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martedì 29 maggio 2018

NAZIONALE, IL DEBUTTO VINCENTE DI MANCINI: LA NUOVA ITALIA NON PUO' FARE A MENO DI BALOTELLI. COME VOLEVASI DIMOSTRARE


Balotelli in azzurro vuol dire gol, piaccia o meno. Lo dice chiaramente il suo stato di servizio con la Nazionale, lo ha ribadito la serata svizzera del debutto di coach Mancini. Prima di questa rentréè, l'ultima volta di Supermario in campo a difendere il tricolore fu al Mondiale brasiliano, nientemeno. Ora, passi per i due anni di crisi tecnica, psicologica e caratteriale che seguirono il fiasco iridato, ma aver rinunciato ai suoi servigi nelle ultime due stagioni è stata una scelta priva di qualsiasi fondamento, una delle tante colpe ascrivibili all'ex cittì Ventura, tornato fra l'altro a parlare in questi giorni senza che si avvertisse il bisogno di sue dichiarazioni.
Come già ricordato ieri, dal 2011 al 2014 Balotelli mise a segno 13 reti con l'Italia, in gran parte di pregevole fattura, quasi tutte decisive ai fini del risultato; dopo, in molti si sono avvicendati nel tentativo di rimpiazzarlo, ma nessuna altra punta è stata in grado di eguagliarne lo score. Per una squadra che, nella disgraziata annata dell'esclusione da Russia 2018, fra le tante sue lacune ha manifestato una esasperante sterilità realizzativa, il discusso attaccante avrebbe di certo tolto qualche castagna dal fuoco: pur senza trasformare l'Italia in uno squadrone, ci avrebbe magari consentito di superare il barrage con la Svezia, tutt'altro che proibitivo. E oggi, forse, staremmo in qualche località dal clima fresco a preparare la spedizione a Mosca e dintorni, invece di fare da sparring partner a chi, invece, la Coppa del Mondo la disputerà, come l'Arabia Saudita. 
MOMENTO "STORICO" - A proposito di Arabia: ci sarebbe da parlare della partita di ieri sera e lo faccio volentieri. Certo, è stata un'amichevole di fine stagione, contro un'avversaria di non trascendentale caratura (eufemismo). Ma era la prima gara col nuovo trainer in panca, era il vero inizio della rifondazione azzurra, dopo aver gettato alle ortiche i due probanti test match di marzo. Uno di quei passaggi storici che comunque si ricorderanno, perché rappresentano delle pietre miliari nel cammino della Nazionale. I grandi appassionati di calcio, ad esempio, probabilmente rammentano ancora come iniziò il percorso di Bearzot in azzurro, nel 1975: l'allenatore che ci avrebbe portati fin sul tetto del mondo, esordì con un pari casalingo contro la Finlandia, che la critica del tempo non esitò a definire scandaloso (e la prestazione fu in effetti sconfortante).  
SQUADRA PIMPANTE - Questo per dire che in qualche modo bisogna pur cominciare un capitolo nuovo, rompere il ghiaccio, e la nuova Italia l'ha fatto tutto sommato in maniera dignitosa. Non c'è solo il dato statistico del ritorno alla vittoria e al gol su azione, pur se significativo: entrambi gli eventi non si verificavano dalla cupa trasferta albanese dell'autunno scorso, quando già per il football nostrano iniziavano a palesarsi presagi di... sventura. A San Gallo, per un'oretta di gioco, si è vista una squadra pimpante, precisa nel tocco di palla come da tempo non le accadeva, rapida e ficcante negli scambi in velocità che tagliavano sistematicamente fuori la retroguardia asiatica. Con tale agilità di manovra, le occasioni sono giunte in quantità: Pellegrini, puntuale negli inserimenti in avanti, ha sprecato due volte calciando alto, Florenzi ha superato il portiere in uscita ma si è visto respingere il suo sinistro sulla linea di porta, Bonucci ha mancato di poco la deviazione da pochi passi sugli sviluppi di un corner, e il solito Balotelli ha prima sfiorato il gol di testa, per poi andare a segno con un destro dal limite al culmine di un'insistita azione personale. 
UN NUOVO INIZIO PER CRISCITO - Oltre a sbloccare il risultato, l'ex interista ha giocato molto anche per i compagni, facendo salire la squadra e smistando palloni: davvero non si poteva chiedere di più per questo suo ritorno in Nazionale. Stesso discorso che vale per Criscito, praticamente perfetto prima di calare alla distanza come tutti gli azzurri: poco impegnato in retroguardia, ha appoggiato costantemente la manovra offensiva e, quando si è presentato al tiro, ha sfoderato un poderoso sinistro stampatosi sulla traversa. Anche in questo caso, ribadisco quanto scritto ieri: almeno in questa prima fase, il genoano sarà un pilastro della nuova Italia, mentre a lui e a noi tutti rimarrà il rimpianto per i sei anni (sei anni!) di esilio dalla selezione: sappiamo chi dobbiamo ringraziare. 
ITALIA E ARABIA, PREPARAZIONE DIVERSA - Criscito e, dall'altro lato, Zappacosta, prima dell'ultima mezz'ora in affanno hanno spinto con costanza, rendendo ariose e quindi più incisive le trame del team tricolore. A ripresa inoltrata c'è stato anche il ritorno al gol (da grande opportunista d'area) di Belotti, ma a quel punto era già un'altra partita. Vuoi per l'inevitabile girandola di cambi operata da Mancini, vuoi per la crescita degli arabi, si è andati in sofferenza fino a concedere almeno tre tiri pericolosi agli avversari, che hanno trovato il gol della bandiera su una palla persa a centrocampo da Zappacosta e anche grazie a un'uscita fin troppo avventata del solito Donnarumma di questi tempi. Ma tutto rientra nella normalità; normale che i nostri siano calati alla distanza, normale che gli uomini di Juan Antonio Pizzi siano invece venuti fuori dopo un'ora in apnea: stanno preparando il Mondiale, sono verosimilmente imballati da notevoli carichi di lavoro che, però, consentono loro di emergere a match inoltrato. Stanno lavorando per essere al top in occasione del vernissage di Russia 2018, che li vedrà impegnati contro la squadra di casa. Per noi, una vittoria che fa morale e con gli aspetti positivi che prevalgono su quelli negativi, ma ovviamente tutto va rivisto alla prova di impegni più ardui, come i due dei prossimi giorni con Francia e Olanda. Lo spirito sembra quello giusto, anche se, probabilmente, la vera Italia la vedremo solo in autunno, in Nations League. 

