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giovedì 31 gennaio 2013

BALOTELLI AL MILAN: PIU' CALCIO CHE POLITICA, E L'AZZURRO SI GIOCA IL FUTURO


Ok, la sparo grossa: il ritorno di Balotelli in Italia è un fatto puramente calcistico, e come tale, con uno sguardo tecnico, soltanto tecnico, dovrebbe essere valutato. Ingenuo, vero? Certo, può apparire da sempliciotti, o nella migliore delle ipotesi da raffinati anticonformisti, fare una riflessione del genere in giorni in cui anche il sito del più importante quotidiano sportivo nazionale, ahimè, si divertente a pubblicare la mappa dei locali in cui sarà possibile trovare Supermario, nelle notti milanesi prossime venture. Tristezza assoluta. E ancora più triste è constatare come quello che è, in definitiva, un colossale colpo di mercato debba essere letto attraverso la lente deformante della politica. 
SUPERMARIO E LE ELEZIONI - Certo, tutto ciò è frutto della celeberrima "anomalia italiana" degli ultimi vent'anni, o giù di lì: dei ruoli sovrapposti o sovrapponibili, dei conflitti d'interesse, del calcio e dello spettacolo che si mischiano con gli affari istituzionali. Ma è anche il prodotto di una certa miopia giornalistica, e di una sottovalutazione dell'intelligenza del popolo italiano. Balotelli astuta mossa elettorale del Cavaliere? Sarà, ma: 1) In termini di consenso, per un popolo maturo e civile ha più peso l'acquisto di un campione (ancora potenziale, se ne parlerà più avanti), o, per dirne una, la figuraccia internazionale del leader del Pdl nel Giorno della Memoria? 2) Berlusconi ti compra l'attaccante azzurro e tu lo voti alle elezioni? Poteva funzionare così qualche anno fa, e anche su questo ho i miei dubbi, ma oggi, con la crisi, con le difficoltà ad arrivare a fine mese, con il lavoro che manca, con la politica screditata da se stessa ogni giorno di più, siamo sicuri che l'italiano medio, nelle sue scelte in cabina elettorale, possa lasciarsi guidare dai movimenti di calciomercato? 3) Ok, anche se l'italiano medio fosse così superficiale (eufemismo) da decidere le future sorti del Paese in base a certi exploit calcistici, facciamo due conti: Balotelli è andato al Milan, e non tutta la popolazione italiana tifa Milan, anzi, secondo le barbare regole del tifo nostrano, chi non tifa Milan è probabile che odi (calcisticamente) i rossoneri e tutto ciò che li riguarda; nemmeno in Lombardia e a Milano tutti tifano per il Diavolo, e vale lo stesso concetto espresso prima per l'Italia nel suo complesso; dulcis in fundo, non è detto che tutti i milanisti votino Pdl a prescindere. Ergo, quanti consensi può davvero portare una mossa del genere? Io non voglio credere che nell'Italia del 2013 l'esito delle elezioni possa decidersi su questi criteri. 
BALO COME CASSANO? SPERIAMO DI NO... - E allora, parliamo di calcio che è meglio. Personalmente, sono sempre stato convinto che solo un ritorno in Italia avrebbe consentito a Balotelli la conquista definitiva di una dimensione da fuoriclasse autentico, cioè la dimensione che, per talento e incisività, dovrebbe appartenergli. Poi, la storia ci ha insegnato che, per toccare i più alti vertici di sapienza calcistica, non è necessario essere dei lord come Pelè o come Messi. Chi spera che, in questa sua nuova avventura, l'ex City possa diventare un ragazzo tutto casa e allenamenti, è verosimilmente un illuso. 
Esistono le vie di mezzo, ecco: Balotelli è fondamentalmente un immaturo che non ha ancora capito come si sta al mondo: avvicinarsi a casa, ed entrare a far parte di un club in cui, piaccia o meno, il rispetto delle regole, l'educazione, la correttezza negli atteggiamenti, la buona "immagine" da fornire ai media sono sempre stati dei must, dei valori importanti quanto le coppe da mettere in bacheca (non che per le altre società non lo sia, ma il Milan berlusconiano ha sempre battuto moltissimo su questo tasto), dovrebbe consentirgli di appropriarsi di uno standard comportamentale più adeguato. Anche perché sa di non poter davvero più sbagliare: non sono convinto del fatto che per uno come lui sarà sempre possibile trovare un lauto ingaggio e una piazza importante, nel caso andasse male anche in rossonero. Se tiri la corda troppo a lungo, poi si spezza, a meno che tu non sia Maradona (e il nostro Marione non lo è). Guardate Cassano: tanto ha detto, tanto ha fatto e strafatto, che alla fine per ricrearsi una (parziale) verginità è dovuto ripartire dalla Sampdoria, che, con tutto il rispetto, non era certo un club di prima fascia, nemmeno nella versione dell'epoca, più scintillante di quella attuale.

