Powered By Blogger

lunedì 29 marzo 2021

BULGARIA - ITALIA 0-2: AZZURRI UN PO' APPANNATI, MA IL GRAN FINALE FA BEN SPERARE

Anche il tabù bulgaro è crollato, eppure, alla fine, resta soprattutto il rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato. Fa rabbia rivedere quel magnifico quarto d'ora finale giocato di gran carriera, con occasioni a ripetizione e il terzo gol più volte sfiorato, e ripensare invece a quanto accaduto fino al magnifico raddoppio di Locatelli. Alle corte: l'Italia tornata in campo in queste qualificazioni mondiali non è stata, finora, la stessa ammirata fino all'autunno scorso. Personalmente, il timore di una metamorfosi in negativo l'avevo covato già in occasione della precedente interruzione, quella causata dal drammatico lockdown 2020. Anche all'epoca la ripresa dei nostri dopo la lunga sosta, nell'impegno fiorentino con la Bosnia per la Nations League, fu tutt'altro che brillante, e la cosa, in misura maggiore, si sta ripetendo in questa settimana. 

I PERCHE' DI UN APPANNAMENTO - Fisiologico, forse: per una squadra ancora in formazione, in sboccio, educata a un calcio di offesa e non di attesa, tenere sempre il... fuoco acceso è fondamentale; quando la filosofia è quella di manovrare e far girare palla in velocità e con assoluta precisione tecnica, i sincronismi vanno costantemente allenati, perché la nostra rosa non ha ancora alle spalle anni e anni di esperienza che le possano consentire di giocar sempre a memoria, di riallacciare immediatamente i fili di discorsi troppo a lungo interrotti. Questa può essere una delle chiavi di un appannamento a proposito del quale, tuttavia, mi sento di essere ottimista: il team del Mancio, per quanto ancora giovane e in parte immaturo, non deve già più dimostrare alcunché sul piano della qualità delle espressioni di gioco: sa dare del tu alla palla, sviluppare azioni avvolgenti ed efficaci, creare, concludere; tornare a ritrovarsi e ad allenarsi con continuità non potrà che riavvicinare questi ragazzi alle precedenti misure. Poi, certo, sono tanti altri i fattori che possono portare a certe prestazioni: ci sta la fatica per una stagione in pratica senza soluzione di continuità con la precedente, che si era chiusa ad agosto, non dimentichiamolo; ci sta il periodo negativo, o la semplice giornata no, di elementi sul quale solitamente si punterebbe ad occhi chiusi, tipo Verratti e Barella, ieri sera piuttosto opachi, e stiamo parlando di due dei nostri uomini di maggior spessore internazionale, che proprio per questo difficilmente ci offriranno altre delusioni. 

CATENACCIO SENZA RITEGNO - Dulcis in fundo, ci sono poi gli avversari. L'ho scritto già dopo Parma: quelli toccatici nel raggruppamento iridato, ben lungi dall'essere fenomenali, sono comunque rivali del tipo che il Club Italia ha sempre sofferto: fisicamente tenaci, ben organizzati, e soprattutto chiusi a riccio. La Bulgaria ha fatto per lunghi tratti un vero e proprio catenaccio d'altri tempi: se non si è al top della brillantezza, difficile trovare varchi in una difesa bassissima e serrata, che sa solo chiudere ogni varco, distruggere, senza preoccuparsi di creare. Perché poi, se andiamo a vedere, pur nel grigiore espresso dai nostri per un'ora abbondante, i rischi corsi sono stati pochissimi, mentre da parte azzurra la pressione non è mai mancata, anche se la maggior parte delle occasioni è giunta solo a raddoppio realizzato. 

MENO BELLI, MA SEMPRE PROPOSITIVI - Il bilancio finale parla di un rigore generoso (procurato e trasformato da Belotti) e di un altro piuttosto netto non concesso (per fallo sullo stesso Belotti), di un palo colpito dal torinista (con successiva ribattuta sparata alle stelle), dello splendido 2-0 su tiro a giro di Locatelli dopo bellissima combinazione Insigne-Verratti, e di tre occasioni assai ghiotte mancate dal subentrato Immobile nella parte conclusiva del match, senza tralasciare un altro paio di discrete opportunità capitate nella prima frazione ad Acerbi e Chiesa. Non male, se vogliamo, per una partita che ci ha visti a lungo in difficoltà nella costruzione, di fronte alla muraglia eretta dai locali. La cosa può in fondo essere interpretata come un segnale positivo: la nuova Italia sa vincere anche quando non tocca i suoi massimi livelli di rendimento, sa fare di necessità virtù, sta acquisendo un minimo di concretezza in più, vitale nei periodi di scarsa vena. 

L'OSSESSIONE DELLA DIFFERENZA RETI - Un doppio 2-0 nelle prime due uscite mondiali: pretendere di più era forse azzardato. Non mi è piaciuta la fase di approccio a questa prima trasferta da parte di certa stampa specializzata, cioè la richiesta quasi pressante di segnare caterve di gol per rinsaldare la differenza reti. E' un fattore senz'altro rilevante, ma che non può diventare già adesso un'ossessione: vedremo magari a metà percorso come saremo messi, ma non è affatto detto che questo girone si risolverà sicuramente in base al conteggio delle segnature. I tre punti devono essere sempre e comunque il risultato principale da perseguire: personalmente, per come si stava sviluppando la storia della sfida, a Sofia mi sarebbe andato bene anche l'1-0 maturato nella prima frazione. 

SPINAZZOLA, ACERBI, LOCATELLI E BELOTTI: OK - Tabù crollato, si diceva in apertura: la Bulgaria in casa propria è sempre stata off limits per noi, quindi eviterei di dare per scontata una vittoria che non lo era affatto, nonostante l'attuale situazione di precarietà qualitativa degli eredi di Stoichkov, Penev e compagni. E comunque i novanta minuti di ieri hanno offerto anche spunti positivi: a partire da uno Spinazzola indiavolato sulla sinistra, continuo nella spinta, arma offensiva aggiunta, titolare indiscutibile del ruolo in questo momento, con buona pace di Emerson; Acerbi si è confermato solido puntello al centro della retroguardia e abile negli inserimenti sui calci piazzati, Sensi si è battuto con generosità ma scarsa precisione, però va salvato visti anche gli attuali limiti fisici, Chiesa è un po' cresciuto alla distanza senza però riuscire a dare autentica efficacia alla sua azione sulla destra. Di Verratti si è detto: prova nel complesso deludente, ma con due lampi accecanti, il lancio che ha portato al palo di Belotti e lo zampino decisivo nella rete di Locatelli, il quale col suo ingresso ha fornito un cospicuo contributo di idee e freschezza nel mezzo. Riguardo al gallo torinista, non è al meglio e si vede, eppure ha trovato il modo di lasciare un segno decisivo nel punteggio: al top della condizione, non avrebbe fallito il tap-in dopo il palo, ma è sempre lì, pronto a far sportellate in mezzo all'area. Rimango comunque dell'idea che, nell'attesa di Zaniolo, la nostra produttività in prima linea crescerebbe enormemente con un adeguato impiego del Kean attuale. 

venerdì 26 marzo 2021

ITALIA-IRLANDA NORD 2-0: BENE IL RISULTATO, GIOCO COSI' COSI'. GLI ATTEGGIAMENTI PRUDENTI E AL RISPARMIO NON FANNO PER QUESTA NAZIONALE

 Si doveva vincere e si è vinto. Sicuramente banale, ma non scontato, visto che negli occhi ci sono ancora gli imbarazzanti impacci patiti dalla Francia contro l'Ucraina, con i campioni del mondo incapaci di far valere la loro nitida superiorità di talento e avvitati in un gioco modesto e monocorde. E che dire della Spagna, bloccata sul pari interno dalla Grecia, medesima sorte toccata a Griezmann e compagni? Non erano scogli insormontabili, quelli sui quali si sono arenati i due colossi europei, così come, in linea tecnica, non lo era per noi l'Irlanda del Nord. Ma i britannici, come gli altri avversari che ci attendono nel raggruppamento, rappresentano quel tipo di squadra, tosta fisicamente e rognosa tatticamente, contro cui la nostra rappresentativa da sempre soffre le pene dell'inferno. 

UN'AZZURRA... CONTRO NATURA - Prendiamoci dunque questi tre punti, e pazienza se nella mente rimangono quei secondi 45 minuti che, andando a memoria, hanno offerto il peggio della gestione Mancini, escludendo le prime timide uscite nella Nations League 2018, ormai preistoria calcistica. Leziosità fine a se stessa, ritmi bassi, prudenza immotivata che ha portato a un abbassamento eccessivo del baricentro, col risultato di aver concesso tre-quattro occasioni pericolose a una compagine dalle risorse offensive enormemente limitate. Insomma, tutta una serie di atteggiamenti assolutamente antitetici ai principi ispiratori del nuovo corso del Club Italia. E nel marasma della ripresa non potevamo farci mancare, naturalmente, l'ossessione della  "costruzione dal basso a tutti i costi", che ci è costata alcuni svarioni difensivi malamente sfruttati dai verdi. Ora che anche lo stesso cittì ha sottolineato, nel dopo gara, come non sia necessario legarsi mani e piedi a questa formula, forse ci sarà un minimo di rinsavimento. Fin dai tempi di Sacchi, gli estremismi tattici non hanno mai portato da nessuna parte: e di questa arma strategica, per quanto redditizia in determinate circostanze, non dovrebbe abusare a maggior ragione l'Azzurra attuale. Che ha nel pacchetto di mezzo il suo punto di forza, un insieme di elementi dai piedi buoni, dal palleggio sopraffino e dalla notevole visione di gioco, e che quindi deve cercare di far partire da lì la fase d'impostazione della manovra, appoggiandosi casomai sugli esterni bassi e alti, che ad esempio nella serata di Parma hanno offerto più di uno spunto positivo. 

COSTRUIRE NEL MEZZO - E' stato un esperimento, certo, favorito anche dal fatto che il risultato era stato sostanzialmente messo in cassaforte già nella prima frazione. Ed è comunque importante provare nuove idee, ricercare fonti e strade alternative per la costruzione dell'azione, per dare ulteriori brio e imprevedibilità a un atteggiamento comunque già spiccatamente propositivo. Ma l'anima del gioco azzurro, lo ribadisco, resta lì, in quella che una volta veniva chiamata "zona nevralgica". Certo, poi qualcosina cambia se non puoi contare su Jorginho e Barella, ossia su due dei giocatori di maggiore statura internazionale del gruppo. Locatelli, comunque, ha tenuto saldamente in mano le redini della squadra, prima di appannarsi nella ripresa come gran parte dei compagni, e Lorenzo Pellegrini ha ben giostrato da trequartista in appoggio diretto al trio d'attacco. Senza i due big di cui sopra, tuttavia, la tessitura è apparsa più "spiccia", essenziale, meno fine e metodica.

