora nostrana. Sacrosanta, nella fattispecie, la medaglia d'argento toccata a Lazza, che, l'abbiamo detto, ha portato a Sanremo '23 la proposta più contemporanea. Penso di essere facile profeta nel dire che la classifica festivaliera, relativamente ai primi due posti, troverà agevole conferma anche fuori dal teatro, coi due ragazzi che faranno il vuoto nelle chart, persino con un possibile sorpasso dell'ultimo arrivato il cui exploit, mi ripeto, non sorprende affatto, perché non si diventa campioni assoluti di vendita per caso. Lazza è arrivato in Riviera da big autentico ed è uno dei paradossi del mercato discografico d'oggidì: si possono collezionare dischi d'oro e di platino senza tuttavia essere conosciuti da alcune fasce di pubblico; una barriera che l'interprete di "Cenere" ha sicuramente abbattuto con questa sua fortunata partecipazione. 

PESO COMMERCIALE E  LIVELLO MEDIO-BUONO - Tornando al trionfatore, dire che fosse superiore al lotto dei contendenti non significa che il resto fosse robetta, altroché. Questo Festival ci ha mostrato del bello, e tuttavia, dopo anni di commenti e analisi dedicati alla rassegna ligure (questo blog se ne occupa dal 2012), sono giunto alla conclusione che sia inutile e fuorviante fare bilanci sul livello complessivo della proposta musicale "a botta calda". E' un tipo di valutazione che va fatta solo a distanza di tempo, e non per mancanza di coraggio, ma perché tira in ballo molteplici fattori, tante variabili non immediatamente percepibili. Qualche considerazione preliminare si può fare, senza pretesa di assolutismo: fermo restando che il miglior Sanremone di Amadeus, al momento, sembra destinato a rimanere quello, drammatico, del 2021, la sensazione è che questa sua quarta edizione (su cinque) avrà comunque un notevole peso a livello commerciale, con una manciata di dischi destinati a lasciare il segno. Siamo su standard fra il discreto e il buono, una gradevole medietà con qualche ottimo picco e poche proposte veramente insufficienti. 

EASY LISTENING NON IMMEDIATO - Sul piano tecnico, avevo scritto dopo la prima serata, e qui lo confermo, che il pacchetto-canzoni va inquadrato nell'ambito di una ricerca quasi spasmodica dell'orecchiabilità, senza astruserie, senza complessità. Il che non vuol dire istantaneità totale: ecco, ciò che ho percepito coi primissimi ascolti dei pezzi è stato un deciso easy listening, che però va a braccetto con una capacità di impatto non immediata: nel senso che è mancata la vorticosa forza del "Ciao ciao" o del "Dove si balla" di dodici mesi fa, abbiamo sentito composizioni bisognose di almeno tre ascolti per imprimersi nella testa e nel cuore, e ciò vale persino per l'opera vincitrice. Forse è meglio così: dovrebbe essere una garanzia della capacità di alcuni di questi pezzi di durare nel tempo, senza venire immediatamente fagocitati dalla produzione primaverile ed estiva. Niente prodotti usa e getta, insomma. 

LO STRANO SANREMO: RINGIOVANIMENTO E CLASSICISMO SPINTO - Altre due linee di tendenza artistiche ha espresso questo festival. La prima rimanda a quella curiosa "schizofrenia" del Sanremo targato Amadeus, cui ho fatto riferimento in questi giorni per il desiderio sfrenato di voler mettere tutto e il contrario di tutto nel calderone del maxishow. Ebbene, si prosegue sulla giusta strada di un complessivo svecchiamento del panorama canoro, con un cast zeppo di giovani ed emergenti, alcuni già validi e pronti per la grande ribalta, altri con evidenti limiti di maturità, ma non è questo il punto. Il fatto è che questo ringiovanimento procede di pari passo con una sempre più massiccia riscoperta e rivalutazione della più schietta tradizione melodica italiana. Già l'anno scorso fu il trionfo di un mood classico, ovviamente rivisitato in chiave attuale, col duello fra Elisa e Mahmood-Blanco. Oggi, la cinquina finale farebbe commuovere i protagonisti di certe edizioni anni Ottanta, da Cutugno a Christian ai Ricchi e Poveri. Non è una battuta: oltre a Mengoni, persino il rapper Mr. Rain ha puntato su toni soft, sull'abile uso degli archi e su un ritornello accattivante, con la ciliegina sulla torta del ricorso al coro di bambini, utile comunque a veicolare un messaggio profondo, il non vergognarsi a chiedere aiuto quando si è in difficoltà, qualsiasi tipo di difficoltà. E che dire di Tananai? Avevo inizialmente manifestato perplessità sulla sua svolta ultra-romantica, ma debbo dire che cammin facendo mi ha sostanzialmente convinto, e anzi, la sua "Tango" va considerata opera di notevole caratura, un mix riuscitissimo fra atmosfere retrò e poetica assolutamente in linea col linguaggio della generazione X. E, ebbene sì, pure Lazza ha stilemi di classicismo. Fateci caso: il suo pezzo, pur con quell'arrangiamento ipertecnologico, ha un'impalcatura strettamente fedele ai canoni compositivi più consolidati, con quasi tutte le energie concentrate su un inciso ficcante, ben congegnato, destinato a rimanere. 

