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sabato 25 agosto 2018

GENOA: RITORNO IN CAMPO COL LUTTO NEL CUORE E SULLE MAGLIE. PROSPETTIVE DELLA SQUADRA DOPO IL MERCATO


Proviamo a ricominciare. Non è facile, perché l'angoscia, lo sgomento, riempiono ancora il cuore. La vita continua per chi resta, funziona così e lo sappiamo, ma Genova è ancora una città immersa nel dramma, e parlare di calcio, della nuova Serie A, risulta arduo. Quasi fastidioso, direi, dopo aver assistito con amarezza a quanto avvenuto sabato scorso, con la disputa dei due anticipi il giorno stesso dei funerali di Stato delle vittime di Ponte Morandi, il giorno del lutto nazionale. Qualcosa di offensivo verso chi è morto, verso le famiglie distrutte, verso una città e un Paese che hanno subìto una delle più gravi sciagure del dopoguerra. 
CHI SI È FERMATO E CHI NO - Certo, non c'erano precedenti univoci in fatto di sospensione di eventi sportivi, e in passato ho visto di peggio: penso ai match di Champions League giocati tranquillamente l'11 settembre 2001, penso alle tre-partite-tre della Nazionale azzurra disputate in Messico nei giorni immediatamente successivi alla strage dell'Heysel (anzi, una addirittura la sera stessa, il 29 maggio 1985), senza andare indietro al secondo conflitto mondiale, quando si giocava a pallone anche dopo i bombardamenti. Per questo mi rendevo conto delle difficoltà, anche organizzative oltreché economiche, che si frapponevano al rinvio di tutta la prima giornata: mi sarebbe bastato che Chievo - Juventus e Lazio - Napoli si disputassero il giorno dopo, e invece si è persa un'altra occasione per avvicinare alla vita reale il dorato mondo parallelo del calcio milionario. Per cui, avanti pure, ma poi non si lamentino, i padroni del vapore, se sempre più persone, anche tifosi un tempo caldissimi, guarderanno con sempre maggior sospetto e distacco al football e ai suoi protagonisti. Le due genovesi invece si sono fermate, e ci mancava pure. Ora però tocca anche a loro, e sarà il Genoa ad aprire la stagione del Ferraris, domani sera contro l'Empoli, con le maglie listate a lutto e con 43 minuti di silenzio della Gradinata Nord, uno per ciascuna delle vittime del ponte maledetto. 
IL NUOVO GENOA SENZA TRE ASSI - Guardiamo dunque avanti e dedichiamo qualche riga alla rituale analisi della nuova rosa rossoblù. Un Grifone rivoltato come un calzino, come è spesso avvenuto nella gestione Preziosi, e in quanto tale sostanzialmente non giudicabile. Gli stessi supporters sono un po' disorientati, e non nascondono la loro perplessità di fronte ai tanti stranieri - scommessa e al pressoché totale annullamento del gruppo storico. Partiamo proprio da qui: il Genoa ha perso Perin, Izzo, Laxalt, tre pezzi da novanta, tre colonne della squadra da lungo tempo. Aggiungiamoci l'addio a Rigoni, che nell'ultima stagione ha avuto qualche problema ma il cui contributo di sostanza, di cuore e di gol alla causa non può essere dimenticato; e mettiamoci pure Bertolacci, a lungo in altalena fra Genova e Milano e alla fine rimasto in rossonero. Manca quindi totalmente il cosiddetto collante dello spogliatoio, con la continuità "morale" affidata in pratica al solo Pandev. 
RIECCO LA BANDIERA CRISCITO - Però c'è stato il ritorno più gradito e atteso: quello di Mimmo Criscito, vecchia bandiera e nuovo capitano (e salvatosi per un soffio dalla strage del 14 agosto: era transitato sul viadotto poco prima). Un veterano non certo stracotto e che ha ancora molto da dare, tanto che il nuovo cittì Mancini gli ha subito affidato le chiavi della fascia sinistra azzurra. Ad occhio e croce è un acquisto che vale doppio, se non triplo: esperienza anche internazionale, grazie alla lunga e proficua militanza russa, carisma, strettissimo legame con l'universo Genoa e ottimo livello tecnico. L'unica riserva è sulla sua capacità atletica di reggere un campionato intero, e per questo la società aveva tentato di prendere l'ex Palermo Lazaar, trattativa che sembrava già giunta a buon fine e poi sfumata in dirittura d'arrivo. Ma il confermatissimo Ballardini potrà nel caso supplire con soluzioni di emergenza, come il dirottamento di Pedro Pereira o, ancor meglio, del più adattabile Lazovic su quel lato del campo. La corsia di destra dovrebbe invece essere territorio di caccia dell'ottimo Romulo, oriundo che ai tempi di Prandelli approdò addirittura alla Nazionale, arrivando a un passo da Brasile 2014, e che comunque potrà rendersi molto utile anche nella zona mediana.  