BERARDI SUPER - Gli spunti migliori in fase d'attacco, come detto, sono arrivati dalle corsie esterne. Da un'iniziativa di Florenzi è nato il perentorio affondo di Berardi che ha fruttato il vantaggio, mentre per realizzare il raddoppio Immobile si è involato sulla sinistra su lancio di Insigne, freddando l'incerto Peacock-Farrell. Berardi sta vivendo il momento migliore della carriera, o forse, ed è quanto ci auguriamo, si è finalmente assestato sugli ottimi standard di rendimento che la sua classe gli impone: dai suoi piedi, altri due assist non adeguatamente sfruttati da Immobile e da Emerson, quest'ultimo non in serata di gran vena: meglio di lui, nello scarso minutaggio a disposizione, ha fatto Spinazzola, coraggioso e intraprendente negli affondo. Ripeto quanto già scritto in passato: al momento il posto di titolare sulla sinistra spetta al romanista. 

INUTILE GIOCARE AL RISPARMIO - L'intensa settimana di qualificazioni, che si estenderà fin quasi alla vigilia di Pasqua, somiglia tanto a una prova generale del format che i grandi club vorrebbero dare agli impegni delle rappresentative, concentrandoli in un unico limitatissimo spazio temporale, possibilmente a fine stagione. Anche il fatto di doversi sottoporre a tre impegni ravvicinati con punti pesantissimi in palio, cosa che di solito avviene solo nelle fasi finali di Mondiali ed Europei ma con un maggior margine di giorni di riposo fra una gara e l'altra, può avere indotto inconsciamente i nostri a rallentare nel secondo tempo, un rischio però non ben calcolato, visti gli spazi e le opportunità concesse agli irlandesi. Insomma, si poteva spingere con più tranquillità sull'acceleratore, anche perché è mia convinzione che la Nazionale attuale si trovi in una situazione invidiabile, quanto ad alternative da mettere in campo.

Già detto di Jorginho (al momento indisponibile) e Barella, c'è almeno un'altra buona decina di ragazzi che possono subentrare senza che il tono qualitativo del complesso e le espressioni di gioco ne risentano più di tanto. E parliamo di elementi, oltretutto, che stanno vivendo una stagione buona se non eccellente: il già citato Spinazzola ma anche Bastoni, Lazzari, Gianluca Mancini, Pessina, Soriano (splendida seconda giovinezza), un Chiesa che è stato fra i pochi a salvarsi nella fallimentare campagna Champions della Juventus, Grifo sempre efficace e decisivo in Germania, e quel Kean che è diventato elemento chiave del PSG e che presto, ritengo, diverrà quasi imprescindibile anche per il Mancio, in attesa del ritorno di Zaniolo, da non forzare. Insomma, abbiamo tante frecce al nostro arco, ecco perché il gioco al risparmio, come quello visto nella ripresa del Tardini, è assolutamente da evitare. E risulta anche controproducente, in quanto lontanissimo dalle corde e dallo spirito di questo Club Italia. 

domenica 7 marzo 2021

SANREMO 2021: LA VITTORIA DEI MANESKIN È UNA DELLE PIU' CLAMOROSE DEGLI ULTIMI 40 ANNI. IL FESTIVAL CHIUDE IN CRESCENDO E LASCIA AI POSTERI UN GRUPPETTO DI BELLE CANZONI

A pensarci bene, era persino ovvio. Il Festivalone più fuori dall'ordinario di tutti i tempi non poteva che esprimere un verdetto spiazzante, pazzesco, sopra le righe, al di là di ogni pur ardito pronostico. Alle 2 e 30 di notte trionfano i Maneskin: seguo il Festival da quasi quarant'anni e, fatte tutte le dovute valutazioni e distinguo per ognuna delle edizioni, penso di poter dire che siamo di fronte a una delle vittorie più clamorose, più di quella di Mahmood, sui livelli di Tiziana Rivale e Jalisse, quanto a imprevedibilità. Certo, Damiano e compagni sono cresciuti nella considerazione di tutti fin dalla prima esibizione, non hanno sbagliato una performance, ma potevano tutt'al più essere accreditati del ruolo di principali outsiders, perché ben altri erano i favoritissimi e loro non potevano essere considerati nel gruppo, a maggior ragione in quanto esponenti di un genere musicale che in Riviera ha sempre raccolto pochissime soddisfazioni.

C'ERA DI MEGLIO - In linea generale, fa sempre piacere quando a chiudere in testa la maratona ligure è un'espressione del mondo giovanile, perché testimonia del fatto che Sanremo mantiene intatta la propria vitalità, vuole sempre e comunque guardare avanti, ignorando chi invece è rimasto inspiegabilmente ancorato agli anni Ottanta-Novanta e auspicherebbe una kermesse costruita sui cantanti mito di quel periodo, oggi fuori mercato e lontani dai gusti di chi spende davvero per fruire del prodotto musicale. Il discorso cambia un po' se guardiamo invece all'aspetto meramente qualitativo: personalmente ritengo che il pacchetto-canzoni del Festival numero 71 offrisse decisamente di meglio. Alla fine, scremando e sacrificando pezzi gradevolissimi, ero giunto a una terna di miei preferiti: Irama, Rappresentante di lista e Malika Ayane, con opzioni aggiuntive per Arisa e Colapesce-Dimartino; i motivi del mio apprezzamento per le loro composizioni li ho già ampiamente illustrati nei post di questa settimana, e non mi pare il caso di ripetermi. 

A IRAMA E' MANCATA L'ATMOSFERA LIVE - Nessuno di loro è giunto a toccare con mano la possibilità di vittoria: poteva avere qualche chance in più l'elettrodance europea di Irama, il quale però alla lunga ha pagato il modesto impatto televisivo della registrazione della prova generale, lo stesso filmato mandato in onda per tre sere. All'Ariston pesa anche, sull'esito della competizione, la performance live, che può mutare da una serata all'altra non tanto come caratteristiche della messa in scena (se andiamo a vedere, l'esibizione di ogni cantante rimane grosso modo la stessa da martedì a sabato, anche sul piano della gestione registica), ma come modo di porsi sul palco da parte del singolo interprete, sulla base del mood del momento. In soldoni: l'rvm trasmesso in loop ha mostrato un Irama padrone assoluto della situazione, da artista consumato, quasi gigione in certi atteggiamenti, sicuro di sé al punto da rasentare una positiva arroganza (nel segno di una delle sue recenti hit estive...); immaginiamo cosa avrebbe potuto fare con lo stimolo della diretta tv e con l'adrenalina di una gara in pieno svolgimento. Un peccato: nelle condizioni in cui ha dovuto operare, ha obiettivamente raggiunto il massimo traguardo. 

LO STRANO PERCORSO DI MICHIELIN E FEDEZ - Una volta... rasi al suolo i miei favoriti, nel terzetto finale avrei puntato su un'affermazione del duo Michielin-Fedez, con una "Chiamami per nome" che è partita col freno a mano tirato ma che alfine si è imposta come pezzo di grande presa radiofonica, del tutto in linea con il pop di questi anni Venti, un prodotto abilmente confezionato e destinato a fare il vuoto nelle chart. Curiosa storia, quella sanremese di questi ragazzi: sono entrati papi (a bocce ferme, prima dell'inizio, i favoriti erano loro), sembravano essere usciti cardinali ma, sotto la possente spinta del televoto, sono rientrati nel conclave rivierasco respirando nuovamente aria di successo pieno. In tema di sorprese, abbastanza inatteso anche il "crollo" di Ermal Meta. Intendiamoci, non per sua responsabilità, ché anzi ha regalato in finale un'esibizione di assoluto spessore, tecnicamente ineccepibile ed emozionalmente vivida. Visto che ieri avevo parlato di un Ermal come l'Inter attualmente in fuga in Serie A, rimanendo in ambito calcistico si potrebbe paragonare ciò che è avvenuto stanotte alla clamorosa rimonta scudetto della Lazio sulla Juventus nel 2000: solo che in quel caso furono i bianconeri a cedere di schianto, laddove il trionfatore (in coppia con Moro) del 2018 ha fatto tutto quello che doveva e poteva, compresa la capacità di mettere d'accordo demoscopica e orchestra e "tenere botta" nelle votazioni via sms, ma non è bastato. 

COSA RESTERA' - Alle corte: non hanno vinto i migliori, parere personalissimo. Succede, e ce ne faremo una ragione. In "Zitti e buoni" i Maneskin portano se non altro una spruzzata di rock certo ingenuo, basico, da studenti alle prime armi, ma comunque sincero e genuino, sporco, graffiato, puro, laddove l'unico precedente di medaglia d'oro sanremese del genere, quello di Ruggeri nel '93 con "Mistero", virava verso tonalità decisamente più ammorbidite. Ad ogni modo faranno breccia anche loro, nelle heavy rotation e nelle classifiche di vendita reali e digitali, assieme a una buona decina di pezzi: nel gruppetto di prevedibili successi di Sanremo 2021 metto il podio ufficiale dell'edizione, i miei preferiti prima elencati, e ci aggiungo i teneri Coma_Cose, una Gaia dal buon impatto scenico, quel Fulminacci che raccoglie l'eredità dei nostri migliori cantautori "de borgata", con la sua capacità di pennellare a parole stralci di semplice vita quotidiana, la martellante rabbia di Willie Peyote, l'estro immaginifico di Gazzè, persino una Madame che è stata forse la più avanguardista di tutti i 26 Campioni, riuscendo a dimostrare che si può cantare l'amore, il nuovo amore, quello giustamente vissuto in totale libertà dai ragazzi d'oggi, con linguaggio ultracontemporaneo, con sonorità futuribili, ma anche con felici contaminazioni fra rap e classicismo italico, senza dover totalmente tradire le proprie origini. 

I CLASSIC: PROMOSSI CON RISERVA - C'è poi tutto il discorso riguardante la truppa dei "classic", i veterani: certo fa un po' effetto chiamare così gente come Renga, Arisa, Annalisa, Noemi, lo stesso Meta, segno inequivocabile che, ahimé, il tempo passa inesorabilmente. Francesco rappresenta un caso a sé, e mi ripeto: non so se fosse in precaria forma vocale o se si stia appannando con l'avanzare dell'età, ma la sensazione, netta, è che il brano scelto non fosse del tutto nelle sue corde; non esaltante ma nemmeno brutto, difficilissimo da eseguire, con continui salti tonali, una montagna russa, ardua da affrontare anche per un campione dell'ugola come lui, se non si è al top della condizione. Di Ermal scrivevo ieri che una sua affermazione avrebbe aggiunto poco o nulla all'albo d'oro festivaliero e alla sua carriera, e lo confermo. Più in generale ho sottolineato nei giorni scorsi che nessuno di questi nomi a noi familiari ha voluto rischiare, andando fin troppo sul sicuro. Esaurita la parte critica, non posso non rilevare come, in ogni caso, le opere da loro portate in concorso siano, alla fine, tutte ben cesellate. In particolare le tre primedonne hanno saputo impreziosire le loro canzoni con interpretazioni ricche di pathos; menzione d'onore per il crescendo vocale e orchestrale di "Glicine" della rossa Veronica, ma tutti i brani in questione spiccano per l'eleganza del vestito, per la classe complessiva, nessuno di loro ha il dono dell'immediatezza ma alla fine entrano nelle orecchie e nel cuore. Insomma, più rispetto della tradizione che banalità. 

