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mercoledì 25 luglio 2018

VERSO SANREMO 2019: LA RIVOLUZIONE A META' DI BAGLIONI. GIOVANI A DICEMBRE E LISTONE UNICO A FEBBRAIO: ERA NECESSARIO?


Sanremo: per il 2019 si cambia, e parecchio. Era fisiologico: nella storia del Festival, sporadici scossoni giungono a incidere profondamente sul tessuto della manifestazione, dopo lunghi periodi di calma più o meno piatta, di regolamenti e meccanismi di gara consolidati e immutabili, salvo minime variazioni. E così, per la sua 69esima edizione la rassegna sarà assai diversa da come ci eravamo abituati a vederla negli ultimi anni. Partiamo dai dati di cronaca, così come comunicati ieri dall'ufficio stampa della Rai e dal confermatissimo direttore artistico Claudio Baglioni sul suo profilo Facebook. Due le novità: Sanremo 2019 si sdoppierà, la classica cinque giorni di febbraio avrà un sostanzioso anticipo in dicembre, con una gara tutta riservata ai giovani; quattro appuntamenti in fascia televisiva pre-serale e due finali in prima serata, dalle quali usciranno i due volti nuovi ammessi al Festival vero e proprio. E qui arriva il secondo elemento di rottura col passato recente: a febbraio, sparirà la ormai classica divisione in due categorie, Big e Nuove proposte, ci sarà un unico listone di concorrenti, forse ventiquattro, fra i quali troveranno spazio i vincitori dicembrini della sfida fra nuove leve. 
INNOVAZIONI CON SGUARDO AL PASSATO - Rivoluzione sì, ma a metà, perché a ben guardare di veramente inedito in questi cambiamenti c'è poco. La selezione autunnale degli esordienti fu la migliore delle innovazioni apportate alla struttura del Festival da Pippo Baudo, nel 1993: tre serate dalle quali scaturirono i ben diciotto giovani ammessi al Festivalone. Nel tempo le serate si ridussero a due, poi a una, e per diversi anni la preselezione in diretta tv venne soppressa, con la clamorosa eccezione del 2002, quando fu allestito addirittura un talent, "Destinazione Sanremo": una trasmissione, poco fortunata sul versante Auditel, che si allungò per tre mesi fra vetrine quotidiane e appuntamenti in prime time, e che fornì dodici delle sedici Nuove proposte in lizza a Sanremo 2003. A Carlo Conti il merito di aver riportato in auge l'evento, rinominato "Sarà Sanremo" e modellato in buona parte secondo i moderni format catodico-musicali tanto in voga, tipo X Factor, con giuria vip in studio ed eliminazioni progressive. Ma era una serata unica, mentre Baglioni e la Rai hanno voluto questa volta creare un palcoscenico di lusso interamente riservato alle nuove leve della canzone italiana, che in pratica avranno visibilità televisiva per una settimana. 
ACCANTONATA LA FORMULA DELLA "RINASCITA" SANREMESE - Sull'altro piatto della bilancia, l'accantonamento della gara per categorie nel Festival propriamente detto, una delle innovazioni che pensavo potesse essere introdotta già l'anno scorso, se il cantautore romano avesse avuto più tempo per mettere mano al progetto: me ne è testimone il blog, leggete qui... Non accadeva dal 2004, quando il coraggioso Renis reintrodusse il listone unico di concorrenti, che però, non va dimenticato, fu consuetudine sanremese in tutta la prima, gloriosa fase della storia della kermesse: formula immutabile fino al 1973, poi ripresa altre volte negli anni della grande crisi (da me raccontati nell'e-book "Sanremo all'inferno e ritorno") e definitivamente accantonata a partire dal 1980, fatta salva l'eccezione di cui sopra. Anche in questo caso, dunque, nulla di particolarmente innovativo, pur se tale modifica al regolamento, fatta in questo momento, assume un peso specifico enorme, per le sue implicazioni. Viene infatti messa da parte una struttura di gara che è stata l'asse portante della risalita di Sanremo dopo il tunnel attraversato negli anni Settanta: tutte le edizioni della ritrovata grandeur rivierasca hanno schierato in campo Big da una parte ed esordienti dall'altra, quasi sempre con graduatorie separate. Una formula che ha più volte funzionato sul piano degli ascolti televisivi, e che ha spesso portato risultati positivi in termini di vendite di dischi e popolarità per i cantanti di entrambi i gruppi. 
PER I GIOVANI MEGLIO LA PASSERELLA DI FEBBRAIO - I tempi sono cambiati, si dice da più parti, la distinzione fra giovani e vip non ha più senso, e spesso i confini fra i due gironi sono risultati molto elastici e indefiniti, con nomi già sulla cresta dell'onda inseriti fra i debuttanti e ragazzini diventati "campioni" dopo gli effimeri exploit ottenuti ad Amici o show simili; e del resto già nel lontano 2003 un esperto di cose musicali come Linus aveva proposto di abolire la sezione giovani, sull'onda di un paio di edizioni piuttosto parche di autentiche rivelazioni. Personalmente, non sono convinto che questa mini-rivoluzione strabica, una rivoluzione che guarda contemporaneamente al passato e al futuro, possa essere funzionale alle fortune del Festival: detto dell'efficacia dimostrata nel tempo dalle due categorie in gara su piste parallele, credo che la soluzione per rivitalizzare il concorso degli emergenti non sia quella di toglierlo dall'evento principe di febbraio per confinarlo nei freddi giorni pre - natalizi.
I TALENTI LANCIATI DA CONTI - Conti, dal 2015 al 2017, si era mosso in direzione radicalmente opposta, cercando di ridare visibilità ai giovani riportandoli in apertura delle varie serate, dopo anni in cui le loro esibizioni erano state inserite in scaletta a orari da nottambuli. E pur fra mille difficoltà qualche risultato fu ottenuto, se pensiamo che da quel triennio sono venuti fuori Francesco Gabbani ed Ermal Meta, il che già basterebbe, più altri personaggi ancora in anticamera ma assai promettenti come Tommaso Pini, Maldestro, Chiara Dello Iacovo, solo per citarne alcuni; e anche il primo anno di gestione dell'autore di "Questo piccolo grande amore" ha, tutto sommato, portato all'inatteso decollo di Ultimo e al lancio di Lorenzo Baglioni e di Mirkoeilcane, talenti che hanno qualcosa da dire. Difficile, invece, prevedere boom di audience per una serie di trasmissioni incentrate soltanto su cantanti pressoché sconosciuti e messe in calendario due mesi prima del Festivalone (anche se sicuramente ci sarà un minimo di appeal scatenato dall'effetto novità): e senza audience diminuiscono nettamente le possibilità di essere notati, per ragazzi che hanno invece un disperato bisogno di essere visti e ascoltati da un'ampia platea. Poi, felice di essere smentito...