DA PERIN A MARCHETTI - Saracinesca Perin ha ritenuto opportuno andare a giocarsi il posto con Szczesny alla Juve: non sarà facile, anche se credo che, a fine stagione, l'italiano sarà comunque riuscito a mettere insieme un buon numero di presenze. Al suo posto ecco Marchetti, numero uno con un grande passato alle spalle ma reduce da un paio di stagioni laziali disgraziate, fra problemi fisici e di ambiente. Se recuperato al cento per cento, è un portiere ben più che sufficiente per le ambizioni del Grifo, però ricordiamoci cos'era il suo predecessore: uno dei pochi "guardiani" in Italia in grado di garantire punti extra, con le sue prodezze fra i pali. L'alternativa è Radu, che ha colpito positivamente il tecnico durante il ritiro.
ECCO LISANDRO E GUNTER - La retroguardia potrà ancora contare sul califfo Spolli, monumentale l'anno passato, sull'affidabile Zukanovic, sul prospetto Biraschi, assai positivo nel 2017/18, e sul "colpaccio" Lisandro Lopez, lungamente inseguito e artigliato fra non poche sofferenze, altro elemento maturo che deve solo ritrovare confidenza col terreno di gioco, visto col binocolo nei sei mesi all'Inter; senza dimenticare quel Gunter che in precampionato ha mostrato una apprezzabile solidità. 
LE INCOGNITE, LE CERTEZZE E I TANTI "UNIVERSALI" - Criscito, Romulo, Marchetti, Lisandro: sulla carta quattro assi in grado di far compiere il salto di qualità alla squadra. In pratica, due di loro, il portiere e il centrale difensivo, accompagnati da qualche incognita di troppo. Così come Sandro, rinforzo per il centrocampo, che nei voti di zio Balla dovrebbe essere quell'uomo di sostanza e di generosità mancato nelle ultime stagioni, ma che è giunto sotto la Lanterna gravato da acciacchi non di poco conto. La zona nevralgica può comunque contare su uomini che sono garanzia di rendimento, come il quadrato, lucido ed eclettico Hiljemark e il talentuoso creatore di gioco Bessa, oltre al jolly Omeonga. Tutto da scoprire Rolon, già cercato in passato, mentre Mazzitelli è un giovane con ampi margini di crescita, nel frattempo in grado di assicurare lavoro oscuro  e un buon contributo in fase propositiva. Altro tuttofare, dunque, in un Genoa che nella ricchezza di giocatori universali potrebbe trovare l'arma vincente per scardinare situazioni tattiche difficili. 
L'ATTACCO: I REDUCI... - Veniamo al reparto "costruisci palle gol e finalizzale", un po' il tallone d'Achille dell'ultimo Genoa, salvatosi in anticipo grazie a praticità e impermeabilità difensiva, in un'annata disgraziata per chi doveva "sbatterla" dentro. Tanti sono i pretendenti alle maglie da titolari: c'è un Pandev che nel girone di ritorno dell'ultimo torneo ha mostrato di avere ancora qualche ottima freccia al proprio arco, se usato con parsimonia; c'è Lapadula che parte un po' da "sopportato", visto che per tutta l'estate si è parlato di varie possibili destinazioni lontano dalla Liguria, ma al tirar delle somme è rimasto e allora è chiamato a fare molto, molto di più rispetto al deludente score della prima stagione rossoblù. E ancora, Medeiros dovrà continuare sul suo ottimo trend, fornendo assist e tirando fuori dal cilindro sciccherie come quelle messe a segno nella primavera scorsa contro Cagliari e Verona. Spiace per Pepito Rossi, ma è stato giusto almeno tentare una scommessa che già dall'inizio si annunciava difficilissima.