FORTE INTROSPEZIONE - Seconda linea di tendenza: il lirismo introspettivo. Tante proposte, come mai in passato, che hanno portato on stage il vissuto dei cantanti, un vissuto quasi sempre drammatico, in certi casi non ancora del tutto risolto. Da Grignani ai Modà, dai Coma_Cose a Levante, dagli Articolo 31 allo stesso Mr. Rain e ad altri ancora, pur se in termini più sfumati. Nessuna furberia ma, anzi, si è percepito più realismo, più contatto con la vita vera, meno costruzioni a tavolino per lisciare il pelo ai compratori di dischi e ai... downloadatori. Chi sostiene che Sanremo viva in un mondo parallelo non sa quel che dice e, anzi, è forse lui stesso fuori dal mondo; casomai, sorprende trovare adesso questa necessità di mettersi a nudo, quando me la sarei aspettata maggiormente negli anni bui del lockdown e della pandemia, ma tant'è. 

MADAME, IL FUTURO - La classifica finale, come sempre del resto, ha penalizzato ingiustamente alcuni personaggi usciti comunque ingigantiti da questa esperienza. Madame meritava di entrare nei Top five, ieri sera è stata accolta con enorme calore e una lunga ovazione finale dal pubblico, portandola alla commozione. Ovazione meritata, per la perfezione della sua performance e per la qualità di "Il bene nel male": brano superiore alla pur bella "Voce" del 2021, con un refrain ossessivo che, paradossalmente, può persino nuocere al tutto, perché finisce per oscurare la pregevole, ricca varietà di scrittura e di struttura della canzone (anche con tracce ritmiche che rimandano ai Daft Punk, come detto nei giorni scorsi), lontana anni luce dalla prevedibilità e impreziosita dalla voce particolarissima di una cantautrice che ha le stimmate della fuoriclasse. Confermatisi su eccellenti livelli anche Colapesce e Dimartino, con una "Splash", lo ribadisco, che mi è parsa perfino più rigorosa del tormentone "Musica leggerissima", meno incline alla facile presa e più di stampo autorale ma comunque efficace, in cui elettronica e sound settantiano si fondono per creare quegli effetti evocativi che sono ormai il marchio di fabbrica del duo. 

BEL RITORNO DEI  MODA' - E ancora: meritavano di più i Modà, ricomparsi sui medesimi, ottimi standard sciorinati prima dell'eclissamento, uno stile unico, riconoscibilissimo, esaltato dal trasporto vocale di un Kekko fragile e forte allo stesso tempo. E forse proprio questa lunga assenza ha precluso alla band il raggiungimento di posizioni più elevate, perché la freschezza della loro proposta è intatta. E' cresciuta alla distanza Giorgia, la cui canzone ha il limite di non arrivare subito anche se poi, alla fine, il ritornello ti si appiccica addosso. "Parole dette male" è una produzione che avrebbe trovato forse più fortuna nei festival anni Novanta (ma anche prima: certe parti dell'arrangiamento hanno sapore eighties), non aggiunge molto alla carriera della cantante romana ma ha una sua precisa dignità e una certa raffinatezza, nonché un pregio innegabile: ce l'ha riportata in gara a  Sanremo, dopo un buco nero di ventidue anni (causa stress, come è parso di capire). Ora che ha ripreso confidenza con l'ambiente, speriamo di rivederla presto con un brano da vittoria. Ad ogni modo, poteva stare assolutamente fra i primi cinque come poteva starci Elodie, che è andata sul sicuro dosando sapientemente dance, soul, vocalità di spessore e padronanza assoluta del palco. Tutte proposte migliori, in ogni caso, della delicata "Alba" di Ultimo, con versi di struggente poesia e con l'immancabile esplosione finale, una canzone che tutto sommato emoziona ma che fatica a restare nelle orecchie, manderà in sollucchero lo zoccolo duro ma non era all'altezza, secondo me, di giocarsi il podio. 