GIRONE UNICO: COME SARA'? - Il listone unico di febbraio presenta poi varie controindicazioni, della serie "maneggiare con cura"... D'accordo per i due vincitori delle selezioni, ma per il resto come si procederà  alla composizione del cast? Gli altri componenti del maxi girone saranno tutti big, o ci sarà anche un po' di spazio per cantanti di non grande notorietà che stanno tentando di emergere attraverso altre vie? Penso ad esempio a ottimi artisti come Zibba, Patrizia Laquidara, Maria Pierantoni Giua, Paolo Simoni, Antonio Maggio ed Erica Mou, che da anni si sono creati il loro pubblico e svolgono un'intensa attività, restando però sostanzialmente ai margini del circuito mainstream. In questo secondo caso, e dovendo quindi pescare in un bacino più ampio di proposte, facile prevedere che il lavoro di cernita svolto dal buon Claudio finirà per provocare ancor più malcontento di quello, tradizionale, degli esclusi dalla categoria regina nel passato. Senza pensare a ciò che accadrebbe se a vincere il Festival fosse, appunto, uno degli ex sconosciuti. Ricordate la costernazione che accolse i trionfi dei Jalisse, o di Tiziana Rivale, o di Annalisa Minetti? Una gara in cui può spuntarla l'ultimo arrivato rischia di diventare sempre meno appetibile per i veri big, già così restii a mettersi in gioco in una competizione canora.
Furono proprio eventi come quelli citati, o come l'imprevista vittoria di Mino Vergnaghi nel '79, a spingere organizzatori e direttori artistici vari a creare una blindatura per i cantanti affermati, garantendo loro accesso alla finale e possibilità di gareggiare solo con interpreti di pari o analogo curriculum. Tornando ai giovani, prevalere all'Ariston su colleghi di prestigio è raramente viatico per una carriera d'alto livello (unica eccezione Giorgia, in epoca relativamente vicina), rendendo anzi più arduo il consolidamento, perché si è da subito sotto esame in una misura più critica e spietata di quella riservata a chi ha percorso tutte le tappe di una lunga gavetta. Per tutto questo, il ripensamento del modello Sanremo così come è stato concepito non è secondo me la panacea dei mali festivalieri. Se nell'ultimo decennio la sezione dei "nuovi" ha spesso mostrato difficoltà ad emergere, è stato per altri motivi: la citata collocazione oraria penalizzante, oppure un infelice lavoro di selezione eccessivamente appiattito sui modelli imposti dai talent imperanti, trascurando altre realtà più originali e meno commerciali. E' dunque un problema di sostanza, non di forma. Ne riparleremo. 

lunedì 16 luglio 2018

RUSSIA 2018: FRANCIA, CAMPIONE DEL MONDO COL "BRACCINO CORTO". GIOCO AL RISPARMIO, FIAMMATE DEI DIVI E UN SUPER GRIEZMANN GLI INGREDIENTI DEL TRIONFO


Se la partita fosse finita al 45esimo, sarebbe stato il trionfo più bugiardo e immeritato nella storia della Coppa del Mondo. La seconda parte del match ha in parte rimesso le cose a posto, e la Francia ha tutto sommato legittimato il casuale vantaggio con cui era arrivata all'intervallo: non a sufficienza, tuttavia, per poter affermare che Russia 2018 abbia espresso il campione ideale. I galletti sono i vincitori onesti di una finale dignitosa di un Mondiale tutt'altro che trascendentale, ma su questo ritorneremo più avanti. 
FINALE CON SEI GOL, MA... - La kermesse iridata si è congedata col botto, sul piano delle emozioni. Era dal 1966, nientemeno, che una finalissima non si chiudeva con sei gol, e anche allora fu un 4-2, fra Inghilterra e Germania Ovest, ma col prolungamento della mezz'ora supplementare. Chi mastica calcio senza fermarsi alla superficie sa benissimo, però, che tante reti non sempre sono sinonimo di spettacolo di qualità: da questo punto di vista, il match decisivo di Mosca presta il fianco a più di una critica, ma è stato del resto specchio fedele di un torneo che è vissuto sul filo di un equilibrio esasperato, che si è acceso saltuariamente grazie alle luminarie di qualche giocoliere per poi abbandonarsi a periodi di prolungato letargo e a sfide affrontate con prudenza, facendo leva soprattutto sulla ferrea applicazione di rigidi meccanismi di copertura che hanno spesso costretto alla resa le Nazionali maggiormente portate all'offesa, al football d'iniziativa. 
PIU' CROAZIA CHE FRANCIA, PER UN'ORA - E' più o meno ciò che si è visto questo pomeriggio: avevo detto, nel mio ultimo post, che mi sarei aspettato una finale con una Francia finalmente sbarazzina, finalmente in grado di dispiegare compiutamente il proprio notevolissimo potenziale; sarebbe stato un modo, per les Blues, di vincere il titolo con una prestazione in grado di farsi ricordare, dopo l'anonimato che ne ha caratterizzato fin troppe prove precedenti. E invece, per quasi un'ora di gara, è stata la solita Francia di questa campagna mondiale: attenta esclusivamente a presidiare le posizioni, a non prestare il fianco all'aggressività della Croazia, fidando soprattutto sulle ormai proverbiali ripartenze di Mbappè. Il fatto è che il piano non è riuscito molto bene, anzi: a fare la partita è stata quasi esclusivamente la Nazionale biancorossa, che ha vigorosamente dato fondo alle residue energie (un'ora e mezza di gioco in più nelle gambe, ricordiamolo) e ha condotto le danze sulla scorta di un magistero tecnico d'alta scuola, fatto di manovre rapide, avvolgenti, orchestrate sempre con grande proprietà di tocco, che hanno fatto vivere più di un momento di panico alla retroguardia transalpina.
FIAMMATA DA GRANDE SQUADRA, CON POGBA E MBAPPE' - Nonostante ciò, gli dei del football erano evidentemente dalla parte degli uomini di Deschamps, che si sono trovati in vantaggio con una punizione di Griezmann deviata accidentalmente da Mandzukic alle spalle di Subasic, hanno subìto il sacrosanto pareggio con una fiondata di sinistro di Perisic e si son riportati sopra nel punteggio grazie a un rigore (giusto, per carità) segnalato dal Var per un mani in area dello stesso Perisic e trasformato dal solito, impeccabile Griezmann. Verdetto parziale inconcepibile, ripeto, per quanto si era visto in campo fino a quel momento: Francia avanti senza aver mai tirato in porta su azione...