                                    El Shaarawy: può diventare la chioccia di Mario

RISCHIO CALCOLATO - Ecco, ultima occasione o quasi. E il problema, è chiaro, è tutto nell'educazione alla vita. Poi, come si accennava, Balotelli resterà sempre un ragazzone dalla personalità debordante, e mai sarà un signorino "a modino": ma la personalità può essere incanalata in un binario strettamente agonistico, diventando  funzionale al raggiungimento degli obiettivi sul campo, e le spigolature caratteriali si possono smussare: a 22 anni si può, si deve ancora cambiare in meglio. C'è bisogno della sua collaborazione, e c'è bisogno di insegnanti che non si limitino solo alle belle parole, ma che sappiano davvero educare. E' un rischio che vale la pena correre, perché Balotelli non è solo materiale per il gossip: i suoi esordi professionistici, le prime due stagioni e mezzo con l'Inter, furono esplosive, e non stiamo parlando di un secolo fa: nessuna emozione, nessun tremore di gambe davanti agli scafati protagonisti della nostra massima serie, il ragazzo esibì subito strapotere fisico, tecnica di prim'ordine e dispensò gol spesso decisivi. In seguito, solo il suo nuovo "gemello del gol" El Shaarawy è riuscito ad avere un impatto così positivamente devastante all'ingresso nel calcio che conta. Poi, ad un certo punto, si spense la luce, accesasi in seguito solo in occasione delle sue sortite con la maglia della Nazionale. 
CON EL SHAARAWY PER CRESCERE - Dopo un Europeo in crescendo, con la prestazione eccezionale nella semifinale con la Germania, le uniche tracce del vero Balotelli si sono viste proprio in  azzurro: contro la Danimarca, match decisivo sulla strada verso Brasile 2014, e nell'amichevole parmense contro la Francia, ho ammirato un giocatore tatticamente e caratterialmente in crescita, disposto a sacrificarsi per la squadra, a giocare per il collettivo, ad aiutare i compagni mantenendo però buona pericolosità sotto porta. Anche per questo penso che il ritorno in patria potrà fargli bene, in un contesto più accogliente e in mezzo a facce "amiche". E poi nel Milan duetterà con El Shaarawy, una coppia che potrebbe essere l'attacco azzurro ai prossimi Mondiali e chissà per quanto tempo ancora. La vicinanza del Faraone, un altro giovanissimo che però ha saputo bruciare le tappe anche sulle ali della propria mitezza caratteriale e di una assoluta umiltà nel proporsi, potrà essergli di esempio, e potrà servire casomai a contenerne gli eccessi. Il resto, lo ribadisco, dovrà mettercelo lui, il buon Mario, questo colosso dai piedi d'argilla. E' ora di crescere, amico: le macchine e le belle donne sono emozioni senza sostanza autentica e che si dissolvono in fretta, e ben poco rimane se butti via il tuo talento e, in definitiva, la tua vita. 

mercoledì 23 gennaio 2013

LE MIE RECENSIONI: "MAI STATI UNITI"