COMA_COSE E LEO: PROMOSSI - Pollice in su anche per gli innamoratissimi Coma_Cose, con una ballad intimista, più riflessiva e meno gioiosa di "Fiamme negli occhi" e con una messa in scena da consumati professionisti dei palchi. E mi è piaciuto anche Leo Gassman, certo valorizzato dalla buona vena di Zanotti dei Pinguini, ma che da parte sua ha saputo rendere al meglio l'articolata costruzione di "Terzo cuore", fra parti sussurrate ed altre declamate a ugola spiegata, quindi con salti di tonalità non semplici. Tutto sommato da promuovere Rosa Chemical, più per il coraggio nel riscoprire sonorità agée che rimandano addirittura agli anni Trenta, che per lo spirito fortemente trasgressivo, che ci sta tutto anche se raggiunge alcuni picchi francamente evitabili, per questioni di buon gusto. La fluidità e la libertà sessuale si possono portare avanti anche con moderazione, e nel caso specifico erano più che espliciti il testo di "Made in Italy", che funzionerà in radio, e il look dell'artista: tutto il resto è inutile sovrastruttura. 

CHI SI SALVA FRA I GIOVANI - Del problema emergenti abbiamo già ampiamente parlato in questi giorni. I ragazzi di Sanremo Giovani hanno quasi totalmente steccato, e certo non li ha aiutati una collocazione in scaletta quasi sempre ad ora tardissima. Salvo comunque il pop adolescenziale di Gianmaria, le acrobazie vocali, con e senza autotune, di Olly, e il mood da boy band nineties dei Colla Zio, peraltro ieri artefici di una prestazione mediocre. Shari è parsa più credibile di serata in serata, la malinconica "Egoista" non è nulla di nuovo ma ha una buona intensità e cantabilità, e quella voce un po' da "maschiaccio" può diventare un tratto distintivo; da rivedere il brioso Sethu e Will, quest'ultimo fra i cantanti che meno mi ha impressionato, assieme a LDA, con una proposta che scorre via senza lasciare grosse tracce, e a una Mara Sattei di cui alla vigilia si dicevano mirabilie ma che ha rischiato poco con un brano tradizionale ma senza particolari slanci che possano farlo ricordare. Pur senza strafare, ha invece portato a casa la pagnotta Ariete, col suo giovanilismo acqua e sapone da diario scolastico. 

GLI OVER 70: E' PROPRIO NECESSARIO? - Cosa rimarrà, per il resto, dell'interminabile finalissima? La magia creata in teatro dai Depeche Mode conferma, e non mi stancherò mai di ricordarlo, quanto sia importante per il Festival recuperare in futuro una congrua appendice internazionale. Discorso diverso per le ospitate degli over 70 nostrani. A rischio di apparire impopolare e, in qualche misura, cinico, arrivo a dire che c'è un tempo per tutto: gli evergreen emozionano sempre, ma le luci dei telefonini (come gli accendini in passato) si illuminerebbero anche se venissero mandate in onda le canzoni in playback. Voglio dire, nessuno nega la storicità di certi grandi artisti e del loro repertorio, ma a me personalmente non fa piacere, e anzi fa decisamente male, vedere questi mostri sacri arrancare sul palco con enormi difficoltà e, in certi casi, sproloquiare come è naturale a una certa età. No, non è stato un bello spettacolo, con la luminosa eccezione del trio prezzemolino Al Bano-Morandi-Ranieri, e pur considerando il fatto che la prova di Ornella Vanoni sia stata comunque apprezzabilissima: già il criterio di puntare, per gli ospiti italiani, solo sui super veterani è stato parzialmente tradito; se proprio lo si deve fare, che vengano scelti adeguatamente, usando più la testa e meno il cuore, cercando chi è ancora in grado di reggere l'impegno. Peppino Di Capri, persona che conserva una straordinaria lucidità, lo ha detto chiaramente, pur fra le righe, due sere fa: si aspettava questa chiamata e questa celebrazione ben prima, forse quando avrebbe potuto regalare al pubblico un recital ancora di alto livello. 

TUTTI (O QUASI) A SANREMO - Più in generale, una ulteriore annotazione sul format attuale della rassegna, i cui punti deboli ho evidenziato nelle scorse "puntate". In cinque sere, sono transitati sui tre palchi, fra gareggianti, duettanti e ospiti, circa settanta, e sottolineo settanta, artisti italiani. Ecco perché, ogni anno, le richieste di ammissione al concorso sono innumerevoli, e sempre più rari i musi lunghi per le tante forzate esclusioni in fase di selezione. Il Sanremo degli anni Venti garantisce comunque una larghissima partecipazione dei cantanti di casa nostra. Ovvio che una situazione del genere rappresenti l'ideale per tutti, in primis per l'industria discografica e tutti coloro che vi lavorano. Almeno fino a quando, come scritto ieri, vendite, streaming e audience continueranno a girare a mille. 