La ripresa era iniziata sulla stessa falsariga, Modric e compagni insistevano e parevano davvero in grado di forzare il bunker avversario (gran salvataggio di Lloris su tiro di Rebic), ma a quel punto gli indolenti assi in maglia blu decidevano che era tempo di far prendere alla coppa la strada dei Campi Elisi: così Pogba, che fino ad allora aveva lavorato soprattutto in fase di tamponamento, sfruttava un assist in palleggio volante dell'onnipresente Griezmann, tirando prima addosso a un difensore, poi riprendendo e scaraventando di sinistro alle spalle di Subasic, quindi Mbappè, che già aveva fatto le prove generali poco prima con una delle sue micidiali incursioni a velocità folle, trovava il varco giusto con un destro da fuori che finiva nell'angolino basso alla destra dello sconsolato numero uno croato. 
Dieci minuti, un quarto d'ora, non di più. Il solito leit motiv di questo Mondiale made in France: pochi sprazzi di gara ad alto livello, più che sufficienti per mettere in riga la concorrenza. Le eccezioni sono state rappresentate dall'ottavo con l'Argentina, quando l'ottima verve offensiva fu pagata però con una minor protezione della retroguardia, e dalla semifinale col Belgio, nella quale la presunta superiorità dei vincitori non si è proprio vista, essendo stata una gara giocata alla pari con i Diavoli Rossi e vinta con un golletto di Umtiti su calcio d'angolo, seguito dalla solita, inflessibile difesa con pericolose incursioni in contropiede. 
FRANCIA COME L'ITALIA OLD STYLE - Se ne avranno forse a male, i nostri non tanto amati cugini di Parigi e dintorni, ma il loro trionfo mondiale è stato un trionfo all'italiana, nel senso più vintage del termine: ottenuto, cioè, sulle ali di un gioco sparagnino e conservativo che la nostra Nazionale non pratica più da quando sulla panchina azzurra si sedette Bearzot, ossia dagli anni Settanta (con la sola, oscura parentesi della breve era di Cesarone Maldini, che adottò un atteggiamento oltremodo prudente pur trovandosi a disposizione un sensazionale ventaglio di assi dell'attacco). Nulla di male, se la Francia fosse una squadra con mezzi limitati: ma qui stiamo parlando della selezione più dotata in assoluto, assieme al citato Belgio, in quanto a classe pura, doti fisiche, esuberanza giovanile abbinata ad una già notevolissima esperienza internazionale. Solo che i ragazzi di Martinez hanno costantemente onorato il calcio, esprimendo una manovra in linea con i tanti piedi buoni in rosa, mentre quelli di Deschamps hanno avuto il... braccino corto, lesinando sul piano dello spettacolo e mettendosi a posto la coscienza con qualche fiammata assolutamente devastante per i rivali. 
GRIEZMANN ALL'OLANDESE - In quello spezzone di incontro in cui si è visto almeno in parte ciò che la Francia potrebbe fare, più di tutti ha impressionato Griezmann, forse in questo momento il miglior uomo d'attacco al mondo: definirlo attaccante è in effetti riduttivo, perché si tratta di un elemento universale, che svaria dalla trequarti in su costruendo, rifinendo e aprendo spazi per gli altri, un lavoro che in Russia ha svolto con tale intensità da costargli una minore presenza in fase conclusiva; e anzi non è stato raro vederlo risalire anche più indietro, per dar manforte nella zona nevralgica. Un autentico "olandese", pensando a certi fuoriclasse orange del'età dell'oro come Neeskens e Crujiff, altri uomini a tuttocampo in grado di sparigliare le carte dalla cintola in su. 
CROATI IRRIDUCIBILI - Le critiche qui espresse non stanno a significare, credo sia chiaro, che quello della Francia sia un titolo mondiale usurpato. Les coqs nulla hanno rubato, ma in futuro sono attesi a conferme più convincenti, avendo elementi ancora giovani (Varane, Umtiti, Pogba) se non giovanissimi (Pavard, Hernandez e soprattutto Mbappè, splendidi protagonisti del torneo) coi quali aprire quantomeno un miniciclo. Merita invece l'elogio pieno la Croazia: per come ha giocato la finalissima fin quando l'hanno assistita energie e lucidità, per come ha saputo a tratti mettere alle corde i francesi pur senza riuscire a finalizzare, se non col lampo del momentaneo 1-1, per come ha comunque dato battaglia fino alla fine, con Mandzukic che si è fatto perdonare l'autogol iniziale (sul quale ha comunque poche colpe) inducendo Lloris a un colossale errore che gli ha consentito di siglare il 2-4 conclusivo. Applausi agli uomini di Dalic anche e soprattutto per il loro cammino complessivo, affrontato non rinunciando mai al gioco, non piegandosi a logiche speculative. Per questo avevo scritto, e lo ribadisco, che la finale ideale sarebbe stata fra Croazia e Belgio, non solo per una questione meramente estetica, ma perché sono state queste le sole due squadre a sfoggiare un calcio moderno e completo, bello a vedersi ma efficace al contempo, attento alla copertura ma sempre col lo sguardo rivolto verso la porta avversaria. Ha invece vinto il "mestiere", ma non è stata la prima volta e non sarà l'ultima. 
INGHILTERRA E KANE: OCCORRONO ALTRI ESAMI - Che Mondiale è stato, in linea generale? Altre eminenti firme esprimeranno i loro giudizi, avendo potuto vedere, rivedere, studiare e analizzare tutte le compagini in lizza. Come osservatore e semplice appassionato, nonché spettatore di tanti altri Mondiali a partire dagli anni Ottanta, posso dire che questo non è stato uno dei migliori sul piano tecnico e della qualità di gioco: detto delle "magnifiche tre" finite meritatamente sul podio (e per i belgi è il miglior risultato iridato di sempre), la quarta classificata, quell'Inghilterra portata in palmo di mano da tanti esperti, mi è parsa sopravvalutata. Si è tanto parlato di progresso tattico (progresso che la Nazionale coi tre Leoni aveva già evidenziato a partire dai Novanta in poi, peraltro), ma io ho visto soprattutto tanti cross in area per conclusioni di testa sovente micidiali; e il prode Kane è diventato capocannoniere del torneo soprattutto coi cinque gol realizzati fra Tunisia e Panama e col rigore inferto alla Colombia, negli ottavi: ultima segnatura per lui, poi il silenzio. Insomma, per parlare di grande Inghilterra sarà meglio aspettare altre prove. 
