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venerdì 29 giugno 2012

EURO 2012 - DIARIO EUROPEO: BATTUTA UNA GRANDE GERMANIA. COME COL BRASILE NELL'82

                                                 Balotelli scocca il tiro del 2-0

Come Dortmund 2006? No, di più. Chiariamo subito: l'impresa degli azzurri iridati di Lippi nella tana dei   tedeschi, i rivali di tutte le stagioni, rimarrà per sempre una delle pagine più belle della storia del nostro calcio. Ma a Varsavia è accaduto qualcosa di diverso, di prezioso, di speciale, di inimmaginabile. Ieri sera i pronostici, ben più di sei anni fa, erano nettamente favorevoli alla Germania: una squadra giovane ma già ricca di esperienza internazionale, un complesso senza apparenti punti deboli, dal pragmatismo tipicamente teutonico. Una Germania ricca di alternative in tutti i ruoli dal centrocampo in su, una Germania che, dopo un secondo posto europeo e un terzo mondiale, era pronta a cogliere il massimo alloro continentale, e nel contempo a spazzare via il tabù italiano. 
CASTIGATA UNA "GRANDISSIMA" - Non erano esagerazioni giornalistiche, chi l'ha seguita a Euro 2012 non può che convenirne: era uno squadrone coi fiocchi, la Nationalmannschaft. Per questo, ribadisco ciò che avevo scritto in chiusura del mio precedente post: il successo di ieri sera è un capolavoro  paragonabile a quello realizzato da un'altra Italia partita Cenerentola e diventata via via la più bella di tutte, l'Italia del 1982, che stese il Brasile dei fenomeni sovvertendo ogni previsione: quella Seleçao, come i panzer di oggi, era lanciata da una sequela di vittorie condite di gol e spettacolo, pareva inavvicinabile, già destinata a gloria imperitura. E invece...  Allora come oggi, i nostri hanno accettato e vinto la sfida sul piano del gioco, senza ritrarsi e asserragliarsi dietro, e prendendosi anche i conseguenti rischi, perché al cospetto di certi formidabili "undici" subire palle gol è comunque inevitabile.
Non so cosa diavolo passi per la testa dei tedeschi ogni volta che ci affrontano. Ma non voglio nemmeno pensare che si tratti di un blocco psicologico: lo ripeto, questa Germania edizione 2012 non aveva motivi per sentirsi a disagio mentalmente, aveva tutti i mezzi per costruire un percorso vincente da chiudere domenica sera, con la Coppa alzata da Lahm al cielo di Kiev. Diciamo allora che se una schiacciasassi designata prende a girare in folle, il merito è anche di chi le sta davanti. Ed ecco l'Italia, dunque: per chi l'ha vista crescere in questo biennio, passando dai tentennamenti iniziali a prove via via sempre più convincenti e autoritarie, la sensazione di stupore è relativa. 
Il team modellato da Prandelli sta facendo quello che ha quasi sempre fatto, nelle eliminatorie e nelle amichevoli del 2010 e del 2011, certo con meno intensità e continuità rispetto a oggi: punta più sull'offesa che sulla difesa, cerca di manovrare e costruire, preferisce il gioco d'iniziativa. Lo aveva fatto bene per 70 minuti con la Spagna, per poco più di un tempo con la Croazia, solo a radi sprazzi con l'Eire. Contro l'Inghilterra ha gettato la maschera, dominando in lungo e in largo dopo qualche impaccio in avvio e mancando il successo nei tempi di gioco solo a causa dello scialo di palle gol, che continua ad essere il vero tallone d'Achille di questa rappresentativa. 
SUPER MARIO VERSO LA CONSACRAZIONE - Davanti agli uomini di Low, la crescita è continuata. Il nostro cittì è stato di parola: attaccheremo, aveva detto, sorprendendo solo chi non ha ancora capito a fondo la filosofia, lo spirito nuovo di questa nostra Nazionale, mai sparagnina, mai attendista, sempre protesa all'inseguimento del gol. Che a Varsavia è finalmente arrivato, perché, come avevo auspicato, Balotelli ha deciso infine di fare il Pablito Rossi: è entrato in sintonia col gol quando maggiormente serviva alla causa, ha saputo conquistarsi la scena nel momento topico come solo i grandi, già consacrati o "in pectore", sanno fare. Due reti pesanti in una semifinale internazionale, contro uno dei colossi del football mondiale: da queste prodezze, non da altro, si riconoscono i fuoriclasse dell'attacco. 
IL BELLO DEL CALCIO - Scrivere di tattica, di assetto delle squadre sul campo di gioco, dopo una serata come quella di ieri sembra persino sgradevole e superfluo. Per noi appassionati di calcio, questi Europei sono stati anche una lotta contro i negativisti ad ogni costo, contro quelli del "stupidi voi che vi appassionate ed entusiasmate per le false prodezze di miliardari in mutande e maglietta, mentre il Paese va a rotoli". Che palle, cambiate registro, sarebbe la risposta più sbrigativa: per essere educati, tuttavia, basta ricordare a costoro, gente che vede sempre e comunque nero, che il calcio da oltre un secolo conquista e sa mantenere la passione e il seguito delle folle, in ogni angolo del globo, e vi riesce anche perché ogni tanto regala eventi epocali e romanzeschi come quello di Varsavia, emozioni uniche che aggregano, che danno la possibilità di vivere qualche ora di gioia, di evasione dai terribili momenti del quotidiano. Grazie a serate come questa, io non rimpiangerò mai di aver dedicato tanto tempo della mia vita al football. 
AZZURRI SONTUOSI - Comunque, di calcio occorre parlare, perché questa ennesima Italia - Germania resterà consegnata agli annali: a pochi giorni dall'ottima prova contro gli inglesi, risolta solo ai calci di rigore quando poteva venir chiusa ben prima, i nostri sono riusciti a offrire un'altra prestazione di valore assoluto, una delle migliori dai tempi del vittorioso mondiale berlinese. Inizio fra mille patemi, con almeno due rischi concreti, poi l'uscita dal guscio a macinare calcio non più fittamente elaborato come altre volte, ma scarno e di sostanza.
La prestazione di Cassano vale, forse, più di tutte quelle finora offerte in maglia azzurra dal folletto barese: dopo un gran tiro da fuori neutralizzato in tuffo da Neuer, una prodezza da giocoliere autentico, a scivolare leggero in dribbling fra due difensori per poi mettere il pallone sulla testa di Balotelli, prontissimo all'appuntamento con la storia. Ma il primo a tentare la conclusione, spezzando l'iniziale assedio tedesco, era stato Montolivo con un destro da fuori: un Montolivo propositivo, dinamico, utile anche nel "lavoro "sporco", lucido e tempista al momento di azionare Super Mario per il contropiede del 2 a 0, facendosi perdonare l'incertezza fatale di pochi minuti prima, quando ha cincischiato davanti al portiere sprecando la palla del raddoppio. 
Gli altri? Pirlo al solito sontuoso, eccelso anche quando, come ieri, è chiamato a dare un contributo più cospicuo in copertura (con anche un salvataggio sulla linea nel convulso avvio), sempre pronto a ribaltare l'azione, a spostare in avanti il baricentro del gioco e a distribuire palloni con pazienza e perizia. Marchisio diesel, cresciuto impetuosamente alla distanza dopo aver anche lui dovuto mulinare i tacchetti in interdizione: nella ripresa, ecco alcuni dei suoi inserimenti micidiali, con due diagonali a lato di pochissimo, due occasionissime che avrebbero meritato miglior sorte.

                                                  Buffon esulta con Diamanti

BONUCCI - BARZAGLI, INVALICABILI - De Rossi ha fatto il difensore aggiunto quasi come in apertura di manifestazione, strappando palloni importanti e dando respiro a una retroguardia comunque assai sollecitata, ove hanno brillato un Bonucci alla miglior partita della sua carriera e un Barzagli che, dopo aver fatto la comparsa a Germania 2006, ora si prende in toto la ribalta: da entrambi, chiusure a go go, salvataggi in perentorio anticipo, palle alte calamitate sistematicamente, fino a generare un palese senso di impotenza fra gli avversari. 
Balzaretti, spostato dalla sua corsia preferita, è parso assai più contenuto, limitando al minimo gli sganciamenti, ma sempre attento, mentre ha al solito giganteggiato Buffon, con una serie di respinte e deviazioni su tiri di una Germania che, benché quasi... disinnescata dai nostri, ha comunque confermato il suo enorme potenziale offensivo, sfiorando il gol soprattutto con conclusioni a lunga gittata di Reus (entrato nel secondo tempo, ha dato più spessore agli approcci offensivi dei bianchi) e, nel primo tempo, di Khedira, che tuttavia alla lunga è calato non confermando quanto di buono mostrato nelle prime quattro gare, quando si era messo in mostra come uno dei centrocampisti più completi, attivi e incisivi visti all'opera nell'intero torneo. 
ANCORA TROPPI GOL SBAGLIATI - Tornando ai nostri, un po' giù di corda Chiellini (sulla sua fascia Boateng ha avuto fin troppa libertà), mentre l'ingresso di Di Natale è stato sostanzialmente infruttuoso, soprattutto per un contropiede mancato con un tiro terminato sull'esterno della rete, una di quelle palle gol  che uno come lui non dovrebbe mai sbagliare. Il suo errore, più clamoroso di quelli prima citati di Marchisio, ci ha impedito di chiudere un match che poteva andare sul 3 a 0 con largo anticipo e che è invece rimasto aperto fino all'ultimo secondo anche grazie a un generoso rigore concesso ai tedeschi, e trasformato da un Ozil fortemente ridimensionato dopo le luminarie di Sudafrica 2010, troppo discontinuo, spesso assente dal match (ieri come nelle gare precedenti). 
Siam sempre lì: abbiamo trovato in Balotelli il terminale in grado di far finalmente fruttare in buona misura il lavoro di produzione di opportunità di tiro, ma altri continuano a sprecare occasioni che nelle fasi finali di questi tornei vanno assolutamente concretizzate, se non si vuol fare la fine dell'Italia del 2000, sconfitta, più che dalla Francia, dagli "indimenticabili" svarioni sotto porta di un Del Piero ai minimi storici. E tuttavia, nonostante la sfuriata finale di Buffon contro le imprecisioni dei compagni, che hanno messo a repentaglio una vittoria ampiamente meritata, il passo avanti rispetto allo spreco delle gare precedenti c'è stato. Ha il nome di Super Mario e il volto tattico di una maggior capacità di verticalizzazione. 
VERSO KIEV - Contro la Spagna (che incontreremo per la terza volta in stagione!) basterà? Al momento è prematura qualsiasi risposta. Al momento, mentre gli azzurri già ricaricano le pile per la sfida conclusiva, noi possiamo permetterci di fermarci un attimo, chiudere gli occhi e godere di questa strepitosa impresa. L'Italia è in finale a Euro 2012, il traguardo è sensazionale ed è quello che conta, perché dà concretezza alla resurrezione del nostro movimento calcistico al di là di quanto accadrà nella  finalissima, che ci vedrà opposti a una super potenza e il cui esito, come tutti gli atti conclusivi di questi tornei, è legato a fattori anche aleatori e non schiettamente tecnici. Ma noi ci siamo, alla faccia di chi continua a considerare il nostro come un football brutto, mediocre, sorpassato. E intanto abbiamo un'altra Italia - Germania da raccontare ai bambini di domani. 