E LA PACE? - Il messaggio di Zelensky ha detto esattamente ciò che ci si aspettava: uniti verso la vittoria. E ribadisco che nulla di diverso poteva dire, il presidente ucraino fa esattamente ciò che deve fare e che chiunque farebbe al suo posto. Confermo però la mia amarezza per il fatto che il Festival, contenitore di molteplici istanze e proclami, persino per l'arruolamento nell'aeronautica (!) come accaduto ieri in apertura di finale, non ha pronunciato quasi nessuna parola per la pace, a parte il "No war" sul retro della camicia di Grignani, iniziativa isolata, da vera rockstar ribelle, ma francamente insufficiente. 

MASCHILISMO? - Dispiace, infine, l'assenza di voci femminili nel quintetto finale. Anche qui, ripeto quanto scritto poco sopra: potevano entrarci, senza scandalo, Madame soprattutto, poi Elodie e Giorgia, così come han fatto buonissima figura Levante e Paola e Chiara, con pezzi vigorosi ed energici che avranno lunga vita lontano dalla Riviera ligure. Già è montata la polemica, lo stesso Mengoni in sede di premiazione ha manifestato un certo disagio nel non vedere colleghe al suo fianco, ma le accuse di maschilismo mi sembrano onestamente esagerate: il cast dei concorrenti ha annoverato una decina di donne, ce n'erano grosso modo altrettante fra i "duettanti" del venerdì, tre fra gli ospiti (Vanoni, Annalisa, Rappresentante di Lista); a buon peso, la schieramento imponente delle co-presentatrici e quasi tutti gli invitati non cantanti in promozione televisiva: Elena Sofia Ricci, Carolina Crescentini coi ragazzi di Mare Fuori, Rocio Munoz Morales e ieri Luisa Ranieri. Amadeus ha la coscienza a posto, dopodiché, per la gara, decidono le giurie, che però non mi pare abbiano votato in maniera scandalosa: quasi tutti quelli che sono arrivati davanti meritano di essere lì, fra le ragazze solo Madame aveva un brano veramente da medaglia d'oro. A tal proposito, nel 2024 saranno dieci anni dall'ultima vittoria "in rosa", quella di Arisa nel 2014. Potrebbe essere l'occasione per chiudere il cerchio. Un nome? Annalisa. 

sabato 11 febbraio 2023

SANREMO 2023, LA SERATA COVER: FRA FURBERIE E RICERCA DALL'APPLAUSO FACILE, SI FA APPREZZARE CHI RISCHIA, E VINCE GIUSTAMENTE IL VIRTUOSO MENGONI. PASSAPORTO PER IL TRIONFO?


 La serata sanremese delle cover è ormai diventata la fiera dei furbetti. Senza ritegno, o quasi. Un'orgia di citazioni e autocitazioni, medley e pout pourri, compilation in stile Migliori anni o Arena Suzuki. Cosa tutto questo c'entri con la gara d'inediti che è il pilastro fondante del Festival, ancora non sono riuscito a capirlo. Probabilmente perché non c'entra proprio nulla, e sarà sempre troppo tardi quando questo evento nell'evento verrà ripensato e ristrutturato su basi diverse e più aderenti all'idea da cui nacque il tutto, ossia un'occasione per mettere alla prova gli artisti in concorso con pezzi non del loro repertorio, da scegliere però secondo criteri rigorosi e senza percorrere facili autostrade per migliorare la propria posizione in classifica, strizzando l'occhio ai classici più amati, gettonati, inflazionati. Già l'anno scorso ci aveva provato Morandi e gli era andata più che bene, grazie all'appoggio dell'amico Jovanotti, ma questa volta si è letteralmente debordato. 

GLI AUTOMEDLEY - Senza vergogna, appunto. Il greatest hits di Ramazzotti, quello di Antonacci e quello di Edoardo Bennato, l'automedley degli Articolo 31 e di Paola e Chiara. Stesso discorso per la Oxa con "Un'emozione da poco" e per Grignani, ma in quest'ultimo caso il gioco non è riuscito perché la povera Arisa, pur impegnandosi allo stremo, non è riuscita a stare dietro alle spericolatezze esecutive del collega. Più accettabile, ma siamo proprio al limite, lo scambio di gemme canore fra Giorgia ed Elisa, nel ricordo della splendida accoppiata di canzoni piazzatasi in testa al Sanremo 2001, uniche gemme di un'edizione che fu grigia e piatta sotto molti punti di vista. E tollerabili, tutto sommato, gli omaggi che alcuni concorrenti hanno riservato ai loro ospiti, limitandosi però a una singola hit (ad esempio, i Modà con "Vieni da me" delle Vibrazioni), ma il vero spirito originario del format era un altro, e per fortuna qualcuno riesce ancora a recepirlo senza cedere alle scorciatoie e al facile applauso.