lunedì 28 maggio 2018

CLUB ITALIA, INIZIA L'ERA MANCINI. TANTI GIOVANI E I RITORNI DI BALOTELLI E CRISCITO


Stavolta si riparte davvero. Dopo il grigio interregno del marzo scorso, utile soltanto a mettere in curriculum un pari di prestigio a Wembley, il Club Italia apre stasera un nuovo ciclo, con l'inedita sfida all'Arabia Saudita. Lo fa con un po' di magone: pensare di dover assistere alla ricostruzione di una Nazionale disastrata mentre gli altri si preparano al Mondiale russo fa venire un groppo in gola grande così, ma nulla ci si può fare. Bando dunque alle malinconie: il passato dovrebbe averci insegnato che certe fasi di "rifondazione azzurra" possono essere stimolanti ed entusiasmanti, come lo furono gli anni dei cittì Bernardini e Vicini. Perché sono occasioni per passare al setaccio in maniera seria il materiale umano più fresco e vigoroso messo a disposizione dal vivaio nostrano. Sono le fasi in cui lo svecchiamento, da vuoto proclama, diventa realtà: spazio ai giovani, finalmente, spazio e tempo messi a loro disposizione per crescere, sbagliare, correggersi e fare esperienza internazionale, la cui mancanza è oggi forse il limite tecnico più grande del pallone italico. 
MANCINI E' OK - E poi, finalmente, abbiamo un trainer. Nel lotto dei papabili, quello di Roberto Mancini era il nome che di gran lunga si faceva preferire. Qualche dubbio su Conte, che nel suo biennio fece benissimo ma non mancò di denunciare il suo disagio di fronte allo scarso tempo avuto a disposizione per gli allenamenti della squadra; forse l'ideale sarebbe stato Carletto Ancelotti, che però vuole ancora respirare aria di club. E allora, ben venga il buon vecchio Bobby Gol, che ha carisma, carattere e palmarés sufficientemente solidi per accollarsi una tal patata bollente. Sì, lo ammetto, sono fiducioso, e non solo perché credo che sia difficile far peggio di quanto si è visto fino allo scorso autunno, fino alla stramaledetta "doccia svedese": il Mancio è un trainer non schiavo di un modulo specifico, non ossessionato dalla tattica; è un uomo che ha vissuto calcio ai massimi livelli, che ha vinto tanto sia da calciatore che da tecnico. Ancora: ha sempre visto la Nazionale come un punto di arrivo, non come un diversivo; nei mesi scorsi ha più volte dichiarato il suo amore per la maglia azzurra, si è sempre detto lusingato di poter essere accostato alla panchina tricolore: sembrano banalità, ma per ripartire occorre anche l'entusiasmo autentico dell'uomo - guida, che di certo si trasmetterà a tutto l'ambiente. 
IL RITORNO DEI "BAD BOYS" - Un ultimo punto a favore dell'ex blucerchiato: non ha manifestato riserve di alcun genere verso giocatori che, nel passato recente, hanno avuto un rapporto problematico con la rappresentativa. Così, ecco il ritorno di Balotelli, ormai da due anni ripropostosi a livelli di rendimento più che soddisfacenti, un ragazzo che non poteva restare ai margini, soprattutto in un periodo di così scarsa vena realizzativa degli attaccanti di casa nostra: ricordiamo i tredici gol messi a segno nelle sue tre stagioni azzurre (dal 2011 al 2014), quasi tutti di pregevole fattura, molti decisivi. 