giovedì 28 giugno 2012

EURO 2012 - DIARIO EUROPEO: SPAGNA "IN MINORE", IL PORTOGALLO SPRECA UN'ALTRA OCCASIONE DELLA VITA

                                      Gioia spagnola: Furie Rosse di nuovo in finale

La Spagna è già nella leggenda. Come potrebbe essere altrimenti, con tre finali consecutive, due Europee e una Mondiale, e le prime due già vinte? Se poi domenica arrivasse anche il terzo trionfo, dalla leggenda passerebbe direttamente all'Olimpo degli immortali Dei del calcio. Esagerazioni? Date un'occhiata, anche solo superficiale, ai libri di storia di questo sport, scoprite quante altre squadre sono riuscite in imprese simili, e la risposta verrà in automatico. Certo, se poi non ci si ferma al mero risultato statistico, ecco che le Furie Rosse ci appaiono d'incanto più fragili e insicure, lontane anni luce dalla compagine macchina da gol e schiacciasassi (tranne che contro l'Italia di Donadoni) di Euro 2008, e da quella meno scintillante ma comunque solidissima, continua e pragmatica di Sudafrica 2010. 
CALCIO ALL'ANTICA - Diciamo la verità: non è stato divertente assistere alla semifinale con il Portogallo, così come ben poco elettrizzante era risultato il quarto contro la Francia. Due situazioni diverse: sabato scorso, gli uomini di Del Bosque avevano giocato quasi in souplesse, contro avversari mai entrati non solo in partita, ma nemmeno nell'Europeo; una vittoria inevitabile su di una formazione senza idee e senza coraggio, quasi che i due anni della ricostruzione targata Blanc fossero passati invano. Ieri sera, ben altro ci si aspettava da un derby iberico mai decollato. E' stata una di quelle gare che tanto andavano di moda, fra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta, nel calcio internazionale: quante se ne videro, all'epoca, di finali di coppe così, o di partite decisive in Coppa del Mondo o all'Europeo giocate nella stessa maniera, fra prudenza e attendismo? O credete che le modifiche regolamentari del 1992, come quella sul retropassaggio al portiere, siano state partorite solo per vezzo e non per tentare un rilancio del football sul piano delle emozioni e dello spettacolo? 
TIKI - TAKA ARRUGGINITO - A Donetsk, si diceva, hanno trionfato la paura e il tatticismo, e sinceramente la cosa mi ha sorpreso in negativo. Ci si aspettava di più dalla Spagna, il cui tiki - taka sembra perdere fluidità, inesorabilità e brillantezza col passare delle settimane: una squadra la cui fine tessitura di gioco, la cui elaboratissima manovra di avvicinamento all'area avversaria non hanno più la forza penetrativa di un tempo, e incontrano difficoltà in precedenza impensabili contro dispositivi difensivi un tantino più infittiti e sofisticati. Ma che dire allora dei portoghesi? Era, questa, la seconda grande occasione della loro storia calcistica: otto anni dopo l'Euro 2004 perso in casa contro la Grecia (!), il giovane Paulo Bento si è ritrovato fra le mani un complesso equilibrato, ricco di talento in tutti i reparti, con gregari di gran sostanza e con un fuoriclasse di dimensioni planetarie in grado, se in giornata e se adeguatamente supportato dai compagni, di prendere di peso la propria Nazionale e di portarla fino al massimo alloro continentale. I segnali, nella gare precedenti con Olanda e Repubblica Ceca, erano stati confortanti: Cristiano Ronaldo era letteralmente toccato dalla grazia.
PORTOGHESI INCOMPIUTI - Un Portogallo che, in questo senso, personalmente mi ha ricordato a tratti l'Argentina mondiale dell'86: un buon team, con giocatori di medio livello ma dalla grande costanza di rendimento ai massimi livelli (i Ruggeri, i Batista, gli Olarticoechea), alcuni elementi di elevata qualità (Burruchaga, Valdano) e un inarrivabile fenomeno (Diego Maradona, el mejor de la historia). Al cospetto di una Spagna che mostrava improvvisamente le prime ruggini di un gioco a lungo preciso come un orologio svizzero, i rossoverdi potevano e dovevano fare di più. 
Per oltre un'ora hanno sì smorzato, se non addirittura spento, i tentativi di dei rivali di produrre qualcosa in chiave offensiva, ma lì si son fermati. Lodati a lungo sui teleschermi Rai nel dopopartita quasi come vincitori morali del match, in realtà gli eredi di Eusebio e Rui Costa non hanno saputo abbinare all'eccellente lavoro di contenimento e rottura anche la dovuta efficacia e lucidità in fase di costruzione e di tiro, come, senza andar troppo lontano, aveva invece saputo fare benissimo l'Italia in avvio di torneo, e davanti a una Selecciòn ben più in palla e pericolosa. 
Così, se Pepe e Bruno Alves erano inappuntabili dietro e Fabio Coentrao si confermava uno dei migliori esterni bassi di Euro 2012, con un apporto di enorme rilievo sia in difesa che negli sganciamenti, e se al centro Veloso e Meireles si sfiancavano in fase di filtro, nei pressi dell'area spagnola tutto diventava più incerto, quasi evanescente. Ronaldo, l'uomo più atteso, girava troppo al largo, sempre defilato sulla sinistra, era impreciso, precipitoso e inconcludente, ci provava quasi esclusivamente su punizione, calibrando male tutti i tiri come capita nelle serate di luna storta dei campionissimi, e chiudeva, di fatto, la sua grigia partita sprecando malamente un contropiede nella fase finale dei tempi regolamentari. 
SPAGNOLI SPUNTATI - Uno spreco, davvero, contro i campioni euromondiali in una delle loro versioni più dimesse e timorose, che controllavano la situazione ma raramente arrivavano a concludere, complice anche la rinuncia iniziale sia a Torres che a Fabregas per lasciare spazio allo spaurito Negredo. Con un roccioso  e spiccio Sergio Ramos a montar la guardia dietro, Xabi Alonso, dopo le glorie da attaccante nel match coi francesi, rientrava nei ranghi del suo compito precipuo, che è quello di dar battaglia nella zona nevralgica reggendo con accortezza le file della manovra, impedendo che si sparigli nei momenti di maggior sofferenza; Busquets si dava discretamente da fare nel tentativo di portare in avanti il baricentro del gioco, mentre stupiva Jordi Alba, abile a "percuotere" la fascia sinistra con frequenti discese e accelerazioni, ma anche buon tiratore, e Pedro quando entrava portava un pizzico di vivacità in più davanti, giungendo anche a un passo dalla rete.
SUPERBO INIESTA - Tuttavia, l'unica vera stella che brillava di una luce accecante era, ancora una volta, quella di Iniesta: che magari chiuderà la carriera senza vincere un Pallone d'oro (quello del 2010 gli sarebbe spettato di diritto), ma che continua a dispensare calcio di squisita fattura anche nelle contingenze più avverse: sempre geometrico nei passaggi, è stato anche il più pericoloso e insistente al momento di concludere, prima con una parabola di destro di poco alta e, nei supplementari, con un tentativo da distanza ravvicinata che Rui Patricio ha sventato, e che avrebbe potuto chiudere in anticipo la gara, come forse sarebbe stato giusto, perché nell'extra time i campioni in carica hanno preso in mano le redini del gioco e hanno costruito quel qualcosa in più, in termini di pressione e di palle gol, sufficiente a legittimarne il successo. 
RONALDO SENZA RIGORE, ASSURDO - La giostra finale dei penalty, come accaduto per l'Italia contro l'Inghilterra, ha giustamente premiato chi ci ha provato maggiormente. E anche dai tiri dal dischetto, la conferma di un'occasione gettata alle ortiche dai portoghesi: perché quando si dispone di un supercampione che è anche freddo e implacabile cecchino, lo devi mandare subito a trasformare il suo rigore, o comunque entro i primi tre tiri: tenerselo per ultimo è assurdo, perché corri il rischio di non arrivarci nemmeno, alla battuta conclusiva. E' accaduto altre volte in passato (ricordo un Juve - Real Madrid di Coppa Campioni negli anni Ottanta, con Platini risparmiato per l'ultimo rigore che però non tirò mai, in quanto i bianconeri ne avevano già sbagliati a sufficienza per uscire dal torneo...), e la regola è stata impietosamente confermata ieri: così, il fenomeno Cristiano Ronaldo è scivolato mestamente fuori dall'Europeo senza lasciare il segno nella gara più importante. Eusebio, la Pantera nera, e i suoi nove gol in un solo Mondiale (quello del 1966) rimangono un mito inavvicinabile. 