AUDITEL GIU', AUDITEL SU - E dunque, il bilancio squisitamente canoro del Sanremo 71 è da considerarsi, di primo acchito, positivo. Come detto ieri, non so se migliore o peggiore dell'anno passato, questo solo il tempo potrà dirlo e comunque richiederebbe una valutazione approfondita e complessa, nella quale non poco inciderebbero le inclinazioni personali (leggasi: gusti soggettivi). Di certo c'è che proprio la musica, le canzoni in competizione, è ciò che più resterà dell'edizione appena conclusa. Dello spettacolo nel suo complesso abbiamo già detto molto. Si può aggiungere che il secondo Festivalone targato Ama-Fiore si è dimostrato più forte di chi lo dava per morto già mercoledì; parlando esclusivamente di Auditel, dopo un avvio tremendamente difficile c'è stata una risalita lenta e costante, culminata con una finalissima che ha dato risultati di tutto rispetto: 13 milioni di spettatori nella prima parte, quasi 8 nella seconda, media non molto lontana dai 10; sui grandissimi numeri, siamo grosso modo in linea con la finale di tredici mesi fa, con flessione contenutissima. 

IL SENSO DELL'AUDIENCE E LA CHIUSURA MENTALE - Si è chiuso in bellezza, quindi, e proprio sulle ali di un dato incoraggiante è giusto dire (farlo mercoledì o giovedì sarebbe parsa un'arrampicata sugli specchi per giustificare l'insuccesso) che continuare a parlare di audience catodica, oggi, ha un senso relativo. Tantissime persone, i giovani soprattutto, ma non solo (l'ho fatto anch'io a volte, in questi giorni) hanno ormai a disposizione modalità alternative di fruizione delle produzioni tv, tramite le piattaforme web che consentono anche di vedere solo stralci di spettacolo, scegliere le parti e le esibizioni che maggiormente interessano. Di tutto questo, oggi, va tenuto conto. Lo sanno i pubblicitari, credo, e in futuro faranno le loro valutazioni in merito, dovrebbero cominciarlo a capire anche i giornalisti, di settore e non, che continuano a vivere coi santini dell'audience e dello share appesi al pc. Aggiornatevi, ragazzi. Se poi  una certa fascia di pubblico ha deciso aprioristicamente di non seguire la manifestazione perché non conosceva diversi nomi del cast, ecco, di questo la direzione artistica non ha colpa alcuna: la chiusura mentale verso il nuovo è un problema culturale che riguarda l'intera visione personale della vita, e che meriterebbe ben altri approfondimenti. Nel piccolo microcosmo festival, io mi tengo il continuo rinnovamento dei ranghi attuato dagli anni Dieci in maniera via via più consistente e deciso, con apertura a realtà periferiche del mercato discografico, ma ricchissime di talento e idee. Ne coglieremo presto i frutti. 

FORMULA AMA-FIORE: COSA HANNO SBAGLIATO - Come annunciato ieri dal diretto interessato, non ci sarà un Amadeus numero tre (anche se oggi in conferenza stampa c'è stata una parziale marcia indietro, forse più formale che altro, su sollecitazione dell'ad Salini...). Lo capisco ed è giusto così: l'anchorman ha sfoderato un coraggio nella selezione dei brani in concorso di cui, lo si capirà presto, gli dovremo essere grati a lungo. Minore elasticità ha mostrato nella costruzione complessiva dello spettacolo, a partire dalla cocciutaggine, rimasta intatta dal 2020 al 2021, nel voler insistere sulla durata spaventosamente dilatata delle serate, accettabile per la finalissima, molto meno per le prime puntate. E poi la formula dell'accoppiata con Fiorello non può essere ripetuta per una terza volta consecutiva: a tratti ha mostrato la corda anche in questa settimana, e più di tanto non si può raschiare il fondo di un pur ricco barile. E' stato tutto troppo uguale da un anno all'altro, anche certi ospiti italiani, anche la trovata della squadra di copresentatrici femminili. 

IO TIFO SERENA ROSSI - Su quest'ultimo punto, la nuova direzione artistica (se nuova sarà, a questo punto) dovrà, secondo me, fare una scelta di campo ben precisa, netta. Perché alla fine il buttare sul palco donne in in gran numero può quasi sembrare un contentino, un rispetto delle quote rosa fin troppo ostentato, un fare mucchio, riservando però a tutte spazi limitati. Ebbene, non conta la quantità, ma la qualità: dodici anni dopo Antonella Clerici, sarebbe ora di tornare ad affidare il comando della kermesse ligure a una donna. Certo, la Hunziker ha avuto un ruolo preminente nel 2018, ma era tutt'altro che sola, con presenza ingombranti come quelle di Baglioni e Favino. Ammetto che si tratti di una mia piccola fissa, ma la figura ideale ce l'abbiamo già, davanti agli occhi, e la si è vista anche ieri sera, pur se per un minutaggio troppo breve. Serena Rossi è una show girl completa e matura, sa presentare, intrattenere, recitare, cantare, potrebbe tranquillamente reggere sulle spalle anche da sola la conduzione del colosso Festival, secondo me. Il nome caldo di questi giorni è Alessandro Cattelan, da almeno due lustri promesso sposo di Sanremo, ma che non ha l'esperienza di prime serate Rai (altra cosa, diciamo pure un altro mondo rispetto alle pay tv), esperienza che può già vantare la prossima protagonista di "Canzone segreta". La quale a parer mio merita di essere la prima scelta. Avremo modo di riparlarne. 

LE COSE DA SALVARE E L'ASSENZA DEL PUBBLICO - Chiusura con piccole chicche extra-gara da salvare di questa faticosa settimana: tutti i momenti di sensibilizzazione sulla crisi del comparto cultural-spettacolare (non sono mancati, potevano essercene anche di più); la sigla delle prime due serate cantata da Amadeus e Fiorello su composizione in stile musical di Rocco Tanica (perché non utilizzarla per tutta la durata della rassegna?); la canzone-parodia di Fiore-Vasco sui pensionati; alcune ospitate non banali, come quelle di Enzo Avitabile, Dardust, l'attuale Re mida del pop italico, di Umberto Tozzi che accanto ai classicissimi ha proposto successi meno scontati come "Dimentica dimentica", e i due angoli nostalgia animati prima da Cinquetti, Leali e Marcella, e questa notte da Fogli, Vallesi e Zarrillo, un'idea da riproporre ampliata e riveduta in futuro, magari con una serata ad hoc. Rimarrà una frase, anche, tratta dal testo dei vincitori: "Parla, la gente purtroppo parla, non sa di che cazzo parla", applicabile a tante sciocchezze social lette in queste settimane sul festival, e colpevolmente alimentate anche da alcune testate giornalistiche che, ai miei occhi, hanno così perso ogni credibilità. 

Di quello che è da dimenticare, molto si è detto: su tutto si staglia l'assenza del pubblico in sala. Debbo dire che da casa l'ho percepita solo a tratti, merito di una scenografia che occupava lo schermo in tutto il suo spazio, di una regia accorta, di una proposta musicale, ribadisco, di grana buona e di due anfitrioni che, magari sbagliando qualcosa, magari segnando a tratti il passo, hanno fatto di tutto per far arrivare sui teleschermi allegria e spensieratezza. Ma per loro e per tutti gli artisti avere davanti quelle sedie vuote, per cinque e più ore a sera, dev'essere stato davvero avvilente. 

sabato 6 marzo 2021

ERMAL META È L'INTER DI SANREMO 2021: IN FUGA SCUDETTO-FESTIVAL. CHI LO FERMERA'? MERITATO TRIONFO DI GAUDIANO FRA I GIOVANI. INTANTO "AMA" NON TRIPLICA

La breaking news dell'ultimissima ora è la rinuncia ufficiale di Amadeus a una terza direzione artistica consecutiva. Era ampiamente nell'aria, ma sentirlo dichiarare in maniera così esplicita e risoluta fa comunque un certo effetto, anche se ha il pregio della chiarezza assoluta. Ne riparleremo domani, perché questo nasce come un pezzo di commento al venerdì del 71esimo Sanremone. L'anno scorso, la quarta serata fu quella del fattaccio Bugo-Morgan. Lì per lì un siparietto indecoroso, che però fornì al Paese gli ultimi spunti di innocua ilarità prima dell'inizio del dramma. Questa volta non c'è stato alcuno scossone di tal tenore, ed era ovvio: perché il cast non include personaggi ingestibili e imprevedibili come il signor Castoldi (persino Achille Lauro può definirsi "omologato" nella sua telefonatissima irriverenza all'acqua di rose), e perché non c'è proprio l'atmosfera per certe forzature, in un Festival che vuole essere momento d'evasione senza però rinunciare a un basso profilo nel modo di arrivare al pubblico a casa. Si è verificato un intoppo tecnico, questo sì, che ha costretto alla ripetizione della propria performance Francesco Renga, apparso in effetti ancor più in difficoltà della prima serata nell'esecuzione di "Quando trovo te". Ma nulla di strano, cose che accadono spesso all'Ariston, e del resto 24 ore prima anche Fasma e Nesli erano stati stoppati da Amadeus nel bel mezzo della loro cover perché il microfono del primo era rimasto muto. 

UN PO' MENO LUNGA, DECISAMENTE PIU' INTERESSANTE - A proposito di Sanremo 2020: anche nel superfluo, discutibile, infelice monologo di Barbara Palombelli (un modo per giustificarne la presenza al di là della presentazione di qualche brano) ha fatto capolino il refrain di "Fai rumore", ulteriore segnale che questa composizione, pur dalla vita ancor brevissima, è già diventata iconica nella storia della manifestazione e della musica leggera italiana, per la sua intrinseca bellezza e per i significati di cui si è caricata in questi dodici mesi. E sempre pensando all'edizione numero 70, l'archivio del blog mi ricorda che la serata-nottata del venerdì era stata leggermente più lunga di questa, che a sua volta è durata un po' meno rispetto all'indigeribile mappazzone del giovedì. Pochi minuti di differenza, certo, ma la durata-fiume in questo caso è stata resa più tollerabile dal fatto che il succo dello show sia stato il concorso vero, non la pseudo-gara degli evergreen rivisitati. Oltretutto, nonostante si sia comunque trattato di una maratona, la sensazione generale è stata di una maggior scorrevolezza, di un ritmo più serrato soprattutto nella seconda parte, quella finora maggiormente penalizzata e penalizzante in termini di audience complessiva della rassegna. 