Alti e bassi della nuova commedia comica all'italiana. Poiché non tutte le ciambelle riescono col buco, dopo "Colpi di fulmine", apprezzabile ancorché non trascendentale, il periodo natalizio da poco trascorso ci ha regalato anche, dello stesso filone, un "Mai stati uniti" che non convince del tutto, e che perde senz'altro il... derby tricolore sotto l'albero col più prestigioso rivale. Non una sconfitta umiliante, intendiamoci: le occasioni per ridere il film di Carlo Vanzina le offre, ma si tratta di una comicità un po' stiracchiata, di certo meno efficace e incisiva. Affidata alle prestazioni individuali più che alla necessaria coralità, che pure avrebbe trovato la strada spianata da una trama tutto sommato ben congegnata, ancorché sviluppata in maniera sostanzialmente piatta e convenzionale: cinque persone che scoprono di essere fratelli soltanto nello studio di un notaio, al momento della lettura del testamento del padre mai conosciuto, e che, per entrare in possesso dell'eredità, devono recarsi negli Stati Uniti per disperdere le ceneri del caro estinto.
SPUNTI INDIVIDUALI - Ecco, l'impressione è che i cinque protagonisti non abbiano trovato l'intesa perfetta, la fusione filmica ideale fra i rispettivi stili recitativi, come una squadra di calcio costruita con grandi nomi ma a cui l'allenatore non riesce a dare il proverbiale amalgama. Ne scaturisce un film riuscito a metà, la cui brillantezza viene affidata più che altro, come detto, agli spunti dei singoli: ma in situazioni come questa le differenze di talento emergono in maniera più netta, e vengono soprattutto messe a nudo le carenze di chi, pur valido, è artisticamente un po' più indietro rispetto agli altri, o magari anche solo a disagio in un habitat a lui non confacente, con la conseguenza che tutta l'opera perde in freschezza e mordente e risulta alterna e disomogenea, fra momenti di indubbia vivacità e bruschi cali qualitativi.
SALEMME VS VERNIA: IL GENOVESE E'... SENZA VELI - Nel dettaglio, agli antipodi risultano le prestazioni di Vincenzo Salemme e Giovanni Vernia: il primo sguazza e svetta in un contesto comunque non eccelso, il secondo risulta spesso un pesce fuor d'acqua, a conferma di come lo stile da cabaret televisivo quasi mai si concili con il grande schermo: una comicità fatta di tormentoni (nel caso specifico, l'imitazione continua e financo ossessiva della voce di De Niro - Amendola), che in questo ambito risulta fine a se stessa e avulsa dalla storia. Una prestazione, quella dell'ingegnere elettronico genovese, che in definitiva passerà alla storia solo per un suo fugace nudo frontale integrale, che peraltro ben poco deve destare scandalo. In proposito mi son sempre chiesto: perché al cinema i nudi totali femminili vengono sempre elargiti con generosità mentre per gli uomini certi particolari devono essere esposti il meno possibile? Riflettendoci è una scelta senza senso logico o artistico, dettata niente più che da un maschilismo retrivo o da un malinteso gusto estetico: in questo caso, almeno Vanzina si mostra un passo avanti, anche se codesto exploit non aggiunge e non toglie alcunché al suo prodotto...
AMBRA E GLI ALTRI - In mezzo ai due estremi, gravitano gli altri tre primattori senza infamia e senza lode, pur non demeritando: tuttavia, Ricky Memphis pare meno "in palla" rispetto ad altre sue prestazioni, Ambra (sempre più bella, va detto) se la cava nel ruolo della giovane donna iper stressata ed esaurita, Anna Foglietta continua a imperversare con la sua coattitudine, questa volta però un po' troppo sopra le righe, eppure unico espediente per "valorizzare" un personaggio di scarsa consistenza: ma la ragazza ha una verve che le permetterebbe di esplorare territori attoriali ben più audaci, peccato. Fornisce una buona prova il giovanissimo Andrea Pittorino (nel film il figlioletto di Memphis), fin troppo disinvolto e sicuro di sé vista l'età (più a suo agio di qualche suo collega adulto, come visto), tutto sommato una variante gradevole in un canovaccio narrativo piuttosto prevedibile, mentre oltremodo malinconico risulta il cameo di un Mario Mattioli non esuberante come in altre circostanze, con un'interpretazione quasi da timbratura del cartellino. Anche l'avventuroso viaggio negli Usa, fulcro della storia, finisce per svilupparsi attorno a canoni triti e già ampiamente esplorati da altre opere simili: dalle situazioni esilaranti scatenate dagli equivoci linguistici, alla fortuna tentata a Las Vegas, passando per le corse in auto attraverso i suggestivi paesaggi americani, con tanto di indiani superstiti, l'inventiva sembra essersi fermata agli anni Ottanta, o giù di lì.