lunedì 25 giugno 2012

EURO 2012 - DIARIO EUROPEO: GIUSTIZIA E' FATTA, L'ITALIA BASTONA UN'INGHILTERRA AVVILENTE

                                              Diamanti: suo il rigore decisivo

Poiché la giustizia non è di questo mondo, tantomeno del mondo del calcio, non era affatto scontato che gli azzurri, dopo aver dominato gli inglesi 110 minuti su 120, trovassero nella giostra finale dei penalty (che è una lotteria, sebbene qualcuno si ostini ad affermare il contrario) l'imprimatur ufficiale a un successo largamente meritato nei tempi di gioco. Eupalla, la dea del pallone secondo Gianni Brera, non si è girata dall'altra parte: del resto, la sua punizione ce l'aveva già inflitta trascinando la partita fino al penultimo tiro dal dischetto. Colpa nostra: il mal di gol continua ad essere devastante, e così i ragazzi di Prandelli hanno mancato di chiudere i conti con largo anticipo, come avrebbero dovuto, scialacquando occasioni su occasioni. 
INGHILTERRA, ANTICALCIO E BARRICATE - Insomma, si è sfiorata una beffa che sarebbe stata autenticamente epocale: sbattuti fuori da Euro 2012 dopo aver giocato forse la nostra miglior partita internazionale dell'ultimo quinquennio. Non è accaduto perché la decenza ha alfine reclamato i suoi diritti: quella decenza che gli inglesi hanno lasciato evidentemente in terra d'Albione, poiché indecente è stata la loro prestazione. Si è parlato spesso, anche su questo blog, della Grecia e del suo calcio difensivo, del contenimento come unica arma da opporre ad avversari ben più dotati sul piano della classe e dell'esperienza. Ma il team di Hodgson è andato oltre, praticando un catenaccio interpretato nella sua forma più deteriore (perché il catenaccio originario, il "verrou" nato negli anni Trenta, era modulo con una sua dignità e non necessariamente nemico dello spettacolo), retriva, quasi antisportiva. Una difesa di massa, tutti dietro al pallone, a fare mucchio, ostruzionismo, continuamente, senza altra idea se non quella di distruggere il gioco, di impedire agli avversari di  fare calcio, e rifiutandosi essi stessi di farlo. 
NON E' FOOTBALL ALL'ITALIANA - E' quasi offensivo, nei confronti del nostro movimento calcistico e della sua storia, dire che l'Inghilterra, soprattutto in seguito alla gestione Capello, abbia tratto insegnamento da noi. La rappresentativa azzurra non gioca un calcio di stampo difensivo da almeno trent'anni, se non di più (diciamo pure dall'inizio dell'era Bearzot). E se qualche volta (molto raramente, ma è accaduto) si è dovuta  rintanare dietro le barricate, lo ha fatto perché vi si è trovata costretta in corso d'opera dalle preponderanti forze nemiche (come contro l'Olanda, semifinale di Euro 2000), non certo per scelta premeditata. Ergo, non vengano a raccontarci fandonie, i sudditi di Sua Maestà: con la prestazione di ieri sera, tutta in trincea e quasi totalmente rinunciataria, hanno sporcato una gloriosissima tradizione calcistica, fatta di arrembaggi generosi anche se a volte scriteriati. 
AZZURRI BENE, MA IL MAL DI GOL CONTINUA - Va da sé che, contro compagini chiuse a riccio come questa triste Inghilterra 2012, giocare bene e produrre occasioni diventa estremamente difficile. Da questo punto di vista, l'Italia merita solo elogi: dopo un inizio folgorante (ah, quel palo di De Rossi su schioccante conclusione dalla distanza...), ci sono stati dieci minuti di sofferenza acuta e inspiegabile, con i britannici rapidi, pronti a ripartire e aggressivi, capaci di andare vicini al gol per due volte, prima con il difensore Johnson in mischia (prodezza di Buffon) e poi con un'inzuccata alta di Rooney.
Insomma,  i pronostici della vigilia, quelli che parlavano di un indecifrabile 50 e 50, sembravano dover essere rispettati in pieno, con continui scambi di colpi. Macché: l'Italia ha superato la buriana con personalità e maturità tattica, e ha avviato l'assedio: nonostante gli spazi si intasassero sempre di più, i nostri riuscivano ad arrivare un considerevole numero di volte nei pressi d Hart, e in questo brillava particolarmente Balotelli, propositivo e ficcante ma, ahinoi, ben poco preciso al momento di cogliere i frutti del buon lavoro svolto. 
Eccoci di nuovo al punto dolente: questa "Azzurra" versione Prandelli, l'ho scritto mille volte, è compagine che ha il gusto del gioco, manovriera a centrocampo, sostenuta da una discreta spinta sui lati, capace di assumere l'iniziativa anche contro avversarie di alto lignaggio e di creare un buon numero di palle gol. Ma non concretizza se non in minima parte la mole di lavoro prodotta. Mole di lavoro che ieri è stata davvero mastodontica, in rapporto alle difficoltà offerte da una compagine barricadera e ostruzionistica, nella quale ha se non altro brillato un Terry all'altezza della sua fama: ma con pazienza e con una circolazione di palla a tratti "spagnoleggiante", i nostri infine i varchi li hanno trovati: detto delle occasioni mancate da De Rossi e Supermario nel primo tempo, nella ripresa ancora De Rossi sprecava da pochi metri, poi il solito Balo non sfruttava una corta respinta di Hart e si faceva di nuovo deviare il tiro, prima che Montolivo si lanciasse sul pallone scagliandolo di poco al di sopra della traversa. E, nel finale, Johnson si produceva in un miracoloso recupero su Nocerino, contrandone un tiro diretto probabilmente in fondo al sacco. 
MONTOLIVO, PECCATO! - Alla lunga, la stanchezza per il lungo forcing e alcune impreviste défaillance fisiche (De Rossi, Abate) hanno appannato la manovra dei nostri, che comunque hanno continuato a premere e a cercare il gol della vittoria incessantemente, fino all'ultimo secondo dei supplementari. Ai rigori i rabbiosi Balotelli e Nocerino, un Pirlo che ha ritrovato il gusto per la follia dei fuoriclasse (gol in pallonetto come Totti nel 2000), un Buffon glaciale e un Diamanti niente affatto a disagio di fronte al momento più delicato e importante della sua quasi vergine carriera internazionale, hanno rimediato all'errore di Montolivo, che non meritava il peso della responsabilità di un'eventuale sconfitta, avendo interpretato la gara con grande umiltà e acume tattico, dannandosi l'anima per cercare spiragli in quell'ammucchiata umana dalle maglie bianche e sacrificandosi anche con puntuali rientri. 

                                              De Rossi e Buffon, due protagonisti

MESSAGGIO - Fra gli altri italiani, la coppia Bonucci - Barzagli ha avuto ben pochi cedimenti: tempista ed efficace sia di testa che di piede, con l'ex barese abile ad uscire a testa alta per cercare di riavviare l'azione. Abate ha brillato più in retroguardia che in fase di spinta, eccezion fatta per la mezz'ora precedente la sua uscita forzata, mentre Balzaretti è stato il consueto stantuffo, ma non sempre confortato da adeguata misura nei cross e nei passaggi.
De Rossi - Pirlo è tornata una cerniera di valore mondiale, incredibile il numero di palloni lavorati, il fervore nelle due fasi, l'agonismo, mentre Marchisio ha fatto un bel po' di "legna" nel mezzo, correndo per due, e spinto con continuità senza però trovare gli spunti giusti per sfondare le retrovie britanniche, e in attacco è parso sotto il suo standard Cassano, scarsamente ispirato nelle iniziative personali e un po' smarrito nella gabbia difensiva allestita da Hodgson. Ma, al di là delle valutazioni sui singoli, tutta la squadra ha fornito una prova da incorniciare, nel senso del messaggio lanciato all'Europa e al mondo del pallone: la vittoria va inseguita attraverso le vie del gioco, se se ne hanno le potenzialità tecniche e tattiche. L'Italia queste potenzialità le ha, e giustamente cerca di valorizzarle e sfruttarle; ma le ha, anche se forse leggermente meno rispetto a noi, anche l'Inghilterra, e per questo il suo atteggiamento "perdente" deve suscitare scandalo. 
E SE BALOTELLI... - Un messaggio di speranza che va al di là del valore effettivo della nostra rappresentativa e delle sue prospettive in questo Europeo: perché le lacune nella concretizzazione, diciamo pure la sterilità strisciante,  chiederanno il conto al cospetto di una Germania che, ora come ora, si para innanzi a Buffon e compagni come un baluardo oggettivamente insormontabile. Ma nelle battute conclusive di questi tornei, quando la qualità delle squadre non è più il solo valore di riferimento, ma ad esso vanno sovente a sommarsi altri parametri, altri fattori che determinano il risultato finale, non è il caso di fasciarsi la testa prima che sia rotta.
Un problema come quello del gol non si risolve in pochi giorni: mancano i Toni e i Gilardino dei bei tempi, tanto per restare ad esempi recenti. Scartata ormai  l'ipotesi del lancio di Borini,  e dopo aver preso seriamente in considerazione il ripescaggio di Di Natale o anche dello sgusciante Giovinco, che potrebbe far ammattire le panzerdivisionen, è chiaro che il perno attorno al quale ruotano tutte le nostre speranze offensive è Balotelli:  che nella settimana di Europeo rimasta il nostro golden boy possa finalmente riuscire a raddrizzare la mira, "annusando" il peso del grosso traguardo a portata di mano, è ipotesi tutt'altro che campata per aria. Al momento, però, le mie percentuali sono orientate verso un 65 Germania e 35 Italia: ma sono le stesse percentuali che, fossi stato già allora un appassionato di calcio, avrei dato per Italia - Brasile dell'82, a favore degli auriverdes. E anche all'epoca c'era un attacco che, inizialmente, faticava non poco a finalizzare, prima che esplodesse un certo Pablito Rossi...
A scanso di equivoci, comunque, il sottoscritto considera già un traguardo eccezionale l'ingresso nel ristrettissimo circolo delle quattro grandi d'Europa. Ricordiamoci da dove siamo partiti, ossia da Sudafrica 2010: e guardiamo dove siamo adesso. Il football nostrano non è poi tanto male, no? E, soprattutto, lo ripeterò fino alla noia, il difensivismo fine a se stesso non abita più qui. Se lo mettano bene in zucca, i giornalisti e tutti gli addetti ai lavori stranieri. 