VIVA I CORAGGIOSI - Così, è stato in fin dei conti sacrosanto che a vincere, consolidando la sua posizione di leader, sia stato Marco Mengoni che, col Kingdom Choir, ha fornito una superba rivisitazione vocale di Let it be, pietra miliare del pop internazionale. E meritano l'elogio pieno quelli che si sono incamminati sullo stesso, arduo sentiero, pur compiendo le più disparate scelte artistiche. Coraggiosa, ad esempio, la rilettura in chiave rap moderno dell'eterna "La notte vola" di Lorella Cuccarini, di grande impatto sonoro e scenico "American woman" a cura di Elodie e dell'emergente BigMama, che avevo apprezzato in una sua ospitata nella trasmissione mattutina di Luca Barbarossa. 

POLLICE IN SU PER LAZZA E GIANMARIA - Giustamente premiato anche Lazza, che con spirito giovane e anticonformista ha scelto un successo relativamente recente ma non ancora entrato nel novero degli evergreen italiani, "La fine" di Nesli, in una impeccabile e intensa interpretazione accanto a una sempre ottima Emma e alla violinista Laura Marzadori. Ecco, è questo il tipo di cover che vorrei sempre ascoltare, se proprio questa serata "né carne né pesce" deve continuare ad esistere. Da salvare anche il duetto, carico di suggestione, fra Gianmaria e Manuel Agnelli in "Quello che non c'è", e l'arricchimento testuale operato da Mr. Rain, in collaborazione con Fasma, su "C'è qualcosa di grande". Apprezzabile Madame per la coerenza nelle scelte artistiche e per una maturità "on stage" sempre più spiccata, oltre a uno stile ormai riconoscibilissimo, ma in "Via del campo" avrebbe potuto tranquillamente fare a meno di Izi, che non ha portato alcun valore aggiunto. 

NULLA DI MEMORABILE - Per il resto, poco da segnalare, con molte cover costruite all'insegna della prudenza e della misura, penso a "Sarà perché ti amo" by Coma_Cose e Baustelle, o "Azzurro" di Colapesce-Dimartino con la presenza sommessa e discreta di Carla Bruni. Nulla che mi abbia particolarmente colpito, se non, in negativo, il vuoto di memoria di Ramazzotti nel cantare alcuni versi di una delle sue maggiori hit, "Un'emozione per sempre". E' un peccato perché, come già sottolineato ieri, il cast messo insieme da Amadeus e dalle case discografiche per l'occasione è stato di livello assoluto, una sezione Big parallela a quella ufficiale, che non a caso ha sbancato l'Auditel oltre ogni aspettativa, pur marciando, in buona sostanza, col pilota automatico innestato. Cosa potrebbe diventare, un happening del genere, se venisse impostato in maniera più rigorosa, relativamente al bacino in cui pescare i pezzi da coverizzare e ai criteri da seguire in queste rivisitazioni? Temo non lo sapremo mai perché ormai il canovaccio è questo, e tale rimarrà fino a quando l'attuale direttore artistico resterà in carica. Anche qui, poca voglia di rischiare da parte di "Ama", che però perdoniamo perché i suoi rischi se li è invece ampiamente presi nella scelta dei cantanti in concorso. Tornando al cast di ieri, chissà che la presenza sul palco non sia il prologo a un prossimo debutto o ritorno alla competizione, parlo di Baustelle e Bennato così come di Antonacci e di Eros. Idea meno pazza di quanto si possa pensare. 

FRANCINI, UN'OPZIONE PER IL FUTURO - E il resto della "quarta puntata"? C'è stato il recupero dell'omaggio a Peppino Di Capri, saltato il giorno precedente. Un Peppino non in forma smagliante (più che normale, vista l'età) ma ancora brillante e pronto alla battuta, con la salace sottolineatura della lunga attesa per un premio che, senza falsa modestia, riteneva giustamente di meritare da tempo. Peppino è un grandissimo della canzone italiana, un totem: se ne avesse avute le possibilità vocali, avrebbe meritato uno spazio ben più ampio, per un minishow come quello riservato ai veterani che l'hanno preceduto su quel palco in settimana. Chiara Francini ha vinto la sfida a distanza con le altre co-presentatrici: sinuosa erede delle italiche maggiorate anni Cinquanta, ha sfoderato le sue armi migliori, quelle della professionalità, dell'ironia e del piglio attoriale, ma anche della capacità di cambiare registro, con quel superbo monologo sulla maternità mancata e/o dilazionata. Da prendere seriamente in considerazione per conduzioni future del festivalone anche da principale padrona di casa, lei come altre autorevoli candidate donne, in primis Serena Rossi, ma anche Andrea Delogu. 