MEDIOCRITA' - Restano dunque alcuni siparietti oggettivamente ben riusciti, sui quali si regge la fragile impalcatura di una pellicola che prometteva di più: le cose migliori arrivano dal duo Salemme - Memphis alle prese con le... impiegate di un bordello scambiate per le figlie di un meccanico, con tutti i divertenti malintesi che ne seguono, dalla Foglietta che dispensa consigli di seduzione "di grana grossa" alla complessata Ambra, e ancora da Memphis ossessionato dal tentativo di fornire al figlio un'immagine vincente di sé, che raggiunge il culmine allorquando si trova coinvolto nella fuga di un rapinatore. Poco più che sufficiente a salvare il film, che resta comunque confinato in un cono d'ombra di aurea mediocrità.

lunedì 21 gennaio 2013

"I MIGLIORI ANNI" E IL RILANCIO DI CANZONISSIMA: UN'OCCASIONE DA NON SPRECARE


Apriti cielo! Dopo anni all'insegna di un sostanziale immobilismo, di un vuoto creativo che aveva portato al logorio di una formula già di per sé non propriamente originale, "I migliori anni" si è ripresentato al pubblico  di Rai Uno in veste rinnovata e persino tentando l'azzardo di una difficile scommessa. Intendiamoci: il new look dell'ormai tradizionale "show-nostalgia" non sarebbe in sé nulla di rivoluzionario, sul piano della costruzione televisiva dello stesso, anzi; però c'è un clamoroso répechage che rappresenta un indubbio atto di coraggio: il ritorno di "Canzonissima". Lo spettacolo di Carlo Conti ruota in effetti attorno a una vera e propria gara fra otto Big della musica italiana, impegnati a proporre una serie di brani evergreen della nostra canzone, con duelli il cui esito viene deciso dal pubblico in teatro e con una giuria esterna chiamata ad aggiungere i propri voti per determinare la classifica finale di ogni puntata. Insomma, una tenzone fra cantanti in piena regola: rispetto al passato, le obsolete cartoline voto sono state sostituite dalle preferenze esprimibili via Internet sul sito della trasmissione.
IL TENTATIVO DI MORANDI - Di un "recupero" dello storico show musicale del sabato sera (e poi della domenica pomeriggio), defunto nel 1975 dopo anni di gloria autentica in cui giunse a rivaleggiare col Festival di Sanremo in termini di popolarità, si parlava invero da parecchio tempo. Nel 2010 parve cosa fatta, e a occuparsi del rilancio sarebbe dovuto essere Gianni Morandi. Poi, ufficialmente per motivi di budget, l'idea venne malinconicamente accantonata. Ma "Canzonissima" è sempre stata il... convitato di pietra della tv italiana in tutti questi decenni. Un marchio leggendario che era stato "pensionato" al primo refolo di vento contrario, uno show cult che diede un contributo decisivo al decollo della Rai, un autentico romanzo popolare che per settimane appassionava e teneva col fiato sospeso schiere di telespettatori. Un format mai dimenticato e tuttavia tremendamente scomodo, perché difficile da rimettere in pista, in un contesto profondamente mutato sul piano dell'estetica "catodica" e dei gusti del pubblico.
COLLOCAZIONE IDEALE - Si è così scelta una strada prudente, di natura sperimentale: ok alla resurrezione di Canzonissima, che però non godrà, per il momento, di vita propria, ma cercherà di riemergere "protetta" dall'insegna, sicura e accogliente, di uno dei format più riusciti dell'ultimo decennio Rai. Del resto, il motto de "I migliori anni" pare essere sempre stato "torniamo all'antico e sarà un progresso", anche se il suo deus ex machina, Carlo Conti, ha sempre negato di ispirarsi a un oltranzismo nostalgico, quanto alla salvaguardia di una certa memoria storica collettiva, benché in operazioni del genere il confine fra questi due... orientamenti ideologici non possa che essere labile e indefinito. In ogni caso, era quella la sede ideale per riportare sul piccolo schermo la leggendaria gara tra cantanti. 
La formula dell'esecuzione di vecchi successi, per la verità, in televisione suona come un déjà vu piuttosto stucchevole. In tutti i varietà, a tutte le ore del giorno, spunta fuori il cantante di turno a intonare un suo cavallo di battaglia o qualche cover, scelta nell'ambito di un repertorio che risulta essere spesso assai limitato, quasi come se la storia della canzone leggera italiana si reggesse solo su quei dieci - venti brani riproposti ad libitum fino alla nausea. Nel caso de "I migliori anni", però, tale scelta programmatica va valutata diversamente, in quanto non fine a se stessa, semplice (e modesta) variazione sul tema di un canovaccio spettacolare che stava cominciando a mostrare la corda, bensì funzionale al rilancio del progetto Canzonissima, progetto che invece, analizzato come "corpo autonomo" rispetto allo show in cui si trova inserito, pare poggiare su solide basi.