sabato 23 giugno 2012

EURO 2012 - DIARIO EUROPEO: PASSA LA GERMANIA. SPIACENTI, LA GRECIA NON ERA ALL'ALTEZZA

                                         Lahm: ha sbloccato il risultato contro i greci

Dopo una settimana di nauseante martellamento mediatico sul "derby dello spread" (complimenti vivissimi alla fantasia della stampa italiana), con annesso il "quasi - ricatto morale" di dover tifare per la Grecia, in quanto Paese in gravissima crisi e in soggezione di fronte al colosso teutonico (ma cosa c'entrano i problemi politici ed economici dell'Europa con una partita di calcio?), è stato un sollievo veder finalmente scendere in campo le due squadre: ed è stato un sollievo, consentitemelo, veder vincere la Germania. Perché sperare nel trionfo di Cenerentola, nella riscossa di Davide che batte Golia,  è lecito allorquando chi dovrebbe interpretare la parte di Cenerentola - Davide mostra di avere tutti i crismi per ambire legittimamente all'impresa. 
GRECIA NON ALL'ALTEZZA - Ebbene, diciamolo chiaramente, la Grecia non aveva nulla di tutto ciò. Intendiamoci: nessuna antipatia nei confronti della selezione ellenica. Io stesso, in un precedente post, ho scritto che non vi è niente di male nel puntare sulla difesa come unica soluzione tattica, se i mezzi tecnici, gli uomini a disposizione non consentono altre strategie. Una considerazione che però non ne esclude un'altra: ossia che per puntare alla conquista di un alloro importante come quello europeo è richiesto un passo in più: la capacità di creare, e non solo di distruggere. Il massimo titolo continentale pretende completezza calcistica, eccellere nelle due fasi o, quantomeno, in una di esse senza sfigurare nell'altra; e richiede, anche, un bagaglio complessivo di classe che sia... all'altezza di un albo d'oro. 
Ecco il punto: puntando sulle stesse, limitate risorse di oggi, la Grecia il miracolo l'aveva messo a segno già otto anni fa, in Portogallo. Un miracolo fragoroso, tanto da essere catalogato come "la sorpresa più clamorosa nella storia del football". Ma i miracoli non si ripetono, se non li si "aiuta" mettendoci qualcosa di maggiormente sostanzioso rispetto alla volta prima, nella fattispecie risorse tecniche migliori (ma di questo non si può dar colpa al calcio ellenico, che produce quello che può) e un "modus operandi" più eclettico e propositivo. Senza contare che, a Euro 2004, forse nessuna delle "grandi" cadute al cospetto della squadra di Rehhagel aveva la "potenza di fuoco" della Germania odierna.  
GERMANIA, QUANTA QUALITA'! - Una Germania che, per un tempo, è parsa il Bayern dell'ultima finale di Champions League: tutta protesa all'attacco, ma lenta nell'elaborazione dell'azione e, quando finalmente riusciva a liberarsi per il tiro, sprecona anzichenò. Va da sé che compagini come quella biancoblù hanno la capacità innata di... imbruttire anche le avversarie più reputate e qualitative. E insomma, per sbloccare la situazione c'è voluta la classica prodezza da torneo internazionale di Lahm, specialista, in queste competizioni, in reti storiche (la prima in assoluto al Mondiale di Germania 2006) o decisive (gol della vittoria contro la Turchia nella semifinale di Euro 2008). 
La Grecia, intendiamoci, ha fatto tutto quanto era nelle sue possibilità, possibilità, lo si è detto, ridotte sul piano del talento puro, della mentalità e della varietà di moduli, e ulteriormente depotenziate dalla forzata rinuncia al leader carismatico Karagounis. Ha azionato alcune ripartenze insidiose, e su una di queste ha trovato addirittura il pari con Samaras. Ma la reazione dei panzer è stata veemente e mortifera, da grande squadra che non si scompone quando subisce un pareggio inatteso e immeritato (imparino da loro, i nostri azzurri). 
Mister Low ha vinto la sua scommessa: l'esclusione dalla formazione iniziale di tre stelle di prima grandezza come Tommy Muller, Podolski e Gomez sembrava un azzardo, ma evidentemente questa Germania ha risorse tali da poter assorbire senza danni anche un turn over così pesante e incisivo. Ozil è parso in crescita rispetto alle prime, timide uscite, anche se non sempre lucido e preciso, Schurrle ha portato dinamismo e intraprendenza, Reus ha stupito per la personalità con cui si è calato nella parte, toccando molti palloni pesanti e siglando personalmente l'ultima rete tedesca, ma il più ispirato è parso Khedira, che sa giostrare con profitto a tutto campo e cerca con sempre maggiore insistenza gli inserimenti in zona tiro, premiato ieri con un gol di squisita fattura. E dietro, Badstuber è sempre più un baluardo insormontabile, ancorché non proprio appariscente. 
RONALDO MOSTRUOSO - Ventiquattr'ore prima, il Portogallo aveva confermato di essere ormai un membro stabile dell'élite del calcio europeo: da quando il torneo continentale è passato a 16 squadre, il team lusitano è entrato tre volte fra le prime quattro, e le altre due è uscito ai quarti. Sacrosanto il successo sulla Repubblica Ceca: che partiva sfavorita, ma che aveva le armi tecniche e di organizzazione per disinnescare, almeno in parte, la macchina da gioco rossoverde. Il Portogallo ha però finalmente trovato un Cristiano Ronaldo  pienamente all'altezza della sua dimensione di fuoriclasse planetario: un incubo per le difese avversarie, rapido, potente, immarcabile, e un pragmatismo che lo porta a concludere ogni volta che intravede anche solo lo spiraglio di fare centro. Il brutto approccio con Euro 2012, fra pali e gol sbagliati, non ne ha fiaccato il morale, anzi: quando lo si è visto andare su un pallone con la ferrea volontà di battere una punizione da lunghissima distanza, si è capito che era sempre lui, il giocatore dalla personalità svettante, che non rifugge mai le responsabilità, che sa di potere e dovere trascinare i compagni a grandi traguardi. 
MEIRELES E COENTRAO SUGLI SCUDI - Accanto a lui, il più ispirato è parso Raul Meireles, gran lavoratore e costruttore di gioco, dal lancio calibratissimo, e in progresso, pur senza miracol mostrare, ci è sembrato Veloso: molto utile soprattutto in fase di filtro e in qualche sapiente rallentamento di ritmo nelle fasi più concitate, anche se continua a non brillare come tessitore della manovra, che dai suoi piedi scaturisce sempre abbastanza piatta e prevedibile. Frizzante ancorché non sempre sorretto dalla necessaria precisione Nani, mentre Fabio Coentrao ha impressionato per completezza, con un eccellente lavoro sia in copertura che in appoggio e spinta, e Pepe ha ribadito il suo buono stato di forma, con chiusure provvidenziali nel cuore dell'area. Sul fronte degli sconfitti, Sivok ha lottato come un leone in retroguardia, tappando molte falle, e Jiracek si è confermato elemento generoso e tatticamente fondamentale, sempre nel vivo dell'azione e sempre pronto a spostare in avanti il baricentro del gioco con le sue incursioni. 

mercoledì 20 giugno 2012

EURO 2012 - DIARIO EUROPEO: BILANCIO "RANDOM" DELLA PRIMA FASE



Considerazioni in totale libertà, e senza un ordine logico, sulla prima fase di Euro 2012, conclusasi ieri sera. 
LIVELLO DEL TORNEO - Valutare il livello qualitativo di tornei come questo non è impresa facile: occorre prendere in considerazione tanti parametri, non solo la piacevolezza delle partite, ma anche, ad esempio, l'evoluzione tattica, il quadro storico calcistico in cui la manifestazione si svolge, il lancio di rivelazioni e la capacità dei protagonisti più attesi di reggere la ribalta. Il  primo, parzialissimo giudizio parla di un Europeo medio - alto, senza picchi spettacolari e senza squadre che si siano espresse su standard fenomenali (un team di fenomeni c'è ed è la Spagna, ma ha incontrato gravi difficoltà con l'Italia e, in parte, con la Croazia, e più in generale ha fatto girare il motore al 70 per cento delle proprie potenzialità, che rimangono immense). 
Difficilmente ci si è annoiati nell'arco di un intero incontro, anzi, è accaduto una volta sola (durante l'orrido Francia - Inghilterra). I gol sono stati tre in più rispetto a quattro anni fa, ma meno in confronto ai tornei del 2004 e del 2000, però non ci sono stati pareggi a reti inviolate; tuttavia le segnature non possono rappresentare l'unico parametro di giudizio del valore di una competizione o di una singola gara: è stato molto più emozionante, per dire, assistere a Russia - Grecia che non a Spagna - Eire, quest'ultima quasi una partita  di allenamento per gli iberici, vista la disparità di forze in campo. 
PER L'ITALIA UN'INGHILTERRA "OPERAIA" - L'Italia, domenica prossima, troverà nei quarti l'Inghilterra. Ci fa piacere: ritorna finalmente un confronto storico del calcio mondiale, le sfide coi cuginetti francesi, con tutto il rispetto, avevano dato la nausea, per ripetitività recente. Non è una delle migliori edizioni della Nazionale coi tre leoni sul petto, ma ciò non deve indurre a eccessi di ottimismo: è una compagine, lo si può dire, a volte terribilmente brutta a vedersi (esclusi alcuni sprazzi nel match con la Svezia, allorquando, trovandosi sotto a due terzi di gara, ha avuto la necessità di accendere notevoli girandole offensive per scongiurare il rischio di una precoce eliminazione), e però terribilmente efficace. 
Compatta in fase difensiva, con "mister simpatia" Terry che ha scoperto in Lescott un compagno dallo stile scarno ma efficace ed utilissimo anche negli sganciamenti, abile e rapida a chiudersi a riccio di fronte alle folate avversarie. Operaia nella zona nevralgica, dove Gerrard canta e porta la croce (smarrendo a volte un po' di lucidità) e Milner ha trovato via via un buon rendimento, agendo soprattutto sul versante destro; l'attacco ha infine riavuto Rooney, fresco e riposato e quindi doppiamente pericoloso, può contare su di un Walcott sempre in rampa di lancio (mortifero contro gli scandinavi) e su giovani interessantissimi come il guizzante Welbeck e la torre Carroll. Insomma, dicendo 50 e 50 come possibilità di superare il turno non credo di far torto agli azzurri: Hodgson è in grado di far crescere ancora il suo gruppo.
SVEZIA CON ONORE - Ieri sera, bella lezione di cuore e professionalità da parte della Svezia: già eliminata, ha ritrovato quello spirito nordico (la cui "solidità" era stata compromessa dal biscottone del 2004: ci ritorneremo) onorando l'ultimo impegno oltre le più rosee aspettative. Ci sta che la Francia, già quasi sicura del passaggio, abbia voluto giocare al risparmio, ma i gialloblù nel secondo tempo son stati devastanti: tante salvifiche prodezze di Lloris, ottimo erede di Barthez, Wilhelmsson indiavolato, Ibra che sigla il gol più bello dell'Europeo, pressione continua e raddoppio a fil di sirena. Rimpianti grandissimi, anche se una squadra che attinge certi livelli di gioco e di intensità solo quando non ha più nulla da perdere è, con tutta evidenza, compagine dai grossi limiti caratteriali. Ma lascia comunque l'Ucraina a testa alta, e anche questo conta. 
GIOCARE IN CASA NON BASTA PIU' - A proposito di Ucraina: che il calcio sia cambiato lo si desume anche dalla sorte avversa che, da tempo, accompagna sovente le squadre di casa in queste manifestazioni, laddove, un tempo, ospitare il torneo era garanzia assoluta quantomeno di passare lo scoglio del girone iniziale. La prima caduta toccò al Belgio, nel 2000, fatto subito fuori dalla Turchia e dall'Italia nella sua Bruxelles; a Euro 2008 nessuna delle due anfitrione, Svizzera e Austria, riuscì ad andare oltre il primo turno, e la delusione fu grandissima soprattutto per gli elvetici, che si presentarono con una rosa di buon livello e "temprata" da un Mondiale, nel 2006, dall'esito tutto sommato felice in rapporto alle attese. 
Nel 2010, alla Coppa del Mondo, Sudafrica fuori immediatamente nonostante un brillante successo sulla Francia, e ora questo doppio fallimento polacco - ucraino. Recriminazioni soprattutto per gli uomini di Blokhin, protagonisti di un avvio bruciante con la Svezia, allorquando Shevchenko regalò probabilmente le ultime fiammeggianti prodezze della sua carriera ad alto livello, poi sprecona ma generosissima e sfortunata nella sfida decisiva con gli inglesi, giocata meglio degli avversari e persa, in definitiva, solo per una papera del portiere e per la vergognosa svista sul gol - non gol del pareggio (prima certi errori erano gravi, ora diventano semplicemente inaccettabili, per la presenza dei giudici di porta...). Ma elementi come lo stantuffo Gusev, il costruttore di gioco Garmash (discontinuo e dalla personalità ancora in sboccio, ma gran lavoratore nel mezzo), il travolgente Konoplyanka e il difensore Kacheridi andranno tenuti d'occhio anche dopo l'Europeo. 