ERMAL META PIAZZA L'ALLUNGO. SARA' DECISIVO? - I fatti concreti, le notizie del quarto capitolo di Sanremo 71 sono sostanzialmente due: del successo di Gaudiano nelle Nuove proposte parlerò più avanti, mentre in prima pagina si staglia nitido il nome di Ermal Meta. Il vincitore 2018, in linea teorica, affronta la finalissima nelle vesti dell'Inter di Lukaku e Conte, ossia l'attuale capolista in fuga della Serie A: dopo aver conquistato la demoscopica e l'orchestra, dopo aver tenuto egregiamente nel giudizio dei giornalisti, ed essendo accreditato di una buona resa anche nel televoto, che stasera avrà un ruolo pesantissimo pur se non decisivo, si può ben dire che solo lui, a questo punto, possa perdere il Festival. Ho detto in linea teorica perché non conosco cifre e percentuali delle votazioni, tutto rigorosamente secretato, ma al momento i dati noti sono questi. Certo non sarebbe il trionfatore ideale, forse il più "grigio" dell'ultimo quinquennio. Dopo il primo posto degli Stadio nel 2016, più che altro un tributo all'invidiabile carriera della band di Curreri, abbiamo avuto quattro pezzi-bomba a sbaragliare il campo, quattro gemme che, ognuna nel suo genere e attraverso interpretazioni diverse, hanno segnato profondamente, in senso positivo, l'albo d'oro della kermesse. Questa volta, si tratterebbe di un'affermazione basata più sul prestigio e sul curriculum del cantautore che sulle qualità di un brano senz'altro dignitoso, senz'altro ben concepito, delicato e con una vena di malinconia come nel classico mood di Ermal, ma che non spicca per originalità. 

LA PROTESTA (DI GRANA GROSSA) DI PEYOTE - Approfondiremo questi discorsi se stanotte verranno confermati i pronostici. Chi può insidiare il capoclassifica? La graduatoria provvisoria premia forse oltre i suoi meriti Willie Peyote, con un brano certo ficcante, furbescamente protestatario, che si scaglia contro una certa deriva dell'industria musicale e culturale non senza ragione, che ironizza amaramente su certe distorsioni causate dalla pandemia (stadi aperti, eventi di spettacolo chiusi), finendo però per allargarsi alla totalità del quadro sociale in disfacimento, mettendo insomma troppe cose nel calderone senza focalizzarsi su di un obiettivo preciso e finendo col risultare in alcuni passi retorico, ciò che un rapper di buona penna come lui non dovrebbe mai fare. Resta il fatto che "Mai dire mai" ha un refrain martellante e tremendamente efficace: una sua vittoria sarebbe veramente rivoluzionaria, forse la più sconvolgente nella storia del Sanremone, molto più di quella di Mahmood (rivisto ieri in straordinaria forma vocale), ma potrebbe anche essere un modo per sdoganare definitivamente un genere che finora, in Riviera, ha incontrato molte difficoltà, tanto da tener forse lontani dall'Ariston alcuni suoi esponenti di spicco. 

SALGONO RAPPRESENTANTE, ARISA, COLAPESCE-DIMARTINO - La sala stampa ha fatto giustamente balzare in avanti Rappresentante di Lista, Colapesce-Dimartino e Maneskin, consolidato la posizione di Irama e spinto in su Arisa. Della quale confermo quanto detto in sede di primo commento: il pezzo di Gigi D'Alessio è di grande eleganza e atmosfera, un esempio di eccelsa classe di melodia all'italiana che, per lo stile e il modo in cui la cantante lo porge al pubblico, mi ha ricordato un po' "Senza un briciolo di testa" di Marcella, riascoltata giusto un paio di sere fa. Ma tutto il pacchetto-festival di questo 2021 mi sembra onestamente di buon livello, dopo il secondo ascolto live dei brani scelti da Amadeus. Difficilissimo, a caldo, dire se sia migliore o peggiore di quello del 2020, che ha lasciato ai posteri almeno sei-sette chicche indimenticabili (Diodato, Gabbani, Levante, Pinguini Tattici, Tosca, Elodie, Lauro), queste sono valutazioni che si potranno fare solo a bocce ferme e dopo attente analisi, ma mi pare vi sia almeno una decina di opere in grado di percorrere una discreta strada da domenica in poi. 

MALIKA? OTTIMA - In tal senso, la serata di ieri non ha modificato di molto le sensazioni maturate martedì e mercoledì: nelle mie preferenze è cresciuto un tantino il solo Aiello, la cui "Ora" musicalmente non ha alcunché di innovativo, ma è sostenuta da un testo non privo di trovate originali e da una interpretazione rabbiosa, financo istrionica, in linea col messaggio della canzone. Pur se i social e molti addetti ai lavori la stanno massacrando, secondo me Malika Ayane si è presentata a questo Sanremo con una delle proposte migliori della sua carriera, anche se non la migliore in assoluto. Forse uno stile più sbarazzino, una ritmica più sostenuta rispetto ai lenti delle ultime due partecipazioni hanno spiazzato chi si aspettava rimanesse nel medesimo solco, ma vivaddio, è stata l'unica dei veterani a rischiare uscendo dal seminato, e "Ti piaci così" ti entra dentro e ti si ficca in testa, trascina e coinvolge. Così come trascinano i Rappresentante di lista, col ritornello forse più intenso e accattivante dell'edizione, per una "Amare" impreziosita da arrangiamenti di pregio, dalla possente vocalità di Veronica Lucchesi e dalla personalità che tutto l'ensemble sfodera on stage. 

L'ASTUZIA DA CHART DI MICHIELIN-FEDEZ - Malika e Rappresentante potrebbero persino essere i miei vincitori ideali, così come la cupa dance metalizzata di Irama, che stasera va tenuto d'occhio perché il Televoto potrebbe aiutarlo parecchio, quantomeno nella rincorsa a un podio che non sarebbe immeritato. Fra i "più" della serata anche l'allegrotto inno all'innamoramento dei Coma_Cose, le sonorità seventies, fra discomusic e Matia Bazar prima maniera, del duo Colapesce-Dimartino, l'astuzia radiofonico-commerciale di Michielin e Fedez, la cui "Chiamami per nome" non mi dispiace e che, come nel caso di Irama, potrebbe scalare stasera molte posizioni, anche se le soddisfazioni maggiori, par di capire, le raccoglierà fuori dall'Ariston. E ancora: conferme per la commistione di sonorità arabeggianti e spagnoleggianti di Gaia, per il semplice e romantico realismo cantautoriale di Fulminacci e per la grinta rockeggiante sopra le righe dei Maneskin. Si diceva di Renga: un altro che sta raccogliendo ampi dissensi in sede di commenti social, ma che secondo me va salvato quantomeno per l'ardimento mostrato nel cimentarsi con una composizione dalla costruzione assolutamente insolita, e che impone autentiche spericolatezze interpretative. 

GAUDIANO E NUOVE PROPOSTE DI SPESSORE - Eccoci infine alle Nuove proposte. Elessi Gaudiano a mio favorito fin dall'autunno scorso, dopo averne sentito la cruda e autobiografica "Polvere da sparo", dal testo realista con linguaggio contemporaneo e dalle sonorità di buona presa. Non era invece il favorito numero uno degli esperti, e per questo la sua meritata affermazione mi rende ulteriormente felice. Ne sentiremo parlare, così come sentiremo parlare degli altri tre finalisti, di Wrongonyou e della sua felice fusion fra modernità e tradizione, di Davide Shorty e della sua indole soul funk, di Folcast che ha imbevuto "Scopriti" di atmosfere avvolgenti alla Sinead O'Connor. Senza dimenticare la bella voce di Greta Zuccoli e l'ironia disincantata di Avincola, che sa alleggerire e smitizzare anche la serietà dell'amore. Bastano questi sei nomi per evidenziare come la commissione di AmaSanremo abbia compiuto un lavoro tutto sommato di pregio, traendo una serie di piccoli diamanti, grezzi ma promettenti, da un campo di partecipanti che in prima battuta non mi era parso di altissimo spessore. Certo poi questi ragazzi andranno adeguatamente valorizzati, "forzandone" magari il lancio e la crescita con un precoce inserimento nella categoria principale, come è stato fatto quest'anno con Fasma e con tanti altri in passato. Ma se il vivaio del Festivalone è questo, deve rimanere in vita, perché può continuare a garantire adeguato ricambio generazionale. 

venerdì 5 marzo 2021

SANREMO 2021: SERATA COVER QUASI OFFENSIVA NELL'IMPOSTAZIONE. NON MANCANO LE REINTERPRETAZIONI ORIGINALI, MA NELLE VOTAZIONI PREVALE IL CONFORMISMO

 Dicono che noi "Sanremo-fanatici" siamo disposti ad accettare tutto, proprio tutto, del Festival. Beh, sapete, non è mica vero. Perché una serata come quella di ieri, ad esempio, è qualcosa di molto vicino ad un'offesa, tanto più grave nei confronti di chi Sanremo lo segue e lo ama con passione praticamente da quando ha l'età della ragione. Parlo soprattutto della struttura dello spettacolo (ma non solo, come vedremo): quasi cinque ore e mezza di trasmissione per la puntata meno importante e significativa dell'edizione rasentano la follia. Una decina di concorrenti lasciati nell'ultimissimo segmento, fino alle soglie delle due di notte, sono una mancanza di rispetto verso tutti, spettatori e artisti. 

SCALETTA CONCETTUALMENTE SBAGLIATA - Chi mi conosce sa che guardo con grandissimo interesse al passato, facendone perfino oggetto di studio, come nel caso delle mie ricerche sulla storia della manifestazione canora più amata e popolare, ma non sono un nostalgico, tutt'altro. Penso semplicemente che si debba trarre il meglio dai tempi che ci siamo lasciati alle spalle, e ciò vale anche per Sanremo. Era estremamente funzionale, sul piano della resa televisiva e dei risultati di audience, il meccanismo degli anni Ottanta, che prevedeva di inserire gli elementi extra - competizione nella seconda parte dello show, perlomeno gran parte di essi (certo se ti trovavi fra le mani un Paul McCartney, come nell'88, era giusto riservargli un posto di riguardo in scaletta). In una serata riempita dalla gara (o meglio, pseudogara) come quella di poche ore fa, intermezzi evitabili come quelli di Valeria Fabrizi e del duetto Ibra-Mihajlovic, per tacere del taglio di baffi (con ferita annessa) di Amadeus a Fiorello, non si potevano mettere in coda a tutto il "mappazzone"? Date retta: ne avrebbe guadagnato la qualità dello spettacolo, per non parlare dei nervi di noi poveri spettatori inermi. Brutto segno quando anche un irriducibile come me, abituato al più rigoroso "festival minuto per minuto", sprofonda a più riprese nel sonno, vedendosi poi costretto a recuperare le esibizioni perdute sulle piattaforme video web. 