                                     Paola e Chiara nel cast de "I migliori anni"

CAST DI QUALITA' - Il cast dei concorrenti è infatti di qualità medio-alta: l'elenco comprende, in rigoroso ordine alfabetico, Alexia, Luca Barbarossa, Karima, Marco Masini, Mietta, Paola e Chiara, Povia ed Enrico Ruggeri. Come si vede, non si è ceduto alla tentazione di mettere in piedi una compagnia di vecchi dinosauri delle sette note, peccato in cui, tanto per dire, troppe volte è caduto anche il Festival di Sanremo in anni recenti. Si tratta in larga parte di artisti di quella "generazione di mezzo" di cui tante volte ho parlato (cantanti emersi e affermatisi fra la fine degli anni Ottanta e durante i Novanta), eccezion fatta per due veterani come Ruggeri e Barbarossa, i cui picchi di successo non risalgono però certo a epoche... antidiluviane, e, sul fronte apposto, per due prodotti della musica italiana anni  Duemila, il contestato Povia e Karima, una fuoriclasse che ancora non ha trovato la giusta consacrazione. Personaggi ben presenti nel cuore della gente, ancora con un senso a livello di mercato discografico, magari in cerca di rilancio ma non certo da rottamare. Nomi di sicuro appeal.
GLI INEDITI - Vecchi successi rivisitati, come detto: televisivamente, lo spettacolo potrà tenere sulla lunga distanza solo se il repertorio di brani sarà più ampio e variegato rispetto alla limitatezza di cui si diceva poco sopra. In tal senso, la prima puntata della sfida ha lasciato qualche speranza, pensando a un pezzo non banale e non ipersfruttato come "Non credere" di Mina, affidato alla sapiente voce di Alexia. L'opportunità, concessa a uno dei Big in ciascuna delle puntate, di presentare al pubblico un inedito (sabato scorso è toccato a Povia) è ciò che più avvicina questo revival alla Canzonissima che fu. Un'occasione di visibilità e di promozione veramente ghiotta per i cantanti. E anche un chiaro messaggio lanciato agli addetti ai lavori: questo esperimento, questa Canzonissima... 2.0, potrebbe tornare molto utile all'industria musicale italiana. 
L'UTILITA' DI UNA NUOVA CANZONISSIMA - Sanremo a parte, le rassegne canore, osteggiate dai più ma in realtà formidabili volani per la crescita del mercato del disco negli anni d'oro, sono oggi quasi del tutto scomparse. Eppure avrebbero ancora una loro utilità, anzi forse più che in passato: la musica in tv ha spazi sempre più esigui, laddove la crisi del mercato necessiterebbe invece di vetrine promozionali sostanziose, sul piano qualitativo e quantitativo. Insomma, una via di mezzo fra l'eccesso di manifestazioni degli anni Sessanta e Ottanta e il quasi nulla attuale dovrà pure esserci, no?
Una gara come quella partita sabato, con gli opportuni aggiustamenti, rappresenterebbe un toccasana per tutto l'ambiente. Quali aggiustamenti? Beh, ad esempio la collocazione a ridosso del Festivalone è penalizzante sul piano strettamente commerciale: i dischi lanciati dagli otto de "I migliori anni" entreranno in concorrenza diretta con quelli che, fra qualche settimana, spiccheranno il volo dall'Ariston.  Ecco perché un progetto come la nuova Canzonissima avrebbe più logica in quella che resta la sua "casella temporale" storica: autunno - inizio inverno, da ottobre a gennaio, per spingere il mercato nel periodo delle festività natalizie. E avrebbe ancor più senso se gli inediti, da un certo momento in poi, diventassero protagonisti assoluti della gara, proprio come avveniva un tempo. Ma per ora è il caso di accontentarsi. L'azzardo di Conti e della sua squadra merita fiducia: a sostenerlo, un'impalcatura spettacolare collaudata e fin troppo tradizionale, come detto all'inizio: dagli ospiti prezzemolino (quel Massimo Ranieri la cui presenza sugli schermi Rai sta entrando in concorrenza con quella di Al Bano, per frequenza di esposizione) alla comicità di Frassica, ferma a vent'anni fa. Elementi triti e ritriti ma che il pubblico generalista del primo canale sembra sempre gradire. 