                                             Shevchenko, fuoriclasse al tramonto

BASTA CON LE LEZIONI MORALI - Non c'è stato il biscotto e tutti a elogiare la correttezza della Spagna e della Croazia, quasi a cospargersi il capo di cenere. Fermo restando che è stata soprattutto la nostra stampa, e non il movimento calcistico italiano in sé, ad alimentare questa stucchevole polemica, mettiamo un paio di cose in chiaro. Si dice che l'Italia dovrebbe solo stare zitta, di fronte a certi argomenti, visto ciò che sta accadendo dalle nostre parti, ma: 1) Se si è parlato tanto di "biscotto" è perché noi lo abbiamo effettivamente subìto, nel 2004, e da parte di due Nazionali che venivano portate ad esempio di assoluta sportività e rigore morale; ergo, non erano paure prive di fondamento, ma derivanti da traumatiche esperienze passate; 2) In molti si dicono certi che l'Italia, al posto di Spagnoli e croati, la torta l'avrebbe confezionata eccome. Mah, io ricordo che, l'unica volta in tempi recenti in cui gli azzurri si sono trovati a poter gestire il destino degli altri, il loro comportamento è stato cristallino: a Euro 2000, nell'ultima gara del girone, avrebbero potuto dar via libera alla Svezia e consentirle di giocarsi la qualificazione con Belgio e Turchia, invece si impegnarono e vinsero. Insomma, non siamo santi, anzi, ma non attribuiamoci pure colpe che non abbiamo. 
POCO AZZURRO SUGLI SPALTI - Un tempo, per Europei e Mondiali, i tifosi italiani davano vita a memorabili trasferte oceaniche. Oggi non è più così, da tempo ormai negli stadi "neutri" siamo sempre in minoranza. La distanza dalla sede del torneo? Forse. La crisi economica? Probabilissimo, ma i croati che hanno riempito lo stadio di Poznan il giorno del confronto con noi stanno poi così bene, sul piano finanziario? In ogni caso, la giustificazione del portafogli è solidissima, ma c'è anche dell'altro, ossia un atteggiamento più distaccato e scettico nei confronti della nostra Nazionale, che spesso non riesce a riempire gli stadi nemmeno quando gioca partite importanti in Italia. Un segnale d'allarme gravissimo, da non sottovalutare: ritorno al provincialismo più deteriore (seguo la mia squadra del cuore, degli altri chi se ne frega) e dissenso verso una Federazione ormai palesemente non all'altezza dei propri gravosi compiti? 
RAI, DI TUTTO, DI MENO - Della gestione Rai di questi Europei si sta parlando in lungo e in largo, quindi evito di soffermarmici troppo. Ma va segnalato il "periodaccio" di Vincenzo D'Amico, che prima perde l'aereo e non può commentare Olanda - Danimarca, poi scambia il portiere inglese Hart col disastroso Green che difese la porta britannica a Sudafrica 2010, attribuendogli quindi colpe passate che non ha, e si vede costretto a scusarsi con gli spettatori nella telecronaca successiva, infine parla di "traiettoria ondeggiante del pallone" (smentito dalle immagini, e non poteva essere altrimenti) raccogliendo una certa qual ilarità da parte del collega al suo fianco. 
E che dire di Gianni Bezzi, che durante Francia - Ucraina apostrofa in diretta Collovati con un "Hey, fermo, che fai??", in quanto il multicrinito campione di Spagna '82, spostando il cellophane posto a protezione delle apparecchiature durante il precedente diluvio, gli stava facendo cadere il cronometro? Infine, standing ovation per Dossena, che si accontenta veramente di qualsiasi cosa: gli azzurri subiscono, commettono errori sesquipedali, vanno in sofferenza, ma lui esclama: "No, ma va bene, va bene così". Fino a quando Bruno Gentili, ormai esasperato, lo rimbrotta: "Insomma, mica tanto bene...". Mitici, continuate così... E intanto, mentre Fabrizio Failla continua a mangiarsi le parole, voglio spendere una parola di elogio autentico per la co - conduttrice (con Mario Mattioli) di "Mattina Europei" su Rai Sport 1: Valeria Ciardiello è fresca, disinvolta, piace per l'applicazione al compito e per il fatto di non dover per forza bamboleggiare per bucare il video. Curiosità: il suo nome non è citato nel comunicato di presentazione del palinsesto europeo emesso dall'ufficio stampa della Rai e leggibile qui: perché? 

martedì 19 giugno 2012

FESTIVAL DI SANREMO 2013: SCOCCA L'ORA DI "FAZIO TERZO"



Scrivere del Sanremo prossimo venturo già a giugno fa un po' specie, ma la notizia è di quelle grosse: il padrone di casa del Festivalone 2013 sarà Fabio Fazio. Non era uno dei nomi più gettonati per la successione a Gianni Morandi, ma la candidatura ha preso corpo rapidamente nelle ultime settimane, e ancor più rapidamente si è concretizzata. 
E' in rampa di lancio il "Fazio terzo", dunque. Inevitabile tornare con la mente alle due edizioni delle kermesse già presentate dall'anchorman ligure, nel 1999 e nel 2000. Un secolo fa e termini di paragoni impropri, perché di acqua ne è passata sotto i ponti, e tante, troppe cose sono cambiate nei mondi che Sanremo attraversa e vive: quello musicale in primis, quello televisivo, e quello... finanziario (da cui non si può prescindere nell'allestimento di uno show di tali faraoniche dimensioni). Ma, anche se non soprattutto, è cambiato lui, l'anfitrione designato. Il Fazio di fine ventesimo secolo era il Fazio di "Anima Mia" (trionfo insperato alla vigilia della messa in onda) e di "L'Ultimo valzer" (flop altrettanto inatteso), ma soprattutto del primo, indimenticabile "Quelli che il calcio". 
IL FAZIO DI IERI... - All'epoca, Fazio era quasi un "elfo" del piccolo schermo, l'uomo nuovo dell'intrattenimento leggero ma ragionato: il ragazzone ancora bambino dentro, il "fantasista" che cercava una nuova via al divertimento catodico, rovistando nei magazzini ideali della memoria e in quelli più... prosaici della Rai per lanciare un filone nostalgico - vintage che funziona ancora oggi, andando a scoprire nuovi canoni spettacolari, format mai sperimentati, personaggi inediti e pescati fra la gente comune, ma personaggi che avevano qualcosa da dire e da raccontare, anche poco ma l'avevano, non gente senza qualità secondo la moda della "tv di tutti" in stile Grande Fratello. Una visione allegramente scanzonata del mondo reale e mediatico, la sua;  un distacco non superbo ma umile, quasi a dire: "Scusate, sono qui per caso", nella ricerca continua di una vicinanza assoluta allo spettatore, in luogo dell'inavvicinabilità tipica del divo. 
... E IL FAZIO DI OGGI - Oggi, le cose sono un po' diverse: la metamorfosi di Fazio, forse, è cominciata  in parte proprio da quei lontani giorni di Sanremo. Non nel '99, quando mise in piedi un Festival totalmente in linea col suo stile (ricordiamo la trovata del "Sanremo quest'anno lo presentano tutti", con casalinghe, calciatori, astronauti e inservienti dell'Ariston ad alternarsi sul palco), ma di certo nel 2000, allorché si impose di modellare una rassegna sostanzialmente rigorosa e dedicata in toto alla musica, essendo quella l'edizione del cinquantenario, dando inoltre grosso rilievo ad una iniziativa umanitaria che ebbe eco planetaria, quel "Jubilèe" che puntava alla cancellazione del debito dei Paesi più poveri del globo. In seguito, molti eventi l'hanno segnato: rendendolo più ispido, ruvido, meno allegrotto, anche per via di certe amarezze (il precoce tramonto dell'avventura a La7), ma in primis più rigoroso, in una differente interpretazione della sua professione, del suo ruolo televisivo, ruolo che ha completamente ripensato dedicandosi a un intrattenimento alto, per certi versi "di nicchia". 
Il Fazio di oggi, e non lo scopro certo io, è il Fazio che passa in rassegna politici, magistrati, attori di spessore, cantautori e scrittori a "Che tempo che fa"; ed è soprattutto il Fazio impegnato delle trasmissioni - record con Roberto Saviano. Ed eccoci dunque al punto: come trasferirà, il conduttore savonese, tutte queste sue nuove esperienze, questo suo bagaglio di cultura umana e televisiva distante anni luce da quello di tredici anni fa, nel Sanremo che verrà? 
IL SUO TERZO SANREMO - Non è facile rispondere, in questo momento. Precisando che nelle due edizioni condotte Fazio non si è mai occupato direttamente della selezione dei brani in concorso, io credo che questa volta invece farà sentire la sua voce, sia pur sommessamente: sarà l'occasione, credo e voglio sperare, per un'apertura più convinta non solo al cantautorato nobile che è un suo vecchio pallino, ma anche a generi musicali meno esplorati, anche se ugualmente di buon impatto commerciale. 
Chi, invece, auspica una liquidazione del discorso "talent show" è fuori strada, secondo me: come avevo scritto a commento dell'ultimo Festival, quella degli "Amici di Maria" e degli "X Factorini" è una realtà che, al momento, la manifestazione rivierasca non può assolutamente ignorare, sia per motivi discografici che per ragioni di audience; deve, però, mitigarne gli influssi, rendendo meno ossessiva la loro presenza, e meno "dominante" sulle classifiche finali, senza liquidare il televoto (anche volendo, impossibile farlo) ma reintroducendo con coraggio una delle innovazioni più azzeccate del biennio '99-2000, quella della giuria di qualità che "incide davvero" sul verdetto conclusivo, una giuria possibilmente formata da esperti veri, non da attricette dell'ultima generazione.
Ancora, sarebbe auspicabilissimo proseguire nel solco, tracciato da Gianmarco Mazzi, della valorizzazione del vivaio sanremese, col lancio fra i Big di molte "Nuove proposte" del passato, senza però penalizzare i giovani con orari di passaggio televisivo indecenti, fino a farli quasi sparire nel programma delle serate, come è avvenuto negli ultimi anni. E, sempre a proposito della categoria debuttanti, occorrerebbe trovare il coraggio di superare l'omologazione di generi imperante, girando la Penisola in lungo e in largo, scandagliando l'underground, i locali, le cantine, ma anche il web, per poi portare in Riviera la vera musica nuova.

                                         Gli Avion Travel, trionfatori a Sanremo 2000


NO ALLE "COMPAGNIE DI GIRO" - Ecco, il nuovo volto di Fazio si riverbererebbe sul Festival anche con queste poche e banali innovazioni, che  altro non sono se non un ritorno a canoni più rigorosamente musicali e lontani dagli stilemi della tv caciarona. Meno ci piacerebbe il ricorso alla "compagnia di giro", viziaccio di molti (come l'allenatore Novellino che si portava sempre dietro il regista Volpi!); poteva funzionare nel '99 o nel 2000, quando Orietta Berti, per dire, era ancora un volto originale come anchorwoman, e Teocoli conservava qualche cartuccia da sparare; oggi si parla già di Saviano, e passi pure (anzi, potrebbe rappresentare un colpo alla Benigni), ma si è già fatto il nome della Littizzetto, che ormai ha ben poco da dire anche nell'appuntamento settimanale a "Che tempo che fa". I volti inediti per fare uno spettacolo innovativo e fuori dagli schemi classici non mancano (un nome su tutti, Geppi Cucciari), è auspicabile qualche colpo di genio. 
CARLO CONTI E GLI ALTRI - Di certo la scelta dei vertici Rai è stuzzicante: caduta per l'ennesima volta la candidatura di Carlo Conti, che forse invecchierà senza presentare il Festival (e, del resto, negli ultimi anni ha perso molto di quel brio che ne aveva decretato il successo, intristendosi nella noiosa ripetitività di trasmissioni sempre uguali a loro stesse), mai presa in considerazione quella di Milly Carlucci (che, pure, è la regina dell'intrattenimento Rai dell'ultimo quinquennio), precocemente tramontata la fugace ipotesi del "Bonolis ter" (ma Paolone nostro, scommettiamo, tornerà presto all'Ariston), ecco il coniglio fuori dal cilindro, la mossa a sorpresa. 
FAZIO E UN SANREMO DIVERSO - Fazio dovrà reimmergersi in un clima, quello dello spettacolo leggero e glamour, che non gli appartiene più: l'ho visto a disagio, fuori posto, inceppare nelle battute e nei tempi comici, in occasione dello spettacolo dedicato qualche mese fa a Enzo Jannacci. E poi, come si diceva, i tempi sono cambiati su tanti versanti: la tv si è imbastardita e ingrigita, perdendo di vista fantasia e voglia di sperimentare, il Sanremone si è trasformato in un megashow catodico in cui la musica riesce ancora a conquistarsi la ribalta (l'ha fatto bene, tutto sommato, nell'edizione 2012), ma sempre più a fatica, fra numeri dì'arte varia, presentatori troppo protagonisti e improponibili ospitate di attori stranieri. 
Il mercato del disco è cambiato radicalmente, i gusti si sono uniformati e standardizzati verso il basso e non è più facile come un tempo far digerire al pubblico una diversificazione di generi; dulcis in fundo (si fa per dire...), le risorse economiche sono quelle che sono, e dopo i lustrini e lo sfarzo dell'ultimo decennio è il pubblico stesso a chiedere per primo un Sanremo più "austero", senza sprechi per attrazioni inutili. Per dire, nel 2000 Fazio riuscì a portare all'Ariston Bono Vox (con The Edge, in pratica gli U2) e Jovanotti, Venditti e Robbie Williams, Gli Eurythmics, gli Oasis e Tom Jones, ed ebbe al fianco Pavarotti come presentatore. Oggi, invece, dovrà fare le nozze coi fichi secchi (si fa sempre per dire, ma la proporzione ci sta): anche questa è una sfida affascinante e carica di incognite. 