LE GRANDI: RAGIONI DI UN FALLIMENTO - Le altre grandi, o non sono esistite (clamorose le figuracce di Argentina e soprattutto Germania) o sono durate lo spazio di una notte (Portogallo e Spagna hanno fatto scintille nel confronto diretto, ma poi si sono progressivamente liquefatte). L'Uruguay si è giovato di un solido impianto tattico e dei fuochi d'artificio accesi da Suarez e Cavani in particolare coi lusitani: una volta venuto a mancare l'ex Napoli per infortunio, alla Francia è bastata la solita, ordinaria amministrazione per estromettere la Celeste. La Russia padrona di casa ha preso lo slancio con le due vittorie facili facili su Arabia ed Egitto, ed ha poi fatto leva sull'ottimo dispositivo difensivo studiato da Cherchesov e su una garra a tratti sudamericana, il Brasile è rimasto impantanato nelle sabbie mobili di una scarsa incisività in prima linea, che ne ha vanificato gli indubbi progressi rispetto al disastro casalingo di quattro anni fa.
LA FOLLIA DELLE 48 SQUADRE - Poi ci sono stati gli exploit a breve gittata, come quelli di Messico, Colombia e Giappone, che però non bastano a fare grande un Mondiale. E anche il tanto strombazzato livellamento, alla fine, porta solo a un maggior equilibrio in partite singole o nell'arco di un girone (si pensi all'ottimo comportamento di Marocco e Iran), ma sulla lunga distanza emergono sempre le stesse realtà, mentre il solito fallimento del "calcio del futuro", ossia del football africano, ha fatto suonare l'ennesimo allarme in vista dell'ormai prossimo allargamento a 48 squadre della fase finale. Allarme che purtroppo resterà inascoltato perché, purtroppo, pare che nel calcio non si possa tornare indietro e si debba sempre puntare al gigantismo, non al (salutare) ridimensionamento. Insomma, se questo non è stato "il più bel Mondiale di sempre", come da sfiancante leit motiv Mediaset di questi giorni, aspettiamoci scenari ancora peggiori per il futuro... 

giovedì 12 luglio 2018

RUSSIA 2018: FRANCIA - CROAZIA, FINALE MONDIALE AD ALTO TASSO DI TALENTO


Domenica a Mosca sarà dunque Francia - Croazia, atto conclusivo inedito per il Mondiale, e con una debuttante assoluta, la Nazionale con la casacca a scacchi biancorossi, mai giunta così in alto nella kermesse iridata. Una degna finale, non la finale ideale: per quanto visto in questo mese di calcio, al posto dei Blues avrebbe figurato più meritoriamente il Belgio, per somma di qualità individuali, interpretazione del gioco in chiave propositiva e conseguente capacità di dare spettacolo, producendo una manovra offensiva al contempo esteticamente gradevole ed efficace. Poco male: smaltita la delusione, i Diavoli Rossi avranno sabato la possibilità di centrare il miglior piazzamento della loro storia in Coppa del Mondo, visto che in bacheca espongono unicamente il quarto posto di Mexico '86. 
CROAZIA: CLASSE ED ECLETTISMO - Croazia sugli scudi, si diceva. Una sorpresa sul piano storico, non certo per i valori del football attuale. Che la selezione di Dalic fosse una delle più ricche di talento era notorio: schiera fenomeni conclamati come il superbo Modric, come Rakitic e Mandzukic, più un Perisic che in Russia si è consacrato campione di statura internazionale; al loro fianco, un drappello di ottimi elementi in tutti i reparti, dal pararigori Subasic al possente centrale di difesa Vida, da un Vrsaljko cresciuto esponenzialmente rispetto ai tempi genoani fino ai saettanti Brozovic e Rebic. Classe in abbondanza, con dubbi sul fatto che tante individualità potessero effettivamente andare a formare una squadra nel senso più pieno della parola, un monolite solido e compatto. Dubbi che si sono dissolti fin dalle prime battute del torneo; lungo il suo percorso, la Croazia ha sfoderato doti di compagine poliedrica, capace di adattarsi alle più disparate situazioni, di raggiungere la vittoria attraverso strade diverse: in souplesse, come nel debutto (un po' sonnolento...) con la Nigeria, sciorinando un magistero tecnico di altissimo livello come con l'Argentina, soffrendo e sbuffando come nei tre turni a eliminazione diretta, nei quali però non ha mai rinunciato totalmente al fioretto per impugnare la sciabola, ma ha continuato, per quanto possibile, a tenere il pallino, a menare le danze, escluse alcune brevi fasi in cui il controllo del gioco è passato alle avversarie. 
MATURITA' TATTICA E MENTALE - Ieri sera, contro l'Inghilterra, la compagine biancorossa ha mostrato un atteggiamento tatticamente e psicologicamente maturo: non ha mai perso la calma, nemmeno dopo lo svantaggio lampo siglato da Trippier su punizione; Modric ha continuato a tessere la sua tela con serenità olimpica, attendendo pazientemente che sbollissero gli effimeri slanci dei bianchi Leoni. "Difeso lo svantaggio" anche con un pizzico di buona sorte, la svolta è arrivata a ripresa inoltrata, quando Perisic ha trovato il pari con un'autentica alzata d'ingegno, un esterno sinistro al volo su traversone di Vrsaljko, sfiorando poi il bis con un diagonale di sinistro andato a infrangersi sul palo, replica di un'azione simile che lo aveva portato a un passo dal gol nel quarto con la Russia. Nei supplementari, Mandzukic ha infine fatto giustizia, firmando il 2-1 con un guizzo da classico centravanti d'area, su torre del solito, scatenato Perisic. 