Ora non resta che attendere la chiusura della gara: non credo ci saranno enormi sconvolgimenti, Madame forse guadagnerà qualche posizione, Lazza si consoliderà perché è la realtà nuova di maggior spessore uscita da questo Sanremo 73 (del resto le classifiche di vendita non mentono, quando la messe di successi e allori è così imponente come quella raccolta dal ragazzo nei mesi scorsi), ma saranno dettagli. Si gioca tutto fra Mengoni e un Ultimo poderosamente sospinto dal voto popolare ma la cui canzone, a mio parere, non ha il piglio immediato e le stimmate di gioiello contemporaneo di quella del fiero rivale, in assoluto stato di grazia. Ecco, la mia preferenza l'ho espressa e ribadita, ma tutto può accadere. 


venerdì 10 febbraio 2023

SANREMO 2023, LA TERZA SERATA: LUNGHEZZA DEVASTANTE E PARENTESI EVITABILI MORTIFICANO LO SPETTACOLO. ULTIMO A CACCIA DEL PRIMATO, MA IL MIGLIORE E' MENGONI


Negli anni passati sono sempre stato un fautore, e il blog me ne è testimone, del progressivo aumento del numero di Big da ammettere alla tenzone sanremese. E sono ancora favorevole a un cast di concorrenti che sia il più ampio possibile, ma non a queste condizioni. I 28 partecipanti del 2023 sono tanti, ma non tantissimi, se andiamo a vedere la storia della rassegna. Rappresentano però un’enormità insostenibile per uno show con il format adottato e istituzionalizzato da Amadeus. Uno show dilatato all’inverosimile, con sovrastrutture extra gara di dubbia o nulla utilità. Una maratona che impedisce di apprezzare al meglio pregi e difetti dei brani in concorso, e che, credo, produce più scontenti che contenti, anche fra chi del carrozzone festivaliero è protagonista. Non parlo solo dei cantanti: il siparietto comico-promozionale di Alessandro Siani relegato alle soglie delle due di notte è ai limiti dell’offensivo, così come denota scarso tatto l’omaggio a Burt Bacharach anch'esso in orario da vampiri. 

POCO RISPETTO - E’ un andazzo poco rispettoso anche di chi viene dopo in palinsesto, ossia del dopofestival, di cui Fiorello sta offrendo una versione riuscitissima, divertente e gradevole, fra le migliori di sempre, che meriterebbe una collocazione più a portata di essere umano. Poi, certo, c’è Raiplay, c’è la possibilità di rivedere con calma il tutto o solo le parti che interessano, ma c’è anche chi, per esigenze personali, avrebbe piacere e necessità di gustarsi lo spettacolo solo in presa diretta, come ai vecchi tempi. Capisco anche che tale formula trovi giustificazione nelle dinamiche legate all'Auditel e agli spazi promozionali, tuttavia la macchina Festival ha incassato molto e fatto registrare ottimi ascolti anche in versioni più snelle nella durata e nei contenuti. 

AFFONDANO LE NUOVE PROPOSTE - Era una premessa doverosa, perché l’allungamento del brodo, è evidente, nuoce soprattutto a chi il Sanremone lo interpreta ancora secondo lo spirito originario dell’evento, ossia vetrina per far conoscere la propria nuova produzione canora. E Amadeus, così abile a rinnovare il volto musicale della kermesse, dando ampio spazio alle nuove tendenze giovanili e ad artisti emergenti che fino a un lustro fa godevano di scarsissima visibilità, non deve commettere questo clamoroso autogol, castrando lo splendido lavoro da lui stesso compiuto. In quest’ottica, va presa nella massima considerazione, da parte della direzione artistica, la classifica provvisoria scaturita dalla terza serata, che vede nelle posizioni di coda quasi tutti i ragazzi usciti dall'ultima edizione di Sanremo Giovani. Si può disquisire all'infinito sul talento in possesso di questi virgulti, e solo il tempo dirà quanto e se valgano realmente, ma si conferma quanto in molti, me compreso, sostengono dal momento in cui "Ama" ha scelto di ripristinare la formula del girone unico, in cui innestare i migliori "pulcini" prodotti dal vivaio festivaliero. 

I vari Olly e Sethu rischiano di venir cannibalizzati e sommersi, musicalmente e mediaticamente, dall'ampia schiera di veri big con cui sono chiamati a confrontarsi. Casi come quello di Mahmood, o per andare più indietro nel tempo di Giorgia o di Gigliola Cinquetti, vengono ricordati da tutti proprio perché sono episodi più unici che rari. Buttare subito allo sbaraglio degli esordienti privi della perizia professionale e della malizia dei colleghi "adulti", li può aiutare a crescere sul lungo periodo ma, sul momento, non produce risultati apprezzabili e ne rende quasi invisibile la presenza sulla ribalta più prestigiosa, relegandoli in una sorta di limbo. Torno a ripetere: sarà inevitabile, nei prossimi anni, il ripristino della categoria Nuove Proposte, che faccia corsa a sé anche a febbraio e non solo nella selezione autunnale. Se ne parlerà semmai con la nuova direzione artistica: difficilmente Amadeus tornerà indietro, ma per il suo Sanremo 2024 lo inviterei comunque a ridurre il contingente di giovani da immettere nel listone unificato: sei sono davvero troppi, soprattutto se, come quest'anno, si dimostrano quasi tutti estremamente acerbi. 