... E I NUOVI - Ma le attese sono concentrate tutte sui nuovi. Il polacco Piatek si è subito calato nella parte come meglio non poteva: ottimo nelle amichevoli precampionato, stratosferico in Coppitalia col Lecce, travolto con un suo poker. Non sarà sempre festa, ma il ragazzo pare non essere un bluff. Se si conferma almeno in parte sullo stesso standard, potremmo vederne delle belle, soprattutto se troverà spazio e gloria anche il pulcino Favilli, novello Vieri quantomeno per caratteristiche fisiche e tecniche, anche lui in grande evidenza nell'estate calcistica con la maglia juventina. E dalla B arriva Kouamè, giovanissimo, rapido e mortifero in cadetteria: la A è tutt'altra cosa, lo sappiamo, ma è comunque da seguire attentamente. Tre scommesse, d'accordo, ma ora più che mai è necessario puntare sui giovani; se poi sono italiani, ancora meglio, e Favilli è una speranza vera. 
PROSPETTIVE - La sintesi? I nomi, sia quelli dei veterani sia quelli degli emergenti, sono da centroclassifica senza patemi, lontano dalle sofferenze che accompagnarono la squadra per tre quarti dell'ultima stagione. Poi, chiaro, certi tasselli dovranno andare a posto, e l'abbiamo detto: il recupero alle antiche misure di Marchetti e Sandro, l'auspicata esplosione della linea verde in avanti, la tenuta di veterani come Spolli, la conferma di Bessa e Medeiros. Se è vero che si è monetizzato, Preziosi e Perinetti non hanno risparmiato risorse ed energie per rinnovare la squadra con elementi all'altezza della categoria, nei limiti concessi dal budget. Perinetti, appunto, rappresenta una garanzia per la tenuta della società a tutti i livelli, e lo si è visto l'anno scorso; sul campo, la sicurezza numero uno è invece Ballardini, finalmente non più "tappabuchi" ma trainer dall'inizio, come meritava dopo la terza eccezionale salvezza genoana. Allenatore concreto ma in grado anche di tirare fuori scampoli di calcio godibile, se con gli uomini adatti a disposizione. Dovrebbe bastare per rimediare all'addio delle vecchie bandiere. 

mercoledì 15 agosto 2018

CROLLO DEL PONTE MORANDI: LA TRAGEDIA DI GENOVA E DI UN'ITALIA PRIGIONIERA DEL PASSATO


Trentanove morti è una cifra raccapricciante. Richiama alla memoria l'Heysel, quella assurda strage allo stadio nel 1985, solo che questa volta il dato numerico è terribilmente provvisorio, forse destinato ad aumentare nelle prossime ore. Il crollo del viadotto Morandi a Genova è un colpo al cuore: mai una tragedia così enorme, immane, assoluta, era avvenuta a così poca distanza da me e dai miei affetti. Mio fratello, che lavora in zona, ha percorso innumerevoli volte in auto quel ponte, come del resto tantissime altre persone, non solo genovesi, tutti i giorni, da decenni a questa parte: perché era un'infrastruttura portante del trasporto regionale, un'arteria centrale. Mai come in questo caso, dunque, è lecito dire che poteva davvero accadere a chiunque. Scriverlo fa male, genera un senso di angoscia insopprimibile, di smarrimento, ma è così, è la realtà delle cose. E l'angoscia che abbiamo provato io e la mia famiglia, ieri, l'hanno provata in tantissimi, forse tutti, in città e non solo.
Si parla spesso di tragedie all'italiana: bene, quella di ieri è la rappresentazione plastica di tale tipologia di sciagure. Un'opera di ingegneria fiaccata dalla vecchiaia, verosimilmente non più in linea con i moderni standard di sicurezza, non più in grado di reggere quantitativi di traffico imparagonabili con quelli dell'epoca di costruzione (fu ultimata nel 1967): del resto non sono io a dirlo, perché l'ultima cosa che vorrei fare in questo momento è improvvisarmi esperto di questioni a me ignote. Ci sono le affermazioni di chi già in tempi non sospetti aveva denunciato, senza tanti giri di parole, la pericolosità del viadotto sul Polcevera: pareri di tecnici come Antonio Brencich, docente di Costruzioni in cemento armato presso l'Università di Genova, che già nel 2016 aveva parlato di quel ponte come di "un fallimento dell'ingegneria"; e poi interrogazioni parlamentari, come le due del senatore Maurizio Rossi nel 2015 e nel 2016, fino a una recentissima seduta di una Commissione del Comune di Genova dedicata all'argomento, come ricorda oggi il Corriere della Sera. Tanti interventi di manutenzione e di consolidamento nel corso del tempo, problematiche più volte segnalate ma, come al solito, si è attesa la catastrofe prima di por mente a ipotesi di interventi radicali. 