CAMBIARE LA TERZA SERATA - Rimane poi il difetto di fondo di un pezzo di format festivaliero che nasce come serata evento e che qualche volta, in passato, ha saputo essere un happening grazie a una felice miscela di ospiti illustri e performance ben cesellate, ma che, in generale, è qualcosa di fondamentalmente debole, un corpo estraneo che aggiunge poco o nulla al prodotto Sanremo e anzi, spesso, sottrae. La ripetitività del modello l'avevo già, oltretutto, più volte sottolineata negli anni addietro: cover e celebrazioni della canzone d'autore e della storia della musica italiana o della stessa rassegna ligure, cose viste e riviste, trite e ritrite. La terza serata andrebbe ripensata in toto: magari cominciando a posticiparla di 24 ore, perché ad esempio secondo me non ha senso che per due sere-notti consecutive, venerdì e sabato, si debbano riascoltare le medesime canzoni nuove dei Big. 

Ieri, in chiusura di commento, ho buttato lì l'idea di rimanere nel filone nostalgia, ma con gli interpreti e le opere originali: invece di gettare nel calderone le Cinquetti, le Marcella e i Leali di turno, quasi spersi nel mare magnum di maratone tv elefantiache, perché non costruire loro addosso un evento ad hoc, una puntata a tema, nella quale magari inserire anche la finale dei Giovani, i quali certo si gioverebbero dall'essere affiancati da nomi-totem amatissimi dal pubblico più maturo di  Rai 1? Questa potrebbe essere un'idea: un'altra potrebbe essere il ripescaggio dei duetti con reinterpretazione dei pezzi in concorso, che in diverse edizioni di questo secolo hanno proposto rivisitazioni interessanti e versioni alternative degne di nota. 

CHE C'ENTRANO LE COVER CON LA GARA DI BRANI NUOVI? - Tutto questo, sorvolando sul vero grande punto interrogativo della serata cover: il fatto che vada a incidere sulla graduatoria generale del concorso di inediti. Si possono trovare tutte le giustificazioni possibili, dire che è importante valutare le capacità interpretative degli artisti alle prese con composizioni di altri, ma Sanremo è una tenzone di canzoni nuove, e la conclusione è che si continua a mischiare pere con mele e a inquinare il verdetto finale di sabato. Per dire, i capiclassifica Annalisa ed Ermal Meta hanno avuto gioco facile, puntando su cover fin troppo sicure (rispettivamente "La musica è finita" e "Caruso", vedi te che fantasia), proponendole con misura e con sostanziale aderenza all'originale, fatto salvo l'apprezzabile arrangiamento di Federico Poggipollini per il pezzo della Vanoni, sicuramente un valore aggiunto. Così, hanno consolidato le loro posizioni di vertice e si apprestano ad affrontare le tre votazioni decisive partendo da un piedistallo non del tutto meritato, se guardiamo esclusivamente alle canzoni... di loro proprietà, quelle selezionate da Amadeus. Stesso discorso applicabile anche a "Quando", in cui Arisa si è avvalsa della presenza magari tecnicamente non ineccepibile, ma indubbiamente intensa e sofferta, di un Michele Bravi che spero di ritrovare presto in competizione in Riviera.

IRAMA. MANESKIN, GAIA E FULMINACCI OK - Insomma, l'ennesima occasione perduta. Peccato perché, quest'anno, si era intravisto un minimo di coraggio in più nella scelta degli evergreen, o presunti tali, da rielaborare per il palco dell'Ariston. Avrebbero meritato maggior considerazione la rispettosa interpretazione di "Cyrano" da parte di Irama (con tanto di intro di Guccini, una perla destinata a rimanere un unicum nella storia della manifestazione), lo sfacciato e irriverente vestito rock che i Maneskin e Manuel Agnelli hanno fatto indossare ad "Amandoti" dei CCCP, il "Penso positivo" di Fulminacci valorizzato dalla tromba di Roy Paci e, soprattutto, dalla rilettura in chiave surreal-ironica di Valerio Lundini, la struggente e sensuale atmosfera che Gaia e Lous and the Yakuza hanno saputo creare per "Mi sono innamorato di te". 

MADAME, ORIETTA E STATO SOCIALE SU, BUGO GIU' - La voce delle Deva (rivista sul palco Laura Bono, sfortunata vincitrice fra i Giovani nel 2005) si è sposata come meglio non poteva con quella di Oriettona Berti, facendole fare un balzo in classifica grazie a "Io che amo solo te", "Giudizi universali" è stata soprattutto una performance di Samuele Bersani alla quale poco o nulla ha aggiunto Willie Peyote. Di Madame rimarchevole la citazione del famoso sketch in un'aula scolastica con cui Celentano lanciò "Prisencolinensinainciusol" in tv; fin troppo rigorosa, pur se efficace, la rilettura di "Del mondo" dei CSI da parte di Gazzè e Silvestri, i Rappresentante di Lista hanno ben riarrangiato "Splendido splendente", ma l'apporto di Rettore è stato pressoché impalpabile, mentre da promuovere gli Stato Sociale, che se non altro hanno colto l'occasione per parlare della situazione di grave sofferenza del mondo sello spettacolo, ben appoggiati da Francesco Pannofino ed Emanuela Fanelli, e magari solo per questo avrebbero meritato una più degna collocazione in scaletta. Menzione d'onore per lo scanzonato medley da festa di piazza degli Extraliscio con Peter Pichler, meno per il fanciullesco pout pourri di Fedez e Michielin e per la mediocre, se non peggio, versione di "Un'avventura" offerta da Bugo e dai Pinguini. 

Tutto il resto è già passato nel dimenticatoio, ma il dramma è che anche il poco di meritevole verrà presto spazzato via, anche perché, verosimilmente, non finirà in alcuna incisione, e non so quanti, fra mesi o anni, andranno a ricercare queste esibizioni su Rai Play e dintorni. Insomma, il caso della cover di "Se telefonando" by Nek, divenuta successo commerciale, continua a rimanere più unico che raro, e stiamo parlando di un episodio di sei anni fa. Anche questo è un motivo, uno dei tanti, per porre energicamente mano a un deciso rimodellamento di questa serata-corpo estraneo. Ricaricate le pile e schiacciato un pisolino, siamo dunque pronti a rituffarci nel vero Sanremone, l'unico che conta, quello della gara. E sono sicuro che già da questa sera cominceranno ad emergere le qualità di brani dal livello tutt'altro che malvagio. 

giovedì 4 marzo 2021

SANREMO 2021: IRAMA "SPACCA" E SI CANDIDA A SECONDO VINCITORE A DISTANZA DOPO IL VILLA DEL '55. BENE ANCHE MALIKA E RAPPRESENTANTE DI LISTA

 Dopo 66 anni, avremo di nuovo un vincitore di Sanremo "da remoto"? Nel '55 fu Claudio Villa, costretto a letto da un'influenza: nel corso della finale, la sua performance live fu sostituita dalla diffusione in sala dell'incisione di "Buongiorno tristezza". Questa volta potrebbe toccare a Irama, presente solo col filmato della (convincente) prova generale. Eventualità possibile, anche se non è il favorito numero uno, ma il terzo posto nella classifica demoscopica dei 26 Big al termine della seconda serata rende l'ipotesi tutt'altro che peregrina. Augurando al giovane cantante che lui e i suoi collaboratori escano indenni dall'incubo Covid, possiamo già parlare di una storia a lieto fine, quantomeno nel ristretto micromondo sanremese: da un'esclusione data ormai per certa, in punta di regolamento, al mantenimento in gara grazie alla mano tesa dal direttore artistico, fino al boom di consensi di ieri. Da parte mia, posso dire che sarebbe stato un peccato non vedere più in lizza "La genesi del tuo colore", una delle perle più pregiate del pacchetto di questa 71esima kermesse, ma ne parleremo più avanti. 

INSISTERE SULLA LINEA GIOVANE - Nel cuore della notte, prima della messa in onda dell'rvm di Irama, si sono esibiti in successione Random, Fulminacci, Willie Peyote e Gio Evan. Ecco, quello è stato il momento in cui ha fatto capolino l'effetto Sanremo '75, o anche '79, cioè una sfilata di concorrenti poco noti, se non ignoti, alla grande platea generalista. Ribadisco comunque la mia posizione in merito, con un paio di distinguo che esporrò a breve: lo svecchiamento e il rinnovamento del parco cantanti festivaliero, in atto da almeno un decennio, deve continuare, ed è stato giusto azzardare un cast così rivoluzionario, così distante dai canoni della kermesse ligure e dai gusti della platea over 40. Se in passato Sanremo come gara canora ha rischiato di implodere proprio per la refrattarietà quasi totale alla realtà musicale del Paese, le scelte artistiche di Amadeus rappresentano la miglior soluzione possibile per garantire una vita lunga e prosperosa alla manifestazione. 

Certi personaggi rappresentano, per talento e sostanza delle composizioni, il futuro della nostra canzone. Certo lanciarli in maniera così massiccia sull'ammiraglia Rai, nell'evento istituzionale per eccellenza, è un rischio, roba da equilibristi senza rete: ma è anche un investimento per l'avvenire, che darà frutti a medio termine e che, nel frattempo, deve mettere in conto un'emorragia di spettatori. Ecco, del discorso Auditel sanremese non ho mai parlato volentieri se non marginalmente, eppure, da che esiste "Note d'azzurro" avrei avuto ampiamente modo di inzupparci il biscotto, perché dal 2009 all'anno passato l'audience ha sempre visto trionfare Sanremo, con la sola eccezione del 2014, l'ultimo dei... quattro Fazio. Dodici anni di trionfi che rappresentano una discreta copertura assicurativa per l'avvenire del carrozzone rivierasco, e che consentono di parlare con serenità del flop di ascolti di questi giorni. 

FLOP AUDITEL: CAUSE E SOLUZIONI - Magari ci ritorneremo più dettagliatamente nel fine settimana, nelle giornate del bilancio. Ora posso solo fare alcune annotazioni. La prima: possibile che nessuno abbia pensato a quali danni avrebbe comportato andare in concorrenza con la Serie A, l'unico vero competitor in grado di sottrarre pubblico al colosso Sanremo? In passato ci pensarono e, semplicemente, saltarono la serata del mercoledì, anticipando la kermesse di un giorno. Non era difficile. Su tutto il resto si può discutere: d'accordo, la fronda anti festival, alimentata irresponsabilmente anche da alcune emittenti tv, ma spostare lo show ad aprile, maggio o giugno non avrebbe cambiato nulla. Perché la superficialità dei preconcetti non sarebbe stata scalfita, perché il populismo avrebbe trovato altri argomenti vacui per alimentare una pseudosolidarietà posticcia verso non si sa chi (o meglio, verso tutti ma non per chi lavora dentro e attorno alla macchina festival, loro sono dei paria della società che non meritano alcun riguardo, vero?). 