EURO 2012 - DIARIO EUROPEO: ITALIA AVANTI SENZA GLORIA, CERCASI KILLER INSTINCT


                                         Cassano e Balotelli, i match winner con l'Eire

Certo che è davvero frustrante. Dopo aver costruito, con tanta fatica e poca brillantezza, una preziosissima vittoria, senza tuttavia riuscire a darle le proporzioni auspicate, ci si ritrova a dover soffrire le pene dell'inferno anche dopo il triplice fischio, nel timore che dall'altro campo giunga notizia del gol che ti condanna al... volo di ritorno. E' quanto accaduto ieri all'Italia: ed è quanto accade a chi, nel calcio, si mette nelle condizioni di non dipendere più soltanto dai propri risultati. 
Ecco: frustrante, prima ancora che da cardiopalmo, è la definizione ideale per la serata polacca di ieri. E dunque, al netto dell'euforia a caldo, è giusto non lasciarsi prendere la mano dai trionfalismi: archiviato con legittima soddisfazione il superamento del primo turno, che in manifestazioni come l'Europeo è sempre un traguardo di tutto rispetto (e che rappresenta comunque un netto miglioramento rispetto al disastro Mondiale del 2010), è giusto dire che la compagine azzurra è andata avanti senza gloria, fra pochi chiari e molti scuri. 
Si è rivista una delle peggiori versioni della Nazionale, una versione a cui purtroppo siamo abituati da anni e anni di prestazioni ossessivamente simili: quasi ogni volta che i nostri prodi si trovano a dover affrontare formazioni oggettivamente modeste e comunque chiaramente inferiori alla nostra, ma solo un poco tignose tatticamente e fresche atleticamente, il loro motore prende a girare in folle, i riflessi si annebbiano, la manovra diventa arruffata e involuta, vengono a mancare la velocità di esecuzione e le intuizioni per scardinare le non irresistibili linee nemiche. 
TARA EREDITARIA - E già. Quante volte l'abbiamo visto, il medesimo film "ammirato" durante Italia - Eire? E' una... tara ereditaria, c'è poco da fare: per carità, se il bilancio azzurro complessivo mette comunque sull'altro piatto della bilancia quattro titoli mondiali e una buonissima continuità storica a livello di risultati, ci si può accontentare; ma è, lo ripetiamo, frustrante vedere una squadra dotata come la nostra non riuscire a far valere la propria superiorità nei confronti di avversari, nella fattispecie gli irlandesi, che nella circostanza hanno confermato la loro pochezza in fatto di classe e uno schematismo tattico elementare e prevedibile, gettando nella mischia solo un agonismo sopra le righe e una voglia di riscatto che ha contribuito alla "bambola" iniziale dei nostri. 
La prima mezz'ora di Poznan è stata in effetti avvilente: a tratti, è parso di intuire lo stesso, disastroso approccio all'impegno decisivo che ebbe l'ultimissima Italia di Lippi, quella dello scempio Mondiale contro la Slovacchia. Per fortuna, questa squadra ha più qualità complessiva e più carattere, e ne è uscita fuori senza danni: ma accostarsi con tale leggerezza mentale alla sfida "dentro o fuori" (addirittura con occasionissima immediata per Doyle, giunto a pochi passi da Buffon) conferma una mancanza di personalità, agli alti livelli, che del resto è anche lo scotto da pagare al decadimento internazionale del nostro calcio: molti dei ragazzi in campo ieri hanno avuto, coi loro club, pochissimi confronti ad altissimo livello, e anche questo conta. 
BALZARETTI, FINALMENTE! - Comunque, passata la buriana, gli uomini di Prandelli si sono riassestati e hanno praticato un calcio quantomeno razionale, anche se certamente non da applausi. Il ritorno alla difesa a quattro, da me lungamente auspicato, ha provocato all'inizio qualche ovvio scompenso, dopo una preparazione all'Europeo quasi interamente incentrata sullo schieramento a tre con De Rossi perno centrale; la ricomparsa di Balzaretti nel ruolo di esterno sinistro basso, un ripescaggio che ho invocato per ancor più lungo tempo, ha rappresentato un autentico toccasana per la squadra. Il palermitano, l'ho ripetuto all'infinito, è stato uno degli azzurri più continui e incisivi nel biennio, l'averlo messo da parte per utilizzare, fuori ruolo, il debuttante assoluto Giaccherini, che ha fatto il suo ma non ha certo brillato, non è stata una genialata: la sua prova di ieri, fatta di corse a perdifiato sulla fascia, recuperi e un continuo proporsi in appoggio (anche con qualche tentativo di tiro non fortunatissimo) ha confermato le mie sensazioni.

                                                 Balzaretti, finalmente titolare

MAL DI GOL - Nella fase centrale del match e nei minuti finali al galoppo si è vista un'Italia decente, che però continua a soffrire il mal di gol. Pure contro i mediocri e nervosi ragazzoni del Trap, una fatica boia a concludere con efficacia verso la porta, anche quando, dopo gli inceppamenti iniziali, si sono alfine trovati gli spazi per colpire: Di Natale ci ha provato due volte sotto misura ma è stato sempre contrato in extremis, e una terza ha dato un saggio  della sua classe con un destro da posizione decentrata salvato sulla linea. Cassano, al secondo tentativo di testa dopo quello con la Croazia, ha fatto centro, ma poi tutti han ripreso a cincischiare, a non affondare i colpi con cattiveria, e le idee hanno latitato paurosamente. 
CENTROCAMPO "IN FOLLE" - Non ha girato il centrocampo, solitamente assai più propositivo e produttivo: il solo De Rossi si è sfiancato per tre, Marchisio non ha sfoderato il consueto dinamismo e la prontezza negli inserimenti, Thiago Motta è parso lento e avulso dal gioco, Pirlo stanco e poco preciso ("semel in anno", e non parliamone più...). L'ingresso nel finale di Diamanti ha portato freschezza e tonicità per un lavoro più che altro di quantità, di "legna", necessario in una nuova fase di sbandamento azzurro culminata nella punizione - quasi gol di Andrews, ma il contributo di genio e fantasia sulla trequarti è stato impalpabile. Il 2 a 0 è arrivato solo in chiusura, grazie a un Balotelli che, prodezza a parte, ha trovato davvero una serata fortunata, in quanto avrebbe potuto aver sulla coscienza la nostra eliminazione: pensate se quel 3 a 0 fallito per egoismo e precipitazione (tiro in porta invece di servire lo smarcatissimo Bonucci) fosse giunto in contemporanea al pareggio croato a Danzica? 
CRESCERE - Insomma, voliamo bassi, e voglio dirlo dopo aver ripetutamente, in questi mesi e nelle ultime settimane, formulato attestati di fiducia a Prandelli e al suo gruppo. Non è con l'atteggiamento psicologico, col piglio caratteriale, con l'approccio tattico di ieri che potremo far strada a Euro 2012. Ma abbiamo ritrovato un assetto più funzionale, e riportato alla ribalta elementi che non meritavano di star fuori. Il futuro immediato è legato a due fattori, più di altri: crescita di testa, ossia mettere gli artigli e sfoderare quella personalità in rilievo che ti permette di gettare il cuore oltre l'ostacolo anche in condizioni di difficoltà, e  raddrizzare la mira, perché una grande squadra non ha bisogno di creare cinque o sei opportunità o di... operare laboriose manovre di approccio prima di far centro, e nemmeno si fa scrupolo di piazzare il colpo del ko. 
Ecco un altro tasto dolente: dall'inizio dell'avventura di Prandelli alla fine delle qualificazioni, raramente si era vista un'Italia attendista, tesa a lucrare sul vantaggio minimo: in questo Europeo invece a tratti lo sta facendo, magari indotta dagli eventi, ma lo sta facendo. E le riesce male, proprio perché non ha la forma mentis e le caratteristiche tecnico - tattiche per farlo: deve dunque ritrovare per intero, e non solo per metà gara come si è visto in Polonia, il gusto per il gioco propositivo e di iniziativa, che è più nelle sue corde. Ma per ritrovarlo deve appunto trovare la crescita spontanea di cui si è fatto cenno sopra.
CROAZIA, GIUSTO COSI' - Detto questo, e confermate le mie sensazioni circa la... repulsione degli spagnoli per biscotti e dolciumi vari, onore alla Croazia, che ha fatto quanto era nelle sue possibilità per sgambettare gli iberici. Due occasionissime per Modric e Perisic nel secondo tempo, un rigore reclamato non a torto da Mandzukic, ma anche un deciso complesso di inferiorità (comprensibile, ci mancherebbe) al cospetto di una Spagna che, va detto, ha tenuto pallino pur giocando al 50 per cento delle proprie possibilità, con una manovra ragionata in vecchio stile danubiano e affondo numerosi ma non accompagnati dalla necessaria cattiveria nelle conclusioni: meno palle gol del solito, ma prima della rete di Navas, Iniesta, Torres, Silva e Fabregas erano stati assai insidiosi. 
Non c'è comunque dubbio che, nell'arco dei tre incontri, l'Italia abbia meritato più dei biancorossi il passaggio ai quarti: perché ha giocato senza paura al cospetto dei campioni euromondiali, e ha dominato per oltre metà gara gli stessi croati, prima di ritrarsi davanti a Buffon cadendo vittima più delle proprie insicurezze che dell'accresciuta incisività avversaria. Giusto così, insomma. 