Forse ancor più clamorosa è la ricomparsa di Mimmo Criscito, che dalla vigilia di Euro 2012 in poi ha pagato un ostracismo azzurro davvero eccessivo e incomprensibile; ora può mettere sul piatto una considerevole esperienza europea, che almeno in questi primi mesi potrebbe farne uno dei perni della nuova "Azzurra", anche in virtù del suo ritorno in Serie A, nel Genoa che nel cuor gli sta, una rentréè che dovrebbe garantire un miglior monitoraggio del suo rendimento. Insomma, porte aperte a tutti, senza veti (parola tristemente all'ordine del giorno, in altri ambiti): sono quasi convinto che, se non fosse impegnato in un torneo scarsamente competitivo come quello cinese, ci sarebbe stato spazio perfino per un ripescaggio di Pellè, che del resto, prima dell'accantonamento da parte di Ventura, si stava affermando come il bomber più puntuale della squadra (nove gol in poco più di due anni). 
I GIOVANI CHE CI SONO E QUELLI CHE VERRANNO - Ma l'attenzione è soprattutto per gli emergenti: I nomi nuovi sono quelli di Caldara (un debutto a lungo atteso), Baselli, Mandragora, Berardi (premiato a dispetto di una stagione nel complesso negativa) e dell'oriundo Emerson Palmieri (quest'ultimo costretto al forfait per un infortunio), l'unico "straniero" assieme a Jorginho. Ovvia riconferma per tanti ex Under 21, da Rugani a Romagnoli, da Zappacosta a Bernardeschi (anche per lui rinuncia per problemi fisici), da Cristante a Pellegrini, da Belotti a Chiesa, ai quali presto dovrebbero aggiungersi i vari Calabria, Barella e Cutrone, soprattutto gli ultimi due reduci da un torneo di A scintillante.
Come si vede, a dispetto della crisi di sistema, dei vivai trascurati, dell'invasione straniera, gli elementi su cui lavorare in prospettiva non mancano, anche se c'è il sospetto che migliori generazioni di pedatori italiani potrebbero palesarsi negli anni a venire: pensiamo a certi nomi che fanno parte dell'U21 attuale (Romagna, Mancini, Bonifazi, Pezzella, Capradossi, Murgia, Locatelli, Orsolini, Parigini, Brignola) o, guardando ancor più lontano, all'U17 di Carmine Nunziata, splendida e sfortunata protagonista del recente Europeo di categoria chiuso in seconda posizione, dopo la solita, infausta lotteria dei rigori.
LA GENERAZIONE DI MEZZO E IL DOPO BUFFON - C'è futuro, dunque, se lo si saprà gestire e valorizzare per benino; ma anche il gruppo attuale ha valori di rilievo; oltre alle citate new entry, sono da rivedere quelli della generazione di mezzo, in primis Florenzi, Verratti (peraltro assente nel primo listone manciniano), Insigne e Immobile (anche lui acciaccato e costretto al ritorno a casa anticipato), certo non aiutati dalla tempestosa e incerta reggenza di Ventura, ma per i quali, come detto già in passato, il tempo stringe: o dimostrano al più presto di essere all'altezza del palcoscenico internazionale, o per loro le porte del Club Italia si chiuderanno. Ci sarà infine da mettere a fuoco il dopo Buffon, e si sa che quando lascia un mostro sacro, la successione è sempre problematica: si parte con Donnarumma, reduce da settimane da incubo. L'impressione è che, se Perin approderà alla Juve o comunque in una società di alto lignaggio, il duello per la maglia numero 1 dell'Italia sarà più feroce di quanto si pensi. I motivi di interesse, dunque, non mancano: ora la palla passa al Mancio e alla sua truppa.