E poi comunque, in primavera, estate o autunno Sanremo 71 sarebbe stato sempre questo: stessa costruzione dello spettacolo, stesso cast di concorrenti e stesse canzoni in gara, stessi presentatori. E soprattutto niente pubblico in presenza, o forse poche decine di spettatori: quest'estate avremo Europei di calcio e Olimpiadi che si disputeranno nel metaforico gelo di impianti vuoti, e nessuno sta montando scioperi e boicottaggi per questo. Semplicemente, forse, è da rivedere la linea artistica riguardante il format televisivo dello spettacolo, e su questo ritorneremo. Ma la selezione di cantanti e canzoni no, è giusta quantomeno nell'idea di fondo e va portata avanti, al netto delle oscillazioni qualitative della proposta musicale, un anno meglio e un anno peggio, come è sempre stato. Con una postilla: focalizzarsi esclusivamente sul dato catodico ha senso, nel 2021, quando si può fruire qualsiasi prodotto tv, e quindi lo stesso Sanremo, anche in differita e attraverso innumerevoli piattaforme? 

GIO EVAN E RANDOM: ANCHE NO - Dicevo di un paio di distinguo riguardanti il cast dei Campioni. Perché ecco, va bene tutto, ma ad esempio Gio Evan è uno di quelli che, effettivamente, poteva davvero trovar posto fra le Nuove proposte. Musicalmente ha un background piuttosto scarno, la sua "Arnica" è anche un interessante sfogo autobiografico scritto con linguaggio attuale e realista, ma il cantante pare ancora un po' acerbo nel proporsi sul palco. Quanto a Random, ok la quota rapper, ma allora perché sceglierne uno che tradisce le radici per portare in concorso una canzoncina d'amore che mi aspetterei più da Zarrillo che da lui? Ecco, queste forse sono due caselle che potevano essere utilizzate diversamente: con un rapper che fa il rapper, e  con un altro veterano da affiancare alla spaurita Berti, andandolo magari a pescare nella galassia dei dimenticati anni Novanta, fra le varie Mietta, Nava, Alotta e compagnia. Mietta che fra l'altro, in occasione del recente Cantante mascherato, ha sfoderato una forma vocale e una poliedricità artistica davvero meritevoli dei migliori palcoscenici. Perché è stata dimenticata dallo showbiz? 

AYANE, IRAMA E RAPPRESENTANTE: TRIO SUPER - A proposito di Orietta Berti: d'accordo, fuori tempo e fuori mercato, ma prendiamo la sua presenza come un meritato tributo a un colosso della musica italiana, assente da troppo tempo dall'arengo sanremese quando molti suoi coetanei hanno occupato quasi manu militari quel palco nello stesso periodo. Comunque "Quando ti sei innamorato" è più pregevole, quantomeno, delle proposte presentate nelle sue ultime apparizioni precedenti, da "La barca non va più" a "America in", da "Futuro" a "Rumba di tango", brutta canzone, con tutto il rispetto per il compianto Giorgio Faletti. Più debole sul piano del prestigio dei nomi in gara, la seconda serata ha offerto però un miglioramento a livello di "immediata capacità impattante" dei pezzi. Balza fra i favoriti Malika Ayane, con un'opera ritmata e orecchiabile che prosegue il discorso intrapreso qualche anno fa con la bella e poco considerata "Stracciabudella", ottimi davvero i Rappresentante di lista, con un brano intenso, pienamente contemporaneo ma anche capace di non dimenticare certa buona tradizione italiana, e un ritornello che si ficca in testa. Sugli scudi, si è detto in apertura, anche Irama: la sua è una dance tesa, possente, persino inquietante in quel refrain "robo-metallizzato". In altri tempi si sarebbe detto "farà ballare l'Ariston": sarà per un'altra volta. 

GAIA E FULMINACCI DA SEGUIRE - Notevoli gli echi arabeggianti di una Gaia tutt'altro che banale, Fulminacci porta un cantautorato semplice, scarno ma sostanzialmente ben concepito e discretamente incisivo, Bugo ha abbandonato l'elettronica dell'accoppiata con Morgan ma suona ancora vintage, e tuttavia la sua "E invece sì" non ha pienamente convinto al primo ascolto, complice anche qualche difficoltà esecutiva di un artista interessante ma che non pare tagliato su misura per i live. Lo Stato Sociale ha gigioneggiato sul palco, la canzone rimembra Edoardo Bennato in certe parti, è ricca di fantasia e forse si avvicina di più al loro stile, rispetto a "Una vita in vacanza" che, benché caciarona, strizzava maggiormente l'occhio alla radiofonicità. Tanta carne al fuoco, forse troppa, nel polemico sfogo della "Mai dire mai" targata Willie Peyote, che comunque non passera inosservata, così come "Bianca luce nera" degli Extraliscio, commistione di stili di non facile digeribilità immediata. Infine, il capoclassifica del momento: Ermal Meta ha concepito una ballata elegante, ben scritta e struggente, anche se non brilla per originalità. E' il tipico prodotto della linea melodica sanremese, se giudicasse solo la demoscopica probabilmente vincerebbe a mani basse, ma...

SUPER ELODIE, MA PERCHE' SCHWAZER? - La gara dei giovani ha prodotto i quattro finalisti migliori: dopo Gaudiano e Folcast, ecco Wrongonyou e Davide Shorty. I più meritevoli, con qualche rimpianto per Greta Zuccoli, grande voce che ha pagato dazio con una proposta eccessivamente agée. Sul fronte della cornice, come sempre eccessiva e debordante (ecco un aspetto che andrà profondamente ritoccato in futuro), dato il giusto rilievo al Golden globe vinto dalla Pausini (traguardo storico, ricordiamocelo, conquistato da una ragazza partita da Sanremo) e all'omaggio a Ennio Morricone con la collaborazione del Volo, si è stagliata nitidamente su tutti Elodie. Oltre il fascino glamour e la sensualità c'è di più, ossia una performer a tutto tondo, che ha un bel futuro da presentatrice anche se preferirei continuare a vederla soprattutto nelle vesti di cantante. Il suo medley a incastro, con una sovrapposizione di pezzi di canzoni storiche da far venire il mal di testa, è stato geniale. Certo poteva evitare, all'una passata, la parentesi autobiografica con commozione incorporata, ma la si può perdonare, mentre difficile capire il senso della pur breve comparsata di Alex Schwazer, con una scelta di campo non richiesta e non dovuta da parte della tv di Stato. La vicenda non è ancora chiusa e ci sono molti aspetti da chiarire, lasciamo che la giustizia, sportiva e non, faccia il suo corso. Ottimo lo spazio nostalgia per i veterani Marcella, Leali e Cinquetti, trovata della... penultima ora. Un'idea da riproporre in avvenire, magari meno improvvisata e più strutturata in una serata ad hoc.

mercoledì 3 marzo 2021

SANREMO 2021: LA COSTRUZIONE TELEVISIVA DELL'EVENTO ATTUTISCE LA MANCANZA DI PUBBLICO. AUDITEL IN CALO, CANZONI TENDENTI AL CLASSICO. ARISA, MANESKIN, COLAPESCE-DIMARTINO SUGLI SCUDI

Se ne parla già dagli anni Ottanta, ma è in questo 2021 che, complice la pandemia, si è definitivamente completata la transizione di Sanremo da rassegna canora a show televisivo. E nell'attuale situazione di emergenza è stata una mano santa, riconosciamolo: la costruzione dello spettacolo fatta su misura per il piccolo schermo (complice una scenografia ad hoc, mai così decisiva) ha reso meno impattante lo shock della platea desolatamente deserta, quasi neutralizzandolo. Certo, dal vivo, on stage, deve essere diverso, me ne rendo conto. E dev'essere terribile per cantanti, presentatori, performers esibirsi davanti a nessuno, soprattutto per professionisti di vasta esperienza che hanno bisogno del contatto col pubblico come dell'ossigeno. Ma il filtro della tv attutisce tutto, anche se magari alla lunga il disagio riemergerà: no, non sono stati gli applausi finti, espediente discutibile in tempi normali (quando spesso se ne abusa) ma accettabile oggi. Per quanto di basica elementarità, la trovatina esorcizzante del dialogo con le sedie vuote ha contribuito invece a sciogliere gli animi: il saluto alle poltronissime partito da Fiorello e poi ripreso da vari artisti in corso di serata, l'invito ad applaudire rivolto... ai braccioli, la corsa fanciullesca dei due presentatori fra i corridoi della sala vuota. Tutto fa, ma nel vernissage di Sanremo 2021 è stato fondamentale concepire l'evento come trasmissione tout court, non un grande happening ma un intrattenimento che è soprattutto vetrina promozionale catodica per novità musicali, e lo si è percepito soprattutto nelle esibizioni dei cantanti in gara, ciò che continua a contare di più, nonostante l'allungamento sempre più indecoroso di un brodo che potrebbe serenamente chiudere i battenti a mezzanotte e dintorni.

 GIOCARE CON L'AUDITEL - Lo si fa per giocare coi numeri dell'Auditel, solo che questa volta il trucchetto si è rivolto contro i signori dei dati, dello share e delle percentuali: avesse avuto una durata più umana, questa prima serata si sarebbe chiusa con un bilancio di spettatori del tutto soddisfacente, come possono esserlo 11 milioni e rotti di televisori sintonizzati sulla kermesse. La media ponderata con la seconda parte della puntata ha portato il calo che, del resto, avevo temuto, al di là dell'ottimismo di facciata sbandierato da molti. Lo abbiamo già detto: la concorrenza della Juve, un cast molto avveniristico e privo o quasi di "grandi vecchi", e soprattutto, ripeto, la lunghezza. Minore il peso dell'indegna campagna d'odio delle ultime settimane, fondata su argomenti talmente labili e imbarazzanti, per chi li porta avanti, da non poter essere fattore scatenante di un boicottaggio catodico. Ma poi, non ci sono cose più importanti da boicottare? Se proprio sentite la necessità fisiologica impellente di boicottare qualcosa, fatelo con  l'emittente ligure Primocanale e con la sua grottesca e ossessiva campagna anti festival, non vi pare?

 BERTE' EVITABILE, DIODATO SUPER - Torniamo all'Ariston. Le trovate carine non sono mancate, come la sigletta in stile musical di Ama e Fiore e le telefonate da casa dei vip sintonizzati su Rai 1. Evitabilissima, e anche questo era prevedibile, la presenza di Ibrahimovic, che sembra davvero la caricatura di se stesso: cose che accadono quando si diventa prigionieri di un personaggio, e non si riesce più a distinguere la realtà dalla parodia della stessa. Fra i tanti ospiti, meglio sorvolare, per carità di patria, sulla presenza della Bertè, che ha ormai dato al festival tutto ciò che le era possibile dare senza che si sentisse la necessità di questa ulteriore presenza, priva di pathos e colma solo di rimpianti per la bella voce che fu, mentre ha giganteggiato Diodato, davvero un nuovo fuoriclasse della canzone italiana. Molto, troppo autoreferenziale fino ad essere criptico Achille Lauro, sul pezzo Matilda De Angelis, che sarebbe stato bello vedere anche nelle prossime serate.