lunedì 18 giugno 2012

DIARIO EUROPEO: CRISTIANO RONALDO STRATOSFERICO, OLANDA MAGLIA NERA

                                            Cristiano Ronaldo torna a sorridere

Da vicecampione del mondo a "maglia nera" del proprio girone europeo. Così mutano, nel breve volgere di due anni, i destini delle squadre di calcio. La caduta dell'Olanda è stata fragorosa, e non può certo consolarla  il fatto che, in passato, qualcuno abbia saputo fare peggio: l'Italia, che dopo aver trionfato al Mundial spagnolo del 1982 non riuscì nemmeno a qualificarsi per la fase finale dell'Euro 1984: che era a otto squadre, ma i nostri prodi arrivarono quarti (su cinque) nel loro gruppo eliminatorio, quindi senza spazio per le recriminazioni. 
Fine di un ciclo? Ci andrei cauto. Molti dei rappresentanti di questa nuova "generazione d'oro" cresciuta ad Amsterdam e dintorni si avviano verso la trentina, o vi sono già: ma almeno una parte di essi può reggere tranquillamente fino al Mondiale brasiliano. Nell'ultimo decennio l'età media in cui, per un calciatore, scatta l'ora del declino si è alzata considerevolmente, e in ogni caso questi campioni hanno dimostrato, anche nella sventurata trasferta ucraina, di avere ancora più di un colpo in canna. Non è stata la loro vecchiaia a determinare il fallimento. 
LE RAGIONI DI UN CROLLO - Cosa è accaduto, allora? A volte basta una congiuntura negativa per mandare in panne anche la compagine più referenziata, e non si fa certo riferimento a qualche misteriosa congiunzione astrale... Ci sono stati scompensi tattici, il ricorso a giocatori giovani non all'altezza di una tale ribalta, soprattutto in retroguardia (ma anche in avanti, dove Afellay è parso sovente di fronte a un compito troppo grande per le sue forze), una condizione atletica non ottimale (e per rendere al 110 per cento il gioco olandese ha bisogno di ritmi sostenuti), e il momento non felice di alcuni interpreti chiave: Robben è stato prostrato dalle disavventure in maglia Bayern, invece di ricavarne una enorme volontà di riscatto; Sneijder non ha fatto che confermare l'involuzione già emersa nel campionato italiano, non certo addebitabile esclusivamente a lui (i momenti negativi dei club di appartenenza finiscono spesso per condizionare, per una sorta di "disagio  riflesso" tecnico e psicologico, anche i giocatori che per classe e personalità dovrebbero prendere per mano i compagni e tirarli fuori dai guai), Van Persie ha smarrito come per incanto la sua mortifera efficacia sotto porta e ha sbagliato reti a ripetizione. 
LA PARTITA PEGGIORE - I ragazzi di Van Marwijk sono andati in calando, in questo torneo. Pur non impressionando, all'esordio con la Danimarca avrebbero meritato il pari, per predominio esercitato e palle gol costruite. Contro il Portogallo, hanno offerto la loro peggiore prestazione, eccezion fatta per alcuni lampi in avvio di gara e nella parte finale. Van Der Vaart pescava subito il jolly con una mirabile conclusione dalla distanza, sfruttando un pallone egregiamente lavorato da Robben (da lui, nonostante tutto, le poche idee di pregio nella gara dei nordici) ma poi i nodi venivano impietosamente al pettine, anche per uno schieramento scriteriatamente sbilanciato in avanti, con un solo centrocampista di sostanza (lo smarrito De Jong) e Huntelaar affiancato infine a Van Persie. Così, di fronte ai lusitani, calmi, lucidi, ordinati e manovrieri, l'Olanda non riusciva più a produrre gioco con apprezzabile continuità, affidandosi a iniziative isolate dei suoi assi offensivi. La zona nevralgica era costantemente tagliata fuori, la difesa sottoposta a sollecitazioni terribili e indotta, per stress e per limiti oggettivi, a errori sovente clamorosi. 
CRISTIANO RONALDO, MOSTRUOSO - Merito soprattutto di un Cristiano Ronaldo che ha dimostrato a tutti cosa significhi essere un fuoriclasse: in primis reagire alle critiche della stampa e alle avversità agonistiche, e poi caricarsi sulle spalle la squadra e trascinarla verso il traguardo. L'attaccante del Real Madrid era indiavolato: due gol, due pali, almeno altre quattro occasioni mancate o sventate da Stekelenburg, tiri da ogni posizione, su azione o su calcio piazzato, la retroguardia avversaria distrutta dalle sue percussioni. Certo, il tutto va tarato sull'effettiva validità di un'Olanda piuttosto malmessa, che però rimane test assolutamente probante per misurare il valore di un atleta e di una squadra. 
Gli arancioni chiudevano con la voglia palese di fare almeno un punticino, ma Huntelaar e, tanto per cambiare, Van Persie fallivano altre opportunità, e quando poi Van Der Vaart, con un'azione simile a quella del gol, centrava in pieno il palo dal limite, si capiva che la Dea del calcio aveva preso, per gli spauriti eredi di Cruyff, decisioni irrevocabili. Un po' come, qualcuno lo ricorderà, per la Francia dei Mondiali del 2002, campione europea e iridata che continuava a perdere partite e a prendere legni, per poi uscire anch'essa mestamente al primo turno... 
E il Portogallo? Detto di CR7, si è detto quasi tutto. Vanno aggiunte però la straordinaria prestazione di Nani, eccellente in appoggio e determinato in fase conclusiva, il fervore nelle due fasi di Fabio Coentrao e il prezioso lavoro di tessitura nel mezzo di Moutinho, fondamentale in copertura e in impostazione. Dicendo che ancora una volta non mi ha impressionato Veloso (un bell'assist per il secondo palo di Ronaldo, poi una presenza molto molto discreta...) mi attirerò le ire di molti genoani che continuano a vedere mirabilie nelle sue prestazioni in maglia lusitana: che siano gli stessi tifosi che avrebbero voluto la riconferma in rossoblù del disastroso portiere Eduardo?
DANIMARCA: POULSEN E POCO ALTRO - Nell'altra gara del girone, una Germania sotto ritmo e a tratti in difficoltà al cospetto di una Danimarca che le carte a disposizione se le è giocate tutte, per tentare una difficile qualificazione. Non erano molte, queste carte: grande atletismo, un Bendtner tuttofare a movimentare il fronte offensivo, mentre dietro, fra difensori spicci e non sempre irreprensibili, ha brillato l'ottimo Simon Poulsen, eccellente e tempista nelle chiusure e negli anticipi. Ma queste "panzerdivisionen" sono talmente solide e sicure di loro che non potevano farsi sfuggire il primo traguardo di Euro 2012, anche se in certi momenti, soprattutto nella prima metà della ripresa, hanno dato l'impressione di scherzare col fuoco. Nella loro prova, di rimarchevole un Khedira generosissimo e, questa volta, più presente negli inserimenti sotto porta, Thomas Muller non sempre continuo ma artefice comunque di un efficace tourbillon in avanti, mentre, sarà una mia impressione, Ozil mi pare ancora troppo intermittente e poco incisivo nella manovra, anche se il decisivo gol di Bender è arrivato su sua iniziativa insistita in profondità. E basta questo, in fondo, per fargli guadagnare un'ampia sufficienza. 

domenica 17 giugno 2012

DIARIO EUROPEO: RISCATTO CECO QUATTRO ANNI DOPO, GRECIA IN VERSIONE 2004

                                    Cechi esultanti: in primo piano la rivelazione Jiracek

Una serata come quella di ieri, i cechi l'aspettavano da quattro anni. A Euro 2008, Plasil e compagni erano a un passo dal superamento del primo turno: a lungo avanti 2-0 nel match spareggio con la Turchia, ancora in vantaggio per 2 a 1 fino a tre minuti dalla fine, il mondo crollò loro addosso, improvvisamente: due reti degli avversari, la prima propiziata da una paperissima di Cech (grandissimo portiere che però, curiosamente, in occasione del massimo torneo continentale incappa spesso in paurose amnesie, si veda anche il recente confronto con la Grecia), e la corsa si interruppe lì, in maniera traumatica e imprevedibile. 
POLACCHI ANCORA NEL LIMBO - La ferita era ancora aperta, anche perché a gettarvi sale sopra era giunta l'esclusione dal Mondiale sudafricano, per mano della Slovenia e, onta delle onte, dei cugini slovacchi. Ma ieri sera, in qualche modo, il cerchio si è chiuso: la Repubblica Ceca ha forzato il pronostico avverso, estromettendo i padroni di casa della Polonia e conquistando addirittura il primo posto nel gruppo A. Verdetto che, per quanto visto sul campo di Wroclaw, non fa una grinza: i polacchi hanno mancato clamorosamente l'appuntamento con la storia, ossia la possibilità di scrivere una nuova pagina di rilievo per il calcio locale, fermo alle glorie dei Settanta e degli Ottanta, gli anni dei Lato, dei Deyna e dei Boniek.  Dopo un primo tempo giocato con buona lena, ma tutto sommato velleitario e fumoso nella capacità di tradurre in pericoli concreti le trame faticosamente intessute a centrocampo, gli uomini di Smuda (sosia polacco del nostro Gianni De Biasi...) si sono sciolti come neve al sole. 
I CECHI CON MERITO - La Repubblica Ceca è più squadra, più brillante atleticamente, più organizzata, più tecnica e più concreta; essendo costruita su di un nucleo storico di provata qualità  e personalità, quello dei citati Cech e Plasil, ma anche di Rosicky, di Hubschman e di Baros, ha inoltre potuto mettere sul piatto della bilancia anche una sperimentata abitudine a certe sfide ultimative, ciò che i  polacchi non hanno. E in effetti i rossi hanno gestito la situazione con grandissima autorità, salvo un black out finale che poteva essere esiziale: un colpo di testa di Wasilewski finito alto di poco e soprattutto un salvataggio sulla linea su tentativo in pallonetto di Blaszczykowski hanno rischiato di far precipitare i ragazzi di Bilek nello stesso incubo di quattro anni fa, ma stavolta la Dea bendata aveva deciso diversamente. Ed è stato giusto così: a parte la beffa del 2008, da ricordare anche il titolo europeo che il team all'epoca allenato da Bruckner avrebbe ampiamente meritato, nel 2004, vedendosi invece stoppato in semifinale da una Grecia miracolata. Così, la fortuna ha in parte saldato il suo debito. 
VINCITORI E VINTI - Fra i vincitori, assolutamente decisiva l'intraprendenza e la continuità d'azione  degli incursori Limbersky, Pilar (una scheggia impazzita fra trequarti e fronte offensivo) e Jiracek, un cavallone impetuoso che travolge tutto e tutti e che ha siglato la qualificazione con due reti pesantissime, quella di ieri e la prima con la Grecia. Sostanzioso e fondamentale l'apporto in fase costruttiva di Hubschman, dal larghissimo raggio operativo, mentre Gebre Selassie ha tenuto fede alle sue origini etiopi e al suo nome (quasi lo stesso di un grandissimo fondista degli anni Novanta), coprendo la fascia destra con fervore inesausto e capovolgendo il fronte dell'azione con percussioni estremamente efficaci. 
Rosicky, assente ieri, quando ha giocato è sembrato meno appariscente di un tempo ma comunque a suo agio giostrando in posizione più arretrata a inventare per i compagni, mentre Baros è meno ficcante, meno presente nel cuore dell'area avversaria, cannoniere in declino, ma pur sempre un sublime cacciatore di palloni e ottimo apripista per i colleghi. Nelle file dei polacchi, ha deluso Lewandowski, attaccante moderno e universale, capace di ripiegare e di suggerire, ma troppo impreciso nel momento topico del tiro; Polanski e Murawski hanno lavorato tantissimi palloni nel mezzo, ma non sempre con costrutto, mentre il migliore è stato senz'altro Blaszczykowski, stantuffo inesauribile, piedi buoni e ottimo tiratore. 
ALTRA BEFFA GRECA - Nella serata delle sorprese, la più grossa è arrivata da Varsavia. Dove ha tenuto banco una Grecia in versione 2004, anzi a tratti persino più ruvida, per capacità di irretire e "spegnere" le luminarie offensive di avversari assai più dotati. La prova coi russi è stata per certi versi commovente: lunghi minuti in trincea, a intasare gli spazi rendendo impossibile la manovra di Arshavin e compagni, e rarissimi sganciamenti offensivi. Il fatto è che, in quelle poche puntate fuori dal fortino, gli ellenici sanno essere sempre pericolosissimi: ieri, un gol di Karagounis e un incrocio dei pali su punizione di Tzavellas, ma anche una deviazione ravvicinata di Katsouranis, in avvio, sventata miracolosamente da Malafeev. Tanto per gradire...  