Nel dramma, la conferma di una sensazione sgradevolissima, terribile, che in molti in questi ultimi anni stiamo provando: quella di un'Italia prigioniera del passato, un'Italia che cade a pezzi nell'incuria e nell'indifferenza di chi avrebbe i mezzi, il potere, il denaro per porre rimedio. La malagestione della cosa pubblica fa danni da secoli, ma quando il prezzo da pagare è rappresentato da decine di vite umane bisogna dire basta, una volta per tutte, perché la salvaguardia della salute delle persone dovrebbe essere al primo posto fra le priorità delle istituzioni, delle aziende pubbliche e private. Da almeno due lustri assistiamo alla decadenza di infrastrutture non più moderne, così come di vestigia storiche del nostro ex Bel paese. Ritengo però che stavolta la cosa non finirà nel dimenticatoio tanto facilmente: 39 morti accertati a oggi, decine di feriti e sfollati, come in un terribile terremoto, sono cifre che nessun uomo politico può pensare di ignorare senza andare incontro al disprezzo dei cittadini elettori; dopodiché, è triste dirlo ma occorre essere pragmatici, quel ponte, una specie di cattedrale nel deserto nel Ponente di Genova, rappresentava, lo si è detto, uno snodo chiave per la viabilità della città, della Liguria, del Nord Italia, fondamentale anche per i traffici commerciali; dovranno quindi essere studiati e realizzati nuovi percorsi, nuove costruzioni al passo coi tempi, e dovrà essere fatto a stretto giro di posta, pena una gravissima congiuntura economico - lavorativa destinata a colpire la città e la nazione stessa, una città e una nazione già fiaccate da un decennio di crisi, nonostante gli sbandierati, flebili sintomi di ripresa di cui, però, la gran parte della popolazione non riesce a percepire i presunti benefici effetti. 
Rimane il senso di sbigottimento per una giornata fra le più terribili della mia vita. Perché, davvero, è come se ci fossimo stati noi tutti, su quel ponte. Decine di esistenze finite in un amen, all'improvviso, persone che hanno avuto il solo "torto" di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato, destino maledetto; altri che si sono salvati per il fatto di essere passati poco prima, e magari hanno visto negli specchietti retrovisori la strada che crollava e le macchine che andavano giù; o chi, come l'autista del pulmino della Basko reso famoso da una foto che è già tristemente storica, ha avuto la prontezza, ma soprattutto l'immensa fortuna, di azionare il freno a pochi metri dalla morte. Sono cose che fanno rabbrividire anche chi non è stato colpito direttamente negli affetti, momenti che rimarranno scolpiti nella mente, sequenze di orrore che periodicamente torneranno davanti ai nostri occhi, come drammatici flash. 
In gioventù, ho vissuto in un mondo sostanzialmente sereno, o forse lo percepivo così perché ero solo un ragazzino e non avevo piena consapevolezza dei problemi più o meno gravi che affliggevano l'umanità, anche se mi piaceva tenermi informato, guardare i telegiornali, dare uno sguardo ai quotidiani. Di certo, oggi, c'è che dall'adolescenza in poi ho attraversato invece una serie incredibile di drammi, locali, nazionali e internazionali, che non mi sarei mai immaginato e che speravo mi fossero risparmiati: la rivoluzione romena, la prima guerra del Golfo, le stragi e gli attentati della mafia, la guerra nell'ex Jugoslavia, il sanguinoso G8 di Genova, le Torri gemelle, la seconda guerra del Golfo, lo stramaledetto Isis con le sue infami prodezze, terremoti e alluvioni devastanti, la tragedia della Torre piloti, un dittatorello orientale con aspirazioni hitleriane, e adesso questa enorme catastrofe quasi sotto casa. Sulla quale scrivo queste righe disordinate, pochi e confusi pensieri affastellati senza un preciso criterio, perché vorrei che anche questo post contribuisse nel suo piccolo a tenere accesi i riflettori su questa sciagura, un crollo che è emblema del crollo definitivo dell'Italia fiorente, quella del miracolo economico e dell'effimero boom degli anni Ottanta. Un'Italia che non c'è più, spazzata via da una mentalità arretrata e conservatrice e dall'incuria (se è vero, come disse Milena Gabanelli nella scorsa primavera, che nel Paese ci sono ben 30mila ponti a rischio, tanto per dire), e che deve lasciare il posto a un Paese al passo coi tempi, facendo piazza pulita, senza pietà, senza remore, delle tante teste che hanno portato a questo scempio. Ci riusciremo?