mercoledì 16 gennaio 2013

GIUSEPPE ROSSI IN... VIOLA: LA SERIE A RITROVA UN CAMPIONE VERO


Il calcio italiano sta per riabbracciare uno dei suoi più grandi campioni, apripista internazionale e portabandiera dei giovani talenti nostrani faticosamente emersi nei primi anni Duemila. La Fiorentina ha riportato in Serie A Giuseppe Rossi, e, al di là delle tante voci, spifferi e indiscrezioni destinate a susseguirsi nei prossimi giorni, e spesso destinate a sfociare nel nulla, quello messo a segno dai toscani resterà uno dei colpi più importanti, se non il più importante in assoluto, del mercato di gennaio 2013. Un'operazione che va al di là del suo significato contingente per il club dei Della Valle, ossia di investimento sul futuro più che di rinforzo per il campionato in corso: Rossi, lo ricordiamo, è tuttora ai box per via di una lesione ai legamenti del ginocchio destro, di tornare in campo se ne parlerà, forse, fra febbraio e marzo, probabilmente troppo tardi per dare un contributo sostanzioso alla rincorsa Champions del team di Montella, ultimamente fattasi un po' più affannosa.  No, il ritorno di Giuseppe è qualcosa di più: significa riallacciare il filo di un discorso che era stato brutalmente interrotto dal destino, un discorso... "azzurro" prima ancora che "viola". 
L'AZZURRO DEL FUTURO - E sì: sembra passato un secolo, eppure, prima delle esplosioni di Balotelli ed El Shaarawy, era proprio il talentino italo - americano ad incarnare più di ogni altro il futuro del calcio italiano, la speranza più concreta a cui aggrapparsi per una Nazionale in grado di mantenersi ad elevati livelli di competitività. Rossi, il baby prodigio del Manchester United; Rossi, che assaggiò il nostro massimo campionato solo per una mezza stagione, la seconda metà del torneo 2006/07, più che sufficiente per trascinare, coi suoi nove gol, il Parma a una salvezza che pareva davvero problematica, dopo i miseri dodici punti del girone di andata. Rossi che poi se ne andò in Spagna, al rampante Villarreal dei tempi, continuando a infilare portieri nella Liga e in Europa.
Il compianto Enzo Bearzot lo soprannominò "Pepito", per accostarlo in qualche modo a un altro grande Rossi che fece le sue fortune da CT azzurro, il Pablito del '78 e dell'82. Due fuoriclasse d'attacco per certi aspetti simili, ma diversi nella sostanza tecnica: entrambi rapidi e guizzanti, ma il Rossi del Duemila non ha certo l'inimitabile rapinosità sotto porta, i riflessi fulminei, la capacità di cogliere in una frazione di secondo l'attimo fuggente del gol che possedeva il suo illustre predecessore. In compenso, è un giocatore più manovriero, dal raggio d'azione più ampio (Paolo viveva essenzialmente per dare il meglio nei sedici metri finali, anche se i suoi movimenti senza palla e le sue intuizioni per i compagni erano nettare per la riuscita del gioco offensivo), dotato di maggiori soluzioni per il tiro a rete, compresa la conclusione dalla lunga distanza. Come classe complessiva nei piedi, beh, diciamo che più o meno siamo sugli stessi livelli, elevati assai per entrambi... 
LIPPI E IL MONDIALE MANCATO - Per Pepito la Nazionale maggiore era un traguardo inevitabile: arrivò a metà 2009, giusto in tempo per giocare da protagonista (due reti per lui) la Confederations Cup, peraltro chiusasi negativamente per l'Italia. Quell'Italia campione del mondo in carica che Lippi non seppe rinnovare adeguatamente in vista della kermesse iridata del 2010: Rossi avrebbe dovuto rappresentare un punto fermo del processo di svecchiamento, e invece non superò la pre-convocazione e venne lasciato a casa, oltretutto al culmine di una delle sue stagioni migliori. Uno dei tanti, inammissibili errori compiuti dal cittì nella preparazione della spedizione in Sudafrica, con risultati che, ahimè, tutti ricordiamo. Pepito venne poi, come logica voleva, ripescato da Prandelli per il suo progetto di rilancio azzurro, e il ragazzo si mise in ottima evidenza proprio nella fase in cui la nuova Italia, dopo i primi mesi sperimentali, cominciò a "sbocciare", diciamo dalla famosa amichevole di Dortmund con la Germania del febbraio 2011, da me più volte citata in questo blog (fu lui, non a caso, a realizzare la rete del pareggio). 
COME ROBY BAGGIO - Ecco, questo era stato Giuseppe Rossi, il nuovo Golden boy del calcio italiano, l'uomo a cui affidare, tanto per cominciare, le speranze di una buona riuscita ad Euro 2012, se la sfortuna non si fosse accanita su di lui a partire dall'autunno del 2011, fra gravi infortuni e tremende ricadute. Riprendere dopo una tale odissea non è facile per nessuno, e le incognite sono tante; la domanda classica è: sarà ancora quello di prima? Ci vorranno settimane di rodaggio e di paziente attesa, in casa viola lo sanno. Ma la medicina ha fatto passi da gigante, il giocatore è clinicamente guarito, deve solo ritrovare pian piano i ritmi agonistici e superare le ovvie paure dei primi ruvidi approcci coi difensori.
Ce la può fare: pensi all'esempio di un altro ragazzo all'apparenza timido, spaurito e indifeso, ma nella realtà forte come un leone caratterialmente e fisicamente: Roby Baggio, anche lui perseguitato da gravi incidenti nella prima parte della carriera e in quella finale, ma sempre poderosamente risorto, forte come e più di prima. Sì, la Fiorentina ha fatto un affare e del resto, prima o poi, la Dea Bendata deve pur rivolgere uno sguardo di favore ai suoi figli un po' più tartassati. E in chiave azzurra, il rientro di Pepito accrescerebbe il ventaglio di carte offensive a disposizione di Prandelli, nell'attesa che Balotelli trovi finalmente pace interiore ed esteriore. Bentornato Pepito: prenditi il tempo che ti serve, e poi facci sognare come ai vecchi tempi. 