INGLESI SOPRAVVALUTATI - Verdetto ineccepibile: fin dall'inizio della competizione, l'Inghilterra mi è parsa una buona squadra ma un po' sopravvalutata. Un campione vero, Harry Kane (che peraltro dalla terza partita ha di fatto smesso di segnare, salvo il punto su rigore con la Colombia), e tanti giocatori validi ma non ancora assurti al rango di campionissimi: elementi come Pickford, Trippier, Stones, Maguire, Lingard, Alli, protagonisti di un ottimo Mondiale, dovranno comunque meritarsi altre conferme, prima di poter entrare nel novero dei grandi del pianeta. Ieri sera, molti di loro hanno mostrato la corda, a partire proprio da Kane, che ha fallito banalmente il punto del 2-0, e quindi della probabilissima finale, prima calciando su Subasic e poi colpendo il palo, sprecando così il delizioso assist di Alli. A seguire, poco altro da parte dei sudditi di Sua Maestà, che hanno ruminato calcio in maniera monocorde, mostrando che l'evoluzione tattica tanto strombazzata dai media in realtà è ancora in abbozzo, visto che non sono mancati i lanci lunghi e i classici cross in area a cercare eventuali teste svettanti. Gusto così, lo ripetiamo: la banda di Southgate ha ancora margini di miglioramento e difetti da correggere, e trova per il momento nella finalina la sua collocazione ideale. 
FRANCIA E BELGIO ALLA PARI - Non altrettanto si può dire del Belgio: come accennato all'inizio, sarebbe stata una degna finalista, anche se, si badi bene, nel confronto di martedì la Francia non ha rubato alcunché. Ma nella prima mezz'ora sono stati gli uomini di Martinez a fare la partita, sfiorando anche la segnatura con tre nitide palle gol, due per Hazard, uno dei protagonisti assoluti di Russia 2018, e una con Alderweireld, la cui girata di sinistro da centro area è stata brillantemente deviata da Lloris. Pavard ha dato la sveglia ai francesi con una bella incursione chiusa da un diagonale deviato da Courtois, e nella ripresa si è risolto tutto con il solito calcio piazzato e la solita inzuccata del centrale difensivo: contro l'Uruguay era stato Varane, l'altra sera la gloria è toccata a Umtiti, con una perfetta deviazione su corner. Da quel momento il Belgio ha perso lucidità, ma i nostri non tanto amati cugini si sono limitati a controllare il match con una difesa accorta, pur se non totalmente passiva. Lloris è stato chiamato agli straordinari da una fiondata di Witsel, Tolisso ha sfiorato il raddoppio vanificando un contropiede con un fiacco diagonale sul fondo. Gira che ti rigira, solo in un'occasione si è visto ciò di cui sarebbe capace la Francia, con la quantità di talento che si ritrova in dote: sublime assist di tacco di Mbappè per Giroud, la cui conclusione è stata però contrata da un difensore. 
IN FINALE GALLETTI PIU' PROPOSITIVI, SI SPERA - E' proprio questo il punto: il team di Deschamps dà sempre l'impressione di non strafare, di centellinare fin troppo le sue enormi risorse, di limitarsi al minimo sindacale: nell'unica gara in cui ha aperto lo scrigno delle sue gemme, ha sciorinato un football offensivo da favola che ha annichilito l'Argentina, lasciando però troppi spiragli nella retroguardia. In seguito, il cittì ha preferito il rigore tattico assoluto, e così la finale è stata conquistata con gol sopraggiunti su tiri da fermo (le citate prodezze di Varane e Umtiti) e con una paperissima del portiere uruguagio Muslera. Troppo poco, a mio avviso: percorso il suo lungo cammino con un atteggiamento troppo spesso minimalista, la Francia è ora chiamata a dispiegare compiutamente il suo straripante potenziale. La sfida con la Croazia, team che rifugge le pastoie strategiche prediligendo un calcio d'iniziativa, dovrebbe essere terreno ideale per mostrare un piglio un po' più intraprendente: con la difesa ben coperta dai frangiflutti Kantè e Matuidi, e con il sostegno degli incursori di fascia Pavard ed Hernandez, dalla trequarti in su un Pogba in crescendo, le luminarie di Mbappè e il sostanzioso gioco ad ampio raggio di Griezmann, autentico universale d'attacco, dovrebbero dare frutti copiosi, magari con un Giroud meno impegnato da compiti di copertura e quindi più lucido e presente nei sedici metri finali. 
CROAZIA: IL CORAGGIO DI CAMBIARE ALLENATORE - Sì, la Francia parte favorita, anche perché ha nelle gambe un'ora e mezza di gioco in meno rispetto alla Croazia, sempre ai supplementari dagli ottavi in poi e con il carico di tensione psicologica delle due sfide chiuse ai rigori. Ma sul piano del talento, lo ripeto, la sfida è apertissima. E la marcia trionfale dei biancorossi deve anche suonare a ulteriore condanna per il calcio italiano, in particolare per come è stata gestita l'ultima fase delle qualificazioni mondiali: con un Ventura che stava palesemente perdendo il controllo della situazione, non si è avuto il coraggio di procedere a un immediato cambio in panchina. Dall'altra parte dell'Adriatico, invece, non sono andati tanto per il sottile: dopo il pari interno con la Finlandia, esonero di Cacic e patata bollente a Dalic, coi risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti. 

domenica 8 luglio 2018

RUSSIA 2018: PIU' CHE UN MONDIALE, UN EUROMUNDIAL. IL PUNTO DOPO I QUARTI DI FINALE


Più che un Mondiale, lo si può definire un Euromundial, rubando affettuosamente un titolo al Guerin Sportivo dei tempi di Spagna '82. Oggi come allora, a contendersi il trofeo iridato sono rimaste quattro squadre europee, evento peraltro verificatosi in altre tre occasioni, nel '34, '66 e 2006. Nulla di strano: è la conferma di quanto il Vecchio, bistrattato Continente eserciti ancora un'egemonia pressoché totale nel mondo del pallone. Sono oltre dieci anni, del resto, che i verdetti della massima competizione per nazioni parlano chiaro in tal senso: per la quarta edizione consecutiva, la coppa resterà in Europa; nelle ultime quattro edizioni, compresa quella in corso, su un totale di sedici semifinaliste ne troviamo tredici europee; nelle medesime quattro edizioni, sette finaliste su otto (unica "intrusa", l'Argentina che contese il titolo alla Germania a Rio 2014).
L'EUROPA DOMINA, MA LA FIFA... - Ce n'è abbastanza, dunque, per considerare inattaccabile un primato planetario che però, paradossalmente, è proprio la FIFA a mettere in discussione, avendo proporzionalmente ridotto, nel tempo, il numero di posti a disposizione del nostro continente nella fase finale del torneo, fino al paradosso delle sole sedici caselle su ben quarantotto partecipanti assegnate per la rassegna 2026. Un non senso tecnico e storico: si penalizzano i movimenti calcistici maggiormente competitivi allargando sempre più le porte al cosiddetto "terzo mondo", il quale peraltro rimane sostanzialmente sempre al punto di partenza: stiamo ancora aspettando una africana fra le prime quattro del Mondiale (quest'anno tutte fuori ai gironi...), l'Asia c'è riuscita solo con la discutibile Sud Corea del 2002, il Nord America si affida a sporadici exploit (USA 2002 e Costarica 2014 nelle prime otto) o al solito Messico che si ferma sempre agli ottavi... Contenta la Federazione internazionale, scontenti tutti. Ma vediamo ora in sintesi come Russia 2018 si è effettivamente trasformata in Euromundial. 