 L'ELEGANZA CLASSICA DI ARISA, MICHIELIN E FEDEZ PER VINCERE - Capitolo gara: per chi ha seguito in autunno AmaSanremo, nessuna novità dalle Nuove proposte: il pezzo d'atmosfera di Folcast e quello da "pugno nello stomaco" di Gaudiano, che rimane il mio favorito, erano nettamente superiori alla concorrenza, e non potevano temere scherzi se non un inserimento del fin troppo scanzonato Avincola, mentre Elena Faggi è passata senza lasciare tracce. Riguardo alla prima infornata di Big, sinceramente il livello mi è parso buono, pur se non siderale, e tenendo conto che per me si è trattato del primo ascolto in assoluto. Se una critica debbo fare sulla media delle canzoni, è forse mancato del coraggio ai veterani, quelli che hanno meno da giocarsi rispetto ad altri e potrebbero, una buona volta, osare un po' di più. Ma tant'è. Al netto di questa considerazione, Arisa e Annalisa portano avanti la classica linea melodica sanremese con due proposte di notevole classe ed eleganza, soprattutto quella di Rosalba, mentre forse la savonese tende un po' ad affondare nella banalità, pur facendosi ascoltare gradevolmente. Di Noemi ho apprezzato il buon crescendo vocale e orchestrale nella seconda parte di "Glicine", mentre Michielin (bellissima nel suo new look) e Fedez hanno il tipico pezzo costruito per soddisfare ogni esigenza: quelle radiofoniche e di streaming, quelle... economiche di vendita, quelle immediate di classifica al Festivalone. Possono vincere? Dopo questo primo approccio sembrerebbe di sì, ma tante cose possono ancora accadere, vista la quantità di giurie chiamate ancora a pronunciarsi di qui a sabato.

 POLLICE IN SU PER MANESKIN E COLAPESCE-DIMARTINO - Anche se c'è chi lo nega, quello dei Maneskin è rock duro e puro. Certo rock all'italiana, ma pur sempre genuino, sporco e maleducato: la loro "Zitti e buoni" è destinata a percorrere una buona strada fuori dall'Ariston. Lo stesso accadrà per Colapesce e Dimartino, grazie a una "Musica leggerissima" con deliziose reminiscenze seventies, in particolare nei rimandi ai primi Matia Bazar. Troppo forzata l'interpretazione di Aiello, sotto la cui veemenza non pare esserci molto se non un brano che musicalmente non appare modernissimo come nel testo, mentre per Max Gazzè c'è il rischio di cadere nella... prevedibilità dell'imprevedibilità. Alla fine persino gli Elii hanno stufato con la loro ricerca dell'originalità a tutti i costi... "Il farmacista" è comunque ancora un prodotto di spessore, certo con sprazzi di genialità, ma che sostanzialmente nulla aggiunge al suo percorso artistico. Gli devo comunque dare atto di avermi fregato: pensavo che la sua Trifluoperazina monstery band fosse un gruppo reale, di giovani musicisti sconosciuti, e invece erano dei cartonati di personaggi iconici. E vabbè.

 FASMA SUL SICURO, MISTERO RENGA - Fasma ha fatto breccia nel cuore della demoscopica con un "capitolo 2" del brano che gli ha dato popolarità l'anno passato. Nulla di male: per quanti anni abbiamo osannato e gratificato economicamente, comprandone i dischi, cantanti italiani e stranieri che proponevano ogni anno lo stesso pezzo, con piccole variazioni sul tema? Qui c'è almeno uno stile riconoscibile a chi frequenta quei territori musicali. Allegrotta, coinvolgente e neppur troppo spiazzante "Fiamme negli occhi" dei Coma_Cose, Madame più "omologata" del previsto, adattata cioè al palco sanremese che ne ha smussato certi angoli, anche se il punto forte rimane la sua particolarissima, straniante, distorta maniera di "porgere" la canzone, mentre chi non ha esitato a lanciarsi nel buio, sfidando le giurie, è stato il buon Ghemon con una miscela di jazz, soul e funk di non facile digeribilità, eppur rimarchevole. Una postilla per Francesco Renga: che non sia più molto "a fuoco" è chiaro perlomeno dalla sua precedente, opaca performance ligure del 2019, e ieri ha nuovamente lasciato interdetti. Forse qualche difficoltà esecutiva, sicuramente un'opera dalla costruzione strana e ardua da percorrere anche per corde vocali d'eccellenza come quelle del bresciano. Gli strali per lui si sprecano, io voglio riascoltarlo, perché non mi pare  terribile: sicuramente più ardimentoso di due anni fa, quando non rischiò alcunché e andò incontro al disastro.

 BATTAGLIA TERRIBILE CON LA SERIE A - Stasera seconda infornata di big e giovani. La battaglia è terribile: se ieri in concorrenza c'era "solo" la Juventus, ossia la squadra più amata e seguita in Italia, oggi c'è il resto della Serie A (con Ibra assente forzato all'Ariston, e non è detto sia un male), e c'è soprattutto il derby della Lanterna. Io ovviamente vedrò Sanremo, per antica passione e perché odio profondamente la stracittadina, una partita che provoca in me solo ansia e tensione, ma ovviamente sarò costretto a uno zapping compulsivo, perché al cuor calcistico non si comanda. Anche nel 2011 un derby genovese si svolse nei giorni del Festival, ma venne evitata la sovrapposizione anticipandolo al tardo pomeriggio. Vedremo come andrà, e capiremo nei prossimi giorni se, dati Auditel alla mano, sarà il caso di porre mano a un ripensamento della concezione artistica del progetto Sanremo, per quanto riguarda le edizioni future. Tante sbavature, tanti lati oscuri erano già emersi in questi anni (e puntualmente registrati su queste pagine, se avete avuto la bontà di leggere), ma il successo oceanico di pubblico aveva mitigato il tutto. A volte prendere qualche facciata fa bene, ma avremo modo di riparlarne.

martedì 2 marzo 2021

SANREMO 2021 AL VIA DOPO UNA DRAMMATICA VIGILIA: FESTIVAL MADE IN ITALY E SPACCATO DELLA NUOVA CANZONE NOSTRANA. LEGGEREZZA CHE NON DIMENTICA LA TRAGEDIA

 Finalmente si canta. Siamo ai nastri di partenza del Festival più drammatico, surreale, straniante di sempre. La lunghissima vigilia è terminata, vivaddio. Tormentata come mai in passato, per motivi tremendamente seri ma anche per un eccesso di polemiche costruite su presupposti sbagliati, se non inesistenti. Avendo già sviscerato la tematica in maniera più che esauriente in questa sede, null'altro ho da aggiungere in merito. La mia scelta di campo l'ho fatta in tempi non sospetti, sono contento che il fronte dei favorevoli alla rassegna si sia nel frattempo arricchito di nomi prestigiosi e autorevoli, ma anche fossi rimasto da solo nulla sarebbe cambiato nel mio modo di vedere le cose. 

Il Sanremo numero 71 sarà un unicum, si dice. Lo spero sinceramente, anche se non ne sono più molto sicuro, alla luce dell'andamento sostanzialmente imprevedibile della pandemia e dell'inaccettabile lentezza della campagna vaccinale. E dunque, in una situazione del genere, l'auspicio è che possa essere se non altro uno show prototipo, un modello per tutti gli eventi spettacolari che verranno messi in scena nei prossimi mesi sul piccolo schermo e, sarebbe ora, nei teatri, in attesa di un'uscita dall'emergenza che ancora non si intravede all'orizzonte. Il protocollo sanitario ha creato attorno all'Ariston una bolla che, sulla carta, offre tutte le garanzie. Chi sta appollaiato sul trespolo nell'attesa quasi spasmodica del tampone positivo fa semplicemente pena, e ha evidentemente una vita molto triste. 

UN DISPERATO BISOGNO DI NORMALITA' - La mission della tv di Stato, ha ricordato ieri in conferenza stampa il direttore di Rai 1 Stefano Coletta, è sì informare, ma anche intrattenere con leggerezza. Del tutto refrattario all'idea di dovermi listare a lutto e chiudermi in casa in raccoglimento perenne con radio, televisione e pc spenti, per un malinteso senso di solidarietà posticcia, mi abbandono a questo disperato bisogno di evasione, in me tanto più accentuato in questo periodo, per questioni personali che vanno a sovrapporsi a quelle nazionali e mondiali. Già, un disperato bisogno di gioia e di normalità, seppur effimere; fame di una settimana di canzoni da poter vivere e raccontare comunque ai posteri. 

Sì, sarà strano, anzi straniante: sono sicuro che nessuno, sia chi seguirà da casa sia chi animerà l'evento on stage, perderà contatto con una realtà troppo cruda e incalzante per essere messa in un angolo; ma quando le luci si accenderanno sulla scintillante scenografia, per cinque serate tornerà la magia. "And It's gonna be so different when I'm on the stage tonight", cantava Frida degli Abba nella struggente Super Trouper: una frase che, tutto sommato, racchiude il senso di questo Sanremo 71. Ci sono il dramma e la tragedia, ognuno deve fare la sua parte, e gli artisti possono fare tantissimo tornando a cantare e suonare, facendoci rivedere spiragli di speranza e dando una poderosa spinta per la ripartenza di un settore in sofferenza. Questo non è ignorare il Covid, le sue vittime, il disastro economico, anzi: è voler almeno provare a dare un contributo per saltare l'ostacolo, un primo piccolo tassello per la ricostruzione e, fatto non trascurabile, per risollevare il morale di un popolo prostrato. 

SENZA PUBBLICO E' POSSIBILE - Un anno di tv ci ha dimostrato che, superati comprensibili imbarazzi iniziali, si può dare spettacolo anche senza pubblico. Abbiamo visto tanti varietà brillanti e luccicosi, eventi canori a vasta partecipazione, filati via lisci come l'olio. Non voglio farla passare come normalità perché, ovvio, così non è, ma si tratta dell'ultimo dei problemi, e non ci si dovrà scandalizzare per gli applausi finti, usati anche in passato a Sanremo per "mascherare" la proverbiale freddezza della platea festivaliera. Qualche impaccio in più potrebbe forse esserci per Fiorello: ricordo le prime puntate dell'one man show di Maurizio Crozza in lockdown, col comico genovese visibilmente a disagio a sfornare le sue battute davanti a seggiole vuote. Ma Rosario è talmente istrionico, geniale improvvisatore, che saprà tirare fuori il meglio anche da un quadro così emergenziale: già in questi giorni di approccio, nelle sue incursioni in varie trasmissioni televisive, si è mostrato in discreta forma. 