venerdì 11 gennaio 2013

BERLUSCONI A "SERVIZIO PUBBLICO": TRAVAGLIO SUGLI SCUDI, CONTORNO NON ALL'ALTEZZA


D'accordo, su questo blog vige la tacita regola di non parlare di politica (non per paura di espormi, semplicemente non mi sento sufficientemente preparato per disquisire in materia), ma quanto accaduto ieri merita una parziale eccezione. Parziale, perché la puntata di "Servizio pubblico" andata in onda poche ore fa è stata un evento mediatico ancor più che politico. L'evento televisivo dell'anno, forse addirittura del decennio. Esagero? Può essere, ma che Berlusconi potesse scendere nell'arena di Santoro, fino a pochi mesi fa, pareva fantascienza allo stato puro. Una chimera inseguita invano per dieci anni e oltre, appunto: dai tempi dell'editto di Sofia o giù di lì. Dieci anni persi soprattutto dal Cavaliere, perché rifuggire i palcoscenici giornalisticamente più "spinosi" non fa onore a nessun esponente politico, e non sono nemmeno sicuro che da una serie di confronti - scontri del tipo di quello andato in scena a La7 il fondatore del Pdl avrebbe tratto notevoli svantaggi elettorali. 
PAREGGIO PER SILVIO - Perché questo è il punto primario della questione: capire se il Cav (come lo chiama qualcuno) sia uscito trionfatore o perdente da questa sua avventura catodica. Insomma, chi ha vinto, Santoro o Berlusconi? Già questa domanda rivela una delle (tante) anomalie del sistema informativo italiano: all'estero, negli USA per esempio, si deve stabilire se dai dibattiti tv esca vincitore il candidato democratico o quello repubblicano, non chi fa le domande; qui capita anche che la sfida sia fra il politico e i giornalisti... Bene, personalmente debbo dire che, a parte la deprecabile caduta di stile della "letterina a Travaglio" (peraltro in qualche modo prevedibile e scontata, tanto che il meno sorpreso e scandalizzato è parso proprio il... destinatario), sua Emittenza non è uscito affatto con le ossa rotte dalla puntata di Servizio Pubblico. 
Non una vittoria, certo, perché di quando in quando sono emersi i soliti proclami già ascoltati in tutte le salse su altre emittenti, le difficoltà a giustificare l'appoggio a certe decisioni del governo Monti, le risposte evasive e piccate sulle sue discutibili frequentazioni e altro ancora. Però di buon pareggio... in trasferta si può senz'altro parlare, perché non mi è parso di aver mai visto l'ex premier alle corde, ansimante, messo in autentica difficoltà. Una delle più odiose capacità di tutti i nostri "rappresentanti romani" è quella di uscire indenni dalle situazioni polemiche più intricate con una dialettica e una capacità affabulatoria indubbiamente di alto livello, e questa Silvio la possiede, piaccia o no. La baruffa finale non sposta più di tanto la situazione: ripeto, inelegante al massimo, ma l'astio tra Berlusconi e Travaglio è talmente annoso e radicato che non si poteva pensare non producesse qualche coup de théatre.
STRUTTURA DEBOLE - Certo, alla sua "non sconfitta" ha contribuito anche la struttura della trasmissione, parsa piuttosto fragile e scarsamente aggressiva. Chiaro, non sono scelte facili da compiere in sede di concepimento della scaletta: attaccare su tutta la linea Berlusconi, di ritorno in casa Santoro dopo un assenza pluriennale, poteva avere effetti devastanti per la squadra di Servizio Pubblico: in primis quello di fare del leader del Pdl un martire, e farne crescere il consenso, invece di metterne a nudo le contraddizioni e i punti deboli. Santoro e i suoi hanno giustamente optato per una scelta all'insegna dell'equilibrio, ma si trattava di un equilibrio assai precario ed estremamente difficile da creare e mantenere. Erano necessarie sottigliezze da fuoriclasse del giornalismo, e per raggiungere una tale situazione occorrevano prestazioni ad altissimo livello da parte di tutto il cast. 
INNOCENZI E COSTAMAGNA, CHI LE HA VISTE? - E' qui che è cascato l'asino televisivo. Giulia Innocenzi e Luisella Costamagna hanno avuto la consistenza polemica della cartavelina. Giulia era partita discretamente, con una domanda ben articolata e supportata da reperti video, ma le cui potenzialità sono state annacquate da una pausa pubblicitaria chiamata intempestivamente dal padrone di casa. Poi però si è persa per strada, mostrando sostanzialmente di non essere ancora pronta per una ribalta giornalistica di tale peso e importanza. Ma se per lei c'è la giustificazione (parziale) dell'età, nessuna attenuante per la Costamagna, la cui presenza nella trasmissione non si è praticamente avvertita. Certo, responsabilità anche da parte del deus ex machina di Servizio Pubblico, che nel costruire la puntata ha forse eccessivamente limitato gli spazi per le sue due collaboratrici, ma la sensazione di inadeguatezza rimane, fortissima. Lo stesso discorso, seppure in misura minore, può essere fatto per l'intervento a sfondo economico di Gianni Dragoni, avulso dal contesto, fatto quasi sottovoce e mal collocato in scaletta (posto nelle battute iniziali avrebbe offerto più di uno spunto di riflessione). 
TRAVAGLIO UBER ALLES - Lo stesso Santoro è parso comunque un po' troppo frenato (al di là dello sproloquio introduttivo, un editoriale mal scritto, fiumi di parole per dire che la piazza di "Servizio pubblico" è una piazza aperta a tutti, anche a Berlusconi), non tanto nell'atteggiamento complessivo, visto che le frecciatine non  sono mancate, anche prima dell'esplosione finale contro la lettera a Travaglio, quanto nella "cattiveria" delle domande. Insomma, più che nel duello "Santoro vs Berlusconi", alla fine la serata si è risolta in un "Travaglio contro Berlusconi": è stato infatti il vicedirettore del Fatto quotidiano l'unico ad esprimersi sugli standard di rendimento che gli sono consueti. Anzi, è andato persino oltre, con una vis polemica che mi è parsa raffinatissima eppure aggressiva, la formula migliore per pungere nel vivo l'interlocutore, colpendone i punti deboli senza far la figura dell'oppositore astioso e livoroso. Elegante e inappuntabile anche il suo atteggiamento durante e dopo la lettura del papiro berlusconiano a lui rivolto. 
OCCASIONE PARZIALMENTE PERDUTA - Però, ripeto, Travaglio a parte la sensazione è stata quella di una grande occasione non del tutto sfruttata. Non tanto sul piano politico (continuo a pensare, malgrado tutto, che i dibattiti e le comparsate televisive abbiano riflessi limitati sull'orientamento degli elettori) quanto su quella giornalistica: troppa timidezza e modesta capacità di osare. Ma certo dieci anni di mancate frequentazioni televisive con lo scomodo ospite non potevano essere passati invano: non si conosce più l'interlocutore oppure si crede di conoscerlo fin troppo bene, non si sa come impostare il confronto e alla fine viene fuori un dibattito certo gradevole, ma efficace solo a tratti e in buona sostanza depotenziato. Speriamo sia solo un nuovo inizio. 