BELGIO: FIORETTO E SCIABOLA - Il top match dei quarti è stato Belgio - Brasile, perché ha coniugato qualità degli interpreti con spettacolarità, tono emozionale ed equilibrio. In molti hanno parlato di sorpresa clamorosa, a proposito del verdetto finale: evidentemente, non erano a conoscenza dei più recenti sviluppi del football mondiale. Ormai da anni il Belgio è una splendida realtà ad altissimo livello, staziona stabilmente nelle prime posizione del ranking FIFA e ha sfornato la sua generazione d'oro, migliore, sul piano della classe pura, persino di quella epica maturata a cavallo fra fine Settanta e inizio Ottanta, la covata di Pfaff, Gerets, Millecamps, Vercauteren, Vandereycken, Van Der Elst, Vandenbergh, Ceulemans. Allo stato attuale, i Diavoli Rossi sono superiori alla Seleçao, ragion per cui il risultato era ampiamente prevedibile, anche se gli uomini di Martinez hanno faticato non poco per venire a capo dell'avversario: un primo tempo su uno standard a tratti sontuoso, con incursioni offensive fulminanti per rapidità, essenzialità, efficacia e pregevolezza estetica, con Hazard a menare le danze, Lukaku ad abbinare fisicità straripante, movimenti felpati e capacità di essere sempre al posto giusto nel momento giusto, De Bruyne a trovare il guizzo del 2-0 (dopo l'autogol di Fernandinho) con un chirurgico destro dal limite.
Ripresa di pura sofferenza in trincea, ma con Kompany autoritario dietro e Witsel e Fellaini a formare una meravigliosa diga in fase di filtro. Cionondimeno, il Brasile nulla avrebbe rubato portandosi fino ai supplementari: Courtois ha messo una seria ipoteca sul titolo di miglior portiere del torneo, con interventi strepitosi su Coutinho, Paulinho, Douglas Costa (due volte),  e sulla stoccata di Neymar in chiusura, mentre Firmino e Renato Augusto hanno fallito notevoli occasioni, dopo che quest'ultimo aveva riaperto il match con un imperioso colpo di testa; c'è stato anche un intervento dubbio in area di Kompany, e sull'altro fronte una sola vera occasione per il terzo gol, mancato di pochissimo dallo scatenato Hazard. 
IL BRASILE RESTA INCOMPIUTO - Era forse destino che questo Brasile in versione 2018 rimanesse una compagine "a metà del guado", come già aveva dato la sensazione di essere nelle prime quattro uscite: complesso dalle buone doti ma che non riusciva a liberare tutto il suo potenziale, mancando soprattutto di adeguata concretezza in fase conclusiva. Sostenuta da una buonissima difesa, da un centrocampo solido e continuo in Paulinho, da un Coutinho ispirato e da un Douglas Costa che ben altro spazio avrebbe meritato, la selezione verdeoro è stata tradita da Gabriel Jesus, atteso come bomber e andato sistematicamente in bianco, e parzialmente dal suo asso Neymar, decisivo solo a intermittenza ed eccessivo con quel suo modo di accentuare di falli, che alla lunga gli arbitri non gli hanno perdonato: più che un fuoriclasse risolutivo, un lusso che il Brasile attuale non può permettersi. La parabola dei pentacampioni è peraltro emblematica di come un Mondiale sfugga a regole tecniche ben precise: quarti nel 2014 al culmine di un torneo modesto e macchiato dall'epocale 1-7 coi tedeschi, fuori prima delle semifinali quest'anno, dopo un cammino dignitosissimo e dopo averle tentate tutte per raddrizzare la sfida coi belgi. 
FRANCIA: COMPITINO - Deludente nel complesso Uruguay - Francia: senza il suo "gemello" Cavani, ko per infortunio, Suarez è risultato totalmente depotenziato e la Celeste ha di fatto perso la sua verve offensiva, puntando su una paziente difesa nel tentativo di stanare i Bleus. In partite così bloccate, per passare occorrono una giocata d'alta scuola o un tiro piazzato: è arrivato il secondo, con punizione di Griezmann telecomandata sulla testa di Varane. La risposta sudamericana si è concretata in una sola, doppia, palla gol: testa di Caceres su punizione - cross, respinta d'istinto di Lloris e Godin che ha sparato alto da pochi passi. Dopo, tranquilla gestione dell'équipe transalpina, che ha controllato il match con la personalità della squadra di spessore internazionale e ha trovato anche l'aiuto della buona sorte, sul tiro, forte ma non irresistibile, di Griezmann non trattenuto da Muslera. Diremmo dunque che la Francia ha fatto poco più del compitino, certo meritando la semifinale, ma contro il Belgio sarà chiamata a gettare sul banco tutte le sue carte e alzare il livello delle sue performance, come aveva fatto nell'ottavo contro l'Argentina, per poter dire di aspirare legittimamente alla Coppa. 
L'INGHILTERRA VOLA SULLE FASCE - Più convincente del team di Deschamps è parsa l'Inghilterra. Quello con la Svezia è stato un match old - style, giocato come tante partite del tempo che fu in ambito europeo. La Nazionale coi tre Leoni sul petto è cambiata sì, tatticamente, ma fino a un certo punto: le percussioni continue sulle fasce laterali e i cross in area a cercare colpitori di testa non sono formule che si discostano granché dalla tradizione britannica, anzi... Ma tornare al passato non è detto che sia un regresso: Southgate si è ritrovato fra le mani due splendidi laterali di spinta, Trippier a destra e soprattutto il devastante Young a sinistra, ed è giusto sfruttarne adeguatamente doti dinamiche e perizia balistica. In più, l'Inghilterra ha un Pickford sempre più decisivo fra i pali, uno Stones che dietro non manca un intervento, un centrocampo manovriero in Lingard, Henderson e Dele Alli. Non solo Kane, dunque, in una selezione che sta proponendo alla ribalta tante nuove stelle. E' stata una sfida fra colossi dell'area di rigore, e l'hanno vinta Maguire e il citato Alli con le loro inzuccate perentorie, ma gli scandinavi sono usciti a testa altissima: pur rimanendo fedeli al loro solito canovaccio strategico, nella ripresa hanno costruito tre occasionissime, una sullo 0-1 (Berg di testa a colpo sicuro) e due sullo 0-2 (Claesson di destro dopo splendida azione manovrata, e girata di sinistro ancora di Berg), tutte sventate dal sorprendente numero uno inglese: di più, i gialloblù non potevano proprio fare, e al ritorno a casa meritano di essere accolti fra applausi e ovazioni. 