OCCHIO A ULTIMO, SPALLEGGIATO DA EROS - A proposito di classifica, le sorprese non sono mancate, e altre ne potrebbero arrivare da qui a sabato notte. Perché fino a metà della serata di ieri Mengoni pareva destinato a una placida navigazione verso la medaglia d'oro, con tanto di standing ovation del pubblico di fronte all'ennesima prova vocale superlativa. Poi, però, l'entrata in scena delle giurie popolari ha parzialmente sparigliato le carte. Ieri avevo pronosticato una ovvia crescita dei consensi per Modà, Giorgia e Ultimo. L'impresa non è riuscita ai primi due, mentre l'artista romano riempi-stadi ha compiuto un enorme balzo in avanti. "Alba" è una canzone old style, che evidenzia l'ottima vena poetica del ragazzo (sicuramente il miglior cantautore dell'ultima generazione) innestata su una melodia tradizionale con crescendo e lungo finale a pieni polmoni, per uno di quei pezzi che, da sempre, fanno "venire giù" il teatro; ma l'impatto non è immediatamente coinvolgente. Probabile che il duello finale per il trionfo sia proprio fra il polemico secondo dell'edizione 2019 e il sopracitato Mengoni, che però al momento si fa comunque preferire, perché nel suo "Due vite" riesce a sposare classicismo della canzone all'italiana e modernità nella struttura dell'opera. Peseranno, purtroppo, anche le cover di questa sera, che nulla dovrebbero avere a che fare con una gara di inediti, ma tant'è. Qui Ultimo ha giocato pesante, schierando nientepopodimeno che Eros Ramazzotti (che la sua presenza sia il preludio a un prossimo ritorno in competizione, nome boom per l'ultimo Sanremo di Amadeus?), mentre Marco punta "semplicemente" su un coro gospel e per prevalere dovrà fornire una performance di altissimo livello, impresa peraltro nelle sue corde. 

DA MADAME A LEO, SPICCANO LE SCOPERTE DI "AMA" - Il secondo ascolto live permette di esprimere pareri un tantino più approfonditi sul pacchetto-canzoni di questo 73esimo festivalone: conferma per il pregio delle proposte di Colapesce-Dimartino e Madame, che possono piazzarsi ma non vincere e che comunque troveranno ampia soddisfazione fuori dall'Ariston, in crescita la trascinante Levante col suo inno alla positività e alla gioia erotica, orami assestatisi su buonissimi livelli i Coma_Cose, con la... seconda puntata, più sofferta, introspettiva e meno solare, di "Fiamme negli occhi" del 2021 e con il valore aggiunto di una performance ben congegnata, con tratti di studiata teatralità. Di ottimo piglio radiofonico il "Terzo cuore" griffato Zanotti dei Pinguini, con un Leo Gassman che si destreggia in un cantato non facile, passando dal sussurrato all'improvvisa esplosione di una voce nitida e promettente. Sempre più credibile Tananai, che, come scritto, ieri, mi ha spiazzato con questa virata verso il totally romantic, ma che nella sua ballad mischia con perizia linguaggio giovane, ruvido e moderno con uno stile musicale agé. E fra le nuove leve più interessanti, ci sta il tocco di colore e di (moderatissima) trasgressione di Rosa Chemical, che sconterà forse il fatto di arrivare all'Ariston dopo Achille Lauro ma che in compenso ha fra le mani un potenziale tormentone che,  oltretutto, omaggia generi musicali più di nicchia e d'antan come lo swing anni Trenta, ed è fra i pochissimi a farlo. 

CRESCONO I CUGINI, LAZZA DA PLATINO - Assolutamente sul pezzo Paola e Chiara, che hanno ritrovato intatta la loro attitudine dancereccia alla base di tanti successi in curriculum, con una vaga vena malinconica subito spazzata via dalla voglia di vita e di divertimento, in linea con il messaggio al centro di "Furore", evocativa fin dal titolo. Abile, furbetto e orecchiabilissimo Mr. Rain con suo coro di fanciulli, un'operazione che però non credevo potesse colpire così tanto tutte le giurie e che perciò rappresenta una pericolosa mina vagante per i favoriti, persino con possibilità di podio. Elodie con pilota automatico (giustamente continua a sfruttare il filone che  ne ha decretato il boom, nulla di male) e destinata a ottimi riscontri di streaming e vendite, così come Lazza, ultracontemporaneo con un brano dall'impalcatura tradizionale (il refrain è assolutamente centrale per il funzionamento del tutto) ma con versi da "Z generation" e arrangiamento ipnotico, con quelle voci distorte che sottolineano varie parti del pezzo (Dardust se ne inventa sempre una e, diciamolo, non sbaglia un colpo). Tutto sommato, non sembra male nemmeno il nostalgico viaggio fra Settanta e Novanta che La Rappresentante di Lista ha confezionato per i Cugini di Campagna, che hanno un Nick Luciani in splendida forma e finalmente un nuovo brano da inserire in un repertorio da troppo tempo statico. 