giovedì 10 gennaio 2013

IL PEGGIO DEL WEB, DALLO "SCOOP" DELLA SCALETTA DI SANREMO AL MISTERO GANGNAM STYLE

                                 La scaletta di Sanremo su Twitter: scoop inesistente

Il web, con le sue enormi potenzialità, avrebbe potuto rappresentare un'occasione formidabile per un rilancio in termini qualitativi del decadente giornalismo d'oggidì. Invece, mi tocca constatare amaramente come la rete stia ricalcando e amplificando i peggiori difetti dei media tradizionali, aggiungendone addirittura di nuovi. Sarebbe un discorso troppo lungo da fare: in ogni caso, parlando di sciatteria, superficialità, esagerazioni, totale assenza di controllo delle fonti e crassa impreparazione linguistica non si va molto distanti dalla deprimente realtà dei fatti. E i social network contribuiscono a rendere il panorama ancor più desolante, soprattutto il sopravvalutatissimo Twitter.
SCALETTA DI SANREMO: FALSO SCOOP - E' una situazione che emerge anche dalle piccole cose, dalle news (?) di scarsa rilevanza. Alle corte: non più di due giorni fa tutte le testate, cartacee ma soprattutto web, sono andate in fibrillazione. Il motivo? Una foto pubblicata su Twitter da Fabio Fazio, deus ex machina dell'ormai imminente Festival di Sanremo. Soggetto dello scatto, un foglio, scarabocchiato a mano dallo stesso presentatore di "Che tempo che fa", con lo schema, invero rudimentale assai, della scaletta delle cinque serate della rassegna canoro - televisiva. Apriti cielo. Con l'inspiegabile solerzia che accompagna qualsiasi insignificante dichiarazione lanciata in versione "tweet" dal vip di turno, siti e giornali hanno proclamato ai lettori assetati di notizie: "Fabio Fazio svela su Internet il programma del prossimo Festival!". 
Certo, come no: peccato che il programma del prossimo Sanremo, dettagliato serata per serata, sia già presente all'interno del regolamento della manifestazione, pubblicato nientemeno che nel settembre scorso. Per chi non l'avesse mai consultato, basta dare un'occhiata a questo link per averne conferma. Insomma, il foglio scritto a mano dall'anchorman ligure non era altro che una "spartana" sintesi della struttura dello spettacolo rivierasco, già messa nero su bianco ufficialmente diversi mesi fa. Il vero scoop sarebbe stato l'ordine di uscita dei cantanti nelle varie serate, ma quello, chi segue da anni il Festival lo sa, viene reso noto solo nei giorni immediatamente precedenti la kermesse, se non addirittura poche ore prima di ogni puntata.  La vicenda, sul piano cronistico, è in buona sostanza inconsistente, ma ho voluto farne cenno perché racchiude in sé diversi elementi che non possono non lasciare perplessi: vediamo.
1) Una non - notizia con tutti i crismi che assurge al rango di scoop bello e buono. E qui si torna a ciò che dicevo nell'introduzione: sciatteria e mancanza di controllo delle fonti. Nessuno si è preso la briga di andare a verificare se nel regolamento del Festival il programma delle serate non fosse già stato precisato (ma per la verità chi si occupa della "materia" avrebbe dovuto saperlo a prescindere). E' una delle cose a cui mi riferivo quando parlavo dei media web che hanno ereditato i peggiori difetti di quelli tradizionali. Invece di verificare la fondatezza della notizia, si è scatenata la corsa alla pubblicazione nelle varie home page, perché "se lo dicono tutti i giornali, dev'essere vero per forza e, se noi non lo scriviamo, buchiamo la notizia".
2) Anche i siti specializzati (in musica e tv) hanno abboccato all'amo lanciato (volontariamente?) da Fazio, e ciò è ancor più disarmante e allarmante.
3) Il caso Twitter, questo sopravvalutatissimo social network eletto, per me inspiegabilmente, a elemento chiave per il futuro dell'informazione via web. In realtà, al momento è solo una piazza in cui la gente si esprime attraverso frasette, motti e sentenze sempre più superficiali, per via del limite di 140 caratteri che è nemico dell'approfondimento, della precisione e, quindi, del giornalismo con la G maiuscola: il quale, ne sono convinto pur essendo in assoluta minoranza, continuerà a percorrere altre autostrade informatiche. Insomma, un fenomeno mediatico gonfiato a dismisura eppure considerato fonte imprescindibile da parte di testate web e non, che riprendono e amplificano qualsiasi idiozia vi venga pubblicata. Quella di Fazio, intendiamoci, non era una idiozia, ci mancherebbe: era semplicemente un nulla informativo trasformato in notizia dal tam tam della rete. Un meccanismo che si ripete ormai giornalmente anche per vicende assai più delicate (Michele Misseri candidato alle elezioni, l'aereo di Missoni con problemi all'elica...) e che deve destare allarme perché, e ritorniamo al punto iniziale, dal web ci si aspettava qualità informativa, e invece si sta precipitando verso un vuoto di contenuti superiore a quello che ultimamente ci propinano giornali e tv.


IL CASO GANGNAM STYLE - Il web sta facendo male anche alla musica leggera. La rete, attraverso You Tube e non solo, contribuisce massicciamente alla diffusione planetaria di prodotti di modestissimo livello, e anche in questo caso i media tradizionali si accodano, incapaci di operare un minimo di selezione critica e rilanciando tali "opere d'arte" in ogni trasmissione, ad ogni ora del giorno, in un impazzimento ormai fuori controllo. Poi ci si mettono anche gli atleti più famosi che, moda di questi ultimi anni, si fanno riprendere mentre mimano o cantano, in campo o negli spogliatoi, l'ultimo tormentone canoro. La globalizzazione, in questo caso, è più che altro una orrida massificazione, omologazione e appiattimento dei gusti, un pensiero unico musicale livellato verso il basso che rende sempre più angusti gli spazi per la produzione di qualità. L'ultimo caso è quello del "Gangnam Style" di tale Psy, brano men che mediocre che ad un orecchio musicale mediamente educato dovrebbe, oltre che brutto, suonare irrimediabilmente datato; anzi, avrebbe avuto un sapore di vecchio già negli anni Novanta: I Marrs e i Technotronics, chi ha la mia età se li può ricordare, seppero fare di meglio e con sonorità addirittura più moderne.
I gusti, quelli non si discutono, soprattutto in ambito canzonettistico le opinioni personali sono sacre; la valutazione qualitativa e artistica è invece un'altra cosa, e scrivere, come ha fatto qualcuno in rete, che questo pezzo avrebbe "rivoluzionato il concetto di pop in tutto il mondo" significa aver ascoltato davvero poca musica nella propria vita. Del resto, uno dei tormentoni estivi 2012 nel nostro sciagurato Paese è stato "Il pulcino Pio", con tutto il rispetto per la cantante, l'adorabile ex bambina prodigio Morgana: una filastrocca che, fino a una ventina di anni fa, avrebbe fatto breccia (forse) solo fra il pubblico dei bimbi, e che l'anno scorso è invece assurta a fenomeno musical - mediatico transgenerazionale. Il web ha, dunque, anche portato uno scadimento notevole del gusto musicale medio: eppure avrebbe le potenzialità per aiutare la musica ad uscire dal pericoloso tunnel imboccato con la crisi del supporto - disco.