                                  Gioia russa: scena che a Euro 2012 non si ripeterà

DIFENDERSI NON E' PECCATO - Piccola parentesi: non si può condannare a priori chi sceglie la difesa come unica arma per contrare gli avversari. Ognuno agisce in base alle proprie qualità e ai propri limiti: la Grecia non è una grande squadra, come non lo era otto anni fa. Ha poche individualità di spicco, e deve dunque supplire con un assetto strategico blindato e con una interpretazione perfetta del disegno tattico. Da quando ad Atene ha messo i piedi un insegnante di calcio della statura di Otto Rehhagel, i greci sono diventati bravissimi a fare tutto ciò, e oggi proseguono nel solco tracciato, aiutati certo anche dal miglioramento generale di una scuola calcistica, che negli ultimi quindici anni ha prodotto più talenti che nei cinquanta precedenti.
Nella sfida di Varsavia, grandiosi a far muro dietro Sokratis Papastathopoulos  e Papadopoulos, Karagounis formidabile per spirito guerriero e capacità di sdoppiarsi in filtro e in rilancio, con inserimenti mortiferi (stava anche per procurarsi un rigore, nella ripresa), Samaras addirittura devastante, onnipresente, abile a coprire e costante nei suoi slanci offensivi. 
RUSSIA, PUNIZIONE ECCESSIVA - E la Russia? Non credo sia stata tradita da un complesso di superiorità. Quella di Advocaat era, davvero, la squadra più forte del girone e, con quattro punti dopo due gare, ci stava di tentare una gestione un po' più accorta dell'ultimo impegno. Impegno comunque interpretato col consueto spirito aggressivo: avevamo parlato di quella russa come di una compagine possente, capace di produrre una manovra essenziale, di puntare dritta alla porta senza tuttavia disdegnare qualche ricamo, grazie alle indubbie qualità stilistiche di molti dei suoi interpreti. Tutte cose che si son viste anche ieri, limitate però da un ritmo meno sostenuto e dalla ragnatela dei greci, assai più fitta di quella approntata nelle prime gare da cechi e polacchi. 
Però le occasioni ci sono state, soprattutto nella prima frazione, poi i riflessi si sono annebbiati e la paura di non farcela ha depositato una patina di ruggine sui muscoli e sui riflessi di Dzagoev e compagni, proprio mentre i bianchi avversari moltiplicavano le loro energie in vista del miracoloso traguardo. Dell'Europeo russo, rimangono negli occhi le superbe sgroppate di Zhirkov, formidabile nella spinta sulla sinistra e deciso nel tiro a rete, un Arshavin all'altezza della sua classe e più altruista (ma anche lui ieri ha avuto un paio di buone occasioni "in proprio"), le geometrie di Denisov, un Kerzhakov vivo, incisivo e sempre nel cuore dell'azione, e i riflessi di Malafeev in porta, per chiudere con l'attaccante in sboccio, il citato Dzagoev che a fil di sirena, con una pronta deviazione di testa, ha mancato di un soffio il gol di una qualificazione che, tutto sommato, sarebbe stata ampiamente meritata. Ma gli Europei sono anche questo, come pure i Mondiali: non sempre la partenza lanciata è sinonimo di successo finale, e basta una gara storta per mandare a monte il lavoro di due anni... 

sabato 16 giugno 2012

IL TEATRO DELLA GIOVENTU' DI GENOVA SFIDA LA CANICOLA: APERTO ANCHE D'ESTATE


Il Teatro della Gioventù di Genova si prepara a... fare la rivoluzione. Sarà, intendiamoci, una rivoluzione assolutamente pacifica, fresca e gioiosa, tesa a scardinare una delle più radicate e deleterie tradizioni del mondo teatrale italiano: la chiusura estiva. Proprio così: fino a ieri, nel nostro Paese i sipari dei palcoscenici rimanevano inesorabilmente abbassati nei mesi più caldi dell'anno, in totale controtendenza rispetto a quanto avviene nel resto del mondo, o in gran parte di esso.
Ecco quindi che, nel solco della filosofia sperimentale e innovativa adottata da quando Massimo Chiesa ed Eleonora D'Urso ne hanno assunto la direzione, il Teatro della Gioventù in versione "new generation", quello cioè animato dalla frizzante The Kitchen Company (ed ecco spiegata la nuova "ragione sociale", "TKC Teatro della Gioventù"), tenta di farsi apripista di un nuovo modo di concepire la fruizione dello spazio teatrale nella Penisola: apertura estiva, dunque, a partire dal 16 giugno, con la programmazione che continuerà fino al 5 agosto. Eloquente il titolo scelto per l'iniziativa: "rEstate a teatro".
SCOMMESSA - Una scommessa autentica, un salto nel buio che però non spaventa Massimo Chiesa: "Sarebbe bello se la sfida da noi lanciata - afferma - venisse via via raccolta anche dagli altri teatri italiani, se il nostro esempio scatenasse una splendida corsa all'emulazione. Proviamo a rompere le regole del teatro tradizionale, a correre il rischio di recitare, da giugno ad agosto, davanti a platee non propriamente gremite...". Il Direttore del Teatro fa il modesto e vola basso, ma sa che il progetto ha incontrato da subito confortanti riscontri: circa 1700 sono le persone che si sono già prenotate per assistere all'evento - spettacolo centrale di questa apertura estiva, ossia "Le conquiste di Norman", trilogia comica di Alan Ayckbourn, per la regia di Eleonora D'Urso, che sarà in scena assieme a Elisabetta Becattini, Daria D'Aloia, Fabrizio Careddu, Giovanni Prosperi e Marco Zanutto, tutti giovani e talentuosi. 
I tre capitoli della piéce verranno replicati complessivamente 54 volte, altra scelta effettuata in direzione ostinata e contraria rispetto al modus operandi della gran parte degli italici teatri, che basano la loro programmazione su un eccesso di produzione di spettacoli, a fronte di un numero ridotto di recite: "Una progettualità che non porta lontano, che non produce lavoro in più perché è tutto spezzettato, frammentato: occorre cambiare mentalità, tornare a incidere maggiormente sul mestiere del 'teatrante', i tempi sono cambiati, bisogna adattarsi'", dice ancora Massimo Chiesa. 
LE CONQUISTE DI NORMAN - Parliamo un attimo nel dettaglio di "Le conquiste di Norman": tre commedie e una stessa commedia, in una concezione assolutamente originale, in quanto le tre parti brillano  ciascuna di luce propria, collegate eppure autonome e autoconclusive; e chi decidesse di vederle tutte, lo può fare nell'ordine che più gli aggrada, senza che questo ne faccia venir meno il potenziale comico, in quanto non sono strutturate secondo una rigorosa e rigida successione temporale, ma costruite con un sapiente gioco di rimandi fra le situazioni che vengono a crearsi in ciascuno dei tre "capitoli". Tre commedie per tre spazi di azione scenica: la sala da pranzo, il salotto, il giardino. In questi tre luoghi, scorrono le vicende di tre coppie  che si trovano a trascorrere un fine settimana in campagna, e a dover qui fronteggiare gli equivoci e i disastri causati dalle avance amorose di Norman nei confronti di tutte le donne presenti. 
"E' una trilogia geniale - spiega la regista e interprete Eleonora D'Urso - Una commedia a cerchi concentrici, un saggio di comicità alta, mai sopra le righe, non costruita sulle battute a raffica. E' un testo del 1973 che, proprio attraverso la comicità, offre anche uno spaccato della società inglese del tempo, più specificamente della middle class, sondandone le svariate dinamiche. Rappresenta una "zona spettacolare", un genere, sul quale vogliamo insistere: la strada degli spettacoli comici di qualità, inaugurata con "Rumori fuori scena", la commedia che ha dato il via a questa nuova fase della vita del Teatro della gioventù"; uno spettacolo, "Rumori fuori scena", che tra l'altro è risultato un autentico evento boom, sia per qualità della piéce sia per entusiastica risposta di pubblico. 
IL NUOVO TEATRO DELLA GIOVENTU' - E visto che si parla del nuovo corso del Teatro della Gioventù, partito nel gennaio scorso, ricordiamone i punti cardine: far ridere con garbo e intelligenza, lasciando nel contempo spazio a tematiche che possano suscitare spunti di riflessione e di confronto; biglietti alla portata di tutte le tasche; largo spazio ai giovani e alle forze fresche, che si riflette nel ricorso a un cast artistico, tecnico e organizzativo interamente composto da "under 30" (tanto che la compagnia TKC, The Kitchen Company, ha fatto di questo teatro sito in via Cesarea, a pochi metri da via XX Settembre, la strada dello "struscio" genovese,  la sua "casa", diventando così una vera e propria compagnia stabile privata); e, ancora, lancio di una nuova concezione dello spazio teatro, aperto sette giorni su sette e, appunto, anche d'estate, fra aperitivi, incontri, DJ set, letture e altre occasioni per stare insieme e far vivere la struttura. A tal proposito, per l'apertura estiva sarà attivo anche il bistrot del Teatro, con 4 gazebo gentilmente forniti dalla Coop. 
INFO UTILI - Alcune informazioni su "rEstate a teatro" (con aria condizionata, tengono a precisare gli organizzatori: tranquilli, chi andrà al Teatro della Gioventù non si scioglierà sotto la canicola estiva!): gli spettacoli inizieranno alle 17 e alle 21; è previsto un prezzo speciale di 8 euro per tutti gli abbonati alla stagione 2011/2012 dei teatri della Liguria. Altre tariffe: Intero 15 euro, ridotto (over 60) 12 euro, ridotto (under 28) 8 euro, ridotto (convenzioni, Cral, associazioni ecc..) 8 euro, ridotto per soci Coop e familiari 7 euro, ridotto per possessori TKC Card 5 euro, posto unico per le anteprime 8 euro. 
Per altre informazioni: tel. 010/8981177, e-mail: info@tkcteatrodellagioventu.it, Internet: www.tkcteatrodellagioventu.it.