PADRONI DI CASA FUORI, MA RUSSIA DI NUOVO COMPETITIVA - Non tornano a casa i russi, semplicemente perché... ci sono già. Il Mondiale degli anfitrioni è finito: del resto, dopo quanto visto  a Corea del Sud - Giappone 2002, l'incidenza del fattore campo si è notevolmente attenuata nelle successive competizioni internazionali, con molte squadre ospitanti addirittura uscite al primo turno. Dovrebbe essere la normalità: se il livello tecnico è quello che è e i direttori di gara fanno il loro dovere, non può certo bastare l'appoggio del pubblico per arrivare fino in fondo. Il team di Cherchesov è anzi andato oltre le aspettative: galvanizzato dal brillante inizio contro avversarie alla portata (Arabia Saudita ed Egitto), ha fatto fuori con merito la sopravvalutata Spagna con una saggia partita di contenimento e sfruttando una delle poche occasioni avute, per poi prevalere ai rigori.
Il bis non è riuscito con la Croazia, semplicemente perché la Croazia, oltre ad essere superiore ai russi, è in questo momento anche più forte delle Furie Rosse, è uno dei valori assoluti del football planetario. Dopo un discreto dominio, è stata freddata dall'alzata d'ingegno di Cherishev, ma ha ben reagito e colto il pari con Kramaric. Modric e compagni hanno poi menato le danze dall'alto di una superiorità di talento indiscutibile, alla quale però non sono riusciti a dare contorni concreti, complici la gara dei russi, eccezionale per attenzione e furore agonistico, e un pizzico di sfortuna (clamoroso il palo di Perisic). Dopo un altro scambio di colpi nei supplementari (in rete Vida e Mario Fernandes, sempre sugli sviluppi di calci da fermo),i rigori, sovente una lotteria, hanno poi fatto giustizia, ma gli sportivi di casa devono essere orgogliosi del torneo disputato dalla loro rappresentativa: la Russia ha di nuovo una Nazionale, ha recuperato Cherishev su ottime misure e trovato uno Dzyuba di gran sostanza. Ora occorre non disperdere questo patrimonio. 

giovedì 5 luglio 2018

RUSSIA 2018: FLASHBACK SUGLI OTTAVI. BELGIO COL FIATONE, SPAGNA IN DECLINO, FRANCIA E BRASILE QUASI AL TOP


La caduta degli dei, si potrebbe intitolare il secondo capitolo del romanzo di Russia 2018. Già la prima fase aveva offerto la clamorosa sorpresa dell'eliminazione dei campioni in carica tedeschi, battuti da Messico e Corea del Sud e addirittura ultimi nel loro girone. Gli ottavi hanno seguito il solco: fuori Argentina, Spagna e Portogallo. Un nutrito drappello di favoriti raso al suolo, nel segno di un Mondiale controcorrente: per trovare un andazzo simile, occorre risalire fino al discusso torneo del 2002, quando caddero immediatamente le due maggiori indiziate per la conquista del titolo, la Francia detentrice e l'Argentina (oltre ai quotatissimi lusitani), e le seguì a stretto giro di posta l'Italia di Totti e Vieri, Maldini e Buffon, martoriata dalle direzioni arbitrali e penalizzata da certe scelte discutibili di coach Trapattoni.
FRANCIA - ARGENTINA NELLA STORIA - Francia - Argentina è stata una di quelle partite destinate a restare nella storia della Coppa del Mondo. Senza scomodare paragoni ingombranti come quelli con Italia - Germania Ovest '70 o Italia - Brasile '82, per spettacolarità, livello tecnico, altalena di emozioni può senz'altro reggere l'accostamento con la famosa Belgio - URSS del 1986, altro 4-3. Nella sfida che ha aperto gli ottavi, i transalpini hanno compiutamente mostrato, per la prima volta in questa rassegna, il loro strepitoso potenziale, mix micidiale di atletismo, classe e rapidità. Mbappè ha risolto quasi da solo la gara in chiave offensiva, con due gol che ne hanno evidenziato agilità e velocità di esecuzione, e ancor prima procurandosi il rigore dell'1-0 con una vertiginosa fuga a capovolgere il fronte del gioco. Contro una simile corazzata, l'Argentina è rimasta a galla fino alla fine grazie a prodezze dei singoli (strepitoso il tiro dalla distanza di Di Maria per l'1-1) e un pizzico di fortuna (deviazione di Mercado su sinistro telefonato di Messi), ma in realtà il match è stato costantemente nelle mani degli europei. Per il team di Sampaoli, la conferma a quanto qui si era scritto pochi giorni fa: il successo sulla Nigeria aveva solo mascherato gli enormi problemi di una squadra priva di una visibile linea di gioco e aggrappata alle alterne lune dei suoi solisti. 
BELGIO OK COL FIATONE, GIAPPONE VICINO ALLE GRANDI - In quanto a gol ed emozioni forti, non ha scherzato neppure Belgio - Giappone. In questo caso si può scomodare un precedente storico meno nobile di quelli prima citati, ma estremamente calzante: la sfida con l'Italia in Confederations 2013. Anche allora, i nipponici si portarono su un inatteso ma meritatissimo 2-0, poi subirono, a cavallo tra le due frazioni, la rapida rimonta azzurra fino al 3-2 ma riuscirono ancora a pareggiare, prima di incassare in extremis il colpo del ko da Giovinco, così come in extremis, e per di più su un contropiede (condotto in maniera vorticosa e magistrale) hanno ceduto le armi qualche sera fa.
Ingenui all'epoca e ingenui oggi, i giapponesi, che comunque sono una realtà: il talento c'è, l'organizzazione pure, se riusciranno ad acquisire malizia e capacità di gestire i momenti topici in certe sfide ultimative, potranno davvero aspirare a qualcosa di più concreto. Resta comunque la grande impresa dei belgi, risalti dallo 0-2 al 3-2 in quella che sembrava la classica serata storta. Come già dimostrato a livello di prima fase, la squadra di Martinez pratica il calcio offensivo più efficace e prolifico, per capacità realizzativa ma anche per produzione di occasioni da rete. I rischi corsi contro gli asiatici hanno fatto suonare un campanello di allarme che dovrebbe portare Fellaini e compagni a una maggiore attenzione in fase di copertura. Al momento, ritengo i francesi e i Diavoli Rossi i più autorevoli candidati al titolo, ma questi ultimi se la dovranno vedere col Brasile...