L'ORA (ANZI, LE ORE) DEL CHIACCHIERICCIO - Guardando a come è stato costruito, impostato e strutturato Sanremo 71, del resto, mi vien da pensare che non ci sarà tempo per avvertire momenti di vuoto e di freddezza. Personalmente non condivido la scelta di occupare militarmente le fasce di prima, seconda e terza serata per cinque giorni consecutivi, con venticinque ore complessive di trasmissione che, facilmente, diverranno ventisei, se non di più. Ma va dato atto all'organizzazione di aver fatto il possibile per riempire ognuna delle cinque puntate coprendo la più ampia gamma di gusti possibile. Fra conduttori, copresentatrici, battitori liberi (Fiore, appunto) e ospiti non cantanti, ci sarà un notevole chiacchiericcio, fatto apposta per tirare tardi, ma, al contrario di quanto avvenuto a volte in passato, soprattutto nel primo decennio di questo secolo, ciò non andrà a detrimento della musica, che è presente in maniera oltremodo massiccia, in termini di quantità e, credo, qualità. 

GOLDEN GLOBE E MOSTRI SACRI - Sarà la più grande celebrazione di sempre del made in Italy canoro, vista la scontata impossibilità di scritturare vedette straniere. Il parterre dei superospiti nostrani, presenza solitamente sgradita per via del "due pesi e due misure" che viene a crearsi con i concorrenti, quest'anno era imprescindibile, anche per andare nella direzione di quel "festival partecipato" che personalmente avevo auspicato fin dall'estate: partecipato sia in concorso che fuori. E se non altro, accanto ai soliti noti, offre qualche spunto degno di interesse: perché la Pausini torna, sì, ma lo fa per celebrare lo storico Golden Globe appena conquistato. Perché Diodato aprirà la kermesse con la sua canzone vincitrice di Sanremo 2020, diventata un inno alla speranza in questi dodici mesi cupi e duri. E perché ci saranno quelle vecchie glorie (senza offesa) da qualche anno sempre più distanti dalla gara: Gigliola Cinquetti, Marcella e Fausto Leali verranno a cantare alcuni loro successi del passato. Giusto così, perché la storia di Sanremo la fanno cantanti e canzoni in gara, e la gara ligure non poteva continuare in eterno a lisciare il pelo al pubblico di mezza età e oltre, proponendo oltre ogni logica personaggi ormai fuori da ogni discorso discografico. Pubblico che peraltro pare aver raggiunto il livello di saturazione, a giudicare dai recenti, clamorosi flop delle trasmissioni celebrative dedicate a Patty Pravo (prezzemolina di tanti festival recenti e dei palinsesti Rai in generale) e ai Ricchi e Poveri. 

LA NOSTALGIA HA STANCATO? - Un buon segno, sì, confermato indirettamente dal consenso che, invece, ha incontrato il progressivo svecchiamento del carrozzone rivierasco già in atto da almeno un decennio, pur se su presupposti via via diversi. Se direttori artistici come Gianmarco Mazzi e Carlo Conti portarono una ventata di freschezza facendo massiccio ricorso al vivaio sanremese e a quello dei talent show, Baglioni e Amadeus hanno deciso di scandagliare con coraggio i mondi rap, indie e della nuova musica in streaming, che ha creato idoli sconosciuti al popolo generalista ma apprezzatissimi in rete. Signori miei, tutto cambia, e la musica non può stare ferma: a chi protesta sui social parlando di cast di sconosciuti, di Nuove proposte travestite da Big, di assenza dei grandissimi nomi, è giunta l'ora di dire due paroline, senza illudermi che possano capire perché certe convinzioni sono difficili da scalfire.  

GUARDARE AVANTI - Orbene, i "grandissimi nomi", a Sanremo, in gara non ci vanno da almeno mezzo secolo. Quanto ai vostri/nostri idoli di gioventù, hanno avuto anni e anni di passaggi ripetuti, di occasioni più o meno sfruttate, ma ora hanno poco o nulla di nuovo e di valido da offrire; non si poteva continuare a fare Sanremo con i "Campioni" degli anni Ottanta, Novanta, Duemila. Avanti bisogna guardare, è vitale essere curiosi, affamati di novità, avere voglia di scoprire quanto fermento c'è nel sottobosco della canzone leggera tricolore. E se proprio non avete l'apertura mentale per compiere questi passi, beh, è legittimo, ma non giudicate ciò che non conoscete. E poi del resto funziona così, da sempre, è un automatismo mentale che proprio non si riesce a spezzare: negli anni Sessanta si rimpiangevano Achille Togliani e Giorgio Consolini contestando gli eccessi di Celentano e Little Tony; nei Settanta e negli Ottanta si rimpiangevano gli idoli Sixties guardando con sospetto all'innovazione (moderata) portata da Alice, Ruggeri, Mannoia ecc. Sempre, sempre a rimpiangere i tempi andati, che, guarda un po', sono sempre migliori di quelli che si stanno vivendo. E' un meccanismo pernicioso, un freno alla crescita culturale e musicale del paese che ha un solo nome: pigrizia mentale. 

CAST "FAMILIARE", NONOSTANTE LE APPARENZE - Nel dettaglio, il cast dei Big di Sanremo 2021 fornisce uno spaccato interessante e credibile, per quanto non esaustivo, della nuova canzone tricolore, di quello che, con buona pace dei nostalgici ad libitum, funziona oggi fra chi sull'ascolto di musica investe tempo, passione, denaro. Un cartellone che è sì fortemente innovativo e rivoluzionario, ma non al punto di lasciare di sasso il pubblico un po' più attempato. Se Orietta Berti è l'unica concessione ai "classic", c'è però un drappello di nomi divenuti ormai familiari anche per gli utenti in fascia "anta": Renga e Meta, Arisa e Annalisa, Malika e Noemi, tutti, fra l'altro, vincenti o piazzati in edizioni a noi vicine, quindi con solido palmarés e notevole repertorio. Nel gruppo dei volti, diciamo così, familiari, possono trovare posto anche l'estroso Gazzè, in pista ormai da fine anni Novanta, e, perché no, Lo Stato Sociale, "sdoganato" dal primo Festival baglioniano con un secondo posto a sorpresa e con la trovata scenica della "vecchia che balla", nonché Irama, principe delle hit parade estive. Ed è sicuramente una coppa da copertina quella formata da Michielin, seconda nel 2016, e Fedez, colpaccio di Amadeus. 

Aggiungiamoci Gaia e Maneskin, che si portano dietro l'enorme bacino di popolarità derivante dai talent, Bugo, per via del bagno di visibilità (non si sa quanto gradito) avuto l'anno scorso in seguito allo "scazzo" con Morgan, e tutto sommato Ghemon, raffinato artista già visto all'Ariston come concorrente e come duettante, senza contare Fasma che è perfettamente inserito nel meccanismo tipico del festival, arrivando dalla sezione giovani e promosso grazie a un maggior successo commerciale rispetto al vincitore di categoria Leo Gassman: nulla di diverso rispetto a quanto accaduto negli anni Ottanta a Marco Armani e Flavia Fortunato, e nei Novanta ad Alessandro Canino, Gerardina Trovato e Marina Rei, per fare solo qualche esempio. Al tirar della somme, una buona metà del cast non sarà assolutamente spiazzante, e renderà meno pesante lo sforzo di dover scoprire gli altri. Conoscendo e apprezzando buona parte di questi "nuovi" o presunti tali, posso dire che in linea di massima non ci sarà di che essere delusi e che, azzardo, possiamo ritenerci fortunati se il futuro immediato della canzone italiana è nelle loro mani, perché ci sono doti di scrittura, ricerca sonora e capacità di abbracciare la modernità senza abbandonare del tutto il solco della tradizione. Forse solo Madame e, in parte, Coma_Cose potrebbero risultare di difficile digeribilità, essendo persino oltre la contemporaneità e sconfinando nel futurismo canoro, ma non è detto. 

CHI VINCE? MICHIELIN E FEDEZ NOMI FORTI, MA... - Pronostici? Sulla gara non mi sento di farne. Ci troviamo alle prese con una di quelle edizioni in cui la canzone avrà un peso determinante, più del "peso" del nome dell'interprete. Ultimamente è successo spesso, in verità: nel decennio che ci siamo lasciati alle spalle, gli unici vincitori annunciati sono forse stati i soli Vecchioni, Volo e Meta-Moro. Certo, il collaudato duo Michielin - Fedez parte col vento in poppa, le pagelle giornalistiche seguite al preascolto dei brani, per quel che valgono, hanno un po' raffreddato gli entusiasmi attorno alla loro proposta. Vedremo, anzi, ascolteremo. Personalmente, sperando finalmente in una riscossa femminile, mi auguro un'affermazione di Malika ed Annalisa, con un occhio alle outsider Rappresentante di Lista e Coma_Cose. Fra i maschietti, punterei forte su Ermal Meta, che "sa come si fa" a Sanremo, meno su Renga, che nella sua ultima uscita rivierasca era parso un po' appannato, mentre si dice un gran bene della coppia Colapesce - Dimartino, di Aiello, di Fulminacci. E occhio allo Stato sociale, che dopo il primo assaggio potrebbero essere tornati per vincere. Fra i giovani "veri", in pole position metterei Gaudiano e il suo pezzo da pugno nello stomaco, per chi ha avuto l'occasione di ascoltarlo ad AmaSanremo nel tardo autunno scorso. 

COME RISPONDERA' IL PUBBLICO A CASA? - Altro tipo di pronostico, molto delicato, lo si potrebbe fare sulla resa Auditel del festival. Qui ancor di più è opportuno andarci coi piedi di piombo. Perché sulla carta potrebbe essere un'edizione da record, per la sua triste e auspicata unicità, per la situazione pandemica che costringe tutti a casa, ma anche, è ovvio, per gli innumerevoli spunti di interesse offerti sia dal lotto dei concorrenti che da quello degli ospiti. Ma ci sono tre incognite: la durata esagerata delle serate (passi per la finale, ma si farà notte già da stasera), la concorrenza del campionato di calcio (nel 2008 il Festival si fermò il mercoledì per non sovrapporsi alla disputa di un turno infrasettimanale di Serie A) e soprattutto la campagna di odio anti Sanremo che, per settimane, ha percorso innumerevoli pagine social. Io rimango del mio parere, e cioè che Facebook e compagnia siano il megafono di una esigua minoranza estremamente rumorosa e volgare, che sopperisce con i toni a un pauroso vuoto argomentativo che emerge da ogni rigo delle loro sgangherate tirate contro il festivalone. E tuttavia, anche solo parzialmente, il seme gettato potrebbe non essere caduto nel vuoto. Per questo ritengo che debba esser messo in preventivo un non marcatissimo calo negli ascolti, e che la conferma dei livelli del 2020 rappresenterebbe già un magnifico traguardo, in attesa di tempi migliori. Spero ovviamente di sbagliarmi.