L'INTENSITA' DI GRIGNANI - Lentamente, migliora il livello vocale di Grignani, che ha difficoltà ma, ricordiamolo, in ambito live non è mai stato impeccabile, e nemmeno doveva esserlo visto il tipo di produzione, sofferta e vissuta, che da sempre rappresenta il fiore all'occhiello fra le tante sue opere. "Quando ti manca il fiato" sta emergendo come una signora canzone, con un testo profondo e intenso, una orchestrazione forse troppo pomposa ma una interpretazione drammatica, sentita fin dentro l'anima, che sta facendo breccia nel cuore di chi ascolta. E, al di fuori dell'aspetto artistico, apprezzabile anche la scritta "No war"  mostrata sulla schiena in chiusura di esibizione, un grido che, fra mille istanze, finora si è sentito troppo poco in questo Festival e in altre trasmissioni tv schierate in prima linea. 

CHI SI SALVA FRA I GIOVANI - Tornando ai giovani, tallone d'Achille di questa kermesse, da salvare comunque l'orecchiabilità acqua e sapone di Ariete e, riguardo al vivaio sanremese, il mood adolescenziale di Gianmaria, nonché il curioso stile dei Colla Zio, che tentano di riportare in auge sound e movenze sceniche delle boy band anni Novanta. Non male anche le acrobazie vocali, con e senza autotune, di Olly, che si arrampica sulle note di un brano al passo coi tempi ma anche sottilmente retrò, nella citazione dei Coldplay. Rimane però il discorso di fondo: tutti questi artisti in erba avrebbero avuto migliore visibilità gareggiando in una categoria su misura, quella categoria che, dagli anni Ottanta in poi, ha contribuito massicciamente al rilancio grandioso di un Festival reduce da una profondissima crisi, e che non può essere rottamata senza rimpianti, se i risultati sono questi. 

BRAVA ANNALISA, BRAVISSIMA EGONU - Poco altro ha lasciato la serata, a conferma di quanto le sovrastrutture siano in larga parte superflue. Di prestigio, ma ripetitiva, l'ennesima ospitata dei Maneskin, fuori luogo la promozione della nuova canzone di Ranieri: per lui vale lo stesso discorso fatto per Blanco, ebbene sì. Splendida la performance esterna di Annalisa, che ha cantato dal vivo il suo ormai stranoto successo autunnale e che aspettiamo in concorso l'anno prossimo, per puntare finalmente alla vittoria e alla definitiva consacrazione. Detto dell'ingiusta collocazione di Siani a notte fonda, Paola Egonu ha sfruttato con intelligenza la sua co-conduzione. Discretamente a suo agio pur se eccessivamente legata al gobbo, comunque spigliata, affascinante e sensuale oltre le aspettative, ha saputo anche affrontare con saggezza tutte le polemiche che hanno accompagnato le sue recenti esternazioni. Una delicatezza e un'eleganza, nel suo intervento, che avrebbero dovuto accompagnare anche certi infelici monologhi degli anni passati. Meglio on stage la Paola, dunque, che in conferenza stampa: perché nessuno nega che in Italia ci sia razzismo, anzi, ci sono sacche di intolleranza odiose e inaccettabili, purtroppo tollerate anche ad alti livelli. Ma l'invito è a non considerare gli ultras degli stadi e dei palazzetti, o i minus habens dei social, come cartina tornasole della società nazionale: lì c'è il peggio del peggio, c'è la cloaca, ma è solo uno spaccato, pur se reale, della nostra società, che ha anche tanti comparti di solidarietà, accoglienza, apertura, vicinanza, così come le scuole multietniche di oggi promettono un'Italia ancora più libera e vivibile, nonostante i residui di somma ignoranza. 

PER I DUETTI UN CAST DA URLO - Tornando allo spettacolo, la serata delle cover, tradizionalmente abbastanza fiacca e quasi mai memorabile, questa volta potrebbe essere più vivace del solito. Il cartellone messo insieme è di primissimo livello: abbiamo detto di Ramazzotti, ma ci sarà anche Edoardo Bennato, tornerà Elisa, e poi ancora Arisa, Emma, Baustelle, Fasma, Ditonellapiaga, Paolo Vallesi, Alex Britti, Sangiovanni (già visto ieri nel gustoso duetto con Morandi, foriero di sviluppi futuri), Zarrillo, Cuccarini e altri ancora. In pratica un lussuoso cast parallelo, con Big che potevano essere in concorso e che, verosimilmente, torneranno a esserlo presto.