IL BRASILE C'E' - Già, la Seleçao. Contro il Messico ha marciato in folle per tutto il primo tempo, irretita da un avversario messo in campo in maniera eccellente, capace di praticare una manovra anche stilisticamente pregevole ma inguaribilmente leggero nei sedici metri finali, ciò che per l'ennesima volta l'ha privato del traguardo dei quarti, raggiunto solo nelle due rassegne giocate sul terreno amico ('70 e '86). Una volta sbloccato il risultato con Neymar, i pentacampioni hanno legittimato la vittoria costruendo altre tre palle gol nitide e trovando il meritato raddoppio con Firmino. E' un Brasile che ha qualche difficoltà a concretizzare la gran mole di gioco costruita, ma che mostra un atteggiamento sempre propositivo e pare soprattutto compagine equilibrata, con un centrocampo in cui quantità e qualità sono ben miscelate e una difesa che non è più preda delle terrificanti amnesie di quattro anni fa. Manca di continuità nell'arco dei novanta minuti, e ha quel Neymar che regala giocate sontuose ma anche atteggiamenti irritanti: col Belgio sarà una splendida sfida, ed è un peccato che una delle due già domani debba lasciare la compagnia.
SPAGNA: CONCLAMATA DECADENZA - Ha deluso la Croazia, dopo le luminarie del primo turno. La Danimarca, squadra poco più che discreta, ne ha spento gli estri ed ha anzi tenuto lungamente pallino, nella seconda parte di gara. Anche in una serata grigia, Rakitic e compagni hanno comunque avuto la grande chance per chiudere l'incontro, ma Modric ha sbagliato il penalty procurato da Rebic, andando ad affiancarsi a gente come Maradona, Zico, Platini, Donadoni e Baggio nella galleria dei super che, ai Mondiali, hanno fallito l'occasione dagli undici metri. Nella giostra finale dei rigori, i croati l'hanno spuntata, proseguendo con qualche certezza in meno verso il confronto coi padroni di casa russi, che hanno eliminato senza scandalo la sopravvalutata Spagna. Ridendo e scherzando, la Roja non vince più alcunché dal 2012, trionfo continentale sull'Italia di Prandelli. Da allora, tacendo della Confederations Cup 2013 persa in finale col Brasile, due Coppe del Mondo e un Europeo disputati, un'eliminazione al primo turno (Rio 2014) e due agli ottavi (Euro 2012 e 2016), quindi in fasi sostanzialmente precoci delle manifestazioni. Un ruolino di marcia che non giustifica più l'atmosfera di grandeur costruita attorno alla Selecciòn, e che riporta casomai all'antica tradizione spagnola di essere "perdente di successo": fino al 2006 le Furie si presentavano ai grandi appuntamenti nel ristretto drappello dei favoriti, ma poi facevano puntualmente le valigie in anticipo, non andando mai oltre i quarti e fermandosi talvolta anche prima (celebre l'esclusione immediata da Francia '98 per mano di Nigeria e Paraguay).
Così come per la Germania, che dopo otto anni era ancora aggrappata ai Neuer, Muller e Ozil, affiancati da poche novità, la Spagna si regge essenzialmente sugli ultimi reduci dell'età dell'oro, Ramos e Piqué, Basquets e Iniesta, protagonisti di un tramonto prolungato, che pur sempre tramonto rimane; i giovani sono bravi, uno di loro, Isco, è addirittura eccezionale, ma ricostruire immediatamente una squadra supervincente non è impresa di tutti i giorni, a maggior ragione se si torna a insistere su un tiki taka imbolsito e fine a se stesso, che produce solo uno sterile possesso palla e si riduce a una pallida imitazione dell'autoritario atteggiamento tattico della gloriosa Spagna euromondiale. La fusione tra vecchio e nuovo non è riuscita, insomma, e alla Russia è bastata una paziente e orgogliosa difesa per disinnescare il fucile iberico, peraltro caricato a salve. 
LA SVEZIA OLTRE I PROPRI LIMITI -  I padroni di casa non sono gran cosa, ma con l'entusiasmo e la spinta del fattore campo possono regalare ancora qualche sorpresa, sorpresa che invece non mi aspetterei più dalla Svezia. Gli scandinavi hanno davvero fatto il massimo entrando fra le prime otto, il che non cambia il giudizio su di loro già espresso dai tempi del playoff con l'Italia (che comunque non è stata eliminata da una scartina, almeno questo va sottolineato): squadra tecnicamente da 6 - 6,5, non di più; consapevole dei propri limiti, aggrappata a un atteggiamento tattico rigidamente prudente, un assetto di contenimento che neutralizza attacchi anche reputati e che consente qualche controffensiva mortifera, fin qui sfruttata magistralmente. La fortuna c'è stata (ottavo con la Svizzera deciso da un autogol), ma è bilanciata dal rigore clamoroso negatole con la Germania. Tuttavia, affrontando i gialloblù, per l'Inghilterra c'è un'occasione unica di ritornare finalmente fra le prime quattro al mondo.
BELL'URUGUAY, MA SENZA CAVANI... - I sudditi di Sua Maestà hanno finora brillato solo a sprazzi con la Tunisia e nell'allenamento con Panama, deludendo moltissimo nel mediocre confronto coi colombiani: ma hanno un buon impianto di gioco. un attacco ispirato in Kane, e un portiere rivelazione, Pickford, decisivo coi cafeteros. D'ora in poi devono però convincere pienamente. In prospettiva avrei dato più credito all'Uruguay del commovente maestro Tabarez, ai suoi veterani ringalluzziti che hanno consentito ai nuovi (Laxalt, Bentancur, ecc) di inserirsi positivamente in un meccanismo già perfettamente oliato. Ben coperti alle spalle, Suarez e Cavani hanno mostrato cose meravigliose contro il Portogallo: il primo eccellente uomo ovunque della prima linea, capace di creare e concludere, il secondo implacabile finalizzatore con soluzioni mai banali. L'infortunio di quest'ultimo toglie diverse chances alla Celeste, destino crudele perché si tratta di una delle migliori realtà finora ammirate, in un Mondiale che ha proposto tante conferme ma poche autentiche novità agli alti livelli. Comunque mai dire mai, Godin e compagni hanno sette vite.